Ma allora qual è il punto? Dipende. La punteggiatura lungo le cinque dimensioni di variazione - Claudia Arcari

Ma allora qual è il punto? Dipende.
La punteggiatura lungo le cinque dimensioni di variazione
di Claudia Arcari

  

Come ogni altro aspetto della lingua, anche la punteggiatura varia nel tempo e nello spazio. È per questo motivo, ad esempio, che l’interpunzione di oggi non è quella del Quattrocento, così come è per questo che l’uso della punteggiatura in italiano è diverso dall’uso in tedesco. In questo percorso vedremo come tempo, spazio, interlocutori e contesto comunicativo influenzano la gestione dei segni interpuntivi nei testi.

 

Segni di ieri e segni di oggi: la punteggiatura in diacronia

 

Per “variazione diacronica” si intende il cambiamento della lingua nel corso del tempo. Questa trasformazione è evidente se si prova a leggere un testo antico: il lessico e le strutture linguistiche utilizzate saranno molto diverse da quelle cui siamo abituati e questo renderà complessa l’interpretazione. Lo stesso avviene con la punteggiatura: i segni d’interpunzione contemporanei non sono gli stessi di un tempo – o sono usati in modo diverso – e vanno osservati considerando le loro specificità.

Innanzitutto, nell’antichità greca e latina esistevano solo le positurae, cioè dei punti che, posti a diverse altezze, segnalavano le pause da effettuare nella lettura ad alta voce: il punto basso indicava una pausa minore, quello a media altezza una pausa media e quello alto una pausa maggiore.

È stato solo con il passaggio alla lettura endofasica (cioè silenziosa), più o meno dal XIII secolo, che si è avuta la necessità di segni più complessi e più vicini a quelli che oggi chiamiamo “segni di interpunzione”; leggere nella propria mente, senza declamare ogni riga ad alta voce, infatti, ha richiesto una ristrutturazione dei testi che rendesse maggiormente chiari i legami tra le parti, e in questa modifica la punteggiatura ha svolto un ruolo essenziale. I segni di interpunzione hanno così cominciato a ricoprire il ruolo di una sorta di “segnali stradali”, come ha detto Bice Mortara Garavelli, cioè a venire usati per orientare le persone nel percorso di lettura. La svolta decisiva, però, è avvenuta nel XV secolo, quando la diffusione della stampa a caratteri mobili e la formazione di un ricco mercato librario hanno portato la necessità di individuare un canone linguistico e una norma ortografica comune. Nel dibattito scaturito al riguardo, emerse come vincitrice la posizione di Pietro Bembo, che promuoveva Petrarca come modello della poesia e Boccaccio come modello della prosa; contemporaneamente, egli pose le basi del sistema interpuntivo moderno, utilizzando nelle sue opere il punto, i due punti, il punto e virgola, la virgola e il punto interrogativo. Gradualmente si diffuse sempre di più l’idea che la punteggiatura servisse a segnalare i confini sintattici, piuttosto che le pause della prosodia, e intanto l’interpunzione divenne oggetto di interesse per molti trattatisti, tra cui Lodovico Dolce – che dedicò all’argomento il terzo libro della sua Grammatica (1550) – e Orazio Lombardelli, che nel 1585 pubblicò L’arte del puntar gli scritti.

Fig. 1 Frontespizio della Grammatica di Lodovico Dolce, Venezia, 1550.

 

Fig. 2 Frontespizio dell’Arte del puntar gli scritti di Orazio Lombardelli, Siena, 1585.

 

Ai segni usati da Bembo si aggiunsero poi il punto esclamativo e le parentesi, arrivando a formare l’insieme di segni che oggi tutti riconosciamo come punteggiatura.

Nel corso del Seicento chi scriveva ha continuato a seguire il modello bembiano, quindi a comporre periodi lunghi con una sintassi complessa, finché nel Settecento non si iniziò a sentire l’esigenza di uno stile diverso, più adatto alla divulgazione, ai giornali e al rinnovamento culturale incarnato dall’illuminismo. Sull’onda dello style coupé francese, si sviluppò uno stile spezzato, fatto da frasi brevi e uso ritmico della punteggiatura.

