adattata all'uso e all'intelligenza comune da Francesco Soave C.R.S
Autore:
Francesco Soave | Soave Francesco
INTRODUZIONE, p. 3
Libro I. Dell'Etimologia.
Sezione I. Spiegazione generale del Discorso e delle sue Parti, p. 5
Capo I. Natura ed uso di ciascuna Parte del Discorso, p. 6
Capo II. Del Discorso e di ciò che forma una Proposizione, p. 13
Sezione II. Dei Nomi e degli Aggettivi, p. 16
Capo I. Dei motivi per cui si cambiano le terminazioni nei Nomi e negli Aggettivi, p. 16
Capo II. Dei Generi, p. 17
Capo III. Dei Numeri, p. 20
Capo IV. Dei Segnacasi e degli Articoli, p. 23
Capo V. Dell'uso degli Articoli, p. 27
Capo VI. Degli Aggettivi comparativi e superlativi, p. 31
Capo VII. Dei Nomi e degli Aggettivi aumentativi, diminutivi, e peggiorativi, p. 32
Capo VIII. De' Nomi personali, p. 34
Capo IX. Degli Aggettivi indicativi, e singolarmente de' Pronomi, p. 36
Sezione III. Dei Verbi e dei Participj, p. 46
Capo I. De' motivi per cui si cambiano le desinenze nei Verbi, p. 46
Capo II. Dei Modi, p. 47
Capo III. Dei tempi, p. 48
Capo IV. Dei Verbi transitivi e intransitivi, e della loro divisione in attivi, passivi, e neutri, p. 51
Capo V. Delle Conjugazioni, p. 52
Capo VI. Conjugazione de' Verbi ausiliari Avere ed Essere, p. 53
Capo VII. Osservazioni intorno alle Conjugazioni de' Verbi ausiliari, e al loro uso co' Verbi attivi e neutri, p. 58
Capo VIII. Conjugazione de' Verbi attivi e neutri, p. 60
Capo IX. Osservazioni intorno alle Conjugazioni precedenti, p. 66
Capo X. Del Passato rimoto dell'Indicativo, p. 67
Capo XI. Dei Futuri dell'Indefinito e del Soggiuntivo, p. 68
Capo XII. Dei Participj, p. 69
Capo XIII. Dei Gerundj, p. 73
Capo XIV. Degli Aggettivi verbali, p. 73
Capo XV. Dei Verbi passivi, p. 75
Capo XVI. Dei Verbi anomali o irregolari, p. 75
Capo XVII. Dei Verbi difettivi, p. 85
Sezione IV. Delle Preposizioni, degli Avverbj, delle Congiunzioni, e degl'Interposti, p. 86
Capo I. Delle Preposizioni, p. 86
Capo II. Degli Avverbj, p. 95
Capo III. Delle Congiunzioni, p. 101
Capo IV. Degl'interposti, p. 104
Libro II. Della Sintassi, p. 106
Sezione I. Delle Concordanze, p. 106
Capo I. Concordanza dell'Aggettivo col Nome, p. 107
Capo II. Concordanza del Verbo col Soggetto della Preposizione, p. 108
Sezione II. Del Reggimento, p. 109
Capo I. Del Reggimento de' Nomi, p. 109
Articolo I. Dei nomi retti da' Verbi intransitivi, p. 109
Articolo II. Dei Nomi retti da' Verbi transitivi, p. 111
Articolo III. Dei Nomi retti dalle altre Parti del Discorso, p. 114
Capo II. Del Reggimento de' Verbi, p. 115
Articolo I. De' Verbi retti da altri Verbi, p. 115
Articolo II. Dei verbi retti dalle Congiunzioni, p. 118
Sezione III. Della Costruzione, p. 120
Sezione IV. Delle Figure gramaticali, p. 122
Capo I. Dell'Ellissi, p. 123
Articolo I. Zeugma, p. 123
Articolo II, Ellissi, p. 124
Capo II. Del Pleonasmo, p. 126
Capo III. Della Sillessi, p. 129
Capo IV. Dell'Enallage, p. 129
Capo V. Dell'Iperbato, p. 130
Appendice de' Sinonimi, e delle Parole che si usano in più sensi diversi, p. 131
Sinonimi apparenti, p. 132
Verbi adoperati in diversi sensi, p. 134
Nomi e Aggettivi usati in diversi sensi, p. 141
Libro III Della Ortoepia o retta Pronunzia, p. 143
Introduzione, p. 143
Capo I. Della Pronunzia delle Lettere, p. 146
Articolo I. Delle Vocali, p. 146
Difetti nella Pronunzia delle Vocali, p. 152
Articolo II. Delle Consonanti, p. 148
Difetti nella Pronunzia delle Consonanti p. 152
Capo II. Della Pronunzia delle Sillabe, p. 154
Articolo I. Dei Dittonghi e Tritonghi, p. 154
Articolo II. Delle Sillabe miste di Consonanti e di Vocali, p. 156
Articolo III. Difetti nella pronunzia delle Sillabe, p. 159
Capo III. Della Pronunzia delle Parole, p. 160
Articolo I. Del non aggiugnere o togliere a ciò che è scritto, p. 160
Articolo II. Delle Pose della voce o degli Accenti, p. 162
Libro IV. Dell'Ortografia, p. 165
Introduzione, p. 165
Capo I. Dell'Alfabeto Italiano, p. 166
Capo II. Dell'Accento, p. 171
Capo III. Dell'Apostrofo, p. 173
Capo IV. Del Troncamento delle Parole, p. 174
Capo V. Dell'Accrescimento delle Parole, p. 178
Capo VI. Del Raddoppiamento delle Consonanti, p. 179
Capo VII. Della Divisione delle Parole in fin di linea, p. 184
Capo VIII. Delle Interpunzioni, p. 186
Indice, p. 189
Pagina 1
GRAMATICA
RAGIONATA
DELLA LINGUA ITALIANA:
Adattata all'uso e all'intelligenza comune
DA FRANCESCO SOAVE
C.R.S.
Nuova Edizione,
MILANO (1805)
Dalla Tipografia di Giusti, FERRARIO, e C.°
editori de’ CLASSICI ITALIANI.
Contrada di S. Margherita N°. 1118,
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GRAMATICA
RAGIONATA
DELLA LINGUA ITALIANA.
INTRODUZIONE.
Se v'ha studio che ad ogni genere di persone si
debba dir necessario , egli è quello della propria
lingua . Imperciocchè dovendo ciascuno continua-
mente e parlando e scrivendo esprimer con essa i
proprj pensieri, è troppo importante che impari
ad esprimerli con proprietà, con regolarità, e con
esattezza.
A tal fine sono ordinati i precetti della Gra-
matica (1), che è l’arte appunto la quale insegna
a parlare e scrivere esattamente.
In quattro parti la Gramatica si suol dividere,
le quali sono l’ Etimologia, la Sintassi, l’ Ortoepia,
e l' Ortografia. i
(1) Questa denominazione viene da gramma voce
greca, la qual significa lettera ; e all'arte, di cui
trattiamo, si è data una tale denominazione, per-
chè le lettere sono le parti delle parole, e le parole
sono il subbietto, intorno a cui si occupa la Gra-
matica.
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INTRODUZIONE.
L' Etimologia è quella che tratta delle paro-
le, della loro natura e proprietà, e delle variazioni
a cui vanno soggette.
La Sintassi tratta della maniera di accordare,
unire, ordinar le parole fra loro.
L’ Ortoepia insegna la retta maniera a di pro-
nunziar le parole.
L' Ortografia insegna la retta maniera di scri-
verle.
Secondo questa divisione la presente Gramatica
verrà distribuita in quattro Libri, incominciando
dall’ Etimologia,
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- LIBRO I.
DELL’ ETIMOLOGIA
SEZIONE I
SPIEGAZIONE GENERALE DEL DISCORSO
E DELLE SUE PARTI.
Il discorrere non è altro che esprimere colle pa-
role i proprj pensieri
Quindi le parole si chiamano Parti del Di-
scorso, perchè sono appunto le parti, di cui il
Discorso è composto.
Le Parti del Discorso possono ridursi a sette
Classi generali, cioè Nome, Aggettivo, Verbo,
Preposizione, Avverbio , Congiunzione , e Inter-
jezione o Interposto (1).
(1) Le parti del Discorso comunemente si dicono
esser otto, cioè Nome, Pronome, Verbo, Participio,
Preposizione, Avverbio , Congiunzione, e Interposto.
I Nomi poi si dividono in Sostantivi, e in Agget-
tivi, chiamando Sostantivi, quelli cha esprimono le
sostanze, e Aggettivi quelli che esprimono le qua-
lità, o determinazioni delle sostanze. Ma gli Ag-
gettivi, essendo parole che non si adopera mai per
nominare niuna cosa, e che si aggiungono invece ai
Nomi medesimi delle cose per esprimere le loro qua-
lità, o. determinazioni; mon si possono chiamar
Nomi, e debbon per conseguenza formare una Classe
a parte. Al contrario i Pronomi, e i Participj parte
spettano alla Classe dei Nomi e parte a quella degli
Aggettivi. Alla Classe dei Nomi. appartengono quei
che si chiamano Pronomi personali , cioè io , tu ,noi,
/voî, sè , i quali impropriamente si son pur detti
Pronomi non essendo vocaboli, che si usino invece
dei Nomi, ma essendo per sè medesimi veri Nomi
esprimenti la persona che parla, la persona a cui
si parla ec. Alla Classe degli Aggettivi appartengono
quasi tutti gli altri Pronomi;.e tutti i Participj, che
infatti alla maniera degli Aggettivi s’ accordano sem-
pre coi Nomi ai quali si riferiscono.
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CAPO: I
NATURA, ED USO DI CIASCUNA PARTE
DEL DISCORSO.
NOME.
I Nomi (1) son le parole, che ‘servono ad indi-
care le persone, o le cose, di cui si parla, come,
Pietro, Paolo, Acqua, Fuoco, Fiore, Frutto ec.
I Nomi altri si dicono particolari, o proprj,
ed altri universali, o comuni.
Nomi particolari, o propri , sono quelli, che
sì danno solamente ad alcune persone, o ad alcune
cose particolari, come Pietro; Paolo , Sole, Lu-
na, Roma, Napoli ec.
(1) Il vocabolo Nome vien dal Latino Nomen,
che secondo alcunî deriva dal Greco. onoma; è que-
sto da nemein distribuire, perchè per. mezzo de’ No
mi le cose si distribuiscono nelle loro classi ; e si
distinguono l una dall'altra : secondo altri è un ac-
corciamento di notamen (indizio), perchè i nomi
sono gl’ indizi, o i segni, con cui si dinotan le
cose, delle quali ‘si parla.
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- Nomi universali, o comuni son quelli , che
si danno universalmente a tutte le cose della me-
desima specie, o del medesimo genere, come uo-
mo, donna, legno, sasso , prato, campo, casa,
piazza , lago , fiume ec.
Oltre a ciò vi sono i Nomi personali, io, tu,
noi, voi, sè ,che si dicono personali , perchè io,
e noi indicano la persona, o le persone che parla-
no; tu, e voi la persona, o le persone a cui si
parla; e sè una o più persone diverse da quelle
che parlano, o a cui si parla.
AGGETTIVO
Gli Aggettivi (1), son le parole, che si ag-
giungono ai Nomi, o per indicare più distintamente
le persone e le cose, di cui si parla, o per espri-
mere qualche loro qualità. Dicendo a cagion d' e-
sempio Questo pomo è dolce, o quella fragola è
matura; gli Aggettivi questo, e quella si aggiun-
gono ai Nomi pomo, e fragola per indicare più
distintamente di qual pomo, e di qual fragola si
parli; e gli Aggettivi dolce , e matura vi si ag-
giungono per esprimere le qualità che hanno.
“Gli Aggettivi adunque altri sono gualificativi
come dolce, amaro , maturo , acerbo , bello, brut-
to, buono, cattivo, bianco, nero; grande, piccolo
ec. che esprimono le diverse qualità delle cose.
Altri sono indicativi, cioè
I. Quelli che indicano una casa determinata,
come questo, cotesto , quello medesimo , stesso ec.
II. Quelli che indicano un numero determinato
di cose, come uno , due, tre, quattro ec.; o l’ or-
dine con cui le cose sono disposte, come primo ,
(1) Il vocabolo Aggettivo, o Addiettivo, viene
dal Latino -adjicere aggiungere
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secondo, terzo, quarto ec.; o un numero totale,
come ogni, ciascuno, ciascheduno, tutti } o la
privazione di ogni numero, come niuno ., o nes-
suno .
III. Quelli che accennano una cosa indetermi-
nata, o un numero indeterminato di cose, come
qualche, qualcuno, alcuno, qualunque ec. per e-
sempio allorchè si dice: vorrei Qualche frutto sen-
za dir quale; veggo alcuni fiori senza dir quanti.
IV. Gli Aggettivi mio, tuo, suo, nostro , vo-
stro , loro, che si chiamano possessivi, perchè
mostrano di chi sia la cosa di cui si parla, come
la tua mano, il mio piede ec.
V. Gli Articoli, (1) altri de’ quali si chiamano
determinati, cioè il, lo, la, i, gli, le; perchè
si premettono ai Nomi quando si parla di cose de-
terminate; altri si dicono indeterminati, come
uno, e una (2), perchè si ‘usano quando si vuol
accennare una cosa senza determinarla precisamente.
Così s' io ‘vorrò un libro qualungue , senza che
m’ importi d’ aver piuttosto il tale, che il tal altro,
dirò datemi un libro ; ma se votrò quel libro de-
terminato, di cui si sia già parlato tra noi, o che
sia già noto, dirò datemi il libro; e sarà come se
dicessi: Datemi quel:libro , che già s' è detto, o
che già sapete.
(1) Alcuni han riguardato gli Articoli come una
Parte del discorso separata dalle altre. Basta però
osservare un po’ attentamente l'ufficio che essi
fanno, per conoscere che sono veri Aggettivi indi-
cativi.
(2) Uno è Aggettivo numerale, quando si vuole,
indicare precisamente l' unità della cosa, come
Dio è uno; el è Articolo indeterminato, quando
fra gli oggetti compresi sotto ad un Nome univer-
sale non si pensa che ad indicarne uno qualunque.
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VI. Quelli che indicano una persona, o una
cosa già nominata, come egli, ella, luî , lei , lo-
ro, ciò, questi, quegli, costui, colui, che, cui
ec. i quali si chiaman Pronomi, cioè parole poste
invece dei nomi, perchè si usano in luogo di ripe-
tere i Nomi medesimi delle persone , o delle cose
già nominate.
Così il dire: L’Avaro s' affatica pazzamente
ad ammassare ricchezze, che a lui punto non
giovano , perchè egli mai non ne gode, è lo stesso
che dire : L’Avaro s affatica pazzamente ad am-
massare ricchezze, le quali ricchezze al detto
avaro punto non giovano; perchè il detto Avaro
delle dette ricchezze mai non gode; e i Prono-
mi, che, lui , egli, e ne sono posti espressa-
mente per non replicare tante volte avaro, e ric-
chezze .
Si avverta che invece dei Pronomi, lui, lei,
e loro spesso si adoperan le parole il, lo, la ,
li, gli, le, che di sopra sì sono poste fra gli
Articoli: così Il vide, o lo vide significa vide lui;
Gli parlò parlò a lui ec. Or quando alle suddette
parole si potranno sostituire lui, lei, e loro saran
no esse Pronomi; quando lui, lei, e loro non vi
si potranno sostituire, saranno semplici Articoli.
VERBO.
I Verbi son le parole che servono ad espri-
mere o lo stato in cui una persona, o una cosa
trova, come essere, vivere , riposare, dormire;
o ciò che ella fa , come andare, venire , leggere ,
scrivere; o ciò che le vien fatto da altri , come
esser lodato , o biasimato , esser accolto, o dis-
cacciato .
Dai Verbi derivano alcuni Aggettivi, come,
amante, amato , vivente, vivuto e simili, che sì
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chiamano Participj, perchè partecipan insieme
dell’Aggettivo, e del Verbo, come altrove vedre-
mo .
Dai medesimi Verbi derivano pure alcune al-
tre parole, le quali sogliono terminarsi in ando,
o in endo, come amando , vivendo, e che si chia-
man Gerundj , di cui pure mostrerem l’ uso, e la
natura in altro luogo.
PREPOSIZIONE.
Le Preposizioni sono le parole di, a , da ,
in , per , con , senza, e simili, che si mettono
innanzi ai Nomi (1) per indicare le relazioni di
una cosa coll’ altra, ossia ciò che una cosa è rispetto
all’ altra.
Così dicendo Questo campo è di Cesare, in-
dico che Cesare è il padrone del campo ; dicendo
Antonio è in Roma, indico che Roma è il luogo ,
dove Antonio si trova; dicendo Pietro passeggia
con Paolo , indico che Paolo è il compagno con
cui Pietro passeggia .
Se innanzi al Nome si deve mettere anche
l'Articolo determinato , questo per lo più si unisce
colla Preposizione in una sola parola, che può
chiamarsi Preposizione articolata .
Così invece di dire di il , di lo , di la , di
i , di gli , di le , si dice del , dello , della , dei ,
o de’, degli , delle ; invece di a il , a lo , a la,
a i , a gli , a le , sì dice al , allo, alla, ai o
a' , agli , alle ec.
(1) Si trovano spesso anche innanzi ai Verbi,
come di andare, a venire; ma i Verbi allora fan
Y ufficio di Nomi, come vedremo'a suo luogo.
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AVVERBIO.
Gli Avverbj son le parole che s'aggiungono
ai Verbi per indicare in qual luogo , in qual tem-
po , in qual modo avvenga, o sia avvenuto, o
debba avvenire ciò che è espresso dal Verbo .
Dicendo per esempio il tale va là , o vien
qua , indico il luogo a cui va, o a cui viene; di-
cendo parte adesso , è partito prima, o partirà
dopo, indico il tempo in cui parte, o è partito,
o partirà ; dicendo legge bene , o male ; scrive pre-
sto , o lentamente , indico il modo con cui legge.
o scrive.
CONGIUNZIONE.
— Le Congiunzioni son le parole e, nè, se, ma,
perché, perciò, benchè , pure , come, così, che e
simili, le quali servono a congiungere una parola
coll’ altra, o n senso coll’ altro (1); per esempio
(1) Abbiamo detto servono a congiungere una pa-
rola coll’altra , o un senso coll’ altro , perchè alcune
volte sembran congiungere unicamente due parole
fra loro. Così dicendo: Dio è giusto e clemente, pa-
re che la congiunzione e sia posta unicamente per
unire i due aggettivi giusto , e clemente. Realmente
però l’uso delle Congiunzioni non è quello di uni-
re fra loro due parole, ma dì unire due Proposi-
zioni, cioè due sensi compiuti ; e quando sembra-
no legare insieme due parole soltanto, egli è per-
chè le parole richieste al compimento di una delle
due Proposizioni , son sottintese. Così nell’ esempio.
arrecato il senso è : Dio è giusto , Dio è clemente,
e la congiunzione e unisce queste due proposizioni,
‘facendo ommettere nella seconda le parole Dio è ,
perchè facilmente si sottintendono, essendo espres-
se già nella prima
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Caino ,e Abele, benché fosser fratelli, pure d'in-.
dole eran fra loro assai diversi.
La parola che è stata posta di sopra fra i
Pronomi , perchè spesse volte è anche Pronome,
che chiamasi relativo . Altine però di distinguere
dove sia Congiunzione, e dove Pronome , sì os-
servi, che quando è Pronome ,in vece sua si pos-
sono sostituire le parole : il quale , o la quale , ì
quali , o le quali ; epperò ogni volta che queste
parole in sua vece non si potranno sostituire , sàrà
semplice Congiunzione. Così dicendo : Convien
CHE studii diligentemente quel giovane , CHE ama
ben imparare; il primo che è Congiunzione , il
secondo è Pronome .
INTERPOSTO.
Gl’ Interposti son le parole ah, 0h, ahi, deh
e simili, che si frappongono al discorso per espri-
mere dolore, allegrezza, maraviglia, desiderio,
ed altri affetti dell'animo, come Ahi me misero !
Oh te beato !
ESERCIZIO
PER IMPARARE A DISTINGUERE OGNI PARTE
DEL DISCORSO.
il primo studio , che deve farsi , è d’imparare a
ben distinguere a qual parte del discorso ciascuna
parola appartenga .
La seguente Favoletta potrà a ciò servire d’e-
sempio . Una Volpe vedendo una maschera (1)
(1) Per maschera qui s'intende una delle anti-
che maschere da teatro , che coprivano tutta la
testa .
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disse: Oh la bella testa ! ma non ha cervello.
Guardate che la stessa cosa non dicasi ancor di
voi.
Una è Articolo indeterminato ; Volpe è No-
me; vedendo è Gerundio ; una è Articolo indeter-
minato ; maschera è Nome; disse è Verbo ; oh è
Interposto ; la è Articolo determinato; della è Ag-
gettivo qualificativo ; testa è Nome; ma è Con
giunzione ; non è Avverbio negativo; ha è Verbo ;
cervello è Nome; guardate è Verbo; che è Con-
giunzione ; la è Articolo determinato ; stessa è Agget-
tivo indicativo; cosa è Nome; non è Avverbio
negativo; dicasi è Verbo; ancora è Avverbio; di
è Preposizione ; voi è Nome personale.
CAPO II
DEL DISCORSO
È DI CIO’ CHE FORMA UNA PROPOSIZIONE,
Di tutte queste Parti del Discorso le principali
sono i Nomi, gli Aggettivi, ed i Verbi,
In fatti di qualunque cosa si voglia discorrere,
prima di tutto è necessario il nominarla. Così vo-
lendo parlare dell’acqua, o del fuoco, conviene
che io faccia comprendere coi Nomi Acqua, e
Fuoco, che di queste, non d’ altre cose, io inten-
do parlare.
Ma il nominare semplicemente una cosa non
forma un discorso: bisogna poi anche accennare o
la qualità ch’ ella ha, o lo stato in cui è, o ciò
ch’ ella fa ec.
Questo si esprime o col Verbo essere, e qual
che Aggettivo, per esempio L’acqua è chiara;
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Il fuoco è ardente, o con qualche Verbo sempli-
cemente, come L'acqua corre ; Il fuoco arde.
Le parole: L’ acqua è chiara , formano un
senso compiuto, che si chiama una Proposizione.
In questa il Nome Acqua esprimente il Sog-
getto, di cui si parla, si chiama il Soggetto della
Proposizione; l'Aggettivo chiara esprimente la
qualità, che all’ acqua si attribuisce, si chiama
l’ Attributo ; e il Verbo é serve ad unire l'attri-
buto col suo oggetto , cioè a mostrare che al Sog-
getto Acqua conviene Attributo chiara.
Ogni Proposizione adunque è composta del
Soggetto , del Verbo essere, e di un Attributo ,
senza queste tre cose non si può formare un senso
compiuto.
Spesse volte però il Verbo essere, e l’Attri-
buto sono compresi in una sola parola. Così corre
è lo stesso come è corrente; arde è lo stesso co-
me è ardente: e in generale tutti i Verbi conten-
gono insieme il Verbo essere e l' Attributo , per-
chè tutti equivalgono a questo Verbo, e ad un
Aggettivo, come amare ad esser amante; vivere
ed esser vivente ec. Perciò L'acqua corre; Il fuo-
co arde forman anch'esse due sensi compiuti, e
sono per conseguenza due Proposizioni.
Qualche volta anche un solo Verbo può for-
mare un’ intera Proposizione , quando cioè il Sog-
getto o sia stato nominato innanzi , o facilmente si
sottintenda. Così s' io. domandassi: Che fa Anto-
nio? ed alcuno rispondesse: passeggia; questo
Verbo formerebbe una Proposizione, perchè il
Soggetto sottinteso sarebbe il Nome Antonio detto
Innanzi. Parimente se dicessi: passeggiamo , ciò
formerepbe una Proposizione, perchè si sottinten-
derebbe il Soggetto Noi.
D'ordipario però nelle Proposizioni oltre al
Soggetto , al Verbo, essere, e all'Attributo v’ è
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qualche cosa di più. Poichè ora s' aggiunge al Sog-
getto una qualche distinzione, o determinazione ,
come L' acqua della fontana è chiara; L'acqua,
che mi avete portata , è torbida (dove si noti che
le parole, che mi avete portata, formano anch’ esse
una Proposizione, che si chiama incidente , perchè
cade nella Proposizione principale, cioè L’ acqua.
è torbida).
Ora al Verbo s'aggiunge un qualche Avverbio,
come L'acqua corre velocemente ; Il fuoco arde
furiosamente.
Ora se il Verbo esprime qualche azione, si
nominan le cose, su cui questa azione va a finire,
come L'acqua incava le pietre ; Il fuoco strugge
i metalli.
Ora vi s' aggiunge qualche Nome preceduto
da qualche Preposizione o semplice o articolata,
come L’acqua piove a diluvio; Il fuoco freme
nella fornace.
Ora invece di un Nome vi s’aggiunge un al-
tro Verbo preceduto da una Preposizione o no,
come Il fuoco ha cessato di ardere; L'acqua non
vuole arrestarsi.
Ora al secondo Verbo s'aggiungon pure degli
altri Nomi, come: L’ acqua incomicia ad innon-
dar le campagne; Il fuoco arriva a distruggere
le materie ancor più dure.
Or finalmente varie di queste cose’ vi si ag-
giungono tutte insieme, come: L’ acque de’ tor-
renti spesse volte allo sciogliersi delle nevi innon-
dano miseramente le vicine campagne con danno
estremo degl’infelici agricoltori ; tutte le quali
parole non formano che una sola Proposizione.
Dopo che si sappiano ben distinguere le Parti
del discorso, il secondo studio , che deve farsi, è
quello d’ imparare a distinguere una Proposizione
all'altra; e per farlo basterà osservare attenta-
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mente quali siano le parole, che appartengono ad
un senso, e quali quelle che appartengono ad un
altro .
SEZIONE II.
Dei Nomi, E DEGLI. AGGETTIVI.
Le Parti del Discorso altre son declinabili , ed
altre indeclinabili. I
I Nomi, gli Aggettivi, ed i Verbi sì chia-
mano declinabili, perchè declinano, o si allonta-
mano secondo diverse circostanze dalla loro termi-
mazione primitiva.
Al contrario le Preposizioni , gli Avverbj, le
Congiunzioni , e gl’ Interposti sì chiamano inde-
clinabili , perchè sempre ritengono la medesima
terminazione .
CAPO I.
DE’ MOTIVI PER CUI SI CAMBIANO
LE TERMINAZIONI DEI Nomi,
E DEGLI AGGETTIVI.
IL 1° motivo, per cui si cambia la terminazione
dei Nomi, è per distinguere nelle cose animate il
maschio dalla femmina: così Colombo per esempio
vuol dire il maschio, e Colomba la femmina.
Il 2° motivo è per indicare se si parla di una
cosa sola, o di più, così Colombo vuol dire un
solo, e Colombi più d’ uno.
I Nomi, che significan il maschio, si dicon
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del genere maschile, come Colombo, Cavallo ,
Lupo , Gatto ec.
I Nomi, che significan la femmina, si dicono
del genere femminile, come Colomba, Cavalla,
Lupa , Gatta ec.
Quando un nome indica una cosa sola, si dice
del Numero singolare, o del meno, come un
Colombo, o una Colomba.
Quando ne accenna più d’una, si dice del
Numero plurale, o del più, come due o più Co-
lombi, due o più Colombe.