Nel secolo successivo, Raffaello Fornaciari, con le sue due opere dedicate alla Grammatica (1879) e alla Sintassi (1881), inserì per la prima volta la punteggiatura nella sezione dedicata alla sintassi della lingua, sancendo così la visione rinnovata dell’interpunzione cui si era giunti.

Fig. 3 Frontespizio della Grammatica di Raffaello Fornaciari, Firenze, 1879.

Fig. 4  Frontespizio della Sintassi di Raffaello Fornaciari, Firenze, 1881.

 

Arrivati al Novecento l’interpunzione era ormai stabile e ciò ha aperto le porte agli sperimentalismi. Tra questi, i più estremi furono quelli dei futuristi, che invitarono a eliminare i segni di punteggiatura e a usare, invece, dei simboli matematici e musicali, in virtù della velocità e del dinamismo.

Fig. 5 Manifesto tecnico della letteratura futurista, Filippo Tommaso Marinetti, 1912.

 

Forme meno radicali di sperimentalismi si trovano in scrittori (soprattutto di narrativa) che violano le norme a fini stilistici ed è su quest’onda di usi creativi che si è proseguito, con una punteggiatura che ha assunto via via una funzione sempre più comunicativo-testuale, piuttosto che logico-sintattica. Inoltre, essa ha vissuto un’ulteriore rivoluzione con il diffondersi del web, all’interno del quale è diventata sempre più funzionale alla manifestazione dell’emotività dello scrivente, per cercare di riportare nello scritto l’espressività degli scambi orali.

La punteggiatura è quindi passata dall’essere un sussidio per la lettura (nella sua forma premoderna) a essere un insieme di segni ricco di significati e di valori pragmatico-comunicativi, modificando le sue funzioni nel corso dei secoli e ampliando le possibilità espressive della nostra lingua.

 

Punti e virgole del mondo: la variazione diatopica della punteggiatura

 

Dal punto di vista diatopico, cioè su base geografica, la punteggiatura si differenzia da lingua a lingua. Segni presenti in una lingua possono non esserlo in altre: è il caso, per esempio, del punto interrogativo capovolto < ¿ >, presente in spagnolo, ma non in italiano. 

Oppure, si possono avere segni di forma diversa che svolgono però la stessa funzione, come nel caso del punto fermo cinese che non è un punto pieno, come in italiano, ma un cerchietto vuoto < >.

Infine, a cambiare possono essere le funzioni e i criteri coinvolti nell’uso dei segni di punteggiatura: in tedesco, per esempio, la virgola è obbligatoria nelle frasi complesse che presentano una subordinata esplicita e anche in tutte le frasi completive; in italiano, invece, la scelta è determinata dai confini informativi interni all’enunciato, secondo il significato di quest’ultimo. La differenza sta nel ruolo svolto dalla punteggiatura nelle due lingue: in tedesco ha una funzione logico-sintattica, mentre in italiano assume una funzione comunicativo-testuale.

Per le suddette ragioni, quando si studia una lingua straniera, l’interpunzione non andrebbe trascurata, anzi, in certi casi è necessario tradurla secondo le regole della lingua target.

 

Il punto della situazione: variazione diafasica, diamesica e diastratica

 

Con “variazione diafasica” si intende il cambiamento della lingua in relazione alla situazione comunicativa. Quest’ultima è data da più fattori che, in un testo scritto, possono essere ricondotti al tipo di testo (e dunque al suo scopo), all’emittente e al destinatario. Tale variazione si riscontra anche nell’uso dell’interpunzione: un testo regolativo, per esempio, avrà una punteggiatura più standard e codificata rispetto a un testo narrativo, che per esigenze stilistiche può violare la norma; allo stesso modo, un messaggio indirizzato a un familiare avrà una punteggiatura meno sorvegliata rispetto a uno destinato al proprio capo, anche se magari si usa lo stesso mezzo di comunicazione.