Negli Aggettivi si fanno queste medesime di-
stinzioni di Genere e di Numero, perchè meglio
s’accordino co’ loro Nomi, e perciò nel discorso
più facilmente si possa conoscere a qual Nome ap-
partengano. Così un Colombo si dice bianco, e
una Colomba bianca ; e se son più, i Colombi si
dicon bianchi «e le colombe bianche.
- CAPO II° .
DEI GENERI.
Le variazioni di desinenza rispetto ai Generi son
le seguenti.
1.° Nelle cose animate se il Nome del ma-
schio finisce in o, quel della femmina si suol ter-
minare in a, come Colombo , e Colomba.
Vi som però alcuni Nomi di maschio, che fi-
niscono in a, come Andrea, Pitagora, Anassa-
gora, Papa, Patriarca, Profeta, Poeta, Geome-
ra , e simili; e alcuni di femmina che finiscono
în o, come Erato, Saffo , Cloto, Aletto, Atropo,
e simili.
2.° Se il Nome del maschio finisce in e, ter-
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mina per lo più allo stesso modo anche quel della
femmina; come un Lepre, e una Lepre.
S’eccettui Lione, che nel femminile ha Lio-
nessa; Cane che nel femminile ha Cagna; e al-
cuni Nomi di titolo, come Barone, e Baronessa,
Principe, e Principessa; Conte, e Contessa; Mar-
Chese, e Marchesa, quantunque Marchese si dice
anche nel femminile.
3.° Vi sono molti Nomi d’Animali, che s’ ad-
operano solamente nel maschile, come un Tordo ,
un Coniglio, un Luccio; e molti che si usano
solamente nel femminile , come una Lodola, una
Volpe, una Trotta.
4° Ve ne son pure molti altri, che nel fem-
minile hanno un Nome affatto differente, come
Uomo, e Donna; Ariete, e Pecora; Toro, e
Vacca .
I Nomi delle cose inanimate, come sono le
piante , i metalli, i sassi, i fiumi, i monti ec.
non dovrebbono avere nè il Genere maschile, né
il femminile, perchè non sono nè maschi, nè fem-.
mine. Con tutto ciò anche questi si mettono parte
nel Genere maschile, e parte nel femminile.
1.° Quelli che finiscono in o, son quasi tutti
maschili, come un Jubro, un Campa, un Palazzo.
S' eccettui Mano , e qualche Nome accorcia-
to, come Immago, Testudo, e simili, che si usano
dai Poeti invece di Immagine, e di Testudine.
2.° Quelli che finiscono in a, son quasi tutti
femminili, come una Casa, una Strada, una
Campagna.
S'eccettuì qualche Nome derivato dal Greco,
come Dramma, Epigramma , Stemma, Poema,
Problema, Diadema, e simili.
3.° Quelli che finiscono in e, in i, in u, o
in qualunque vocale accentata , parte sono maschili,
parte, femminili, e mon. han regola determinata.
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Alcuni di questi con una sola terminazione
s' adoprano in ambi i Generi, come Trave, Fine ,
Fonte, Fronte, Carcere, Arbore, Fune, Doma-
ne, e Folgore, dicendosi un Trave, e una Tra-
ve, il Fine, e la Fine ec.
Alcuni altri ritenendo il medesimo Genere si
adoperano con diversa terminazione; come Ala e
Ale, Arma e Arme, Canzona e Canzone, Dota
e Dote, Froda e Frode, Fronda e Fronde, Re-
dina e Redine, Scura e Scure, Tossa e Tosse,
Vesta e Veste, che sono tutti femminili (s’ eccet-
tui Gregge che è maschile, e cadendo in a fa
Greggia femminile ) ; Cavaliero e Cavaliere , Con-
solo e Console, Pensiero e Pensiere, Sentiero e
Sentiere, Scolara e Scolare, Barbiero, Barbiere,
e Barbieri, Mestiero, Mestiere, e Mestieri, che
sono tutti maschili. Tra questi però è da notare,
che Ale, Arme, Canzona, Data, Scura, Tossa,
e Barbieri, sono poco in uso.
È da osservarsi circa ai Nomi delle Città, che
finiti in a sono sempre femminili, come Londra,
Roma, ec.; ma finiti in altra vocale si posson fare
e maschili e femminili, come la vasta, e il vasto
Milano ; la popolata; e il popolato Napoli : sebben
più comunemente si usano anch’ essi al femminile.
AÌ contrario i Nomi de' Paesi, e de Fiumi,
se non finiscono in a, sono tutti comunemente
maschili, come il Piemonte, il Friuli, il Tevere,
l'Adige.
Le lettere dell’Alfabeto si pongono nell’ uno,
e nell’ altro Genere; ma le Vocali A, ed E colle
consonanti F, H, L,M,N, R,S, Z, si usan
più spesso al femminile, le altre più spesso al
maschile.
Circa ai Nomi degli Alberi, e de’ Frutti è da
notarsi particolarmente , che finiti in o significan
l’Albero, e sono maschili, come un Pero, un
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Castagno , un Ciriegio ; finiti in a significan il Frut-
to, e son femminili, come una Pera, una Casta-
gna, una Ciriegia. S’eccettuin Pomo, Fico, Ce-
drato, e cedro che terminando in o maschile, si-
gnifican tanto l'Albero, come il Frutto.
Gli Aggettivi nei Generi sonò più regolari ,
poichè finiti in o sono tutti maschili, e finiti in a
tutti femminili, e perciò un Uomo si dirà buono,
saggio, virtuoso , e una Donna buona, saggia,
virtuosa.
Finiti in e però servono anch’ essi ugualmente
el maschile, e al femminile, come Uomo pruden-
te, e Donna prudente. |
Ma si osservi, che quelli che finiscono in tore
sono tutti maschili, e hanno comunemente il fem-
minile in trice, come Uomo vincitore, e Donna
vincitrice, trattine alcuni pochi che lo hanno an-
che in tora, come da traditore, traditrice, e
traditora.
CAPO III
DEI NUMERI.
Le desinenze fin quì accennate sono quelle che
i Nomi, e gli Aggettivi hanno nel singolare.
Nel Plurale i Nomi maschili comunemente fi-
niscono in i, qualunque sia la loro terminazione
singolare; e però da Profeta, Maestro, Pastore
si fa Profeti, Maestri, Pastori.
I Femminili, se nel Singolare finiscono in a,
hanno il Plurale in e, come una rosa, e più
Rose; se nel Singolare finiscono in e, hanno il
Plurale in i, come una Volpe, e più Volpi; e
quelli che nel Singolare hanno la doppia termina-
zione in a, e in e, hanno similmente nel Plurale
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la doppia terminazione in e, e in î, come Ale e
Ali, Arme, e Armi ec.
Conviene però notare 1.° che i Nomi mono-
sillabi, e que’, che terminano in Vocale accen-
tata, o siano maschili, o femminili , ritengono nel
Plurale la stessa terminazione del Singolare ; onde
si dice egualmente un Re, una Città una Tribù,
come molti Re, molte Città, molte Tribù. An-
che Specie , Serie, Superficie , Requie, Barbarie,
e Progenie conservano nel Plurale la stessa desi-
nenza.
2.° Che alcuni Nomi maschili nel Plurale ol-
tre alla desinenza in i han pure la terminazione in
a, con cui divengono femminili Eccone i prin-
cipali
Anelli, e Anella | Ginocchi; e Ginocchia
Bracci, e Braccia | Gridi, e Grida
Calcagni, e Calcagna | Labbri, e Labbra
Carri, e Carra | Legni, e Legna
Castelli, e Castella | Lenzuoli, e Lenzuola
Cigli, e Ciglia | Membri, e Membra
Coltelli, e Coltella | Mulini, e Mulina
Comandamenti, e Comandamenta | Muri, e Mura
Ossi, e Ossa
Corni, e Corna | Peccati, e Peccata
Demonj, e Demonia | Pomi, e Poma
Diti, e Dita | Quadrelli, e Quadrella
Fili, e Fila | Risi, e Risa
Fondamenti, e Fondamenta | sacchi , e Sacca
Tini, e Tina
Frutti, e Frutta | Vestigi, e Vestigio
Gesti, e Gesta Vestimenti e Vestimenta.
Ma Coliella, Comandamenta , Demonia,
Letta, Mulina, Feccata, Tina poco si usano ;
all’ opposto braccio , Calcagna , Ciglia , Dita,
Gesta (in significato d' Imprese, ) Ginocchia,
Labbra, Membra, Ossa, Quadrella, e Risa son i
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meglio usati, che Bracci, Calcagni. ec. Si trova
anche Frutte, Geste , Legne , Osse, e Vestigie;
e gli Antichi usarono pure spesse volte Fruttora,
Campora , Pratora, e simili; ma queste voci or
sono affatto antiquate.
3.° Che alcuni Nomi maschili nel Plurale han
solamente la terminazione in a, con cui diventano
femminili come le Centinaja , le Migliaja , le
Miglia, le Moggia, le Staja, le Paja, le Uova,
che vengono dai Singolari Centinajo , Migliajo ,
Miglio , Moggio , Stajo, Pajo, Uovo.
4° Che i nomi maschili terminati nel Singo-
lore i in co, e in go, se hanno avanti a queste
sillabe una consonante, nel Plurale finiscono in
chi, e in ghi, come da Palco, Palchi, da Alber-
go Alberghi, trattone Porco , che ha Porci: se
hanno una vocale finiscono per lo più in ci, e in
gi, come da Medico, e Teologo, Medici, e Teo-
logi; benchè ve ne sieno degli eccettuati , come
Fichi, Fuochi , Cuochi, Roghi, Luoghi, Dia-.
loghi , ed altri.
5.° Che i Nomi femminili terminati in ca, e
in ga, siano queste sillabe precedute da una con-
sonante, o da una vocale, han tutti il Plurale in
che, e in ghe come da Monaca , e Verga, Mo-
nache , e Verghé.
6. ° Finalmente che vi sono de’ Nomi , i quali
s’ usano solamente nel Singolare, come Mele,
Mane e Mattina , e ve ne sono, che s usano so-
lamente al Plurale, come Nozze, Eseguie, Van-
ni (Ale) s Spezie. Droghe), Interiora ec.
Gli Aggettivi maschili nel Plurale finiscono
tutti in i, come Uomini dotti, giusti , prudenti :
i femminili cadono in e, se hanno il Singolare in
a, some Donne pie, sagge, virtuose; cadono
in i se hanno il Singolare in a come Donne
gentili fedeli, diligenti.
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Anche tra gli Aggettivi alcuni s' usano sola-
mente nél Singolare, come ‘Niuno , Viruno,
Ognuno Ciascuno , Ciascheduno , Qualche , Chiun-
que , e Qualunque.
Di Qualche usato in Plurale v' hà però un e-
sempiò nel Boccaccio : Addormentato in qualche
verdi boschi; e a Qualunque, allorchè a voglia
plurale, si suole sostituire Quantungue, come nel
Petrarca: Fra quantunque leggiadre Donne, e
belle .
Ad Ogni nel plurale corrisponde Tutti, come
Ogni uomo , tutti gli uomini.
CAPO IV.
Dei SEGNACASI, E DEGLI ARTICOLI.
In Italiano la terminazione dei Nomi, e degli
Aggettivi si cangia solamente secondo la diversità
dei Generi, e dei Numeri.
I Latini avevano in essi degli altri cangiamen-
ti, che sì chiamavano Casi, cioè Cadenze o Desi-
nenze diverse d’ un medesimo Nome.
Questi casi erano sei, Neminativo , Genitivo,
Dativo, Accusativo, Vocativo, e Ablativo, i1 pri-
mo de’ quali pur chiamavasi Caso retto, e gli ‘altri
Casi obliqui.
I Casi latini servivano ad esprimer varie di
quelle relazioni , che noi invece esprimiamo colle
Preposizioni di, a, da, con, per, in ec., le quali
perciò comunemente si chiamano Segnacasi. Così
invece di dire Cesare , di Cesare, a Cesare ec.
i Latini dicevano Cesar, Cesaris, Cesori ec.
Queste Preposizioni, e questi Segnacasi, se il
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Nome richiede l'articolo determinato, si soglion
pure da noi incorporare con esso in una sola pa-
tola, che altrove abbiamo chiamato preposizione
articolata.
Or ecco gli Articoli , e le Preposizioni' artico=
late corrispondenti ai varj Casi latini in ambi i
Generi, e in ambi i Numeri.
GENERE MASCHILE.
Singolare, È Plurale.
Nom. il, lo Nom. î, gli
Gen. del, dello Gen. dei, o de’, degli
Dat. al, allo Dat. ai, o a’, agli
Acc. il, lo Acc. i; gli
Voc. o Voc. o
Abl. dal, dallo Abl. dai, o da', dagli
nel, nello nei, o ne’, negli
col, collo coi, o co’, cogli
pel, per lo pei , o pe’, per gli
sul, sullo sui, o su’, su gli
GENERE FEMMINILE.
Singolare. | Plurale.
Nom. la Nom. le
Gen. della Gen. delle
Dat. alla Dat. alle
Acc. la Acc. le
Voc. o “ Voc. o
Abl.; dalla Abl. / dalle
nella nelle
colla colle
per la per le
sulla sulle.
Qui è da avvertire, che coi Nomi maschili
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gli Articoli, e le Preposizioni articolate lo, dello,
ec. gli, degli ec. si usano quando il Nome comin-
cia per S impura, cioè seguita da altra consonante,
o per Z, come lo spirito , lo zecchino , gli
spiriti, gli zecchini , e il, del ec. i, dei ec. si
usano quando il Nome comincia per tutt'altra con-
sonante, come i ferro , il marmo, i ferri, i
marmi , eccetto il plurale Dei, che anch'esso vuol
l'Articolo gli, onde si dice gli Dei, non i Dei.
Alcuni scrivono pure li ferri ; li marmi, ec. ma
è di miglior uso i ferri, i marmi.
Se il Nome comincia per vocale, nel singo-
lare maschile dovrebbe dirsi /o, dello ec. ma per
lo più la vocale ultima si. elide, e vi si mette
l'apostrofo, come l’ onore, dell'onore ec., il che
sì fa ancora coi femminili, come l'amicizia , del-
l’ amicizia ec.
Nei Plurali maschili che cominciano per vocale
gli Articoli , e le Preposizioni articolate sono gli,
degli èc. gome gli'onori, degli onori; e se il
Nome comincia per i l'Articolo gli suol anche apo-
strofarsi , dicendo gl’ Italiani, degl’ Italiani ec.
non già se comincia per altra vocale, onde sareb-
be errore lo scriver gl’ anni, gl’ onori ec.
Nei Plurali femminili talvolta si fa l’ elisione;
come l’amicizie, dell'amicizie; ma più comune-
mente gli Articoli, e le Preposizioni articolate si
pronunziano , e si scrivono intere, come le ami-
cizie, delle amicizie.
La Preposizione per accompagnata dall'artico-
lo maschile fa pel, o per lo nel Singolare , come
pel monte, o per lo monte, e pei, o pe’ nel Plura-
Ade, come pei monti, e pe’ monti. Per il, e per i
da’ buoni Scrittori non si usano, e di rado si usa.
anche per li. Alcuni pur adoperano pella, e pelle
invece di per la, e per le; ma i Migliori se ne
astengono.
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Anche con il, e con i son da schifarsi; al con-
trario con lo, con gli, con la, e con le si usan
da molti.
Per maggiore intelligenza delle cose anzidette
aggiungeremo qui due Nomi, l’ uno maschile, e
l’altro femminile, coi lor Segnacasi prima senza l'ar-
ticolo, e poi coll’ articolo.
NOMI COI SEGNACASI SBNZA L'ARTICOLO.
MASCHILE, FEMMINILE:
Singolare
Nom. Padre Madre
Gen. di Padre di Madre _
Dat. a Padre a Madre
Acc. Padre Madre:
Voc. o Padre o Madre
Abl. da Padre da Madre .
per per
con con
Plurale.
Nom. Padri Madri .
Gen. di Padri di Madri.
Dat. a Padri, a Madri
Acc. Padri Madri
Voc. o Padri o Madri
Abl. da Padri. da Madri
per per
con con
Si noti che quando il Nome comincia per vo-
cale, la Preposizione di suole apostrofarsi, come
d’Uomo, d'Amico, e invece di a suole usarsi ad,
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come ad Uomo, ad Amico*
da suole scriversi
intera anche innanzi a vocale, come da Uomo,
da Amico.
NOMI COI SEGNAGASI UNITI ALL’ ARTICOLO,
MASCHILE.
FEMMINILE.
Singolare
Nom. il Padre la Madre
Gen. del Padre della Madre
Dat. al Padre alla Madre
Acc. il Padre la Madre
Voc. o Padre o Madre
Abl. dal Padre dalla Madre
pel, o per lo per la
col colla
Plurale
Nom. è Padri le Madri
Gen. dei, o de' Padri delle Madri
Dat. ai, a' Padri alle Madri
Acc. i Padri le Madri
Voc. o Padri o Madri
Abl. dai, o da' Padri
pei, o pe’
coi o co'
per le colle
CAPO V
Deir uso DEGLI
Dell’uso degli Articoli
Due specie d'Articoli noi abbiamo, come già si è
detto, nella nostra lingua, alcuni de' quali, cioè il
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lo, la, i, gli, le si chiamano determinati, ed
altri, cioè uno o una, e talora di, del, dello,
della , de', dei, degli, delle si chiamano indeter-
minati.
L’Articolo determinato premettesi ai Nomi,
quando vuolsi indicare alcuna cosa determinata-
mente.
Ma i Nomi altri sono particolari o proprj,
ed altri universali o comuni. Ora i Nomi proprj ,
esprimendo già per sè stessi una cosa determinata,
non dovrebbero mai aver bisogno di quest'Articolo.
Nondimeno anche ad essi alcune volte suol darsi:
ed eccone le circostanze.
Uso dell'Articolo Determinato co’ Nomi propri
I Nomi d' Uomo per ordinario si usano senza
Articolo, onde si dice Pietro, Paolo, Andrea,
Giuseppe, non il Pietro, il Paolo ec.; ma a quei
di Donna si dà sovente, come la Fiammetta, la
Tancia ec., e sì dà pure sovente ai Cognomi, o
Nomi di famiglia, come il Petrarca , il Boccac-
cio, il Bembo.
I Nomi delle Città sì usan tutti senza l’Arti-
colo , eccettuato il Cairo , la Mirandola, il Fi-
nale, la Chiusa, e pochi altri.
I Nomi de’ Monti, e de' Laghi si usano con
l'Articolo, come le Api, glì Appennini, il Tra-
simeno ( Lago di Perugia), il Benaco (Lago di
Garda) , il Verbano (Lago Maggiore ) , il La-
rio (Lago di Como), il Ceresio (Lago di Lu-
gano ).
1 Nomi de’ Fiumi, delle Provincie, e de’ Re-
gni si usano coll’Articolo, quando si parla di tutto
il Fiume, di tutta la Provincia, di tutto il Regno,
o di qualche loro parte determinata, come, il Po
è torbido; la Lombardia è fertile; l'Italia è pie-
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na di nobili Ingegni; e si usano senza, quando si
parla d’ alcuna loro parte indeterminata come è
caduto in Po; è nato in Lombardia; vive in
Italia.
Notisi però che anche i Nomì dì Persone , e
di Città, quando hanno innanzi un Aggettivo qua-
lificativo, o un Nome di titolo vogliono comu-
nemente l’Articolo come Il grande Alessandro
il Re Dario , l'antica Roma, la dotta Atene. È
Si eccettuin tra i Nomi di titolo Don, Don-
na, Madama, Monsignore, Santo, Santa, Suo-
ra, o Frate, che si usano senza Articolo come
Don Alberto, Donna Maria , San Francesco,
Suor Cecilia ec. Lo stesso facevano gli Antichi coi
titoli Messere, Sere o Maestro, che or più non
s’ usano; come Messer Cino, Ser Brunetto, Mae-
stro Aldobrandino,
Al Nome Papa l'Articolo si dà o si toglie
a piacere, dicendosi egualmente Papa Urbano ,
Papa Clemente e Papa Urbano, il Papa
Clemente. L’ Ariosto 1 ‘ha tolto anche a Re, di-
cendo Re Carlo, Rè Pipino, *
Uso degli Articoli Determinati, e Indeterminati
co’ Nomi Universali
Coi Nomi universali l’ Articolo determinato si ado-
pera
1. Quando si vogliono abbracciare tutte le
cose comprese sotto allo stesso Nome; così dicendo
L'Uomo dev'essere ragionevole, o Gli Uomi-
ni devon essere ragionevoli, è come il dire: Ogni
Uomo dev’ essere ragionevole; Tutti gli Uomini
devon essere ragionevoli.
2-° Si adopera quando si parla d'una o più
cose determinate comprese sotto a quel Nome: così
dovendo discorrere di un Libro già nominato, di-
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rò il Libre è Buono 'o cattivo, e'sarà come se
dicessi Quel Libro che abbiamo nominato, è buo-
mo, o ‘cattivo. Similmente volendò uno o più Li-
bri, di cui si sia già convenuto fra noi, dirò Da-
temi il Libro, o i Libri; e sarà come se dicessi
Datemi quel Libro, o quei Libri che voi sapete.
Al contrario quando si parla di una più
cose contenute sotto a’ quel' Nome, ma indetermi-
natamente, si adopera L’ Articolo indeterminato uno
o una nel Singolare, e di, de', dei, degli, o delle
nel Plurale, che in questi casì non han la signifi-
cazione del Genitivo deì Latini, ma d’ un sempli-
ce Articolo indeterminato. Così volendo uno o più
Libri senza che mi importi d'aver piuttosto il tale,
che il tal altro, dirò Datemi un Libro, o dei
Libri.
Che se vorrò non una cosa intera, ma una
porzione indeterminata di qualche cosa, userò an-
che nel Singolare del, dello, o della; come Da-
temi dell'acqua; Datemi del vino.
Quando poi non s’ abbia bisogno di altro, che
di nominare semplicemente la cosa, non vi si met-
te nessun Articolo nè determinato, nè indetermi-
nato , come Datemi acqua, o vino, oppure Non
voglio nè acqua, nè vino. (b).
(a)’Notisi, che quando il Nome ha innanzi un
Aggettivo può dirsi di e dei, come Egli ha di buo-
ni Libri, è déi buoni Libri; ma quando il Nome
non ha dinanzi verun Aggettivo, conviene usar
dei ; onde si dirà: Egli ha del Libri, non di Libri.
(b) L'uso dell'Articolo dà alla Lingua italiana
una precisione maggiore di quella, che avesse la
Latina. Così, secondo la riflessione del Buommattei:
I Latini dicean soltanto Vinum bibere; e noi
lo diciamo in tre modi con tre significati diversi;
Bere vino, bere il vino, e ber del vino. Il primo mo-
do significa semplicemente non si astenere da vi-
no; il secondo accenna ber tutto il vino; il terzo
inferisce bere alcuna quantità di vino. Ma il Latino,
perchè non ha Articoli confonde. tutti © tre questi
significati.
/ BEGIN PAGE 31 /
Quando si vuol esprimere, che una persona, o
una cosa possiede qualche qualità in maggiore o
minor grado d'un’ altra , agli Aggettivi premet-
tonsi. gli Avverbi più o meno, come la tal pittu-
ra è più o men bella della tal altra; e gli Ag-
gettivi allora chiamansi Comparativi.
Vi son però alcuni Aggettivi derivati dal La-
tino, che da sè soli contengono il paragone, e a
cui per conseguenza l'Avverbio più non si deve
aggiugnere : così maggiore da sè solo vuol dire
più grande, minore più piccolo, migliore più buo-
no, peggiore più cattivo, superiore più sopra, in-
feriore più sotto, anteriore più avanti, posteriore
più addietro, interiore più addentro, esteriore più
infuòri, ulteriore più in là, citeriore più in qua
e sarebbe errore il dire questo è più maggiore,
o più minore di quello.
Allorchè vuolsi esprimere, che una persona,
o una cosa possiede qualche qualità in sommo gra-
do, cambiasi la desinenza dell’Aggettivo, termi-
nandolo in issimo, e allora chiamasi Superlativo ;
come da bello bellissimo, da brutto bruttissimo ,
«da alto altissima ec. trattine gli Aggettivi integro,
acre , celebre, e salubre, che danno integerrimo,
acerrimo , celeberrimo , e saluberrimo,
/ BEGIN PAGE 32 /
Anche fra i Superlativi ce n’ ha alcuni derivati
dal Latino, che sono affatto diversi dal Positivo ,
cioè dall’ Aggettivo semplice : così massimo vuol
dire grandissimo, minimo piccolissimo, ottimo
buonissimo, pessimo cattivissima, prossimo vicinis-
simo, supremo il più sopra, infimo il più sotto,
estremo il più in fuori, intimo il più indentro.
V'è pure in Italiano un altro Superlativo, che
può chiamarsi Superlativo di paragone, il qual si
usa, quando si vuol esprimere, che una persona o
una cosa in qualche qualità supera tutte le altre,
e si forma col Comparativo premettendovi l’ arti-
colo ; per esempio Cicerone è stato il più elo-
quente fra i latini Oratori.
Intorno a questo due cose son da notarsi: 1.°
che quando l'Articolo si premette al Nome, non
deve replicarsi innanzi al più, come alcuni fan
malamente ad imitazione de Francesi: laonde non
si dirà questa è la cosa la più rara; ma questa
è la cosa più rara.
2.° Che il più non deve premettersi a quegli
Aggettivi, che sono superlativi per sè medesimi,
onde non si dirà: il più ottimo, il più pessimo
ec. ma l'ottimo, il pessimo, il più buono, il
Più cattivo.
CAPO VII
Dei Nomi, E DEGLI AGGOKTTIFI AUMENTATIVI
DIMINUTIVI, E PEGGIORATIVI.
Per esprimere cosa grande, o cosa piccola, in-
vece di aggiugnere al Nome gli Aggettivi grande,
o piccolo, in Italiano si cambia spesso la termi-
mazione del Nome medesimo, dicendo per esem-
pio Librone invece di Libro grande , Libretto in;
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vece di Libro piccolo. Nel primo caso i Nomi si
chiamano Aumentativi, e nel secondo Diminutivi.
Lo stesso pur si fa qualche volta cogli Agget-
tivi; dicendo per esempio bellone per motto bello,
lunghetto per alquanto lungo.
Aumentativi.
Gli Aumentativi maschili, allorchè significano
molto ingrandimento , finiscono in one, o ona a
come da Casa Casone, o Casona.
La prima maniera però anche nei femminili
è più usitata, e con questa terminazione essi pure
diventan maschili, come un Casone, un Portone,
Allorchè esprimono piccolo ingrandimento i
maschili escono in otto, e i femminili in otta,
come Giovinotto , e Giovinotta,
Diminutivi,
I Diminutivi han varie terminazioni, cioè in
ino, e ina, come Fanciulline , e Fanciullina,
In etto, e etta, come Giovinetto , e Giovinetta ,
in ello, e ella, come Contadinello, e Contadi-
nella e in atto , come Cerbiatto , Lepratto.
Qualche volta si fa pure un doppio Diminu-
tivo, come Cosettina , Cassettina,
Peggiorativi.
Ai Nomi italiani si dà anche un'altra termi-
mazione per significare peggioramento, o malva-
gità ; ed essi allora si chiamano Peggiorativi.
Questi hanno le terminazioni in astro, o
astra , come Giovinastro, e' Giovinastra ; in ac-
cio, e accia, come Libraccio, Cartaccia; in
uzzo, o uccio , e uzzo, o uccia, coma Regaluz-
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zo , o Regaluccio; Cosuzza, o Cosuccia (ben-
chè questa terminazione si usa talvolta anche per
vezzo, come Vaghe labbra vermigliuzze. Chiabrera)
Vi sono pure altre maniere di Peggiorativi,
come Plebaglia , Gentame, Popolazzo, Casipola,
Donnicciuole, Omicciatto, o omicciattolo ; e se
ne formano ancora dei composti, come Omaccio-
ne, Cassettuccia ec.
Finalmente v'ha un’altra terminazione, che
significa al tempo stesso diminuzione, e peggiora-
mento, ed è in igno, o iccio pei maschili, e in
igna , o iccia pei femminili, come rossigno , o
rossiccio , e rossigna, o rossiccia, che significa
éosa di color rosso, ma sparuto e cattivo : lo stes-
so significato ha pure la. terminazione in ognolo,
e ognola, come giallognolo , ‘e giallognola: seb-
bene questa terminazione s' adopera anche pel
semplice diminutivo.
CAPO VII
De' Nomi PERSONALL.
I nomi Personali hanno una. specie di declinazio-
né, o variazione di casi anche in Italiano, come
l'avevano in Latino. Eccoli per disteso.
NOME DI PRIMA "PERSONA.
Singolare. — è Plurale.
Nom. Io . Noi i
Gen di Me: se: di Noi
Dat. a Me, o Mi o Noi, Ne, o Ci
Acc. Me, o Mi Noi, Ne, 0 Ci
Abl. da Me > da Noi
/ BEGIN PAGE 35 /
Nome DI SECONDA PERSONA. |
Singolare, Plurale,
Nom. Tu Voi
Gen. di Te o di Voi
Dat. a Te, o Ti a Voi, o Vi
Acc. Te, o Ti Voi, o Vi
Voc. o Tu o Voi
Abl. da Te da Voi
NOME DI TERZA PErsoNA.
Singolare, e Plurale,
Gen. di Se
Dat.: a Se o si
Acc. Se, o Si
Abl. da Se.
Qui è da osservare 1.° che Io 8° adopera so-
lamente al Nominativo , cioè quando è il Sogget-
to della Proposizione , e Tu solamente al Nomi-
nativo, e al Vocativo
2°. Che Me, e Te mai non sì usano al No-
minativo eccetto qualche volta dopo il come, per
esempio : Egli è come me, o dopo il Verbo es-
sere, come nel Boccaccio: Credendo ch'io fossi te.
3.° Che Mi, Ti, Si, Ne, Ci, Vi, corrispon-
dono tanto al Dativo, quanto all’Accusativo ; anzi
in questi Casi si adoperano più frequentemente che,
Me, Te, Se, Noi, Voi, eccetto quando voglia espri-
mersi opposizione, confronto, o distribuzione, dove
convien usare Me, Te, Se, ec. come A me toglie
a te dona; Me , e te perde ad un istante.
4.° Che le dette voci Mi, Ti, Si, Ne, Ci,
Vi sì porgono sempre dinanzi al Verbo , come
Mi ama, ti prega, si duole , o ponendosi dopo,
sì uniscon col Verbo in una sola parola, come
Amami , pregati , duolgi.
5.° Che le voci Ne, Ci e Vi oltre al si-
gnificato di Nomi personali, ne han pure un altro
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Il Ne corrisponde alle parole di questa o quella
cosa, da questo , o quel luugo; così Ne vengo
ora vuol dire vengo ora da quel luogo; Non ne
trovo vuol dire non trovo di questa o di quella
cosa. Il Ci significa propriamente in questo o a
questo luogo , e il vi in guello o a guel luogo;
e però Non ci è propriamente vuol dire non è qui,
e Non vi è vuol dire non è là; ma si pongono
spesso indifferentemente 1’ uno per l’ altro.
6.° Che il Si vale anche a formare i Verbi
passivi, come si apprezza, si loda invece di è
apprezzato , è lodato; e così questo, come Mi ,
Ti, Si, Ci, Vi servon pure alla formazione d’alcuni
Verbi neutri come Io mi dolgo , tu ti rallegri,
ei si pente. Ma di ciò parleremo in altro luogo.
7.° Che la preposizione Con si può coi No-
mi personali Me, Te , Se, Noi, Voi incorporare
in una sola parola, dicendo , Meco, Teco, Seco,
Nosco, Vosco i
CAPO IX
Degli Aggettivi INDICATIVI,
e SINGOLARMENTE DE FRONOMI.
Alcuni Pronomi hanno anch’ essi una specie di
declinazione, che qui accenneremo incominciando
dal Pronome Egli ed Ella
EGLI, ed ELLA
Singolare
Maschile Femminile. °
Nom. P, Ei, o Egli Ella
Gen. di Lui di Lei
Dat. a Lui, o Gli o Lei, o Le
Acc. Lui il o Lo Lei o La
Abl. da Lui da Lei
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Nom.E' Ei Egli o Eglino Ella o Elleno
Gen, di Loro di Loro
Dat. a Loro a Loro
Acc. Loro, Li, e Gli Loro o Le
Abl. da Loro da Loro
Qui è da notarsi 1.° che Egli, Ello, Eglino;
Elleno. debbonsi adoperare solamente, quando cor-
rispondono al Nominativo , cioè quando sono il
Soggetto della proposizione , e Lui , Lei; Loro
solamente quando corrispondono agli altri Casi; e
perciò non si dirà di egli, o con ella, ma di Lui,
e con Lei , e all'opposto si dirà Ella parla, El-
la tace , non lui parla, lei tace.
Vero è che si citano alcuni esempi di antichi
Autori, presso ai quali Egli, o Ello, ed Ella si
trovano corrispondenti ai casi obliqui, e Lui, Lei,
e Loro corrispondenti al Caso retto: ma quest'uso
da’ buoni Scrittori non è più seguito, eccetto al-
cuna volta quando Lui, Lei, o Loro son dopo
il come , o il Verbo essere, per esempio S' io fos-
si lui, o come lui.
2.° Che invece di Egli si dice anche per acc-
corciamento Ei, o E', come Ei parte, E' torna;
e nello stil famigliare si dice pur La invece di
Ella; come La mi chiama , La mi fugge.
3.° Che Egli, ed E' si usano anche al Plu-
rale in luogo di Eglino-; ed Elle in luogo di El-
eno; così nel Boccaccio Giorn. 7. Nov. 8. Com'e-
gli hanno tre soldi; e Giorn. 2. Nov. 9. S' elle
Vi piacciono: e nello stil famigliare si dice anche
Le invece di Elle, come Le non son molte.
4.° Che in cambio di dire A lui, e A lei si
dice più frequentemente Gli, e Le, come Gli
scrisse, Le raccomandò.
5.° Che invece di Lui, e Lei, Accusativi si dice
più comunemente Lo, Il, e Lo, come Le ride, il
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pregò, la indusse: eccetto che vi sia opposizione
confronto, o distribuzione, come si dirà al n, 11.
6.° Che nel Genitivo, e Dativo plurale le Pre-
posizioni di, e a innanzi a Loro si possono om-
mettere, come, Le loro armi, e Loro ordinò in
luogo di dire le armi di loro, e a Loro ordinò ;
la Preposizione a può ommettersi anche innanzi a
Lui , e Lei, come: Lo trovò, e lui disse ec.
7° Che invece di, Loro Accusativo plurale si
dice più comunemente Li, Gli, e Le, come Li
chiamò , le invitò. Gli si usa quando segue una
Vocale, o una S impura, o una Z, come Gli
unì, gli sparse; e Li quando segue qualunque al- .
tra Consonante, come Li trovò , li perdette . Gli
Antichi però hanno usato frequentemente anche
Gli trovò , gli perdette, e simili.
8° Che Il, Lo, La, Li, Gli, Le, quan-
do sono Pronomi,o si mettono innanzi al Verbo,
come negli esempi arrecati, o mettendoli dopo, si
uniscono al Verbo medesimo, come Videlo, Scris-
segli, Raccomandolle.
9.° Che quando occorre di dover usare in una
stessa proposizione alcuno di questi Pronomi, o uno
de Nomi personali Mi, Ti, Si, Ci, Vi, se il Nome
personale si pone innanzi al Pronome, ei cangia. l'i in
e, come Ve lo dirò , o Vel dirò, o Dirovvelo : se il
Nome personale si mette dopo, ei resta colla sua
terminazione in i, come ‘Il vi dirò, o Dirollovi.
10° Che il Pronome Gli si unisce pure fre-
quentemente cogli altri anzidetti, aggiungendovi
un e frammezzo, come Glielo diedi, gliela tolsi,
Glieli rendo , gliele rimando. (a)
(a) Quest ultimo, invece di cui si usa anche
Gliene, si trova adoperato dai buoni Autori per riguar-
do al Gli in ambedue i generi, cioè tanto in significato
di a lui, coma di a lei e per riguardo al le in ambedue
i generi, ed i numeri, cioè tanto per significare
lo, e la, come li e le. Così il Boccaccio Gior. 8
Nov. 3 disse : Piena di stizza gliela tolsi di mano ,
ed holla recata a voi acciocchè voi gliele rendiate,
cioè la tolsi a lei, acciocchè a lui la rendiate; e
Gior. 2 Nov. 9: Portò certi falconi pellegrini al Sol-
dano , e presentogliele; ‘cioè li presentà a lui.
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11° €he ‘quando' si abbia ad esprimere opposi-
zione, confronto, o distribuzione invece di Il, Lo, La
ec. dée sempre usarsi Lui, Lei, e Loro, come in
a me piace , a lui duole; Me, e Lui soddisfate.
12° Che Egli sì pone frequentemente nel
discorso per semplice pleònasmo; o riempimento;
Alloraserve non solo a tutti i numeri, ma anche
a tutti i generi, come Egli vi sono molti, Egli
non è cosa strana.
13° Che Lui, è Lei si usan enche' in si-
gnificato di Colui, e Colei ; come nel Petrarca:
Pur lei cercando che fuggir dovria, cioè cerca-
ndo colei che io dovrei fuggire.
14° Che' quando parlasi a taluno in terza
‘persona, cioè parlasi alla Signoria di lui, come è
uso freqnente degli Italiani, il Pronome deve sem-
pre esser femminile; e però si dirà La prego, Le
raccomando , non lo prego, gli raccomando.
CHE, Cui, QUALE, e CHI
Singolare , e Plurale.
Nom. Che
Gen. di Che, o di Cui
Dat. a Che o a Cui
Acc. Che o Cui
Abl. da Che o da Cui
Intorno a questo Pronome, che :dicesi relati-
vo , perchè sempre si riferisce è qualche Nome
precedente , ecco le osservazioni principali. .
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1° Che e Cui servono ad ambi i generi, e
ad ambi i numeri: ma Cui non può mai essere
Nominativo o Soggetto della proposizione; all'in-
contro Che si poò sostituire a cui anche negli al-
tri casi, dicendo di che , a che ec. come: Gli
occhi di che io parlai sì caldamente. Petrarca.
2.° Le preposizini di, e a innanzi a cui a
volte si ommettono, come: Amore, la cui
natura è tale, cioè di cui. Boccaccio Gior. 4
Nov. 3. Voi, cui fortuna ha posto in mano il fre-
no, cioè a cui Petrarca, Can. 23. Alcuni usano la di
cui natura, il di cui valore ec.ma son maniere viziose;
3° Innanzi a Che spesse volte si ommette l'in
come : Nel tempo ch' egli era qui, cioè in cui
era qui.'Gli Antichi usarono anche di sopprimer
con esso varie altre preposizioni, come il Petrar-
ca: Da quel nodo sciolta , che, più bel mai non
seppe ordir Natura; e il Boccaccio : involato a-
vrebbe con quella coscienza, che un uomo offe-
rirebbe: ove il che è usato per di cui, e con cui:
ma da' migliori Moderni ciò sì usa più parcamente.
4° Ai Pronomi Di cui , Da cui, Con cui,
e Per cui, si trova frequentemente sostituito Onde,
come: L'anima gloriosa onde si parla, cioè di cui.
Dante Parad. ap. 20 Nella bella prigione, ond'ora
è sciolta, cioè da cui. Petrar. Can. 44. Per lè
quali venne, onde questo corpo si cuopre, cioè
con cui, Boccaccio. Per quell usciuolo , onde era
entrato, il mise fuori, cioè per cui. Bocc. G. 2, N. 2.
5.° Quale interrogativo, come Qual'è? o dubi-
tativo, enme Non so qual sia, o correlativo di Tale;
come Qual visse, tale morì, va sempre senza l’arti-
colo: all'opposto Il quale, o la quale equivalenti
a Che sempre voglion l'articolo, onde è vizioso a
cagion d’ esempio il dire : La lettera gual mi
scriveste, dovendosi dire la quale, o che mi scriveste.
6.° Che si usa anche nel senso di Quale inter-
rogativo, o dubitativo, per esempio; Che cosa è
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Non so che cosa sia, dove può anche dirsi Che è?
Non so che sia; ma non è di buon usò il dire
invece : Cosa è ? Non so cosa sia senza il che.
7° Il Che preceduto dall’ articolo significa la
qual cosa, come Per il che cioè per la qual cosa.
In questo senso però trovasi qualche volta anche
senza l’ articolo, come Per che invece di per il
che, e nel Boccacc. Introd. L’ un fratello l'altro
abbandonava, e (che maggior cosa è ) i padri,
e le madri i figlioli invece di il che maggior
cosa è. Notisi che questo Pronome ama piuttosto
l’ articolo Il che Lo,onde è meglio detto il che,
per il che di quel che sia Lo che, per lo che.
8° Chi significa colui che, o coloro che, e
serve ad ambi 1 generi e ad ambi i numeri. In
sua vece talvolta si pone cui, come nel Boccaccio:
Vedi cui do mangiare il mio , cioè a chi. Tal-
volta all’ incontro si usa il chi invece di cui, come
nel Petrarca: Fra magnanimi pochi, a chi ’l ben
piace. Il chi si adopera anche nelle enumerazioni
alto stesso modo che quale, tale, uno, altri,
questi, quegli , come : Degli Uominì chi è av-
venturato , chi misero; quale è buono, quale è
cattivo; tale è troppo ardito, tale è troppo timi-
do; uno piange, uno ride; altri ama, altri odia;
questi di tutto è pago, guegli di tutto si lagna
Questo , Cotesto, QuELLO,
Costui, Cotestui, e Colui.
Questo, Cotesto e Quello or fan l'ufficio di sem-
plici Aggettivi, ed ora quel di Pronomi.
Sono semplici Aggettivi quando si trovano uniti a
qualche Nome, come Quest'Uomo, Quell'Uomo ec. (a)
(a) Invece di questa coi Nomi mane, sera, e
notte si usa anche sta; come Sta mane, sta sera, sta
notte; ma cogli altri Nomi ciò non può farsi, I Poetî ,
im cambio usan talvolta esto e esta, come it Petrarca:
D' esta ingrato, e il Dante: Esta selva, Esti tormenti
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Sono Pronomi quando si trovan soli, ‘e si ri-
feriscono a qualche Nome espresso innanzi, per
esempio: Ho incontrato Cesare; questi mi disse ec.
Quando sono Pronomi, se riferisconsi ad Uo-
mo, convien dire anche nel Singolare Questi, Co-
testi , e. Quegli , come: Questi è il mio Signore,
questi veramente è Messer Torello. Boccacc. gior,
30. nov. 9. Ciò però si fa solamente quando sono
al Nominativo ; per gli altri casi si dice Questo,
Cotesto, Quello, come nel Petrarca: Vedi il Pa-
dre di questo, e, vedi l'Are.
Si ha qualche esempio di Questi, Cotesti, e
Quegli usati al Nominativo singolare , ancorchè
non si riferiscano ad Uomo, come nel Boccaccio
gior. 4. nov. 1. Dell'una parte mi trae l'amore,
e d altra mi trae giustissimo sdegno: quegli
vuol ch'io ti perdoni, e questi vuole che contro
a mia natura in te incrudelisca: regolarmente
però , quando non si riferiscono ad Uomo, si di-
ce Questo , Cotesto, è Quello (a).
Costui vuol dire quest Uomo, Cotestui cote-
sto Uomo, e Colui quell’ Uomo : nel femminile
hanno costei, cotesta, e colei; e nel Plurale co-
storo , cotestoro, e coloro.
La differenza tra Questo, e Cotesto rispetto
al sigmificato si è, che Questo indica una cosa vi-
cina a quel che parla, o che scriva, e Cotesto
una cosa vicina a quello a cui si parla o si scrive,
Io dirò adunque Prendetevi questo libro, intenten-
do quello ch’ io ho in mano, e Datemi cotesto
intendendo quello che avete voi. Se il libro sarà
distante e da chi parla e da chi ascolta, si dirà al-
(a) Anzi osservisi che nell'addotto esempio il
Boccaccio ha detto questi e quegli, perchè l'Amore
e lo Sdegno vi sono personificati, cioè agiscono co-
me se fossero due persone.
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lora Prendete guel libro, o Datemi quel libro.
Esso, Desso, StEsso, MEDESIMO.
Esso; ed Essa comumemente valgon lo stes-
so, che egli ed ella ; colla differenza che egli.
ed ella si usano più frequentemente allorchè trattasi
di persona, ed esso o essa: allorchè si tratta di cose.
Qualche volta però Esso adoperasi come sem-
plice Aggettivo unito ad un Nome, e vuol dir Lo
stesso, o il medesimo, come: Esso Messer Tebal-
do ricchissimo venne a morte. Boccacc. gior. 2 nov.
3: cioè lo stesso Tebaldo nominato innanzi : es fre-
quentemente purè s'unisce con lui, lei, e loro, di-
tendo Essolui, Essolei Essoloro.
Desso vale esso stesso; o quello stesso, come
Lo veggo: è desso.
Stesso, e Medesimo esprimono l’ idehtità del-
la persona, o della cosa di cui sì parla; e: convien
guardarsi dall'error volgare di dir medemo invece
di medesimo.
ALTRI E ALTRUI
Altri nel singolare significa altr'Uomo, e si
adopera solamente al Nominativo , come: Nè voi,
nè altri potrà più dire ec. Bocc. giorn. 1 nov. 8.
Ne casi obliqui si dice: Altrui; come: Io
ho detto mble d'altrui. Boccacc. nov. 1., e con
esso la preposizione a sovente si tace, come Quan-
do Domeneddio ne manda altrui, cioò ad'altrui.
Altrui significa ancora le cose appartenenti ad
altri, come Consumare l'a ltrui cioè la roba d'altri.
Mio, Tuo, SUO,
Nostro, Vostro, Loro.
I Possessivi mio ; tuo, suo, nostro , vostro ,
loro, quando stan soli, vogliono sempre l'Articolo,
come nel Boccaccio: Vedi cui do mangiare il mio,
cioè la roba mia. Ma quando sono uniti coi No-
mi, qualche volta il ricusano, spezialmente se stanno
/ BEGIN PAGE 44 /
innanzi ai Nomi Padre, Madre, Marito, Moglie,
Fratello , Sorella, Figlio , Figlia e simili, come
mio Padre , tua Madre , suo Marito, ec. Quan-
do però s' aggiunga a questi Nomi qualche qualifi-
cazione , voglion l’Articolo anch’ essi, ove questa
qualicazione sia posta prima del Nome, come
L'ottimo vostro Padre, La vostra amorosa Madre.
Nei Poeti i Possessivi trovansi spesse volte
senza l’ articolo anche cogli altri Nomi, come nel Pe-
trarca: Mio ben non cape in intelletto umano; ma
nella prosa i migliori Scrittori usano aggiungerlo.
Circa all’ uso dei Possessivi suo e di lui con-
vien notare, che quando la cosa appartiene al Nomi-
mativo o Soggetto della proposizione sì dee sempre
dir suo, come: Cesare ama suo figlio teneramente
quando la cosa non appartiene al Soggetto della pro-
posizione, rigorosamente dovrebbe dirsi di lui, come
Io amo Cesare e il figlio di lui; ma se non v' è
pericolo d’ ambiguità, si può anche dir suo, come: Io
amo Cesare e suo figlio, Quando però possa nasce-
re ambiguità, dee dirsi necessariamente di lei, come:
Tito ama Cesare, e il figlio di lui, non ama Ce-
sare, e suo figlio; perchè questo indicherebbe, che
Tito amasse il figlio proprio, non quello di Cesare.
Molti usano di porre il Genitivo di lui fra
l'Articolo e il Nome, dicendo il di lui figlio in-
vece di dire il figlio di lui; ma i migliori Scrit-
tori se ne guardano.
Si avverta, che quando il Nome, a cui la cosa
appartiene è del numero plurale, si dee sempre usar
loro , non suo, o suoi, onde si dirà: I Genitori
debbono amare i loro figli, non già i suoi figli.
OGNI, e TUTTI.
Ogni si usa soltanto nel singolare, tranne
Ognissanti , che significa il giorno di tutti i Santi.
Nel plurale si dice in cambio tutti, e tutte,
e fra questi e il Nome s' aggiunge comunemente
/ BEGIN PAGE 45 /
l’ articolò , come tutti gli Uomini; tutte le Città:
sebbene dagli Antichi qualche volta sì trovi om-
messo, come da tutte parti, in tutte cose.
Quando a tutti o tutte si aggiugne un qual-
che numero, vi si suole frapporre un e, come tutti
e due, tutte e tre.
Degli altri Pronomi e Aggettivi Indicatti.
Veri Pronomi chiamar si debbon quei soli che
nel discorso pongonsi invece de’ Nomi, senza però
che mai co' Nomi medesimi si accompagnino. Tal
sono fra gli accennati sin qui egli ed ella, desso
e dessa , che e chi, costui, cotestui, e colui, que-
sti, cotesti , quegli, e altri, usati nel singolare,
non potendosi dire egli Uomo, o costui Uomo ec.
Tali son pure ognuno, certuno , taluno, e
qualcuno , che voglion dire ogni Uomo, cert’ Uo-
mo, tal Uomo, qualche Uomo ; chiunque; e chic-
chessia , che significano qualunque Uomo; ciò,
che vuol dire essa cosa, o tal cosa; checchessia,
che signifivà qualunque cosa ; non potendosi nem-
men con questi accompagnar nessun Nome; onde
non si’ dirà mai ognun Uomo , certun Uomo ec.
Gli altri che soglionsi annoverar tra i Prono-
mi come uno, ciascuno, alcuno, veruno, niuno,
nessuno , qualche , qualunque, qualchesiasi, gual-
sivoglia per sè medesimi non son che semplici
Aggettivi, potendosì accompagnare con qualunque
Nome, come un Uomo, ciascun Uomo, alcun
Uomo ec. ; nè fan l'ufficio di Pronomi, se non
quando si trovan soli, e si riferiscono a qualche
Nome o espresso innanzi, o sottinteso.
Notisi, che a' niuno, e nessuno può anche
aggiungersi il non, senza che cessi la negazione,
onde sì dirà egualmente Niuno è pienamente con-
tento , o non v'è niuno pienamente contento. Dee
curarsi però, quando si vuol replicar la negazione,
che il niuno sia dopo il Verbo, ceme nell’esem-
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pio arrecato; poichè se anche questa mettesi In-
nanzi , le due negazioni allora si distruggono, e
formano una affermazione; così il dire; Niuno
non è pienamente contento significherebbe Ognuno
è pienamente contento. Àd ogni modo negli Scrit-
tori anche di questo sì trovano alcuni esempi; ma
non sono molto da imitarsi per l' ambiguità, che
troppo facilmente ne nasce.
SEZIONE III
DEI VERBI, E DEI PARTICIPI.
De' MOTIVI PER CUI SI CAMBIANO,
LE DESINENZE NEI VERBI.
I Motivi, per cui ne’ Verbi si cambiano le desi-
nenze, son quattro.
Il 1.° è per indicare, se il Soggetto, a cui
il Verbo appartiene, è la Persona che parla , la
qual si chiama Persona prima, o quella a cuì si
parla , che dicesi Persona seconda; oppure una
Persona, o una cosa diversa da chi parla e da chi
ascolta , la quale chiamasi Persona terza:: così Io
leggo, indica la prima Persona; Tu leggi, la se-
conda; Uno legge la terza.
Il 2,° motivo è per esprimere, se questa
Persona è una sola, o se sono più d'una: così Io
leggo indica la Persona prima del Singolare , Noi
leggiamo , la prima del Plurale; Tu leggi la se-
conda del Singolare, Voi leggete, la seconda del
Plurale; Uno legge, la terza del Singolare , Mol-
ti leggono, la terza del Plurale.
Il 3.° motivo è per dichiarare, se la. cosa si-
/ BEGIN PAGE 47 /
gnificata dal Verbo appartenga a questa Persona
nel tempo presente, o se vi abbia appartenuto in
un tempo di già passato, o se vi debba apparte-
nere in un tempo che sia ancora a venire. Così
Io leggo indica il Tempo Presente; Io lessi un
Tempo Passato ; Io leggerò un Tempo Futuro.
Il 4-° motivo è per distinguere il Modo, con
cui vogliamo esprimere, che la cosa significata dal
Verbo al suo Soggetto appartenga.
CAPO II.
Dei Modi.
Quando la cosa significata dal Verbo si afferma
assolutameute, Il Modo si chiama Indicativo ,
o Dimostrativo, e megiio chiamerebbesi Afferma-
tivo; come Io leggo, Voi leggete.
Quando il Verbo si soggiunge ad un altro per
accennare la cosa , senza affermarla, il Modo si chia-
ma Soggiuntivo , come: Desidero, che voi leggiate.
Se il Verbo precedente esprime una condizio-
ne, quello che si soggiugne chiamasi Soggiuntivo
Condizionale , come: Se avessi un libro leggerei.
Quando il Verbo esprime comando, esortazio-
ne , o preghiera ; il modo si chiama Imperativo,
come Leggete, Scrivete.
Quando il Verbo si adepera in una maniera
indeterminata, senza indicare con alcuna variazio-
ne di desinenza nè la Persona, nè il Numero del
Soggetto a cui appartiene, il Modo sì chiama In-
finito , o Indefinito, cioè Indeterminato, come
Leggere, Scrivere (a)
(a) I Greci per esprimere il desiderio davano
al Verbo una particolar destnenza, e avevan per-
ciò un altro Modo di più, che dal suo ufficio chia-
mavasi Ottativo . Ma questo Modo non dee ammet-
tersi nè in Latino, nè in Itàliano, come ma-
lamente hanno fatto alcani Gramatici, non v'essen-
do per esso alcuna particolar terminazione. Infatti
i Latini adoperavano invece il Soggiuntivo prece-
duto dall’interposto Utinam, e noi due Soggiuntivi
usiamo, come: Piaccia at Cielo, o Voglia iddio, che
voi diventiate un giorno buoni Cittadini , ed utili alla
vostra Patria , dove si sottintende: Io desidero che
piaccia al Cielo ec.
/ BEGIN PAGE 48 /
Circa ai Tempi è da notare 1. che il Presente
può considerarsi in due maniere, cioè o riguar-
dando a quel, che succede attualmente, come Io
leggo , o trasportando il pensiero in un tempo pas-
sato, e considerando ciò ché allora era presente,
come Ieri a quest ora io leggeva. Nel primo ca-
so il Tempo si chiama Presente, nel secondo si
dovrebbe dire Presente di passato per meglio espri-
merne la natura : ma più comunemente si chiama
Passato Imperfetto , perchè indica una cosa pas-
sata, ma non compiuta (a).
2. Allo stesso modo il Tempo Passato può
riguardarsi in quattro maniere.
O si parla di un tempo passato lontano assai,
oppure senza determinarlo ; e allora si chiama Pas-
sato Rimoto, o Indeterminato, come: Una volta
io lessi, io scrissi.