A proposito di mezzi di comunicazione, una sottocategoria della variazione diafasica è la variazione diamesica, che dipende dal canale o dal mezzo utilizzato. Nel caso della punteggiatura, il canale è sempre quello scritto, dato il suo essere specificamente legata alla grafia; tuttavia, il mezzo utilizzato influenza il tipo di punteggiatura che si sceglie di adoperare: se si scrive un messaggio su Whatsapp, è probabile che questo sia privo di punti, perché l’invio stesso del messaggio sostituisce la chiusura del discorso; se si scrive una lettera con carta e penna, invece, si è maggiormente propensi a usare un’interpunzione più classica. Paradossalmente, l’uso di una certa punteggiatura su Whatsapp, seppur corretta, potrebbe avere risvolti comunicativi inaspettati: concludere il messaggio di una chat con un punto, per esempio, potrebbe far preoccupare il destinatario cui ci si rivolge, poiché il punto è spesso usato nella comunicazione online informale come segno di malcontento o rabbia da parte dello scrivente.

Un’altra peculiarità legata alla comunicazione online è la possibilità di impiegare i segni di interpunzione per creare delle emoticon: anche in questo caso, la punteggiatura viene usata con una funzione comunicativa, per esprimere il proprio stato d’animo.

Infine, non va dimenticato che la lingua cambia anche in relazione a chi la usa: le caratteristiche sociali e il grado di scolarizzazione di chi parla o scrive, infatti, condizionano l’espressione linguistica e per questo si parla di “variazione diastratica”. Per quanto riguarda la punteggiatura, si può riscontrare un uso più sofisticato tra persone con una scolarizzazione più elevata, e un uso più elementare (se non scorretto) tra chi ha un livello inferiore di scolarizzazione. In ogni caso, va ricordato che l’interpunzione è uno degli aspetti che crea maggiori dubbi anche tra gli scriventi esperti, poiché si tratta di un argomento poco approfondito negli anni di istruzione.

 

Ma allora qual è il punto? Dipende

 

In conclusione, la punteggiatura cambia da lingua a lingua, ma anche all’interno dello stesso idioma, poiché non ci sono regole assolute nel suo uso e poiché il contesto in cui è utilizzata può variare di testo in testo. Il concetto di correttezza della punteggiatura è cioè variabile e aperto alla soggettività della situazione comunicativa e dello stile di chi scrive. Ed è proprio questo, in fondo, che rende l’interpunzione uno strumento così incisivo e carico di significato.

 

Per saperne di più

Giuseppe Antonelli, Parlare, scrivere, digitare, in Luca Serianni, L’italiano. Parlare, scrivere, digitare, Treccani, Roma, 2019, pp. 7-29.

Emanuele Banfi, Pierangela Diadori, Angela Ferrari (a cura di), Didattica della punteggiatura italiana a apprendenti giapponesi, coreani, vietnamiti, cinesi e arabi, Siena, Edizioni Università per Stranieri, 2021. Disponibile in rete.

Angela Ferrari, Letizia Lala, Interpunzioni creative. Esempi letterari degli anni Duemila, Firenze, Franco Cesati Editore, 2021.

Simone Fornara, La punteggiatura, Roma, Carocci, 2010.

Bice Mortara Garavelli, Prontuario di punteggiatura, Roma-Bari, Editori Laterza, 2003.

Bice Mortara Garavelli (a cura di), Storia della punteggiatura in Europa, Roma-Bari, Editori Laterza, 2008.

Massimo Palermo, Linguistica italiana, Bologna, Il Mulino, 2020.

Massimo Palermo, Italiano scritto 2.0. Testi e ipertesti, Roma, Carocci, 2017.

Massimo Palermo, Le regole della grammatica e le regole del testo. Riflessioni in chiave didattica, in «Italiano a scuola», vol. 3, 2021, pp. 191-206. Disponibile in rete.

Filippo Pecorari, La punteggiatura per scrivere meglio, Firenze, Franco Cesati Editore, 2024.

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