O si parla d’ un tempo vicino, e determina-
to , e allora si chiama Passato Determinato , o
(a) Quest'abito di trasferirci col pensiero nei
tempi ancor più lontani fa che descrivendo le azio-
ni d'allora usiamo spesso il Presente, come se ora
avvenissero. Così all'immaginazione rappresentando-
mi il fratricidio di Caino , potrò dire, come se ne
fossi spettatore attuale : Guida egli maliziosamente in
un campo l' innocente Fratello , e qui sfogando la sua
malnata invidia, furioso l' assale , e l’ uccide.
/ BEGIN PAGE 49 /
Prossimo, come: Oggi io ho letto, io ho scritto (a).
O parlando di un tempo passato si vuole ac-
cennare qualche cosa avvenuta innanzi , e il Tem-
po chiamasi Passato più che perfetto , o Trapas-
Sato, come: Io già aveva letto quando voi siete
giunto, ovvero: Poichè Io ebbi letto, me ne partii.
E qui aveva letto si può chiamare Trapassa-
to. Prossimo, perché anteriore ad un Passato Pros-
simo ; ebbi letto si può chi:mare Trapassato Ri-
moto, perchè anteriore ad un Passato Rimoto.
Questo però si trova usato qualche volta an-
che nel senso dello stesso Passato Rimoto, come:
Alzata alquanto la lanterna ebber veduto il cat-
tivello di Andreuccio. Bocc. Gior. 2. N. 5. dove
ebber veduto equivale a videro.
3.° Anche il Futuro si può considerare in due
maniere.
O si parla semplicemente di una cosa che ha
ancora a venire, come Leggerò , Scriverò , e al-
lora il tempo sì chiama semplicemente Futuro;
(a) Si può però spesse volte un medesimo tem-
po esprimere e col Passato rimoto, e col prossimo,
secondo la diversa maniera, colla quale si conce-
pisce. Si può dire per esempio: Al principio dell'Era
cristiana vissero in Roma dotiissimi Uomini, e Al
principie dell’ Era cristiana sona vivuti in Roma dot-
tissimi Uomini ; perchè nel primo caso,si considera
la distanza assoluta di tempo, che passa fra il prin-
cipio dell' Era cristiana, e l'età nostra; e nel se-
condo, malgrado la distanza di diciotto secoli, il
tempo si considera tuttor vicino, perchè forma par-
te dell’ Era cristiana, nella quale noi siam tuttavia,
/ BEGIN PAGE 50 /
o si vuol esprimere una cosa futura bensì, ma che
debba esser passata rispetto ad un'altra che abbia
a venir dopo, e allora il tempo si può chiamare.
Passato Futuro (a); così dicendo Quando avrò
letto, scriverò, colle parole avrò letto indico che
l’azione del leggere sarà già finita, quando comin-
cerà quella dello scrivere. Avrò letto adunque sa-
rà Passato futuro, e Scriverò sarà semplice Futu-
ro. Nelle proposizioni però , che esprimon dubbio,
i due Futuri hanmo un altro significato , vale a di-
re il Futuro semplice equivale al Presente, come:
Dove sarà egli adesso? e il Passato futuro equi-
vale al Passato, come: Credo che avrà già com-
piuto il suo viaggio.
I tempi finora accennati appartengono tutti al
Modo: Indicativo , o Dimostrativo.
Il Soggiuntivo semplice ne ha sei : il Presen-
te Che io legga ; il Passato Imperfetto Che io
leggessi ; il Passato perfetto Che io abbia letto ;
il Trapassato Che io avessi letto ; il Futuro Che
io sia per leggere; e il Passato futuro Che io sia
stato per leggere.
Il Soggiuntivo condizionale ne ha due : il
Presente Se avessi un libro, leggerei , e il Passa-
to Se avessi avuto un libro avrei letto.
L' Indefinito ne ha quattro: il Presente Leg-
gere; Il Passato aver letto ; il Futuro Esser per
leggere; e il Passato futuro Essere stato per leggere.
L’ Imperativo propriamente non ha che il Fu-
turo, perchè le cose che si comandano s' intende
sempre che sieno ancora da farsi, Tuttavia se l’o-
perazione si dee eseguir subito, il Tempo sì chia-
ma Presente, ed ha una terminazione propria,
come Leggi; se dee eseguirsi dopo un'altra, o dopo
(a) Può anche dirsi Futuro anteriore, perchè.
precede il Futuro semplice.
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qualche tempo che v' abbia a scorrer di mezzo, il
tempo si dice Futuro, e si adopera il Futuro del-
l’ Indicativo, come Dopo aver letto, scriverai.
Notisi, che se il Verbo è accompagnato dal
non, invece della seconda Persona singolare del-
l’Imperativo, si usa l’ indefinito presente ; e inve-
ce di Non leggi, si dice Non leggere.
CAPO IV.
Dei VERBI TRANSITIVI E INTRANSITIVI,
E DELLA LORO DIVISIONE IN ATTIVI,
PAssIVI, E NEUTRI.
I Verbi si posson tutti ridurre a due Classi gene-
rali, cioè Transitivi, e Intransitivi
I Verbi Transitivi si chiaman quelli che espri-
mono qualche azione che da una cosa passa in
un’ altra.
Questi posson essere o Attivi o Passivi.
Si dicono Attivi quando esprimono direttamen-
te l’azione di una cosa’ opra d' un' altra, come Il
Fuoco liquefà i metalli, duve si dichiara l’ azione.
del fuoco sopra i metalli.
di dicon Passivi quando esprimono in cambio
ciò che una cosa patisce o riceve dall'altra, co-
me: I metalli sono Liquefatti dal fuoco , dove si
dichiara ciò che i metalli soffrono dal fuoco.
Verbi Intransitivi si chiaman quelli, che
non esprimono nessuna azione, come Io riposo,
esprimono un'azione, che resta nel Soggetto me-
desimo della Proposizione, e non passa in nessu-
na altra cosa , come Io passeggio.
Questi perchè non sono nè Attivi, nè Passivi
si dicon Neutri, cioè né l'uno ne l'altro
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CAPO V.
DELLE CONJUGAZIONI.
La regola, con cui si variano le terminazioni
dei Verbi secondo la diversità delle Persone , dei
Numeri , dei l'empi, e dei Modi, si chiama Con-
jugazione , perchè è come il comun giogo, a cui
i Verbi sono soggetti.
Non tutti i Verbi però banno la stessa Conju-
gazione. Quella de’ Verbi Passivi in 1° luogo è
affatto diversa da quella degli Attivi, e de’ Neutri;
in. 2.° luogo gli stessi Verbi Attivi, e Neutri si
conjugano in differenti maniere , secondo le diver-
se terminazioni del loro Indefinito, da cui si pren-
de regola per tutto il resto,
Quattro Ccnjugazioni si soglion distinguere ne'
Verbi Attivi, e Neutri Italiani (a).
La prima è di quelli, che hanno l’ Indefinito
in are, Come amare, riposare.
La seconda di quelli che l’ hanno in ere lun-
go , come temere, giacere.
La terza di quelli che l’ hanno in ere breve,
come /eggere, vivere.
La quarta di quelli che l’ hanno in ire, co-
me sentire, dormire.
Il conjugar un Verbo poi non è altro, che
levargli la terminazione dell’ Indefinito, cioè are,
ere , o ire, e sostituirvi di mano in mano quella
che conviene a ciascuna Persona di ciascun Nume-
(a) Diciamo essere quattro le Conjugazioni per
adattarci alla maniera comune, sebbene rigorosa-
mente in Italiano sian tre sole, perchè i Verbi che
hanno l' Indefinito in ere, sia questo breve, o sia
lungo , si coniugan tutti allo stesso modo.
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ro , Tempo, e Modo, lasciando intatto il resto
della parola. Così da am#are si fa io am#o, tu
am#i, quegli am#a ec.
Molti tempi dei Verbi Attivi, e Neutri si for-
mano col Participio , e i Verbi ausiliari Avere, ed
Essere, i quali si chiaman appunto Ausiliari, per-
chè servon d’ ajuto agli altri Verbi, come Io ho
amato, tu hai amato, ec.; Io son caduto, tu
sei caduto ec.
Col Participio , e il Verbo Essere parimente
sì formano tutti i tempi de’ Verbi Passivi, come Io
sono amato, Io era amato ec.
Incominceremo pertanto dalla Conjugazione di
questi due Verbi ausiliari, e passeremo in seguito
alle altre.
CAPO VI.
ConjUGAZIONE DE’ VERBI AUSILIARI
Avere, ed Essere.
Mopo InrINITO, o INDEFINITO
Tempo Presente.
Avere Essere
Tempo Passato.
Aver avuto Essere stato
Dei Futuri dell’ Indefinito si parlerà altrove.
Mono InDIcATIVO.
Tempo Presente.
Avere
Numero Singolare
Io ho Io Sono
Tu hai Tu sei
Quegli ha Quegli è
Plurale.
Noi abbiamo Noi siamo
Voi avete Voi siete
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Quegli hanno (*) Quelli sono,
Passato Imperfetto,
Singolare
Aveva Era
Avevi Eri
Aveva Era
Plurale
Avevamo Eravamo
Avevate Eravate
Avevano Erano
Passato Rimoto
Singolare,
Ebbi Fui
Avesti Fosti
Ebbe Fu,
Plurale.
Avemmo Fummo
Aveste Foste
Ebbero Furono.
Passato Prossimo,
Singolare.
Ho avuto Sono stato
Hai avuto Sei stato
Ha avuto È stato,
Plurale.
Abbiamo avuto Siamo stati.
Avete avuto Siete stati
Hanno avuto Sono stati
Trapassato Rimoto.
Singolare.
Ebbi avuto Fui stato
(*) Questi Nomi personali, e Pronomi si ripe-
tano innanzi ai Verbi anche negli altri Tempi.
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VERRI AUSILIARI,
Avesti avuto Fosti stato
Ebbe avuto Fu stato
Plurale.
Avemmo avuto Fummo stati
Aveste avuto Foste stati
Ebbero avuto Furono stati.
Trapassato Prossimo.
Singolare,
Aveva avuto Era etato
Avevi avuto Eri stato
Aveva avuto Era stato.
Plurale.
Eravamo stati
Eravate stati
Erano stati.
Avevamo avuto
Avevate avuto
Avevano avuto
Futuro.
Singolare.
Avrò Sarò
Avrai Sarai
Avrà Sarà
Plurale.
Avremo Saremo
Avrete Sarete
Avranno Saranno
Passato Futuro.
Avrò avuto Sarò stato
Avrai avuto Sarai stato
Avrà avuto Sarà stato
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Plurale.
Avremo avuto Saremo stati
Avrete avuto Sarete stati
Avranno avuto Saranno stati,
Modo SoggIUNTIVO.
Tempo presente.
Sìngolare.
Abbia Sia
Abbi Sii
Abbia Sia.
Plurale.
Abbiamo Siamo
Abbiate Siate
Abbiano Sieno,
Passato Imperfetto.
Singolare.
Avessi Fossi
Avessi Fossi
Avesse Fosse
Plurale.
Avessimo Fossimo
Aveste Foste
Avessero Fossero.
Condizionale Presente»
Singolare.
Avrei Sarei
Avresti Saresti
Avrebbe Sarebbe.
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VERBI AUSILIARI
Plurale.
Avremmo Saremmo
Avreste Sareste
Avrebbero Sarebbero.
Passato Perfetto,
Singolare.
Abbia avuto Sia stato.
Abbi avuto Sii stato
Abbia avuto Sia stato»
Plurale.
Abbiamo avuto Siamo stati
Abbiate avuto Siate stati
Abbiano avuto Sieno stati
Trapassato
Singolare.
Avessi avuto Fossi steto
Avessi avuto Fossi stato
Avesse avuto Fosse stato.
Plurale.
Avessimo avuto
Aveste avuto.
Avessero avuto
Fossimo stati
Foste stati
Fossero stati
Condizionale Passato
Avrei avuto
Avresti avuto
Avrebbe avuto
Avremmo avuto
Avreste avuto
Avrebbero avuto|
Singolare.
Sarei stato
Saresti stato
Sarebbe stato
Plurale.
Saremmo stati
Sareste stati
Sarebbero stati
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Dei Futuri del Soggiuntivo si parlerà altrove.
Modo IMPERATIVO.
Singolare.
Abbi tu Sii tu
Abbia quegli ia quegli.
Plurale.
Abbiamo noi Siamo noi
Abbiate voi Siate voi
Abbiano quelli Sieno quelli.
L’ imperativo manca della prima Persona del
Singolare perchè chi parla dirige sempre il coman-
do non a sè stesso; ma ad altri; e quando pure
il dirige a sè, parla a sè medesimo, cone se par-
lasse a tutt'altra persona: così presso Virgilio Me-
libeo dice a sè stesso in persona seconda: Innesta
ora, o Melibeo, i peri, poni in ordine le viti.
CAPO VII
OSSRRVAZIONI INTORNO ALLE CONIUGAZIONI
DE' VeERBI AUSILIARI , ED AL LORO USO
coi VERBI ATTIVI, E NEUTRI.
Nel Verbo AVERE può dirsi avea, e aveano in
luogo di aveva, e avevano, può dirsi pure ebbono
invece di ebbero, e avrebbono invece di avrebbero,
Ma io avevo invece di aveva, voi avevi in-
vece di avevate; noi ebbimo, o avessimo invece
di avemmo; averò, averai, averà ec. invece di
avrò, avrai; avrà; avressimo, o avrebbamo invece
di avremmo ; abbino invece di abbiano; son tutte
voci da doversi fuggire.
Avemo per abbiamo non si usa che nello stil
famigliare.
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Aggio per ho; ave per ha; aggia, aggiate,
aggiano , per abbia, abbiate, abbiano; avei per ave-
vi, avia per aveva; avria, e avriano per avreb-
be, e avrebbero son voci riserbate alla poesia.
Arò , e arei in luogo di avrò, e avrei sono
ora affettazioni.
Nel Verbo Essere si può dir siano invece di
sieno, che però è di miglior uso, e sarebbono in-
vece di sarebbero.
Ma io ero invece di era; noi eremo invece di
eravamo ; voi eri invece di eravate; siino invece
di sieno; fossimo, invece di fummo, non son da
usare.
Furo per furono; fia, e fieno per sarà, e sa-
ranno; fora o saria, e forano o sariano per sa-
rebbe, e sarebbero son da lasciarsi alla Poesia.
Semo, e sete per siamo e siete non si adope-
rano che assai di rado, e nello stil famigliare.
Quanto all'uso di questi ausiliari per la for-
mazione de’tempi passati de’ Verbi Attivi, e Neu-
tri è da notarsi.
1.° Che i Verbi Attivi tutti si costruiscono
coll' avere, come Io ho amato, ho temuto, ho
letto, ho sentito,
2° Che i Verbi Neutri per la più parte si
costruiscono coll’essere come Io sono andato, sono
venuto ec. e principalmente quelli, ehe si accom-
pagnuano coi Nomi Personali mi, ti, si, ci, vi,
come Io mi sono rallegrato, mi sono attristato.
3.° Che alcuni Neutri però vogliono il Verbo
avere ; tali sono dormire, parlare, tacere, desina-
re, cenare, ridere, scherzare, tardare, indugiare,
passeggiare, navigare, cavalcare e pochi altri;
dicendosi Io ho dormito, ho parlato, ho taciuto ec,
4° Che fra i medesimi Verbi Neutri alcuni
sì costruiscono or coll' essere, or coll’ avere. Vo
gliono l'essere quando si pongon soli, o con un
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Nome accompagnato da una preposizione, come
Egli è fuggito , è corso, è vivuto, oppure è fug-
gito dai ladri, è corso per lungo tratto, è vivuto
per lungo tempo; e voglion l'avere quando sono
seguiti da un Nome senza preposizione alla ma-
niera de’ Verbi Attivi, come Ho fuggito i ladri,
ho corso molte miglia, ha vivuto molti anni.
5.° Che i Verbi potere, dovere, e volere
quando reggono un Verbo preceduto dai Nomi
personali mi, ti, si, ci, vi, richieggono l'essere,
come Non mi son potuto frenare, ti sei voluta
perdere, si è dovuto arrendere, negli altri casi gi
possono sempre costruir coll’ avere,
CAPO VIII
Conjugazione DE VERBI ATTIVI,
E NEUTRI.
Perchè meglio si vegga in che si assomiglino
queste Conjugazioni, e in che differiscano l'una
dall altra, le porrem qui tutte e quattro unita-
mente.
Rispetto ai tempi composti useremo sempre
l'Ausiliare avere , che è quel che serve per tutti
gli Attivi, e per molti de’ Neutri. Dove abbiasi
pet gli altri Neutri a sostituire l'essere si è veduto
nel Capo precedente.
Modo INFINITO, O INDEFINITO, —
Tempo Presente.
Amare, Temere, Credere, Sentire
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Tempo Passato.
Aver Amato, Temuto, Creduto, Sentito.
Dei Futuri dell’ Indefinito si parlerà altrove.
Modo INDICATIVO, O DIMOSTRATIVO»
Tempo Presente.
Numero Singolare,
Io Amo, Temo, Credo, Sento,
Tu Ami, Temi, Credi, Senti,
Quegli Ama, Teme, Crede, Sente,
Numero Plurale.
Noi Amiamo, Temiamo, Crediamo , Sentiamo,
Voi Amate, Temete, Credete, Sentite,
Quegli Amano, Temono, Credono, Sentono,
Passato Imperfetto,
Singolare.
Amava,
Amavi,
Amava,
Amavamo,
Amavate ,
Amavano ’
Temeva, Credeva, Sentiva,
Temevi, Credevi, Sentivi,
Temeva, Credeva, Sentiva,
Plurale.
Temevamo, Credevamo, Sentivamo,
Temevate, Credevate, Sentivate,
Temevano, Credevano, Sentivano.
Passato Rimoto.
Singolare.
Temei, Credei, Sentii,
Temesti, Credesti, Sentisti,
Temè, Credè, Sentì
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Plurale.
Amammo, Termemmo, Credemmo, Sentimmo ,
Amaste, Teneste, Credeste, Sentiste ,
Amarono, Temerono, Crederono, Sentirono,
Passato Prossimo.
Singolare,
Ho
Hai Amato, Temuto, Creduto, Sentito.
Ha
Plurale.
Abbiamo
Avete Amato, Temuto, Creduto, Sentito.
Trapassato Rimoto.
Singolare.
Ebbi
Avesti Amato, Temuto, Creduto, Sentito.
Ebbe
Plurale,
Avemmo
Aveste Amato, Temuto, Creduto , Sentito
Ebbero
Trapassato Prossimo.
Singolare.
Aveva
Avevi Amato, Temuto, Creduto, Sentito.
Aveva
Plurale.
Avevamo
Avevate | Amato, Temuto, Creduto, Sentito
Avevano.
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Futuro.
Singolare.
Amerò, Temerò, Crederò; Sentirò,
Amerai, Temerai, Crederai, Sentirai ,
Amerà, Temerà, Crederà Sentirà
Plurale.
Ameremo , Temeremo, Crederemo, Sentiremo;
Amerete, Temerete, Crederete, Sentirete,
Aimeranno, Temeranno, Crederanno, Sentirenne»
Passato Futuro.
Singolare.
Avrò
Avrai Amato, Temuto, Creduto, Sentito,
Avrà
Plurale.
Avremo
Avrete Amato, Temuto, Creduto, Sentito
Avranno
Modo SOGGIUNTIVO
Tempo Presente.
Singolare.
Ami, Tema, Creda, Senta
Ami, Tema, Creda, Senta
Ami, Tema, Creda, Senta.
Plurale.
Amiamo, Temiamo, Crediamo, Sentiamo,
Amiate, Temiate, Crediate, Sentiate,
Amino, Temano, Credano, Sentano
/ BEGIN PAGE 64 /
Passato Imperfetto.
Singolare,
Amasssi Temessi, Credessi, Sentissi ,
Amassi; Temessi, Credessi, Sentissi
Amasse, Temesse, Credesse , Sentisse,
Plurale,
Amassimo, Temessimo, Credessimo, Sentissimo .
Amaste, Temeste, Credeste, Sentiste,
Amassero, Temessero; Credessero, Sentissero.
Condizionale Presente.
Singolare,
Amerei, Temerei, Crederei, Sentirei,
Amneresti, Temeresti, Crederesti, Sentiresti ,
Amerebbe, Temerebbe, Crederebbe, Sentirebbe.
Plurale.
Ameremmo, Temeremmo, Crederemmo,Sentiremmo,
Amereste, Temereste, Credereste, Sentireste .
Passato Perfetto.
Singolare.
Abbia
Abbi Amato, Temuto , Creduto, Sentito.
Abbia
Plurale.
Abbiamo
Abbiate Amato, Temuto , Creduto, Sentito
Abbiano
/ BEGIN PAGE 65 /
Trapassato.
Singolare.
Avessi
Avessi Amato, Temuto, Creduto , Sentito,
Avesse
Plurale.
Avessimo
Aveste Amato, Temuto, Creduto, Sentito.
Avessero
Condizionale Passato,
Singolare,
Avrei
Avresti Amato , Temuto, Creduto, Sentito,
Avrebbe
Plurale,
Avremmo
Avreste Amato, Temuto, , Creduto, Sentito,
Avrebbero
Dei Futuri del Soggiuntivo si parlerà altrove,
Modo Imperativo.
Singolare
Ama, Temi, Credi, Senti,
Ami, Tema, Creda, Senta. i
Plurale.
Amiamo, Temiamo, Crediamo, Sentiamo ,
Amate, Temete, Credete, Sentite,
Amino, Temano, Credano, Sentano
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CAPO IX.
OssERVAZIONI INTORNO ALLE CONJUGAZIONI
PRECEDENTI.
1.° Nel Presente dell Indicativo, e del Soggiun-
tivo molti Verbi della quarta Conjugazione in tutto
il Singolare, e nella terza del Plurale aggiungono
un isc, come da Impedire nell’ Indicativo io Im-
pedisco, tu Impedisci , uno Impedisce , molti Im-
pediscono; e nel Soggiuntivo che io, tu, uno Im-
pedisca, molti Impediscano.
2.° Nell Imperfetto dell’ Indicativo invece di
temeva, credeva, sentiva, può anche dirsi Te-
mea, Credea, Sentia, e invece dic temevano,
credevano , sentivano si può dire Temeano, Cre-
deano , Sentiano. Alcuni pure usano Io Amavo,
Temevo, Credevo, Sentivo; ma è meglio usato
Io amava, temeva ec.
3° Nel Futuro Indicativo, e nel Condizionale
Presente i Verbi della prima Conjugazione can-
giano la Caratteristica a in e, dicendosi Amerò,
amerei invece di amarò amarei.
4.° Nel Condizionale Presente può dirsi Ame-
rebbono, Temerebbono ec. invece di amerebbero,
temerebbero ; ma non già Noi ameressimo , teme-
ressimo o amerebbamo , temerebbamo ec. come
usano alcuni, invece di Ameremmo, Temeremmo.
Anche ameria, o ameriano ec. invece di
amerebbe, e Amerebbero son da usarsi più nel
Verso, che nella Prosa.
5.° Nel Passato Rimoto invece di temei, te-
mè, e temerono, credei, credè, e crederono, può
anche dirsi Temetti, Temette, o Temettero, Cre-
detti, Credette, e Credettero ; ma non già Noi
amassimo, temessimno , credessimo , è sentissimo,.
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come alcuni usano, invece di Amammo, Temem-
mo, Credemmo , Sentimmo.
6.° Nel Soggiuntivo presente da alcuni la se-
conda Persona del Singolare si termina in i anche
nella seconda, terza, e quarta Conjugazione , di-
cendo Che tu temi, tu credi, tu senti, e la terza
del Plurale in ino, dicendo Che quellî temino, cre-
dino, sentino. Il miglior uso però e di finire la
seconda del Singolare in a , Che tu tema, e la
terza del Plurale in ano, Che quelli temano; ec-
cetto quei Verbi, in cui la seconda persona singo-
lare del Soggiuntivo possa distinguersi da quella del-
l’ Indicativo, come nei Verbi, Vedere e Conoscere
ove nell’ Indicativo si dice Tu vedi, tu conosci, e
nel Soggiuntivo potrà dirsi egualmente Che tu veg-
ghi, o vegga, e Che tu conoschi, o conosca.
CAPO X
Del Passaro Rimoto DELL' Indicativo.
Nel Passato Rimoto i Verbi della prima e della
quarta Conjugazione comunemente son regolari, ma
quelli della seconda, e della terza sone irregolari
per la più parte.
L' irregolarità però consiste solamente nella
prima, e terza Persona del Singolare, e nella ter-
za del Plurale, poichè nelle altre Persone anche
questi Verbi sono regolarissimi. Così Leggere nel-
le succenate persone fa ben Lessi, Lesse , Lesse-
ro , dove è irregolare; ma nelle altre fa Leggesti,
Leggemmo, Leggeste, dove è regolare interamente.
Per ridutre anche questa irregolarità a qualche ,
legge si osservi, che la maggior parto di siffatti
Verbi nelle suddette Persone finiscono in si, se,
sero.
In 1° luogo se innanzi all'O del Presente
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Indicativo hanno le consonanti D, ND, o G sem-
plice , queste si cambiano nella medesima S, co-
me da Rido , Risi; da Risponda, Risposi; da
Pungo , Punsi.
Si eccettuin Credere, Cedere, Perdere, Ven-
dere, Rendere, Splendere, Fendere, e Pendere,
che fanno Credei o Credetti, Cedei o Cedetti,
Rendei o Rendetti ee. benchè molti dicano anche
Cessi, e Resi.
2.° Se innanzi all’O dell’Indicativo hanno C,
GG, V, o T queste consonanti si cambiane in SS,
come da Conduco , Condussi ; da Leggo, Lessi;
da Scrivo, Scrissi; da Scuoto, Scossi.
Si eccettui Ricevere, che ha Ricevei; Piovere,
che ha Piovvi ; Bevere, che ha Bevetti, e Bevvi.
3.° Vi sono però de’ Verbi, ch’ escono d' ogni
regola : così Vedere fa Vidi; Mettere, Misi, Te-
nere, Tenni; Conoscere, Conobbi; Rompere, Rup-
pi, Nascere, Nuocere , Tacere, Giacere, Piacere
fan Nacqui, Nocqui, Tacqui, Giacqui, Piacqui.
Dei FUTURI DELL’INDEFINITO,
E DEL SoggIUNTIvO,
I Futuri dell’ Indefinito, e del Soggiuntivo sono
tutti composti, e si formano coi Verbi Essere,
Avere, o Dovere premessi all’ Indefinito del Verbo
proprio ; come Essere per Amare, o Aver ad ama-
re, o Dover amare; Essere stato per amare, o
afver avuto ad amare, o Aver dovuto amare: e
così rispetto al Soggiuntivo: che Io sia per amare,
e Abbia ad amare, o Debba amare; che Tu fossi
per amare, o Avessi ad amare, o Dovessi ama-
re ec.
Anzi in questa guisa si forman pure altrettanti
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Futurì dell’ Indicativo, come Io son per amare, o
Io ho ad amare, o Io debbo amare; Tu eri per
amare, o Avevi ad amare, o Dovevi amare ec.
I Verbi Avere e Dovere però molte volte
esprimon piuttosto l'obbligo, o la necessità di far
qualche cosa, che un tempo futuro, come: Tu hai
a star qui; Tu non devi partire fin ch'io non
tel consenta.
CAPO XII
DEI PARTICIPJ.
NEi Verbi Transitivi i Participj son due, l' uno
attivo, come Amante , Temente, Credente, Sen-
ziente , e l’altro passivo, come Amato, Temuto,
Creduto, Sentito.
Nei Verbi Intransitivi o Neutri son due pari-
mente , l'uno presente , come Volante, Cadente,
e l’ altro passato , come Volato, Caduto.
Il Participio attivo, o presente nella prima
Conjugazione finisce in ante , come Amante, Vo-
lante, e nelle altre in ente, come Temente, Cadente,
Il Participio passivo o passato si suol cavare
dalla prima persona del Passato Rimoto: e sicco-
me questa nella prima, e nella quarta Conjugazione
suol terminare regolarmente in ai, e in i; come
Amai, e Sentii; così il Participio termina regolar-
mente in ato, e in ito, come Amato, e Sentito.
Si eccettui soltanto Concepii, che ha Concepito ,
Conceputo , e Concetto; Morii, che ha Morto;
Seppellii che ha Seppellito, e Sepolto; Aprii, Co-
prii, Offrii che hanno Aperto, Coperto, Offerto.
Nella seconda, e nella terza Conjugazione es-
sendo la più parte de’ Verbi irregolari nel suddetto
tempo, lo sono anche nel Participio. Qualche re-
gola nondimeno si può fissare per essi ancora.
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I. Quelli che neila prima persona del Passato
Rimoto dell' Indicativo cadono in Ei, o in Etti,
hanno il Participio in Uto: così Teme ha Temu-
to; Ricever , Ricevuto ; Perder, Perduto,
II. Quelli che nella detta persona cadono in
SSI, hanno il Participio in TTO, come Trassi ,
Tratto; Lessi, Letto; Afflissi, Afflitto; Distrus-
si, Distrutto. Conviene eccettuare Percossi, che
ha Percosso; Discussi, che ha Discusso; Mossi,
che ha Mosso; Affissi che ha Affisso, e alcuni
altri.
III. Quelli che cadono in SI preceduta da
Vocale, hanno il Participio in SO, come Rasi,
Raso ; Presi, Preso ; Risi, Riso; Rosi, Roso;
Chiusi, Chiuso. Si eccettui Chiesi, che ha Chie-
sto; Posi, che ha Posto; Misi, che ha Messo;
Rimasi, che ha Rimaso, e Rimasto.
IV. Quelli che cadono in SI preceduta da
Consonante, cambiano questa Sillaba in TO, rite-
nendo il resto della parola , come Scelsi, Scelto;
Colsi, Colto; Torsi, Torto; Spensi, Spento:
Finsi, Finto. Si eccettuin Volsi, e Calsi, che
hanno Voluto, e Caluto; Strinsi, che ha Stretto;
e Sparsi, Corsi, Morsi, che hanno Sparso, Cor-
so, Morso.
V. Finalmente Piacqui, Tacqui, Giacqui,
Nocqui hanno Piaciuto , Taciuto, Giaciuto , No-
Ciuto; e Nocqui ha Noto.
Perchè meglio sì possano ritenere, e riscon-
trare al bisogno Que’ Verbi, che rel Passato Ri-
moto, e nel Participio variano maggiormente, ne
aggiungeremo qui la seguente serie.
/ BEGIN PAGE 71 /
Verbi che variano maggiormente nel Passato
rimoto, e nel Participio passato
Indef.
Accendere
Affiggere
Aprire
Apparire
Ardere
Aspergere
Bevere
Cadere
Cedere
Chiedere
Chiudere
Cingere
Cogliere
Concedere
Condurre
Contundere
Conoscere
Coprire
Correre
Crescere
Cuocere
Dare
Decidere
Dire
Distinguere
Dividere
Dolere
Ergere
Esprimere
Fare
Fendere
Fingere
Frangere
Concedei, o Concessi
Condussi
Confusi
Conobbi
Copersi, o Coprii
Corsi
Crebbi
Cossi
Dissi
Decisi
Dissi
Distinsi
Divisi
Dolsi
Ersi
Espressi
Feci
Fendei
Finsi
Fransi
Accesi Acceso
Affissi Affisso
Apersi, Aprii Aperto
Apparsi, o Apparvi Apparso, o Apparito
Arsi, Arso
Aspersì Asperso
Bevvi, o Bevetti Bevuto
Caddi Caduto
Cedei, o Cessi Ceduto
Chiesi, o Chiedei Chiesto
Chiusi Chiuso
Cinsi Cinto
Colsi Colto
Conceduto, o Concesso
Condotto
Confuso
Conosciuto
Coperto
Corso
Cresciuto
Cotto
Dato
Deciso
Detto
Distinto
Diviso
Doluto
Eretto
Espresso
Fatto
Fenduto, o Fesso
Finto
Franto
/ BEGIN PAGE 72 /
Giacere Giacqui Giaciuto
Giungere Giunsi Giunto
Immergere Immersi Inimerso
Istruire Istrussi Istrutto
Leggere Lessì Letto
Mettere Misi Messo
Mordere Morsi Morso
Morire Morii Morto
Movere Mossi Mosso
Nascere Nacqui Nato
Nascondere Nascosi Nascoso, o Nascosto
Nuocere Nocqui Nociuto
Offendere Offesi Offeso
Offerire Offersi, o Offrii Offerto
Parere Parvi Paruto
Piacere Piacqui Piaciuto
Piangere — Piansi Pianto
Pingere Pingi Pinto
Porgere Porsi Porto
Porre Posi Posto
Prendere Presi Preso
Presumere Presunsi Presunto
Proteggere Protessi Protetto
Pungere Punsi Punto
Radere Rasi Raso
Reggere Ressi Retto
Rendere Rendei, o Resi Renduto, o Reso
Ridere Risi ‘—Riso
Rimanere Rimasi Rimaso, o Rimasto
Rispondere Risposi Risposto
Rodere Rosi Roso
Rompere Ruppi Rotto
Salire Salsi, o Salii Salito
Sapere Seppi Saputo
Scegliere Scelsi Scelto
Scendere Scesi Sceso
Sciogliere Sciolsi Sciolto
/ BEGIN PAGE 73 /
Scrivere Scrìssi Scritto
Scuotere Scossi Scosso
Seppellire Seppelliì Sepolto,o Seppellito
Sorgere Sorsi Sorto
Stare Stetti Stato
Stringerè Strinsi Stretto
Struggere , Strussi Strutto
Svellere Svelsi o Svelto
Tacere Tacqui Taciuto
Tenere Tenni Tenuto .
Tergere Tersi Terso
Togliere Tolsi Tolto
Torcere Torsi Torto
Trarre Tassi Tratto
Valere Valsi Valuto
Uccidere Uccisi Ucciso
Vedere Vidi Veduto
Venire Venni Venuto
Vincere Vinsi Vinto
Vivere Vissi Vivuto
Ungere Unsi Unto
Volere Volli Voluto
Volgere Volsi Volto.
CAPO XIII
DEI GERUNDI.
I Gerundj son due nella nostra lingua, uno
semplice, e l’altro composto. II Gerundio sempli-
ce nella prima Conjugazione finisce in ando , co- .
me Amando, e nelle altre in endo, come Te-
mendo , Credendo, Sentendo.
It Gerundio composto si forma coi Gerundj
avendo, o essendo, e il Participio passato del Ver-
bo proprio, come Avendo amato, avendo temu-
to ec. Essendo andato, essendo venuto ec.
/ BEGIN PAGE 74 /
Il significato de’ Gerundj presso noi è lo stes-
so che quello de’Participj: anzi al Participio attivo
o presente si sostituisce da noi per lo più il Ge-
rundio semplice; così invece di dire; Antonio ve-
dente il pericolo se ne fuggì, si dirà piuttosto:
Antonio vedendo il pericolo se ne fuggì.
Non si può usare però il Gerundîo che in due
casi: 1.° quando il Nome, a' cui si riferisce è
Soggetto della Proposizione e Nominativo, come
nell’ esempio precedente; 2.° quando è posto asso-
lutamente, che dai Latini chiamavasi Ablativo as-
soluto , come: Venendo Tito io partirò; nel qual
easo il Nome dee sempre mettersi dopo il Gerun-
dio, onde sarebbe mal detto: Tito venendo io par-
tirò. Lo stesso è pure de' Participj; onde si dirà :
Vivente Cesare e morto Cesare Roma ebbe atroci
guerre civili, non Cesare vivente, e Cesare morto.
Negli altri casi il Gerundio non’ può usarsi,
ma convien adoperare il Participio , o risolverlo
col che ; laonde non si dirà: Odo un bambino
piangendo, ma Odo un bambino piangente, d'un
bambino che piange.
CAPO XIV
DEGLI AGGETTIVI VERBALI.
Dai Verbi oltre ai Participj e ai Gerundj deri-
vano alcuni altri Aggettivi, che si chiaman verbali,
come Venerabile o Venerando, Commendabile e
Commendevole, che significano un che merita d’es-
sere venerato, o commendato ; e Amatore o Co-
noscitore che significan un che ama, o che co-
nosce. Questi nel femminile cadono in trice, come
sì è avvertito nel’ Capo de’Generi, dicendosi Ama-
trice, Conostitrice.
/ BEGIN PAGE 75 /
CAPO XV.
Dei VERBI Passivi.
I Verbi Passivi si formano generalmente col Ver-
bo Essere, e col Participio passivo del Verbo pro-
prio, come Io sono amato, Io era amato, Io fui
amato Io sono stato amato ec.
Nei Tempi Presente , Imperfetto, Passato Ri-
moto, e Futuro al Verbo Essere, si sostituisce
anche il Verbo Venire, come Io vengo amato, Io
veniva amato, Io venni amato, Io verrò amato.
Non può però farsi questa sostituzione nei Tempi
composti, onde non si dirà Io son venuto amato,
Io era venuto amato ec. ma Io sono stato amato,
Io era stato amato.
Nelle terze Persone così singolari, come plu-
rali i Verbi Attivi diventan Passivi - anche col sol
premettervi un si, o affiggerlo ad essi in fine, co-
me Si ama, amasi l'ozio; Si amano, o aman-
si i piaceri, che è quanto dire è amato l’ozio,
sono amati i piaceri.
Anche i Verbi Intransitivi, o Neutri nella terza
persona singolare si usano a questo modo passiva-
mente, come Si va, Si viene, o Vassi, e Viensi.
In questi casi però tanto coi Verbi Attivi, come
coi Neutri ne' Tempi composti all’ ausiliare Avere si
sostituisce l’Essere, come Si è emato, Si è temuto,
Si è parlato, Si è taciuto, non si ha amato, si
ha temuto ec. come alcuni usano per érrore.
CAPO XVI
Dei VERBI ANOMALI, e IRREGOLARI.
Anomali, o Irregolari si chiaman que' Verbi
/ BEGIN PAGE 76 /
che più o meno si allontanano dalle Conjugazioni
regolari esposte precedentemente.
Di tal natura sono in primo luogo i due Ver-
bi Ausiliari avere ed Essere, come può vedersi
dalla loro Conjugazione.
Tali son pure molti altri, che qui. verremo
esponendo distribuiti secondo la Conjugazione, a cui
appartengono , indicando però soltanto que’ tempi
in cui si scostano dalla lor Gonjugazione regolare.
ANOMALI DELLA PRIMA CONJUGAZIONE:
ANDARE Indic. Pres. o Vo o Vado, tu Vai,
egli Va; noi Andiamo, voi Andate, quelli Vanno,
Imperf. Io Andava, tu Andavi ec.
Pass. Rim. Io Andài, tu Andasti, quegli Andò
ec. non Andièdi, Andiede; Andiedero.
Futuro. Io Andrò, o Anderò, tu andrai, o
Anderai ec.
Soggiunt. Pres. Io Vada, tu Vadi, o Vada,
quegli Vada; noi Andiamo voi Andiate ; quelli
Vadano.
Condiz. Pres. Io Andrei, o Andereì, tu an-
dresti, o Anderesti ec.
Imperat. Va tu, Vada quegli; Andiamo noi,
andate voi, Vadano quelli.
DARE Indicat. Pres. Io Do ; tu Dai, quegli
Dà; noi Diamo , voi Date, quelli Danno.
Pass. Rim. Io Diedi, o Detti, o Die', tu De-
sti, quegli Diede, o Dette, o Diè ; noi Demmo;
voi Deste, quelli Diedero, o Dierono, o Dettero:
Pass. Pross. Io ho Dato ec.
Sogg. Pres. Io Dia , tu Dii, o Dia, quegli
dia , noi diamo , voi diate , quelli dieno , piut-
tosto che, Diano.
Imperf. Io Dessi, tu Dessi, quegli Desse; noi
Dessimo, voi Deste ; quelli Dessero ; i non Dassi,
Dasse ec.
Condiz. Pres. Io Darei.; tu Daresti ec
Imperat. Dà tu.
/ BEGIN PAGE 77 /
STARE, Indicat, Pres. Io Sto; tu Stai, quegli
Sta ; noi Stiamo voi State quegli Stanno,
Pass Rim. Io Stetti, tu Stesti; quegli Stette ;
noi Stemmo voi Steste, quegli Stettero.
Pass. Pross. Iò sono Stato ec.
Soggiunt. Pres. Io Stia, tu Stii, o Stia, que-
gli Stia noi Stiamo , voi Stiate quegli Stieno,
piuttosto che Stiano.
Imperf. Io Stessi, tu Stessi, quegli Stesse ;
o voi Steste, quegli Stessero; non già
Stassi, Stasse ec.
Condiz. Pres, Io Starei, tu Staresti ec.
Imperàt. Sta tu
FARE. Egli è Composto in parte di voci
tratte dal. Latino Facere
Indicat. Pres, Io Faccio, o Fo, tu Fai, que-
gli Fa; noi Facciamo , voi Fate, quelli Fanno.
Imperf. Io Facea o poeticamente Fea tu
Facevi , quegli faceva o Fea; noi Facemmo
voi Faceste, quelli Fecero e
e all’antica Ferono , Feciono , Fenno;
Pass. Pross. Iò ho Fatto ec.
Fut. Io Farò; tà Farai quegli Farà ec.
Soggiunt. Pres, Io, tu, quegli Faccia ; noi
Facciamo, voi Facciate, quelli Facciano,
Imperf. Io Facessi, tu Facessi, quegli Fa-
cesse e in verso Fesse; noi Facessimo voi Fa-
ceste, quelli Facessero , o poeticamente Fessero,
Condiz. Pres. Io Farei; tu Faresti.
Imperat. Fa tu
Lo' stesso è de suoi composti Disfare, Rifa-
re, Soddisfare ec.
ANOMALI DELLA SECONDA CONIUGAZIONE.
POTERE. Indicat. Pres. Io Posso, tu Puoi,
quegli Può; noi Possiamo; voi Potete, quelli Pos-
sono o ponno
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Imperf. Io Poteva; tu Potevi ec.
Pass. Rim. Io Potei, tu Potesti ec.
Pass. Pross. Io ho Potuto ec.
Fut. Io Potrò, tu Potrai ec.
Sogg. Pres. Io Possa; tu Possi , o Possa;
quegli Posse; noi Possiamo ; voi Possiate, quelli
Possano, non Potiamo , Potiate.
Imperf. Io Potessi, tu Potessi ec.
Condiz. Pres. Io Potrei, tu Potresti ec.
VOLERE. Indicat. Pres. Io Voglio o Vo' tu
Vuoi, quegli Vuole ; ; noi Vogliamo, voi Volete:
quelli Vogliono.
Imperf. Io Voleva, tu Volevi ec.
Pass. Rim. Io Volli, tu Volesti, quegli Volle;
noi Volemmo, voi Voleste, quelli Vollero.
Pass. Pross. Io ho voluto ec.
Fut. Io Vorrò, tu Vorrai ec.
Soggiunt. Pres. lo Voglia, ta Vogli, o Voglia,
quegli Voglia ec.
Condiz. Pres. Io Vorrei, tu Vorresti ec.
CADERE. Indicat. Pres: Io Cado, e poetica-
mente Caggio, tu Cadi, quegli Cade; noi Cadia-
mo, o Caggiamo , voi Cadete quelli Cadono
o Caggiono.
Pass. Rim, Io Caddi, tu Cadesti, egli Cad-
de; noi Cademmo, voi Cadeste, quelli Caddero.
Pass. Pross. Io son Caduto ec.
Futuro. Io Cadrò, o Caderò , tu Cadrai e
Caderai ec. Similmente nel Condizionale presente.
io Cadrei, o Caderei ec. ma Cadrò, Cadrei è
meglio detto che Caderò , Caderei,
DOVERE. Indicat. Pres. Io Devo, Debbo; o
o Deggio, tu Devi, Debbi, o Dei, quegli Devo-
no Debbe, o Dee; noi Dobbiamo, voi Dovete quelli
Devono, Debbono,; Deggiono , Deono, o Denno.
Pass. Rim. lo Dovetti, tu. Dovesti ec.
Pass. Pross. Io ho Dovuto ec.
/ BEGIN PAGE 79 /
Futuro. Io Dovrò , tu Dovrai ec.
Sogg Pres. Io, tu, quegli Debba, o Deggia;
noi Dobbiamo, voi Dobbiate , quelli Debbano o
Deggiano
Condiz. Prés, Io Dovrei, tu Dovresti ec.
PARERE. Indicat. Pres. Io Pajo, tu Pari,
quegli Pare; noi Pariamo o Pajamo, voi Pare-
te, quelli Pajono.
Pass. Rim. Io Parvi, tu Paresti, quegli Par-
ve; noi Paremmo , voi Pareste, quelli Parvero.
Pass. Pross. Ioson paruto, e in poesia an-
che Parso.
Fut Io Parrò; tu Parrai, quegli Parrà; noi
Psrremo voi Parrete , quelli Parranno.
Soggiunt. Pres, Io, tu, quegli Paia, noi Pa-
iamo, voi Pajate, quelli Pajano.
Condizion. Pres. Io Parrei, ta Parresti ec.
SAPERE, Indicat. Pres. Io So, tu Sai, quegli
Sa; noi Sappiamo, voi Sapete, quelli Sanno.
Pass. Rim. Io Seppi, tu Sapesti, quegli Sep-
pe noi Sapemmo , voi Sapeste, quelli Seppero.
Pass. Pross. Io ho Saputo ec.
Fut. Io Saprò , tu Saprai ec.
Sogg.: Pres. Tu Sappia, tu Sappi , o Sappia,
quegli Sappi; noi Sappiamo, voi Sappiate, quelli
Sappiano.
Condiz. Pres. Io Saprei, tu Sapresti ec.
Imperat. Sappi tu.
SEDERE. Indicat. Pres. Io. seggo tu siedi,
quegli siede; noi sediamo o seggiamo, voi sede-
te quelli seggono, o seggiono.
Pass. Rim. Io sedei, tu sedesti ec.
Pass. Pross. Io ho seduto ec.
Soggiunt. Pres. Io, tu, quegli segga; noi se-
diamo , o Seggiamo voi sedete o seggiate
quelli seggano.
Imper. siedi tu.
/ BEGIN PAGE 80 /
TENERE. Indicat. Pres. Io tengo, tu tieni;
quegli tiene ; noi teniamo, o tenghiamo ; voi te-
nete , quelli tengono.
Pass, Rim. Io tenni, tu tenesti; quegli ten-
ne, noi tenemmo, voi teneste, quelli tennero.
Pass. Pross. Io ho tenuto ec.
Fut. Io terrò, tu terrai ec.
Soggiunt. Pres. Io tenga, tu tenghi, o tenga,
quegli tenga; noi tenghiamo, voi teniate, quelli.
tengano.
Condiz. Pres. Io terrei, tu terresti ec.
Imperat. tieni tu.
VEDERE. Indicat. Pres. Io vedo, veggo o
veggio, tu vedi, quegli vede; noi veggiamo, voi
vedete, quelli veggono ; o veggiono.
Pass. Rim. Io vidi, o veddi, tu vedesti, que-.
gli vide, o vedde; noi vedemmo, voi vedeste,
quelli videro , o veddero.
Pass. Pross. Io ho veduto ec.
Fut. Io vedrò, tu vedrai ec.
Soggiunt. Pres. Io, tu, quegli vegga, o veg-
gia; noi veggiamo, voi veggiate quei veggano,
o veggiano.
Condiz. Pres. Io vedrei, tu vedresti, quegli
vedrebbe ec.
ANOMALI DELLA TERZA Conjugazione. |
BEVERE, o BERE. Indicat. Pres. Io bevo,
tu bevi, o bei, quegli beve, o bee; noi beviamo,
voi bevete, o beete, quelli bevono o beòno.
Imperf. Io beveva, o beeva'ec.
Pass. Rim. Io bevetti, o bevvi, tu bevesti o
Beesti, quegli bevette o bevve; noi bevemmo”, o
beemmo , voi beveste, o beeste quelli bevettero o
bevvero.
Pass. Pross. Io ho bevuto ec.
/ BEGIN PAGE 81 /
Fut. Io Berò , tu berai, quegli berà ec.
Soggiunt. Pres. Io, tu, quegli beva, o bea.
noi beviamo, voi beviate, quelli bevano, o beano.
Condiz. Pres. Io berei, tu beresti ec.
Imper. bevi tu.
PORRE: anticamente PONERE.
Indicat. Pres. Io pongo, tu poni, quegli po-
ne, noi poniamo, o ponghiamo , voi ponete ,
quelli pongono.
Imperf. Io poneva, tu ponevi ec,
Pass. Rim. Io posi, tu ponesti, quegli pose;
noi ponemmo , voi poneste, quelli posero.
Pass. Pross. Io Ho posto ec.
Fut. Io porrò, tu porrai ec.
Soggiunt. Pres. Io ponga, tu ponghi, o pon-
ga, quegli ponga; noi ponghiamo, voi ponghiate ,
quelli pongano.
Imperf, Io ponessi, tu ponessi ec.
Condiz. Pres. Io porrei, tu porresti ec.
Imperat. Poni tu.
Tutti i suoi composti Disporre, Comporre ,
Frapporre ec. finiscono allo stesso modo.
SCEGLIERE, o SCERRE. Indicat. Pres. Io
scelgo, tu scegli, quegli sceglie; noi scegliamo,
voi scegliete, quelli scelgono.
Pass. Rim. Io scelsi, tu scegliesti, quegli scelse,
noi scegliemmo, voi, sceglieste , quelli scelsero.
Pass. Pross. Io ho scelto ec.
Soggiunt. Pres. Io scelga, tu scelghi, o scelga,
quegli scelga; noi scegliamo, voi scegliate, quelli
scelgano.
Lo, stesso è de’ suoi composti : Trascegliere, Prescegliere
SCIOGLIERE, e SCIORRE. Indic. Pres. Io
scioglio o sciolgo , tu sciogli, quegli scioglie ;
noi sciogliamo, voi sciogliete, quelli sciogliono , o
sciolgono.
/ BEGIN PAGE 82 /
Pass. Rim. Io sciolsi, tu sciogliesti, quegli
sciolse; noi. sciogliemmo, voi scioglieste, quelli
sciolsero.
Pass. Pross. Io ho sciolto ec.
Fut. Io sciorrò, tu sciorrai ec.
Soggiunt. Pres. lo, tu, quegli sciolga ; noi
sciogliamo , o sciolghiomo , voi sciogliate , quelli
sciolgano.
Condiz. Pres. Io sciorrei , tu sciorresti ec.
Così fan pure i suoi composti Disciorre, e
e Prosciorre. .
SPEGNERE. Indic. Pres. Io spegno, tu spe-
gni, quegli spegne; noi spegniamo , voi spegnete
quegli spengono.
Pass. Rim. Io spensi, tu spegnesti, quegli
spense; noi spegnemmo , voi spegneste, quegli
spensero.
Pass. Pross. Io ho spento ec.
Sogg. Pres. Io spenga, tu spenghi, e spenga,
quegli spenga ; noi spenghiamo , voi spenghiate,
quegli spengano.
Imper. Spegni tu.
TOGLIERE, o TORRE co'suoi composti ha
le stesse variazioni che sciogliere , sciorre.
ADDURRE, CONDURRE, PRODURRE,
RIDURRE ec. si piegano come se l’Indefinito: fos-
se Adducere, Conducere ec., dicendosi io.adduco,
tu adduci; io adduceva, tu adducevi ec. fuorchè
nei seguenti tempi.
Pass. Rim. lo addussi, tu adducesti , quegli
addusse ; noi adducemmemmo , voi adduceste , quelli
addussero.
Pass. Pross. Io ho addotto ec.
Fut. Io addurrò, tu addurrai ec.
Condiz. Pres. Io addurrei, tu addurresti ec.
/ BEGIN PAGE 83 /
ANOMALI DELLA QUARTA CONJUGAZIONE.
APRIRE, COPRIRE ec. son regolari, se non
che nel Passato Rimoto oltre alle desinenze in ii,
ì, e irono banno anche quelle in ersi, erse, ed er-
sero, come Io aprii, o apersi; quegli aprì, o
aperse; quegli aprirono, o apersero.
Il Pass. Pross. è Io ho aperto ec.
DIRE anticamente DICERE. Indic. Pres. Io
dico, tu dici, quegli dice; noi diciamo, voi
dite , quelli dicono.
Imperf. Io diceva, tu dicevi ec.
Pass. Rim. Io dissi, tu dicesti, quegli disse,
noi dicemmo non dissimo, voi diceste, quelli dissero.
Pass. Pross. Io ho detto ec.
Fut. Io dirò, tu dirai ec.
Sogg. Pres. Io dica, tu dichi, o dica, que-
gli dica; noi diciamo, voi diciate, quelli dicano.
Imperf. Io dicessi, tu dicessi ec.
Condiz. Pres. Io direi, tu diresti , quegli di-
rebbe ec.
Imperat. Dì tu.
Le stesse terminazioni hanno pure i suoi com-
posti Benedire, Maledire.
MORIRE. Indicat. Pres. Io muojo, e poeti-
camente anche moro, tu muori, quegli muere;
noi moriamo , o muojamo, voi morite , quelli
muojono.
Pass. Rim. Io morii, tu moristi ec.
Pass. Pross. Io son morto ec.
Fut. Io morrò , tu morrai ec.
Sogg. Pres. Io muoja , tu muoi, o muoja ,
quegli muoja; noi moriamo, o muojamo, voi mo-
riate , o muojate , quelli muojano.
Condiz. Pres. Io morrei, tu morresti ec.
Imperat. Muori tu
/ BEGIN PAGE 84 /
SALIRE. Indic. Pres. Io salgo, tu sali, que-
gli sale; noi saliamo, o sagliamo, voi salite ,
quelli salgono, o sagliono.
Pass. Rim. Io salii, o salsi, tu salisti, que-
gli salì, o salse; noi salimmo, voi saliste, quelli
salirono, o salsero.
Pass. Pross. Io son salito ec.
Soggiunt. Pres. Io salga, o saglia, tu salghi,
o salga, o saglia, quegli salga, o saglia ; noi
salghiamo , o sagliamo, voi salghiate, o saglia-
te; quelli salgano , o sagliano.
UDIRE. Prende alcune voci dall'antico Odire.
Indicat. Pres. Io odo, tu odi, quegli ode; noi
udiamo, voi udite, quegli odono.
Sogg. Pres. Io, tu, quegli ode; noi udiamo,
voi udiate , quegli odano.
VENIRE. Indicat. Pres. Io vengo:, o vegno,
tu vieni, quegli viene; noi veniamo , venghiamo ,
o vegnamo, voi venite, quelli vengono.
Pass. Rim. lo venni, tu venisti, quegli ven-
ne; noi venimmo , non vennimo , voi veniste, quel-
li vennero.
Pass. Pross. Io son venuto ec.
Fut. Io verrò, tu verrai ec.
Soggiunt. Pres. Io venga , ta venghi, o ven-
ga, quegli venga; noi venghiamo , voi venghiate,
quelli vengano.
Condiz. Pres. Io verrei, tu verresti ec.
USCIRE. Indic. Pres. Io esco, tu esci, quegli
esce; noi usciamo, voi uscite, quegli escono.
Soggiunt. Pres. Io, tu, quegli esca; noi u-
sciamo, voi usciate , quegli escano. Benchè alcuni
dicano esciamo, esciva, escirò ec. derivandole dal-
L'Indefinito escire; fuori però delle voci sopra ac-
cennate, in tutte le altre questo Verbo ama meglio
di cominciare per u, che per e.
APPARIRE. Ha nell'Indicativo presente: Io
/ BEGIN PAGE 85 /
apparisco , o appajo, tu apparisci, quegli appa-
risce , o appare; noi appariamo , voi apparite ,
quegli appariscono , o appajono.
Nel Passato Rimoto : Io apparvi, o apparsi,
quegli apparve, o apparse, quegli apparvero , o
apparsero.
Nel Passato Prossimo: Io sono apparso, o
apparito ec.
Nel Soggiuntivo Presente: Io, tu, quegli ap-
parisca, o appoja, e quegli appariscano, o op-
pajano.
Nel resto è regolare. Lo stesso è di Compo-
rire, Trasporire , e Sparire.
CAPO XVIL
DEI VERBI DIFETTIVI.
Difectivi, cioè mancanti, si chiaman que’ Verbi,
che hanno soltanto alcuni tempi, e alcune perso-
ne, e mancan dell’ altre.
GIRE, che significa Andare , ha queste sole
voci.
Indicat. Pres. Voi gite.
Imperf. Io giva, o gia, tu givi, quegli giva,
o gia; noi givamo , quelli givano, o giano.
Pass. Rim. Tu gisti, quegli gì, o gio; noi
gimmo, voi giste ; quelli girono.
Fut. Io girò, tu girai ec.
Soggiunt. Imperf. Io gissi, tu gissi ec.
Condiz. Pres. Io girei, tu giresti ec.
Partic. Pass. gito.
IRE, che pur significa Andare, ha voi ite,
quegli iva , quegli ivano; noi iremo, voi irete,
quegli iranno; e il Participio Passato ito.
RIEDERE ha tu riedi; quegli riede; io, tu,
quegli rieda , quelli riedono.
/ BEGIN PAGE 86 /
CALERE ha cale, caleva, calse, calerà, o
carrà, caglia, calesse , calerebbe; o carrebbe, o
caluto.
ARROGERE ha arroge, arrose, arregendo.
OLIRE ha oliva, olivi, olivano.
SOLERE ha: Indicat. Pres. Io soglio, tu
suoli, quegli suole; noi sogliamo , vai solete,
quelli sogliono.
Imperf. Io soleva, o solea, tu solevi ec.
Soggiunt. Pres. Io soglia, tu sogli, o soglia,
quegli soglia; noi sogliamo , voi sogliate , quelli
sogliano.
Imperf. Io solessi , tu solessi ec.
Gerund. solendo. Partic. Pass. solito.
Lice, o Lece è la sola voce del Verbo Licere,
o Lecere; che non s'adopera neppure all'Indefinito.
SEZIONE IV.
DELLE PREPOSIZIONI, DEGLI AVVERBI,
DELLE CONGIUNZIONI, E DEGLI
INTERPOSTI.
CAPO I.
DELLE PREPOSIZIONI.
Le Preposizioni, come si è detto a principio,
sono le parole di, a, da, in, con, per, è simi-
lij‘che si premettono ai Nomi; per esprimere le
relazioni di una cosa col'altra, come: Questo camp-
po è di Cesare, Antonio è in Roma; Pietro pas-
seggia con Paolo ec.
Premettonsi per la stessa ragione anche ai Pro-
nomi, di lui, a lei; ed agli Aggettivi adoperati
assolutamente, come per molto, con poco, ove
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però sottintendesi Tempo , Spazio , Affare , De-
naro , o altro Nome somigliante.
E si premettono pure ai Verbi Indefiniti che
allora fanno le veci de' Nomi, come Egli ha bra-
ma di vivere, cioè della vita; È intento a stu-
diare , cioè allo studio ec.
Noi qui ne esporremo le principali, indicando
i varj significati , a cui servono più comunemente.
DI
La Preposizione DI si usa principalmente quan-
do ad un Nome si vuole aggiungerne un altro,
che ne esprima qualche determinazione, o qualifi-
cazione , a quel modo che farebbe un Aggettivo ,
come Le colonne di marmo, Il mar di Toscana,
che tanto valgonò , quanto il dire le colonne mar-
moree; il mar toscano. Il suo senso poi più co-
munemente è quello di indicare a chi appartenga
la cosa espressa dal Nome, come I cempi di Ce-
sare; o chi ne’ sia l’Autore, come Le opere di
Cicerone; o di qual materia sia composta, come
I vasi d'oro.
Alcune volte il Di sembra corrispondere al
significato di varie altre preposizioni, come A, Da,
In , Per, Con , Tra; ma queste preposizioni allo-
ra vi si sottintendono insieme con un altro Nome.
Così Aver invidia di uno significa alla fortuna di
uno ; Partir di Roma vale dalla Città di Roma;
Esser nato dal tal anno vuol dire nel corso del tal
anno ; Morire di tanti anni significa nell’età di tanti
anni ; Esser di guardia, o di servigio corrisponde
a esser nello stato, o nella occupazione di guar-
dia, o di servigio ; Esser di noja, o di piacere.
vuol dire esser cagione di noja, o di piacere; La-
grimar d'ellegrazza è lo stesso che per cagione di
allegrezza; Perir di saétta. vuol. dire con: un colpo
/ BEGIN PAGE 88 /
di saetta: Uno di questi, Il primo di quelli si-
gnilica tra 'l numero di questi, o di quelli; Tanto
di tempo è come tanto spazio di tempo; Essere
più o men grande d'un altro significa a confronto
d' un altro.
La Preposizione di alle volte si tace, come
A casa il Medico, A porta S. Gallo, La Dio
mercè , La costui fortuna, Il cui valore, Le altrui
sostanze in luogo di dire a casa del Medico, a porta
di S. Gallo, per la mercè di Dio, la fortuna di
costui, il valore di cui, le sostanze d' altrui.
A.
La Preposizione A generalmente signifin ten-
denza o direzione a qualche luogo ; o a qualche
cosa, come Andare a Roma; Volgersi a qualche
parte; Dar qualche cosa a qualcuno. Si usa però
ancora coi Verbi togliere, levare, rapire, e si-
mili, come Togliere ad uno, Rapire ad un altro
alcuna cosa.
Coi Verbi che esprimono moto a luogo a or
s' adopera la preposizione A, ed ora In, come
Andare a casa, e Andare in casa; ma Andare
a casa vuol dir verso casa, e in casa significa
dentro la casa.
La stessa differenza è coi, Verbi di stato in
luogo: laonde Essere a Roma vale essere nelle vi-
cinanze di Roma; Essere in Roma vale star den-
tro Roma.
Quando il termine, a cui il motore diretto, è
un Nome personale, o un Pronome, invece di A
spesso si adopera Da, come verrò da Voi, anderò
da Lui.
Qualche volta all' incontro, si usa A per Da,
come nel Boccaccio gior. 2. nov. 6. Amenduni li
fece pigliare a tre servitori cioè da tre servitori;
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e gior. 3. nov. 1o. Udendo a molti commendare
la cristiana fede, cioè da molti.
E spesso pure si adopera A invece di Con,
come nel Boccaccio medesimo. Nutricata a latte
d'asina, e come quando si dice Una nave a vela,
o a remi; un oriuolo a molla, o a pendolo; una
veste a fieri, o a liste ec. e quando dicesi Stare
a capo chino, a mani giunte, a occhi chiusi.
Si dice parimente Star bene o male ad arnese,
o a denari, cioè circa all’ arnese, o ai denari; e
il. Boccaccio disse gior. 9 nov. 5. Cotesti tuoi
denti fatti a bischeri , cioè simili ai bischeri.
DA.
La preposizione Da significa in 1.° luogo di-
ipendenza di una cosa da un'altra; perciò coi Verbi
passivi il Nome, da cui dipende l’azione, con
questa preposizione si suole accompagnare , come:
Cartagine fu fabbricata da Didone, e distrutta
da Scipione: qualche volta però in questo senso
adoprasi anche la preposizione Per, come Quello
che per me si può fare, cioè da me.
2.° Significa origine, come nascere, scaturire,
provenire, derivare da qualche luogo, o da qual-
che cosa; e in questo senso pur si dice Raffaello
da Urbino, Cino da Pistoja ec. per indicare le
città da cui hanno avuto l'origine. Per indicare
però i paesi gi adopera invece ‘la preposizione Di,
come Fui di Sardegna. Bocc. gior. 3. nov. 8.
3.° Significa separazione, e allontanamento,
come Uscire, partire ec.da qualche luogo; Divi-
dere, staccare; rimovere ec. una cosa da un’altra.
Coi Verbi però Uscire se Partire: si usa anche la
preposizione Di, come Partir di Roma , Uscir
di casa.
Oltre a questi significati la preposizione Da ne
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ha pur varj altri, come Egli non è terreno da
viti, cioè acconcio alle viti ec.; Egli è Uomo da
ciò, vale a dire abile a ciò fare; Egli opera da
Uomo onesto, cioè come ad uomo onesto convie-
ne; Non era da farne tanto schiamazzo, cioè
non si dovea, non importava, non era mestieri
farne tanto schiamazzo. Così si dice. Esser da be-
ne; Esser da poco, da molto, da più, da meno,
da troppo, da nulla, da tanto, cioè esser atto
a poco, a molto ec. Nelle asserzioni si dice Da
Galantuomo, da Uomo onesto, cioè sulla fede di
Galantuomo ec. Si dice pure Vi è da cena, da
desinare, da dormire, cioè quanto si richiede alla
cena, al dcsinare, al dormire.
S' adopera parlandosi d'un numero dubbioso
nel significato di circa, come Vi eran da venti
persone; Sono da dieci giorni.
Coi nomi personali significa una, o più per-
sone sole, senza altrui compagnia, come Egli sta:
da sè. E in questo caso vi s'aggiunge anche Per,
come Egli sta da per sè, o di per sè.
Io sono passato. da casa vostra, vuol dire
innanzi alla casa vostra, son passato da Bologna,
da Modena, vuol dire per Bologna, per Modena.
Quelle espressioni de’ Poeti: Dalle bionde chio-
me, dagli occhi neri ec. significan avente le chio-
me bionde, e gli occhi neri.
Da giovane, da vecchio significan mentre uno
è o era giovane, o vecchio.
IN.
La preposizione In si adopera primieramente
per esprimere le circostanze di luogo, di tempo ec.
in cui uno si trova, come Essere in città , o in
villa; Essere nel tal mese, o nel tal anno; Es-
sere in pace o in discordia; Essere in toga, o
in farsetto ec.
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Si usa pure coi Verbi di moto, alla guisa che
già si è detto, come Ander in casa; cader in
terra; colpir nel segno ec.
PER.
La preposizione. Per ha varj significati. Espri-
me primieramente l’ esistenza di un oggetto non
fissa ma variabile in un certo spazio, come Es-
sere per l'Europa, Essere per l'Oceano, cioè ora
in un luogo, ora in un altro dell'Europa, o del-
l'Oceano; e adopera anche per accemnar varj luo-
ghi in cui avvenga una cosa medesima, come nel
Boccaccio introd. Per le sparse ville, e per gli
campi, e per gli loro colti, e per le case di dì,
e di notte morieno.
2. Significa la cagione che ci muove a fare
una cosa, e il fine per cui si fa, come Tacer per
vergogna; Lavorar per guadagno.
3. Dinota il mezzo di aver qualche cosa, ce-
rie Egli ha ciò ottenuto per l'intercessione, per
l’opera , per le preghiere vostre, cioè per mezzo
dell’ intercessione ec.
4. Si dice Guidar per mano; Prendere per un
braccio, Tirar pe’ capegli, affine di indicare in che
parte sopra di un altro tali azioni si esercitino.
5. S' usa come il Pro dei Latini per signifi-
care a favore, a nome; in vece, come le parle-
rò per voi, che vuol dire tanto a favor vostro,
come a vostro nome, e in vostra vece.
6. Accenna distribuzione, come Tanto per
giorno ; Tanto per testa ec.
7. Significa l'essere in procinto di far qual-
che cosa, come Sta per partire, per morire; per
affogare ec. .< . ° o
8. Esprime durazione, o continuazione, come
Correre per un miglio; Faticare per tutto un giorno.
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9. Accenna il mezzo, o il canto dell'origine, e
della discendenza di uno, come Egli per Padre
discende dalla tale famiglia, per Madre dalla
tal altra.
1o. Equivale a Come, o A proporzione, per
esempio. Tener per fermo; Creder per vero , cioè
come fermo, come vero : Il tale per giovine è
assai prudente, o per l' età sua è assai grande,
cioè a proporzione dell’esser giovine, o della sua età.
11. Ha forza talvolta di Benchè, come Per
molto pregare, o per molto che pregasse, o per
molto pregar che facesse non l'ottenne, cioè ben-
chè molto pregasse.
12. Gli si sottintende spesso Amore, Interces-
sione, Opera, Servigio, Timore, Riguardo , come
Il fo per voi, altrimenti io nol farei, cioè per
amor vostro, in grazia vostra, per vostro riguar-
do; Per me è cosa troppo faticosa; cioè rispetto
a me, per riguardo a me; Pel castigo se ne trat-
tiene, cioè per timor. del castigo.
13. S' adopera nelle preghiere, e nei giura-
menti per esprimer l’ oggetto in grazia di cui la
persona pregata si debba movere; ovvero l'og-
getto, che si chiama per testimonio, e malleva-
dore della verttà di ciò, che si giura; come Pre-
govi per quanto avete di più caro; Giuro per
quanto v' è di più sacro.
CON.
La preposizione Cen esprime la relazione di
compagnia, di stromento, e di modo, come An-
dare, o venir con alcuno; Lavorar colla lima,
col pennello , collo scarpello ; Fare una cosa con
piacere , o con dolore , con facilità, o cor diffi-
coltà, con destrezza , con buon garbo ec.
Coi Nomi personali il Con si può incorporare
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in una sola parola, e dire Meco, Teco, Seco,
Nosco, Vosco; (benchè i due ultimi sono piuttosto
del verso) , si può anche tuttavia repicare il
con dicendo con meco, con teco ec.
SENZA.
La prepositione Senza esprime la privazione
di compagnia e di stromento, e s'adopera o sola,
o colla preposizione Di, come senza voi, e senza
di voi, sottintendendo la compagnia di voi. S'ado-
pera anche in significato di Oltre, come nel Bocc.
gior. 5. nov. 9. Signor mio, senza le vostre paro-
le, m' hanno gli effetti assai dimostrato della vostra
benevolenza, cioè oltre alle vostre parole.
INFRA, INTRA, FRA, e TRA.
Queste preposizioni esprimono l' esistenza di
una cosa in mezzo ad una, o più altre. Quindi
si dice Stare fra 'l timore, e la speranza, cioè in
mezzo a questi due affetti; Dir fra sè, o fra suo
cuore, cioè dentro di sè, dentro al suo cuore; In-
contrare uno tra via, cioè per la via, o in mez-
zo alla via; Innoltrarsi fra'l mare, fra il bosco,
fra l'isola , cioè dentro , o in mezzo al mare, al
bosco all’ isola; [...] ha uno fra gli altri, cioè in
mezzo agli altri, nel numero degli altri; Tra que-
sto e quello non so qual sia il migliore, cioè io
sio sospeso in mezzo all'una, e all'altra delle due
cose, e non so decidere qual sia la migliore ;
Verrò fra tre giorni, cioè dentro allo spazio di
tre giorni Qualche volta vi si aggiugne anche la
preposizione Di. come Fra di noi, cioè nel mez-
zo, o nel numero di noi.
Nelle enumerizioni ha lo stesso significato che
parte parte , come nel Boccaccio gior. 8. nov. 6.
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Ragunata adunque una buona brigata tra di gio-
vani fiorentini , che per la villa erano , e di la-
voratori disse Bruno, ec. cioè parte di giovani
fiorentini, e parte di lavoratori.
DELLE ALTRE PREPOSIZIONI
Oltre alle riferite fim qui varie altre preposi-
zioni si annoverano da’ Gramatici , come Dentro,
o Entre, Fuora, o Fuori ; Circa , Intorno , o
Dintorno, o Attorno; Sopra, o Su; Sotto; Pres-
so, o Appresso , o Appo , o Vicino; Lungi, o
Lontano , o Discosto; Rasente; Lungo ; Verso,
o Inverso: Fino, o Infino; Sino, o Insino; Ol-
tre; Avanti , Davanti, Innanzi, Dinanzi, Anzi;
Prima, o Pria; Dietro; Dopo; Contro o Contra;
Giusta, o Secondo; Eccetto, o Salvo; e Quanto.
Ma tra queste alcune son Aggettivi, come Vi-
cino, Lontano, Discosto, Eccetto, Salvo; altre
sono Avverbj, come Dentro, Fuori, Sopra, Sotto ec.
I Gramatici le chiamano Avverbj quando non
reggono alcun Nome, e quando reggono un Nome
le chiamano Preposizioni. I Nomi però non sono
mai retti propriamente da esse; ma da qualche
vera preposizione o espressa , o sottintesa.
Infatti Dentro, Entro, Sopra, Sotto, Presso,
Verso, Inverso, Avanti, Dietro, sono seguite or-
dinariamente dalle preposizioni Di, o A, come
Dentro della casa , o alla casa ; Sopra del colle,
al colle.
Fuora, Fuori, Prima, Dopo, Contro, dalla
preposizione Di, come Fuori di città, Prima di
giorno.
Lungi , e Lontano dalle preposizioni Di, De
e talvolta anche A, come lungi di qui, Lungi
de Roma, Lungi ai rumori.
Fine, Infino, Sino, Irsino dalle preposizioni
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Da, o A, secondo che il Verbo esprime avvici-
namento , o allontanamento da qualche termine,
come È giunto sino a Napoli; È venuto fin dal-
l'America. I
Vicino, Davanti, Dinanzi, Circa, Intorno ,
Dintorno , Attorno, Oltre, Lungo, Rasente, e
Quanto dalla preposizione A, come Vicino a voi,
Davanti a me, Circa a questo, Intorno a lui, Ol-
tre a ciò, Quanto all’uffizio mio; e nel Boccaccio
giorn. 7. in fine Lungo al pelaghetto; e in Franco
Sacchetti nov. 129. Rasente a quella pentola.
CAPO II.
DEGLI AVVERBJ
Gi Avverbj servono ad esprimere le determina-
zioni e qualificazioni de' Verbi in quella guisa , che
gli Aggettivi esprimon quelle de’ Nomi.
Ogni Avverbio di sua natura equivale ad una
preposizione, e ad un Nome o solo, o accompa-
gnato da un Aggettivo. Così Qui significa in que-
sto luogo: Ora ir questo tempo, Prestamente con
prestezza , Lentamente con lentezza ec.
Fra gli Avverbi si pongono alcune maniere,
ove la preposizione , e il Nome sono espressi di-
stintamente, come Per verità, Per certo, Da
senno, e simili. Queste maniere non potendosi pro-
priamente chiamare Avverbj, da noi si diranno
Modi Avverbiali.
Gli Avverbj poi, e i Modi Avverbiali posson
distinguersi in cinque classi, 1.° di affermazione, e
negazione, 2.° di tempo, 3.° di luogo, 4.° di quan-
tità, 5.° di qualità.
Noi verremo accenandone i principali, il che
pur gioverà a far copia di que’ termini, che più
frequentemente vengono ad uso.
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AVVERBJ DI AFFERMAZIONE E NEGAZIONE.
L’ affermazione , e la negazione può farsi o
assolutamente , o con dubbio.
Fra gli Avverbj di affermazione, e negazione
assoluta si pongono principalmente Sì, e No, i
quali però non equivalgono solamente ad una pre-
posizione e ad un Nome, ma all'intera proposi-
zione Ciò è vero; Ciò è falso. Pongonsi pure Bene,
e Volentieri (non Volontieri), i quali significano
Va bene; Il farò volentieri.
Gli altri Avverbj, e Modi Avverbiali di af-
fermazione assoluta sono : Assolutamente, certa-
mente , certo , per certo , di certo, francamente,
sicuramente , veramente, per oerità, in verità,
in vero. In fatti, di fatto. Appunto, per l'ap-
punto , propriamente , precisamente. Infallibil-
mente, infallantemente, senza fallo. Indubitata-
mente, senza dubbio, senza meno. Affè , per
mia fè, in fede mia. Da senno, da buon senno.
Da galantuomo , da uomo onesto. Come Certa-
mente ei vi fu; E così assolutamente; È così ap-
punto ; È così di fatto; Ve ne assicuro da uomo
onesto ec.
Per la negazione assoluta servono gli Avverbj
medesimi, ove il Verbo sia accompagnato dal non.
Essa però ne ha inoltre alcuni suoi proprj e par-
ticolari, e sono. Mica, punto, per nulla, per
niente, nulla, niente , niente affatto, i quali tutti
amano d'esser posti dopo del Verbo, e che il Ver-
bo sia tuttavia preceduto dal non ; come Ei non
è mica giunto; Non l'ama punto, niente, niente
affatto.
AVVERBJ di Dubbio. Forse, che equivale a
può darsi, può essere Se mai, se a caso, se per
avventura , che esprimono una condizione dubbio-
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sa. Circa, incirca, all'incirca , intorno a, presso
a, a un di presso, presso a poco, quasi , pres-
sochè , i quali indican una quantità incerta.
AVVERBJ DI TEMPO.
Presente. Ora, adesso , presentemente , al
presente , attualmente, di presente (che vuol dir
anche subitamente) .
Passato. Poco fa, poc'anzi, dianzi, or ora,
testè (che significa anche in questo punto), di fre-
sco, recentemente. Già, una volta, anticamente.
Prima, in prima , avanti , innanzi, anzi. Per
l'addietro, in addietro , per lo passato.
Futuro. Fra poco, in breve, di corto. In.
avvenire, per l'avvenire, da qui innanzi, di qua
in avanti, quando che sia.
Per significare la successione d’ una cosa ad
un’ altra, o di un tempo ad un altro. Appresso,
dopo, indi, quindi, quinci, poscia, poi, di poi,
dappoi , d'allora, o da quell'ora, o da quel
punto in poi, o in appresso.
Per significare l' avvenimento di due, o più
cose nel medesimo tempo. Intanto , frattanto ,
mentre, in quel mentre, in questo , in quello,
in questa, in quella.
Per esprimere prontezza, e celerità. Subita-
mente, subito, tostamente, tosto , tantosto , pre-
stamente, presto , ratto, di presente, immanti-
nente, incontanente , prontamente , speditamente.
Per esprimere tardanza, e lentezza. Tardi,
adagio, a bell’agio, lentamente, pian piano,
bel bello, passo passo, poco a poco.
Per esprimere un tempo continuato. Continuo,
di continuo, continuamente, continuatamente.
Per significare, che una cosa dura anche al
presente. Tuttora , tuttavia, ancora, peranco.
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Per significare, che è durata sino al presente.
Finora, fino ad ora, infino ad ora.
Per un tempo limitato. Finchè, infinchè, fino
a tanto che
Per un tempo interrotto. Di quando in quan-
do , di tratto in tratto, interrottamente.
Per esprimere variazioni d’accidenti, o di fatti
in diversi tempi. Ora, ora; quando, quando;
adesso , adesso.
Per significare un tempo lungo. Molto, assai,
lungamente , a lungo, a dilungo.
Per un tempo breve. Poco, non guari, bre-
vemente, in breve, in poco d'ora.
Per significare in qualunque tempo. Qualora,
qualvolta , ogni qual volta, quando che sia.
Se una cosa medesima suol avvenire più volte
in diversi tempi. Spesso , di spesso, spesse volte,
spesse fiate, sovente, soventi volte, soventemente,
più volte, assai velte, frequentemente, di fre-
uente.
Se tutte le volte. Sempre, mai sempre, sem-
pre mai , ognora, ogni volta.
Se quasi tutte. Il più, per lo più, il più delle
volte, le più volte.
Se poche. Raro, rado, di raro, di rado,
rare, o rare volte.
Se alcune volte soltanto. Alle volte, talvolta,
talora, qualche volta, qualche fiata.
Mai vuol dire in alcun tempo, e volendo
esprimere in nessun fempo conviene aggiungervi il
non, come Non è mai venuto; e sarebbe inesatto
il dire invece: Mai è venuto, o È mai venuto.
Giammai , unqua, unquemai han lo stesso
significato. Unquanco equivale all’'unquam adhuc
dei Latini, o mai ancora: e non son da appro-
varsi quelli che l’usano per mai semplicemente.
Omai, ormai, oggimai talvolta significan alla
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fine, e talvolta ora quasi: come. Egli è tempo
oggimai che vi risolviate a tornare, cioè alla fi-
ne; Sono ormai sette mesi, che voi mancate di
qui , cioè sono ora quasi sette mesi.
Oggidì vuol dire a questi giorni. Oggi, jeri,
e domani per sè sono veri Nomi, come Oggi è
Lunedì, domani è Martedi , e quando s' adopran
come avverbj si sottintende loro la preposizione In.
Finalmente, alla fine, in fine, ultimamente,
per ultimo, in ultimo si adopran nelle conclusioni,
e per indicare il termine d’ una cosa qualunque.
AVVERBJI DI LUOGO.
Qui e Qua significan in questo luogo; Costì,
e Costà in cotesto luogo; Lì, Là, Colà, Quivi,
Ivi in quel luogo. Ivi, e Quivi però non s’adope-
ran, che parlando d'un luogo già nominato; e non
si possono come gli altri unire colle prefiosizioni ,
ma in cambio di dire di ivi, o di quivi, sì dice
Indi, e Quindi, come Indi è partito, Quindi è
venuto. Lì non si adopera che parlando d’un luo-
go vicino. Onde, o Donde signitica da quale, o
dal qual luogo, come Onde, o Donde venite? Ove
in quale, o nel qual luogo; Altrove in altro luo-
go; Altronde da altro luogo; Ovunque in qualun-
que luogo; Per tutto, e Da per tutto in tutti i
luoghi; Su, e sopra nel luogo superiore; Giù, e
sotto nel luogo inferiore; Entro, dentro, per en-
tro, addentro nel luogo interiore; Fuori, fuora,
di fuori, di fuora nel luogo esteriore: Avanti,
davanti, innanzi, nanti nel luogo anteriore; Die-
tro nel luogo posteriore; Appresso, o presso , o
vicino in un luogo vicino; Lontano , o lungi in
un luogo lontano.
Gli altri sono: A parte, in disparte, da un
canto, da un lato, da una parte; A fianco, ac-
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canto , allato; Dirimpetto , di rincontro , incon-
tre, di contra, di contro; Attorno, d'attorno,
intorno , d'intorno; Addosso ; Quassù; Quaggiù;
Lassù; Laggiù ; Costassù ; Costaggiù; In alto,
o all'alto; Al basso, abbasso, o da basso; In
fondo , o al fondo.
AVVERBJ DI QUANTITA’.
Tanto o cotanto , e quanto , invece di cui
s'adoperan anche così, e come ; ne sono i primi.
Gli altri sono: Più, e meno, o manco. Molto ,
assai, grandemente, d'assai, di gran lunga, di
molto. Troppo, soverchio , soverchiamente, senza
modo , oltremodo , senza misura , oltre misura,
smisuratamente. Affatto , appieno , pienamente,
compiutamente , al tutto, del tutto. Abbastanza,
assai, sufficientemente. Il più , per lo più, per
la più parte, per la maggior parte. Ancora, an-
che, eziandio, pure, pur anco, puranche. Di più,
inoltre , oltre ciò , oltracciò. Solo , soltanto, so-
lamente, unicamente, senza più. Almeno, alman-
co. Neppure, nemmeno , nemmanco , neanche.
Poco, scarsamente. Alquanto , alcun poco, qual-
che poco, in parte, in qualche parte. Nulla,
punto ec.
AVVERBI DI QUALITA'.
I principali sono Bene, meglio, benissimo,
ottimamente. Piuttosto , più presto , avanti ; in-
nanzi, anzi, prima, che s'usan tutti nel medesimo
senso, e significan preferenza di una cosa ad un'al-
‘tra. Male (che significa anche difficilmente , co-
me Mal si può uscire di questo impaccio), ma-
lamente , peggio , malissimo , pessimamente. Co-
me, siccome, a modo di, a foggia di, a guisa
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di, a maniera di, Così, similmente, parimente,
medesimamente , egualmente, al pari. Altrimenti,
o altramente, diversamente, differentemente. Al-
l’incontro, al contrario, all'opposto , per lo con-
trario. Volentieri, di buon grado, di buona vo-
glia. Mal volentieri, di mala voglia, a mal gra-
do. Ad onta, a dispetto. A posta, a bello stu-
dio, avvertitamente , di proposito , espressamente.
A senno, a talento, a capriccio, a sua posta, a
suo genio, a sua fantasia. In balìa, o alla balìa.
In palese, in pubblico, palesemente , pubblicamen-
te, all’ aperto, alla scoperta. Di nascosto, di
soppiatto , nascostamente, celatamente.
Oltre gli Avverbj qui riferiti, ve n’ ha infiniti
altri, che si formano col dare agli Aggettivi la ter-
minazione in mente , come dettamente, prudente-
mente ec. e hanno anch'essi i loro comparativi che
si fanno coll’ aggiungervi più, o meno, trattine
meglio , e peggio , che sono comparativi per sè
stessi di bene, e male; hanno i superlativi, che
si formano col terminargli in issimamente , come
dottissimimente , prudentissimamente.
Alcuni hanno usato talvolta, seguendo due
Avverbj terminati in mente, di troncare il primo,
dicendo chiara, e distintamente; prudente , e
giudiziosamente invece di chiaramente , prudente-
mente. Ma dai buoni Scrittori quest’uso non è se-
guito, se non quando l’Avverbio troncato ha sen-
so avverbiale da sè medesimo, come prima, e
principalmente, forte, e vigorosamente, ove pri-
ma, e forte equivalgon da sè a primamente, e
fortemente.
CAPO III
DELLE CONGIUNZIONI.
Le Congiunzioni si dividono in varie classi se-
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condo i diversi usi, a cui si adoprano. Alcune si
chiamano Copulative, perchè si usano nelle Pro-
posizioni, ove si abbiano ad unire più cose che fra
di loro convengano; altre Negative, perchè si usa-
mo nelle Proposizioni, ove più cose si abbiano a
negare; altre Disgiuntive, perchè si adoperano
quando una cosa dall’ altra sì vuol disgiungere, o
separare ; altre Aggiuntive, perchè si adoperano
quando una cosa all'altra si vuol aggiungere; altre
Dichiarative, perchè si usano quando una cosa si
vuol dichiarare maggiormente ; altre Dubitative,
perchè serveno nelle Proposizioni , in cui fra due,
o più cose si esprime alcun dubbio; altre Causali,
o Dimostrative, perchè si adoperano quando di una
cosa si vuol esporre la cagione, o la prova; altre
Illative, perchè servono, quando dalle cose pre-
cedenti si vuol cavare una illazione, o una conse-
guenza; altre Condizionali, perchè uniscono le Pro-
posizioni, che esprimono qualche condizione; altre
finalmente di Somiglianza, o Dissomiglianza, di
Ordine, o Distribuzione, di Motivo, o Fine,
perchè si adoperano quando si vuol esprimere la,
somiglianza, o dissomiglianza di una cosa con l’al-
tra, o si vogliono più cose riferire per ordine, o
si vuol indicare il motivo, per cui alcuna cosa si
fa, o il fine, a cui è diretta.
Secondo queste divisioni eccone le principali.
COPULATIVE. E, ed.
NEGATIVE. Nè, nemmeno, neppure, nem-
manco, neanche. I .
DISGIUNTIVE. O, ovvero , ossia, oppure, o
veramente.
AGGIUNTIVE. Anzi, che anzi, anche, ancora,
eziandio, puranche, pure, come Anch'egli fuggì,
o Egli pure fuggì. Inoltre, oltreciò, oltracciò ,
oltrechè. Non solo, ma anche. Non che.
DICHIARATIVE. Cioè , vale a dire, cioè a
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dirvi al qual uso s'adopera talvolta anche o, os-
sia, come la Retorica , ossia l'arte di ben dire.
DUBITATIVE. Se, o, ovvero, oppure, come
Non so se vada, oppur venga.
Causali, o DIMOSTRATIVE. Imperocchè ,
imperciocchè , perocchè, perciocchè , poichè, giac-
chè, perchè, come quello che; per esempio L’ozio
dee fuggirsi , come quello che è il padre de’vizj.
ILLATIVE. Dunque, adunque, per il che (me-
glio detto che per lo che), il perchè, per la qual
cosa, laonde, onde, perciò, imperò, epperò.
CONDIZIONALI. Se, se pure, purchè, qualo-
ra, quando, dove, come Il farò, se potrò, o se
pure potrò, o purchè, qualora, quando, dove io
possa.
DI SOMIGLIANZA. Siccome , come, in quel
moda, in quella guisa, in quella maniera, a
quella foggia che ec. Così, non altrimenti, pari-
mente , similmente, medesimamente, allo stesso
modo , nella stessa guisa ec.
DI DISSOMIGLIANZA. Quantunque , sebbene,
ancorchè , tuttochè , avvegnachè , comechè. Pure ,
tuttavia, tuttavolta, con tutta ciò, ciò non ostan-
te, ciò non per tanto, nondimeno. A queste si
riferiscono anche ma, e però , le quali indicano
opposizione , come Egli il volea, ma non potè.
DI ORDINE, E DISTRIBUZIONE. Pria, pri-
ma, primamente , avanti, innanzi. Poi, dipoi,
indi, quindi, in appresso , in seguito , poscia.
Primachè , avantichè, anzichè. Dopochè , dap-
poichè , poichè, dacchè. Primieramente, seconda-
riamente, o in primo luogo, in secondo luogo, ec.
DI MOTIVO, O FINE. Acciocchè, affinchè,
perchè , onde.
Molte delle Congiunzioni sono tratte dagli
Avverbj, e dai Modi Avverbiali, come è facile a
vedere, massimamente nelle Aggiuntive, e in quelle
di Somiglianza, e di Ordine.
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Si osservi che pure, quando significa ancora,
e però, nel senso di ma, non si usano mai al
principio della Proposizione, ma sempre dopo
qualche parola, come Egli pure vi fu; Egli però
non volle concorrervi. Lo stesso per lo più si fa
con adunque , come Io dico adunque; ciò prova
adunque ec.
CAPO IV.
DEGL' INTERPOSTI.
Gl' Interposti equivalgono ad un’ intera Propo-
sizione, come Ahi! che è quanto dire: Io son
dolente, o Io sento dolore. È siccome si assomi-
gliano alle grida naturali, così esprimono come
queste diversi affetti dell’animo. Eccone i principali.
ALLEGREZZA. Oh, a cui se si unisce un No-
me personale, o un pronome dee porsi all’accusa-
tivo, come Oh me avventuroso! oh lui beato! non
già oh io avventuroso! oh egli beato!
Viva, evviva, bene, buono.
DOLORE. Ah, oh, ghi, chi, e unendovi il
primo nome personale ahimè, ohimè. Invece del-
l’ accusativo ammetton essi eziandio il genitivo, e
il dativo, come Ahi meschino di me! Ahi mi-
sero a me!
Quando vi son gli Aggettivi beato, misero ec.
esprimenti la felicità, o la sciagura, che in noi
cagionano l’allegrezza, o ’l dolore; gl’ interposti
sovente si ommettono, come Me misero! Felici voi!
Lasso , che equivale a misero, si usa ancora
senza aggiungervi il Nome personale, o il prono-
me, come Lasso! che deggio io fare? Lasso! a
che stato l' iniqua fortuna lo ha ridotto! cioè
lasso me, lasso lui..
/ BEGIN PAGE 105 /
IRA, E DISPREZZO. Doh, oh, puh, guarda,
guata, ve' , oibò, via.
MINACCIA. Guai , e richiede il dativo, come ì
Guai a te, guai a voi!
MARAVIGLIA. Oh, doh, puh, poffare, viva 'l
Cielo, Dio buono!
DESIDERIO, E PREGHIERA. Deh, oh, oh se,
così, pure; come Oh se potessi; Pur mi fosse
lecito; Così la fortuna mi secondasse!
TIMORE. Oh, oh Dio , ohimè, sta. Questo
s'adopera per esprimere l’aspettazione di qualunque
cosa, che credasi dover avvenire, ma più d’ ordi-
nario quando non si vorrebbe, ch' ella avvenisse;
come Sta ch' ei mi coglie; Sta ch’ ei mi gabba ,
cioè sta a vedere.
Oltre a questi ve ne sono alcuni, i quali non
esprimono niun affetto , ma che si collocan tuttavia
fra gli Interposti, perchè equivalgono anch'essi ad
una intera Proposizione. Tali son quelli |
DI AFFERMAZIONE, E APPROVAZIONE. Sì ,
bene, buono, sibbene, maisì.
DI NEGAZIONE, E DI RIMPROVERO. No ,
non già, mainò, eh via, oibò.
PER CHIAMARE. Eh, olà, oh oh.
PER FAR ANIMO, Su, via, alto.
PER FAR TACERE, O STAR CHETO. Zì, zit-
to, piano, cheto.
PER INDICARE. Ecco, eccoti.
PER INTERROGARE. Ebbene ? Come? Che?
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GRAMATICA
RAGIONATA
DELLA LINGUA ITALIANA
LIBRO II
DELLA SINTASSI.
La greca voce Sintassi derivante dalle due syn
con, e tasso erdino, propriamente sienifica coor-
dinazione, ossia ordinata disposizione, e connessio-
ne di più cose.
Or le regole della Sintassi gramaticale s'aggi-
rano appunto sulla maniera. di accordare , unire ,
ordinare fra loro le parti del discorso; e sono di
tre specie, vale a dire 1. Regole di Concordanza;
2. Regole di Reggimento; 3. Regole di Costru-
zione.
SEZIONE I.
DELLE CONCORDANZE.
La Concordanze riguardano 1. la maniera con
cui deve accordarsi l'Aggettivo col Nome; 2. quel-
la con cui si deve accordar il Verbo col Soggetto
della proposizione.
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CAPO I.
CONCORDANZA DELL'AGGETTIVO
COL NOME.
L'Aggettivo, come già altrove si è accennato,
si deve sempre accordare in genere, e in numero
col Nome, al quale appartiene. Perciò un Colom-
bo si dice bianco, e una Colomba dianca, e se
son più, i Colombi si dicon bianchi, e le Colom-
be bianche.
Alla stessa guisa accordar si debbono co’ loro
Nomi gli aggiunti di titolo, di dignità, di profes-
sione, come il Re Tolemeo, la Regina Cleopa-
tra , il Poeta Omero, la Poetessa Saffo ec.
Nello stesso modo parimente coi Nomi, a' quali
si riferiscono, accerdar si debbono i Pronomi.
Perciò se il Nome espresso innanzi sarà maschile ,
sì dirà egli, costui, colui ec., se femminile, ai
dirà ella, costei, colei, e così degli altri.
Finalmente anche l'articolo si dee sempre ac-
cordare col suo Nome in genere, e in numero,
onde si dice il Colombo , la Colomba, i Colom-
bi , le Colombe.
E qui si avverta, che quando si succedono
più Nomi di diverso genere, o di diverso nume-
ro, a ciascuno si deve adattare l’ articolo, che gli
conviene ; onde si dirà i Monti, e le Valli, non
i Monti, e Valli.
Se i Nomi, che si succedono, sono della
stesso genere, e dello stesso numero può anche
bastare l'articolo dato al primo soltanto, senza ri-
peterlo dinanzi agli altri; ma il ripeterlo innanzi a
ciascuno è di miglior uso. Si dirà adunque piutto-
sto le Colline, le Valli, e le Pianure, che le
Colline , Valli, e Pianure.
/ BEGIN PAGE 108 /
Quando a più Nomi uniti insieme s'adatta un
medesimo Aggettivo, questo suol esser plurale,
ancorchè ciascuno de’ Nomi sia singolare, come
Demostene , e Cicerone insigni Oratori.
Ove si tratti di cose animate, se un de' Nomi
è maschile, tale suol esser ancor l’Aggettivo, co-
me il Padre, e la Madre a me carissimi.
Per le cose inanimate l'Aggettivo prende il
genere del Nome più vicino. Anche in queste però
il maschile suol preferirsi al femminile; onde si dirà
piuttosto molte case, e molti templi incendiati,
che molti templi, e molte case incendiate. ’
CAPO II.
CONCORDANZA DeL VERBO COL SOGGETTO
DELLA PROPOSIZIONE.
I Verbi s'accordano sempre col loro Soggetto in
persona, ed in numero : come io parlo, tu parli,
quegli parla; noi parliamo; voi parlate ec.
Nei tempi composti, quando il Verbo, si co-
struisce coll’ essere i Participj s’ accordano pur col
Soggetto in genere, e in numero, come egli è
venuto , ella è venuta , e nel plurale eglino sono
venuti, elleno sono venute.
Quando il Verbo si costruisce coll’ avere, il
Participio o ritiene la terminazione in o, oppure
s'accorda col Nome, sopra cui cade l’ azione del
Verbo: laonde si dice egualmente Io ho scritto
una lettera, e ho scritta una lettera.
Se il Verbo conviene a più Nomi, cioè se nel-
la proposizione vi son più Nomi, che servono di
Soggetto , il Verbo suol essere comunemente plu-
rale, ancorchè ciascuno di tali Nomi sia singolare,
come Orazio, e Virgilio sono stati eccellenti Poeti.
E se questi Nomi son di diverse persone, il
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Verbo si accorda colla prima piuttosto ehe colla
seconda, e colla seconda piuttosto che colla terza,
come Io e tu siamo concordi; Tu e Paolo siete
discordi.
Coi Nomi collettivi, cioè con quelli che signi-
ficano adunanza di più persone, o di più cose, co-
me popolo, turba, esercito, presso gli Antichi si
trova qualche volta il Verbo al numero plurale,
benchè tali Nomi sian posti al singolare, come nel
Boccaccio: Il popolo a furore corso alla prigione
lui n’avevano tratto fuori invece di aveva.
Da’ moderni Scrittori però questo più non si
usa che colle voci il più, la più parte; la mag-
gior parte, un buon numero, una gran parte ec.,
come: Il più degli uomini, o la più parte degli
uomini secondano anzi le lor passioni, che la
ragione.
SEZIONE II.
DEL REGGIMENTO.
CAPO I.
DEL REGGIMENTO DE' NOMI.
I Nomi o sono retti dai Verbi, o dalle altre
parti del discorso.
I Verbi poi o son transitivi, o son intransi-
tivi.
ARTICOLO I.
Dei Nomi retti da’ Verbi Intrensitivi.
I Verbi Intransitivi altri sono assoluti, ed altri
relativi.
Intransitivi assoluti son quelli, i quali con-
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tengono un attributo, che riguarda il solo Soggetto
della proposizione, e non si riferisce a nessun'altra
cosa, come Pietro vive, o è vivente.
Intransitivi relativi son quelli i quali nel Sog-
getto della proposizione indican un attributo che si
riferisce a qualche altra cosa, come Pietro ubbidi-
sce al Padre, cioè è ubbidiente al Padre.
INTRANSITIVI ASSOLUTI.
Gli Intransitivi assoluti, quando sono della pri-
ma, o della seconda persona, spesse volte formano
una proposizione de sè soli, senza che nemmeno
il Soggetto sia espresso: così Vivo è una proposi-
zione compiuta ; perchè è lo stesso, come Io sono
vivente.
Quando però sono di terza persona , il Sog-
getto si deve esprimere, come Pietro vive, ec-
cetto che apertamente si sottintenda, come se al-
cun domandasse, se Pietro viva, nel qual caso
basterà rispondere Vive.
Talvolta vi si aggiunge pure un Aggettivo, il
qual si accorda col Soggetto, come Pietro vive
contento.
Fuor del Soggetto gl’ Intransitivi assoluti per
sè non richieggono altro Nome; e se alcuna volta
da qualche Nome si trovano accompagnati, questo
è sempre retto da una prepasiaione o espressa , o
sottintesa, come Vivere molti anni, che vuol dire
per molti anni; Correre molte miglia, che vuol
dire per molte miglia.
INTRANSITIVI RELATIVI.
Gl' Intransitivi relativi per formare una propo-
sizione compiuta, oltre al Nome del Soggetto,
riechieggono d'ordinario anche il Nome della cosa,
/ BEGIN PAGE 111 /
a cui l'attributo si riferisce. Così se dicessi sem-
plicemente: Io giovo , la proposizione sarebbe im-
perfetta, e ognuno mì dimanderebbe: a qual cosa,
o a chi? Parimente se dicessi: lo mi ricordo, do-
manderebbe ognuno: di qual cosa, o di chi?
Quest'altro Nome, che chiamasi il comple-
mento o compimento della proposizione or s' ac-
compagna colla preposizione Di, come mancare,
o abbondare, rallegrarsi o dolersi di qualche co-
sa; ora colla preposizione A, come tendere , at-
tendere, cedere , ubbidire a qualche cosa, o a
qualcuno ; ora colla preposizione Da, come dipen-
dere, derivare , provenire , scaturire, nascere ec.
da qualche cosa, o da qualcuno.
ARTICOLO II.
Dei Nomi retti da’ Verbi Transitivi.
I Verbi transitivi distinguonsi in attivi, e passivi.
I Verbi attivi, come altrove si è detto, son
quelli, che esprimono direttamente l’azione di una
cosa sopra d’ un’altra; come Caino uccise, Abele.
I Verbi passivi son quelli, che esprimono ciò
che una cosa patisce, o riceve dall’ altra, come
Abele fu ucciso da Caino.
ATTIVI.
I Verbi attivi si trovano anch’ essi qualche
volta col solo Soggetto, come Pietro legge, e tal-
volta anche senza, quando siano di prima e se-
conda persona, come Leggiamo, o il soggetto si
sottintenda facilmente, come se alla domanda:
Che fa Antonio? sì rispondesse Legge.
Ordinariamente però oltre al Seggetto espri-
mente la persona o la cosa che [...], il quale si
/ BEGIN PAGE 112 /
chiama agente, i Verbi attivi vogliono anche il
Nome della persona o della cosa, sopra cui cade
l'azione, il qual chiamasi paziente. Così la propo-
sizione sopraccennata sarebbe imperfetta , se si di-
cesse unicamente: Caino uccise ; aggiungendovi
Abele divien perfetta; e in questa proposizione
Caino uccise Abele; Caino è l’Agente, Abele il
paziente.
Molti Verbi attivi oltre l'agente, e il paziente
per compimento della proposizione richieggon an-
che qualche altro Nome, il qual s’ accompagna o
colla preposizione Di, come accusare, ammonire,
lodare, biasimare, spogliare, vestire, privare,
fornire ec. alcuno di qualche cosa, o colla pre-
posizione A, come dare, rendere, somministra-
re, togliere, rapire, involare, negare alcuna co-
sa ad alcuno, o colla preposizione. Da, come di-
videre , separare, staccare , allontanare, rimove-
re, ec. una cosa da un'altra.
PASSIVI.
Quando un Verbo di attivo si volta in passi-
vo , il paziente diventa Soggetto della proposizio-
ne, e l agente si accompagna colla preposizione
Da, come nel succitato esempio Abele fu ucciso
da Caino. Qualche volta invece della preposizione
Da sì usa anche la preposizione Per, massima-
mente quando vi sia altro Nome accompagnato.
dalla preposizione Da, come Per voi fu Antonio
staccato dal suo amico più caro.
Abbiamo detto altrove, che nelle terze per-
sone i Verbi attivi diventan passivi anche col sol
premettervi un si, e affiggerlo ad essi in fine,
come Si ama, o amasi l'ozio; Si amano, o
amansi i piaceri. Or qui è da avvertire, che in
tal caso se il Nome retto dal Verbo è plurale,
/ BEGIN PAGE 113 /
anche il Verbo deve esser plurale, come nell’esem-
pio Si amano i piaceri, e sarebbe errore il dire
Si ama i piaceri, come pur usano alcuni mala-
mente ad imitazione de’ Francesi (a).
I Verbi Intransitivi, o Neutri, che nella ter-
za persona si usano anch’ essi passivamente, come
abbiam detto altrove, possono aver il Soggetto ac-
compagnato dalle preposizioni Da, o Per, come
a me si va; Per te si viene. Ma se hanno do-
po di sè un Aggettivo, questo deve cambiarsi in
Avverbio, o esprimersi in altra maniera: così se
vorran farsi passive le due proposizioni Egli vive
felice; Voi vivete contenti, non si dirà Da lui si
vive felice; Da voi si vive contenti; ma Da lui
si vive felicemente; Da voi si vive in uno stato
contento.
E pur da notarsi, che i Neutri, i quali sono
accompagnati dai Nomi personali mi, ti, si ec.
(a) I Francesi dicono On aime, o l'on aime les
plaisirs; e la ragione di questo uso secondo il Si-
gnor DU MARSAIS si è che il loro On è una sin-
cope della parola Homme Uomo, e significa l' Uo-
mo in generale, e preso in un senso indetermina-
to , ossia equivale al nostro Uno, ed infatti negli
antichi manoscritti si trova Un dit (uno dice), in-
vece di On dit (si dice). Ma perchè questo Un
dagli antichi Francesi pronunziavasi all’ Italiana
( cioè coll’ U Toscano, che in Francese si scrive
Ou) quindi col tempo l'Un o Oun s'è cambiato in
On. Presso i Francesi adunque il Verbo ancorchè
sia seguito da un Nome plurale, sempre conservasi
al numero singolare, perchè sempre si accorda
coll’On, o Un, e On aime les plaisirs significa pro-
priamente Uno ama i piaceri. Ma presso di noi il si
non fa che esprimere il passivo; e perciò il Verbo
deve accordarsi col suo Soggetto dicendo Si umano
i piaceri, non Si ama i piaceri.
/ BEGIN PAGE 114 /
come addormentarsi, o svegliarsi , che da alcuni
malamente si chiamano Neutri passivi, non si pos-
sono usare passivamente nemmeno alla terza per-
sona. Laonde non sì dirà: Quando si si addor-.
menta, Quando si si sveglia; ma’converrà dire :
Quando uno si addormenta o si sveglia, o con-
verrà cambiar frase dicendo : Quando si prende
sonno, quando si comincia a svegliarsi (a).
ARTICOLO III.
Dei Nomi retti dalle altre Parti
del Discorso.
Molti Nomi sono retti o da altri Nomi, o da-
gli Aggettivi, o da’ Participj, o dagli Avverbj, o
agli Interposti, o immediatamente dalle medesime
Preposizioni.
Intorno a questi veggasi ciò che si è detto
nel Libro I., singolarmente ne’ Capi delle Prepo-
sizioni degli Avverbj, e degli Interposti. Al ri-
manente supplirà l’uso, e l'osservazione de’ buoni
Scrittori assai meglio che non farebbero le molte
regole.
(a) Anche qui i Francesi dicono: Quand on
s'endort, Quand on se reveille, perchè l'On presso
loro equivale ad Un, e il vero senso di queste lo-
ro espressioni corrisponde alle nostre: Quando uno
s' addormenta, Quando uno si sveglia.
/ BEGIN PAGE 115 /
CAPO II.
DEL REGGIMENTO DE' VERBI.
I Verbi nel discorso ora stanno assolutamente da
sè; come Io leggo; ora son retti da altri Verbi,
come Io voglio leggere, o voglio che tu legga (a),
ora son retti dalle congiunzioni, come Benchè tu
legga; Se io leggessi ec.
ARTICOLO I.
De' Verbi retti da altri Verbi.
Allorchè un Verbo è retto da un altro Verbo,
or si pone al Modo indefinito, ed ora a un Modo
definito, cioè all' Indicativo, o al Soggiuntivo.
Per conoscere quando abbia ad usarsi l’ uno,
o l’altro Modo conviene osservare in 1.° luogo se
il Verbo che è retto da un altro appartenga al
Soggetto del Verbo che lo regge, o appartenga
ad altro Nome. Dicendo per esempio. Io voglio
leggere, il Verbo leggere spetta al Soggetto Io,
e dicendo Voglio che tu legga, il Verbo legga
spetta al Nome Tu.
2.° Conviene osservare, se Il Verbo della Pro-
posizione principale esprime un affetto dell'animo,
come: Mi piace, mi duole, temo, spero, voglio,
desidero ec., o un atto della mente, come So,
credo, conosco , dubito ec. o un’ azione, che fassi
(a) In questo caso il Verbo retto fa l'ufficio di
Nome, ed è come se si dicesse: Io voglio la lettu-
ra. Così Bramoso di leggere è come Bramoso della
lettura; Dedito al leggere è come Dedito alla lettu-
ra ec.
/ BEGIN PAGE 116 /
col mezzo delle parole, come : Ei narra, dice,
prega, esorta, consiglia, persuade, comanda,
afferma , nega, induce, raccomanda, commette,
incarica ec. o un movimento proprio, come Va,
viene, giugne, ascende ec. o un movimento fatto.
fare ad altri, come: Tira, conduce, strascina,
spinge, manda, o altre cose somiglianti.
Quando il Verbo principale esprime un affetto
dell'animo, se il Verbo soggiunto appartiene al
Soggetto della Proposizione egli ama di esser po-
sto all’ Indefinito , e trattone il Verbo Voglio, co-
gli altri ama anche di essere accompagnato dalla
Preposizione Di, come Voglio partire; e Deside-
ro, bramo, mi piace, temo, spero, godo, m'in-
cresce di restare; se poi appartiene ad altro No-
me, gode piuttosto di essere messo ad un Modo
definito; e questo dev' essere il Soggiuntivo, per-
chè la proprietà, o l'azione da lui espressa non si
afferma, ma, si accenna soltanto. Quindi si dirà
Voglio , desidero, godo, mi spiace ec. che tu
vada, o che tu stii.
Se il Verbo principale esprime un atto della
mente , il Verbo soggiunto si può mettere sempre
all’ Indefinito : ma se appartiene al Soggetto vuole
per ordinario la preposizione Di, come Egli sa,
crede, conosce di essere innocente: laddove quan-
do appartiene ad altro Nome non la vuol mai, co-
me Io so, credo, parmi, dubito, penso, conosce
lui esser reo : lo stesso è pure dei Verbi Dire ,
narrare , sentire , provare , affermare, negare, e
simili, come Ei dice, narra, afferma, essere av-
venuto il tal fatto.
Che se il Verbo soggiunto vuol porsi ad un
modo definito, questo deve essere Indicativo, quan-
do il Verbo principale è affermativo , ed esprime
una cognizione certa; ma all’ incontro dev’ essere
soggiuntivo quando il Verbo principale è accompa-
/ BEGIN PAGE 117 /
gnato dalla negazione, o significa una cognizione
soltanto probabile, o dubbiosa. Si dirà adunque Io
conosco , vedo, comprendo, che ciò è vero ; e
Non so, non conosco, dubito , credo, parmi, che
ciò sia falso.
Coi Verbi Andare, Venire, Giugnere, Scen-
dere, Ascendere , Tirare, Condurre, Accompa-
gnare, Spingere, Mandare, Indurre, Movere,
Sforzare, e con tutti quegli altri , che significano
qualche specie di movimento o reale o figurato, il
Verbo soggiunto si mette all’ Indefinito accompa-
gnato dalla Preposizione A; come Ei va, giugne,
tira, sforza,ec. a prendere, o a lasciare la tale
o tal cosa.
Coi Verbi Raccomandare, Commettere, Inca-
ricare, Comandare, come pure coi Verbi Pregare,
Consigliare, Esortare, Persuadere, e simili, se
il Verbo soggiunto si pone ad un Modo definito,
questo dev essere il Soggiuntivo, come Vi racco-
mando, commetto , incarico ec. che andiate nel
tale o tal luogo; se poi si mette all’ Indefinito,
coi primi vuol essere preceduto dalla Preposizione
Di, coi secondi ammette anche questa, ma colla
Preposizione A si accompagna più volentieri, co-
me Vi raccomando, commetto, comando, incarico
di andare nel tal luogo; e Vi prego, consiglio,
esorto, persuado di passare o a passar nel tal
altro.
Si avverta, che quando i Verbi passivi si può,
si deve, si fa, si dice, si crede e simili, reggono
un Indefinito, il quale appartenga ad un Nome
plurale, anche i suddetti Verbi si debbon porre al
plurale: onde non si dirà; Si può fuggire i vizj;
Si deve amar le virtù; Sette si dice essere stati
i Savi della Grecia ec. come usano malamente
/ BEGIN PAGE 118 /
quelli che in ciò vogliano imitare i Francesi (a),
ma Si possono fuggire i vizj; Si debbono amare
le virtù; Sette si dicono essere stati i Savj della
Grecia.
ARTICOLO II
Dei Verbi retti dalle Congiunzioni.
La Congiunzione che ora accompagna un Indi-
cativo, ed ora un Soggiuntivo secondo che richie-
de il Verbo precedente, come So che tu puoi, e
desidero che tu voglia.
La Congiunzione Se regge il Soggiuntivo quan-
do l’altro Verbo è Soggiuntivo condizionale , co-
me Verrei, se potessi; regge l’ Indicativo quando
l’altro Verbo è pure indicativo, come Verrò, se
potrò. Qualche volta il Se non è condizionale, ma
dubitativo , e allor sempre regge un Soggiuntivo,
come Non so se io possa.
Le altre Congiunzioni condizionali sempre vo-
gliono il Soggiuntivo, come Verrò, purchè, qua-
lora, quando, dove io possa.
Le Congiunzioni Acciocchè (invece di cui
non è di buon uso il dir soltanto acciò), Affin-
chè, e Perchè vogliono esse pure il Soggiuntive ,
come Mostratevi , acciocchè , affinchè , perchè io
vi vegga.
(a) Già si è detto innanzi, che i Francesi ciò
anno, perchè il loro On, che serve al passivo pro-
priamente significa Uno, e perciò il Verbo si mette
al singolare com esso accordandolo; ma in Italia-
no il si è un semplice segno del Passivo, e perciò
il Verbo deve accurdarsi al plurale col suo Sog-
getto , che qui sono i vizj, le virtù, i Savj della
Grecia.
/ BEGIN PAGE 119 /
Un Soggiuntivo pur reggono ordinariamente
le Congiunzioni Quantunque, Sebbene, Benchè,
Ancorchè , Avvegnachè , Comechè ; per esempio
Benchè egli possa, pur nega di farlo. V' ha qual-
che caso però, in cui posson reggere anche un
Indicativo, come Ei può tentarlo: sebbene io son
persuaso che non potrà riuscirvi.
Le Congiunzioni Prima , Avanti, Innanzi,
quando son sole, reggono un Indefinito colla pre-
posizione Di, come Prima, avanti, innanzi di
venire: quando sono seguite dal Che vogliono il
Soggiuntivo, come Primachè, avantichè, innanzi-
chè venga.
La Congiunzione Dopo, se è sola, regge un
indefinito, come Dopo esser venuto, o Dopo di
esser venuto ; seguita dal Che regge l’ Indicativo, se
l’altro Verbo è di tempo passato, come Dopo ch’ ei
fu venuto, subito fu terminata ogni cosa; e regge
il Soggiuntivo , se l’altro Verbo è di tempo futu-
ro, come Si farà ogni cosa dopo ch'ei sia venuto:
nel qual caso però si può dir ancora Dopo che sarà
venuto. Lo stesso è di Tosto che, e Subito che.
Anche Senza da sè sola regge un Indefinito,
come Senza tornare; e Senzachè un Soggiuntivo,
come Senzachè torniate.
Conciossiachè, e Concioffossechè, quando equi-
valgono al cum de’Latini, vogliono sempre il Sog-
giuntivo, come Conciossiachè io debba, o con-
cioffossechè io dovessi. Quando il Conciossiachè
equivale ad Imperocchè, ammette anche l’Indicativo.
Le altre Congiunzioni lasciano il Verbo a quel
Modo, che chiede il senso, nè per sè vogliono
piuttosto un Modo, che l’altro.
/ BEGIN PAGE 120 /
SEZIONE III.
DELLA COSTRUZIONE.
Nella Costruzione , ossia nella disposizione delle
parole a due cose si deye riguardare, cioè alla
chiarezza , e all’armonia.
La maniera più chiara di esporre qualunque
Proposizione è quella di metter prima il Soggetto
con tutte le sue determinazioni, e qualificazioni,
quando ne abbia, come Aggettivi, Participj, Ge-
rundj, Genitivi retti da lui, Proposizioni incidenti
ec.; indi mettere il Verbo coi suoi Avverbj, quan-
do ne abbia; dopo questo i Nomi retti dal Verbo
colle loro determinazioni, e qualificazioni, quando
essi pure ne abbiano.
Ecco in qual maniera secondo questa Costru-
zione dovrebbe disporsi la seguente Proposizione di
Monsignor della Casa; L’adulazione, spargendo le
sue menzogne di veleno dolcissimo sotto specie di
vera lode, diletta gli orecchi degli sciocchi con
lingua vana e bugiarda.
Siccome però il dispor sempre le parole se-
condo questa Costruzione rigorosa, che si chiama
Costruzione semplice , renderebbe il Discorso trop-
po nojoso: così per dargli più grazia, e leggiadria,
a Costruzione molte volte si varia , e allora si
chiama Costruzione inversa, o Inversione.
Così il Casa nella succennata Proposizione or-
dina le parole nel seguente modo: L'adulazione,
sotto specie di vera lode le sue menzogne di dol-
cissimo veleno spargendo, con vana lingua e bu-
giarda diletta gli orecchi degli sciocchi.
Bisogna però guardarsi dal variare l’ordine delle
parole in maniera , che il discorso diventi oscuro.
/ BEGIN PAGE 121 /
Soprattutto quando in una Proposizione si trovi un
Verbo Attivo, che possa convenire del pari e al-
l'agente e al paziente, l’ agente si dee sempre
metter prima del Verbo, e il paziente dopo, co-
me nella proposizione recata altrove: Caino uccise
Abele; poichè altrimenti facendo, o la proposizio-
ne esprimerebbe tutto il contrario, come dicendo
«Abele uccise Caino, o darebbe un senso affatto
dubbioso, come chi dicesse Caino Abele uccise,
o Abele Caino uccise, dove non si saprebbe chi
sia stato nè l’ uccisore, nè l’ucciso.
Per la stessa ragione nelle proposizioni inci-
denti, quando il che possa far nascere dubbio, se
sia agente o paziente, si deve usar cui, il quale
nori può essere che paziente. Invece adunque di
dite: Abele, che Caino uccise, dove non si sa-
prebbe qual sia stato l’ucciso , si dovrà dire Abele,
cui Caino uccise, dove è manifesto che l’ucciso è l
stato Abele.
Molte volte per rendere la Proposizione più
chiara gioverà ancora il voltare il Verbo di attivo
in passivo , dicendo per esempio : Abele, che da
Caino fu ucciso.
Qualora poi dal numero , o dalla persona, o
dallo stesso significato del Verbo chiaramente ap-
parisca qual sia l’ agente , e quale il paziente, al-
lor si potrà por l uno o l'altro a piacere avanti
o dopo del Verbo. Così egualmente si potrà dire
Alessandro vinse i Persiani, e I Persiani vinse
Alessandro: e sarà pur lo stesso il dire I Persiani
che Alessandro sconfisse, o I Persiani cui Ales-
sandro sconfisse, veggendosi manifestamente dal
numero singolare del Verbo, che il vincitore è stato
Alessandro.
Oltre all’ oscurità, nella Costruzione è da schi-
varsi ancor l’affettazione. Perciò l’uso che avevano
i nostri Antichi di portar quasi sempre il Verbo in
/ BEGIN PAGE 122 /
fine alla maniera de’ Latini, da’ Moderni è abban-
donato, attenendosi questi ad una Costruzione più
semplice, e più naturale. È però da distinguere la
diversità de’ componimenti, potendo ad una Ora-
zione Accademica, o ad un Panegirico esser per-
messe molte di quelle inversioni, che ad una sem-
plice Narrazione, o ad una Lettera disdirebbono.
L’Armonia del Discorso nasce 1.° dal sapere
ben temperare le vocali di suono grave, e aperto
con quelle di suono debole e chiuso, e le Conso-
nanti di spirito forte con quelle di spirito tenue.
2.° Dal ben moderare la gravità delle parole,
che han molte consonanti colla piacevolezza di
quelle che ne han poche. i
3.° Dal ben disporre, e distribuire gli accenti,
o le pose della voce, frammischiando accortamente
le parole piane alte tronche e alle sdrucciole, e
le parole corte alle lunghe.
In tutto questo però l'orecchio, e l’ esempio
de’ più colti Scrittori opportunamente imitato è
quello, che dee guidarci principalmente.
SEZIONE IV.
DELLE FIGURE GRAMATICALI.
Siccome delle altre cose suole avvenire, che in-
ventate da principio per bisogno, si volgono po-
scia ancora al comodo, ed al piacere ; così è av-
venuto pur delle Lingue. Dopo che si fu stabilito
quanto, era necessario per manifestare altrui i pro-
pri ensieri, si è voluta nel discorso ancora la
brevità, e l'eleganza. A questo fine si sono intro-
dotte nelle regole alcune alterazioni, che si chia-
man Figure, le quali sono cinque principalmente.
1. L'Ellissi, ossia Mancanza, per cui si tra-
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lascia qualche parola, che facilmente si possa sot-
tintendere.
2. Il Pleonasmo, ovvero Abbondanza, per
cui se ne aggiunge qualcuna non necessaria, affine
di dare al discorso maggior pienezza, o forza, ed
ornamento.
3. La Sillessi, o Concezione, per cui qual-
che Parte del discorso accordasi colle parole che
si concepiscono colla mente piuttosto che con quelle
che sono espresse.
4. L'Enallage, o Permutazione, per cui una
Parte del discorso all’altra si sostituisce.
5. L’Iperbato, o Rovesciamento, per cui si
cambia l'ordinaria loro disposizione.
CAPO I.
DELL'ELLISSI.
L Ellissi è di due maniere. O si lascia solamen-
te di ripetere qualche parola, che già è stata det-
ta , come: Egli è Uomo saggio, e morigerato
invece di dire: Egli è Uomo saggio, egli è Uo-
mo morigerato; e questa si chiama Zeugma, cioè
unione, perchè saggio e morigerato s'uniscono al
medesimo Nome Uomo.
O si tralascia qualche paroli del tutto, come:
Maraviglia; che se’ stato una volta savio. Bocc.,
dove si sottintende È maraviglia; e questa si
chiama propriamente Ellissi.
ARTICOLO I.
Zeugma.
Li unire più Aggettivi ad un sol Nome , come
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nell’ esempio di sopra arrecato, o più Nomi ad un
solo Aggettivo, come Deliziose valli e pianure,
o più. Verbi ad un solo Soggetto, come Ei legge
e scrive correttissimamente, o più Soggetti ad un
sol Verbo, come La virtù, e la dottrina forma-
no il miglior pregio d'un Uomo, sono maniere
diventate così comuni, che si riguardano come
maniere ordinarie piuttosto che come Figure.
Le regole che in ciò debbono osservarsi per
ben accordare gli Aggettivi co’ loro Nomi, e i
Verbi co’ loro Soggetti si sono pure.già indicate,
trattando delle Concordanze.
Solo è qui da avvertire, che talora s’adopera
un solo Verbo, benchè appartenga a diverse Pro-
posizioni, e i Soggetti sieno di diversa persona, e
di diverso numero. In tal taso in Italiano il Verbo
vuol esser posto anzi nella prima, che nella se-
conda Proposizione. Laonde ove dice Cicerone :
Ille timore , ego risu corrui, da noi si dirà: Ei
cadde di timore, ed io di riso; e dove dice Vir-
gilio : Hic illius arma , hic currus fuit; noi dire-
mo : Qui furon l' armi di lei (Giunone ), qui il
cocchio.
È da avvertire eziandio, che quando,più Ver-
bi reggono un medesimo. Nome, sieno tutti della
medesima classe, onde il Nome possa a tutti con-
venire nel medesimo modo, Perciò non si dirà :
Egli attende, e impara molte cose, ma Egli stu-
dia e impara molte cose, o Attende a molte cose,
e molte ne impera.
ARTICOLO II.
Ellissi.
Anche mplte Ellissi propriamente dette son di-
ventate maniere comuni. Tale è il sopprimere i
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Nomi personali quando, sono il Soggetto della pro-
posizione, come Vivo, Vivete invece di Io vivo,
Voi vivete. Tale è pure il sopprimere con molti
Genitivi il Nome, che li regge, come Era di sta-
te o d'inverno invece di dire Era tempo di state
o d'inverno. Le seguenti meritan maggiore osser-
vazione.
Ellisi del Nome. Cader dall'alto, Scender
al basso sottintendendo luogo. Levarsi, tacendo del
letto. Esser da molto, o da poco, cioè merito o
pregio. Durar molto , poco, troppo, cioè tempo.
Ellissi del Verbo. Via di quà; cioè va via.
Quà, cioè vieni quà. Bene, cioè sta bene. Volen-
tieri, cioè il farò volentieri. Egli giunse fin là,
ma più avanti non potè, o non seppe, o non vol-
le, si supplisca andare, o fare. Andare, o man-
dare per uno persona, o per una cosa ; maniera
usitatissima dai Toscani, sottintendendo per chia-
marla, o per prenderla.
Ellissi del Pariicipio. Misero! a che son io!
cioè ridotto.
Ellissi della Preposizione. Dar mangiare o
bere usato spesso dal Boccaccio per dar a man-
giare, o a bere. La Dio mercè, vale a dire per
la mercè di Dio. Vi ha soppressione della prepo-
sizione per quando si usa chè invece di perchè ;
della preposizione in quando che significa in cui,
come nel tempo che il tale vivea. Coi pronomi
costui , costei, costoro abbiam già notato, come
spesso si sopprima la preposizione di , e coi pro-
nomi cui, e altrui anche la preposizione a.
Ellissi della Congiunzione. Il che specialmente
dopo i Verbi temere, dubitare, e parere spesse
volte si ommette, come: Dubitava, o temeva non
gli avvenisse alcun male; Parmi non sia ancor
tempo. Le congiunzioni pure, e così correlative di
sebbene e siccome si ommetteno anch’ esse ove la
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proposizione precedente sia breve, e però facil-
mente si possano sottintendere, come Sebbene fos-
se stretto da ogni parte, se ne fuggì; Siccome
temeva qualche mala ventura, non volle restare.
Si sopprime non di rado anche perciò , come: Il
tempo minaccia, conviene affrettarci. L’e, e l'o
si tacciono spessissimo, spezialmente quando più
aggettivi, o più nomi s'uniscono insieme, nel qual
caso la congiunzione non si dà per lo più che al-
l' ultimo.
Ellissi dell’Interposto. Misero me! Lasso me!
Beato lui! sottintendendo oh, o ahi.
In molti de’ Neutri che sogliono accompa-
gnarsi coi Nomi personali questi pure si tacciono,
dicendo Affondare per affondarsi; Agghiacciare
per agghiacciarsi; Aggravare per aggravarsi, peg-
giorar nella malattia; Ammalare per ammalarsi;
Annegare per annegarsi; Annighittire per anni-
ghittirsi; Impoverire per impoverirsi; Infermare
per infermarsi; Prosperare per prosperarsi; Sbi-
gottire per isbigottirsi, e simili, di cui parecchi
esempi si trovano massimamente presso gli Antichi.
CAPO II.
DEL PLEONASMO.
A questa Figura riduconsi quelli che si chiaman
ripieni , o particelle riempitive, di cui altre s'ado-
prano per dar maggior forza al discorso, altre per
semplice ornamento.
Pleonasmi del primo genere sono i seguenti:
ECCO, come Ecco io non so ora dir di
no. Boccaccio.
BENE, come Gl' involò ben cento doppie.
BELLO, come Le portò cinquecento be' fio-
rini d'oro. Bocc.
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PURE, come Il dirò pure; Pur così fosse;
Pur finalmente l' ho giunto.
GIA’, come Già Dio non voglia che ec. Se
già non fosse ec.
MAI, come Mai sempre per sempre; Mai
sì ; mai no per sì, no.
MICA e PUNTO, come Una nè dirò non
mica d'Uomo di poco affare. Bocc. Tedaldo non
è punto morto. Bocc.
TUTTO, come Il giovane, tutto solo. Bocc.
Tutto a piè fattosi loro incontro. Bocc.
UNO, come Se i miei argomenti frivoli già
tenete , quest' uno solo ed ultimo a tutti gli altri
dia supplemento. Bocc.
ORA, come Deh or t'avessero essi affogato.
Bocc.
ALTRIMENTI, come Io non so altrimenti
chi egli siasi; Egli nol volle fare altrimenti.
IO, TU ec. replicati due volte, come Io il
so bene io quel che farò; Tu il vedrai bene tu ec.
Pleonasmi di semplice ornamento sono :
EGLI, EI, E', ed ELLA, di cui i tre pri-
mi si usano in ambi i generi, e numeri, come
Egli non è cosa strana; Egli vi sono molti: il
quarto solamente nel femminile, come Ella è cosa
rara. Nello stil famigliare e nel burlesco invece
di Egli si usa anche Gli, e di Ella La, come
Gli è grande; La non è piccola.
MI, TI, SI, CI, VI, NE o soli, o uniti
con LA, come Tu di quà te n'andrai ben tosto;
Io non so più che mi dire; Ei se la vive tran-
quillamente.
ESSO, come Sovr' esso il ponte; Lungh'esso
il fiume ; Essolui, Essolei, Essoloro.
CON, come Con meco, Con teco, Con seco;
e nel Boccaccio si trova ancora Con esso teco.
SI', come Se ti piace, sì ti piaccia; se non
)
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sì te ne sta. Bocc. Questa voce però qualche vol-
sa equivale ad Anche, come Oltre a quello, ch'egli
fu ottimo filosofo morale, sì fu egli leggiadrissi-
mo, e costumato. Bocc.; e qualche volta a certa-
mente, come Pognamo che altro male non ne se-
guisse, sì ne seguirebbe, che mai in pace nè in
riposo con lui viver potrei. Bocc.
NON, come Non so nulla; Non v'ha niuno.
Nè non credeste; Temo non m'avvenga alcun ma-
le; Non dubito ch' ei non abbia a tornar presto.
DOVERE , VENIRE, ANDARE, come
Richiese a' Cherici di là entro, che ad Abram
dovessero dar il battesimo, cioè dessero. Bocc.
Gli venne trovato un buon Uomo, cioè trovò.
Bocc. Vanno fuggendo quello che noi cerchiamo,
cioè fuggono. Bocc. Spesso però i Verbi andare,
e venire uniti al gerundio d’un altro Verbo espri-
mono il frequentativo; così Più volte la medesima
cosa gli venne, o gli andò dicendo equivale al
Latino Dictitavit.
I Francesi si valgono pure del Verbo Andare
per significare un futuro prossimo, come Je m'en
vais vous dire comme cela est arrivé; e del Verbo
Venire per significare un passato prossimo, come
Ce que je viens de vous dire. Alcuni servili imi-
tatori de' Francesi usan anch'essi: Vi vado a dire
come ciò è accaduto, e Quel che vengo di dirvi;
ma i buoni Scrittori rifiutano così fatti France-
sismi, e nel primo caso useranno invece: Eccomi
a dirvi, o Mi farò a dirvi, o Verrò dicendovi
come ciò è accadutò; e nel secondo Quel che v'ho
detto or ora, o pur ora.
/ BEGIN PAGE 129 /
CAPO III.
DELLA SILLESSI.
La Sillessi occorre principalmente negli Agget-
tivi, e ne' Verbi, allorchè questi discordano dai
Nomi espressi nel discorso, e s' accordano invece
con altri Nomi,gche si concepiscono col pensiero.
Una Sillessi negli Aggettivi è l’usare il Pleo-
nasmo Egli in ambi i generi, e i numeri, e unir
Esso con Lei, e con Loro. Presso gli Antichi si
legge ancora Trovato una spada , Gettato più
dardi, il che ora però sarebbe affettazione.
Sillessi nei Verbi è quella di mettere il Ver-
bo avere usato nel significato di essere al numero
singolare , ancorchè il soggetto sia plurale , come
Assai pochi vi ha che nol veggano, all' incontro
quella di unire un Verbo plurale ad un Nome col-
lettivo singolare, come Il popolo a furore corso
alla prigione lui n’avevano tratto fuori. Bocc.; e .
lo stesso far pare quando un Nome singolare ha
qualche altro esprimente compagnia , per esempio:
Il Re co’ suoi compagni rimontati a cavallo al
reale ostiere se ne tornarono. Bocc.
Sillessi dell’Aggettivo insieme, e del Verbo è
quando si dice; Parte di essi fuggirono spaven-
tati, perte ne furon presi ed uccisi.
CAPO IV.
DELL’ ENALLAGE.
La sostituzione più frequente, che in Italiano sì
trovi è quella dell’Aggettivo in luogo dell'Avver-
/ BEGIN PAGE 130 /
bio, come Chiaro conosco per chiaramente; Ti
dico aperto invece di apertamente; Temo forte
per fortemente; Dolce parla e dolce ride per
dolcemente.
Un’ altra è quella del Participio in luogo del-
l'Indefinito, come Fece veduto a’ suoi sudditi.
Bocc. per fece vedere; o dell’ Indefinito in luogo
del Soggiuntivo, come Qui ha questa cena, e non
saria chi mangiarla. Bocc. invece di chi la man-
giasse: o dell’ Imperfetto del Soggiuntivo in luogo
del Trapassato, come Alzò questi la spada , e
ferito l'avrebbe, se non fosse uno che stava ritto
innanzi, che lo tenne per lo braccio. Bocc. invece
di se non fosse stato; o finalmente dello stesso
Indefinito in luogo dell Imperativo nelle proposi-
zioni; negative, come Non far ed altri quello che
a te non vuoi che sia fatto.
All' Enallage appartiene puranche il sostituire
che fanno i Grandi il Noi all’ Io, come Noi vo-
gliamo o comandiamo, e il sostituire che fassi
comunemente il Voi al Tu, dicendo Vi prego,
vi esorto parlando ad una sola Persona invece di
Ti prego, ti esorto.
CAPO V.
DeLL'IPERBATO.
Cinque specie d' Iperbato da'Gramatici si distin-
guono.
1. L’Anastrofe, cioè trasposizione, che è il
porre avanti una parola, che si dovrebbe por do-
po, come La pur dirò invece di la dirò pure;
La vi ho data invece di ve l'ho data.
2. La Tmesi, che è il dividere una parola
frapponendone qualcun' altra, come Acciò dunque,
che veggiate invece di acciocchè dunque,
/ BEGIN PAGE 131 /
3. La Parentesi, ch'è l’interrompere una
Proposizione , mettendone di mezzo un’ altra, per
esempio Io opposi le forze mie (come Iddio sa}
quanto potei. Bocc. Le Parentesi però vogliono
esser corte, perchè non rompano l’ ordine della
Proposizione principale, e quando la necessità pur
richiegga , che vengan lunghe, si debbon ripetere
le parole precedenti alla Parentesi per ripigliare
il filo della principale Proposizione.
Le altre due maniere d’iperbato , che sono
la Sinchisi, cioè confusione di costruzione, e l' A-
nacoluton, cioè inconseguenza , che è il mettere
una voce isolata e senza corrispondenza, sono anzi
difetti, che figure o proprietà di linguaggio, e si
debbono perciò schifare.
Resta ad osservare riguardo alle Figure in
genere, che siccome esse a rigore sono altrettante
irregolarità; così debbonsi usar parcamente. Chi ne
fa un abuso soverchio oltre al cadere nell’ affetta-
gione, dee introdurre necessariamente ne’ suoi di-
scorsi della confusione, e della oscurità.
APPENDICE.
De Sinonimi, e delle Parole, che si usano
in più sensi diversi.
In una Lingua esatta ogni idea aver dovrebbe il _
suo distinto vocabolo, di modo che nè più parole
si usassero a significare una medesima idea,
nè si adoperasse una stessa parola ad esprimere più
idee diverse. Ma niuna Lingua gode di questa
esattezza; e la nostra fra l'altre come abbonda di
termini, che si adoperano in un medesimo senso,
e che perciò si chiaman Sinonimi: così spesse
volte si serve pure di un medesimo termine in più
sensi tra lor differenti.
/ BEGIN PAGE 132 /
Ben è vero che chi esaminasse attentamente
il significato preciso de’ vocaboli, che si usano co-
me sinonimi, troverebbe fra loro delle differenze,
per cui i veri sinonimi si ridurrebbero forse a pic-
col numero. Ma ciò richiederebbe lunghissimo stu-
dio, e sarebbe da eseguirsi in un nuovo Vocabo-
lario , che intitolar si potrebbe. Vocabolario de Si-
nonimi, come ha fatto per la Lingua Francesé
l'Ab. GERARD.
Noi qui ci contenteremo di darne un saggio,
o esponendo alcuni di que’ termini, che frequente-
mente s' adoprano come sinonimi, benchè abbiano
realmente fra loro una significazione distinta: a cui
soggiugneremo alcuni di quegli altri, dove per
lo contrario più significati diversi s’esprimono colla
medesima voce.
SINONIMI APPARENTI.
ABBORRIRE, ABBOMINARE. L’abborrire
importa soltanto una forte avversione; l'abbominare
importa eziandio una forte disapprovazione. Uno
abborrisce la schiavitù; abbomina la tirannia.
AUSTERITA’, SEVERITA’, RIGORE. Al-
l' austerità si oppone la mollezza ; alla severità il
rilassamento; al rigore la clemenza. Un anacoreta
è austero nel suo vivere ; un padre è severo nella
educazione de’ suoi figli; un giudice è rigoroso
nelle sue sentenze.
BASTANTE, SUFFICIENTE. Il bastante si
riferisce alla quantità che uno desidera; il suffi-
ciente all'uso che deve farne. All’uomo avido nulla
è mai bastante, ancorchè abbia più di quel che è
sufficiente a bisogni della natura.
COSTUME, ABITO, Il costume riguarda
l'azione; l’abito riguarda l'agente. Per costume noi
intendiamo la frequente ripetizione del medesimo
/ BEGIN PAGE 133 /
atto; per abito l’effetto che questa ripetizione pro-
duce sull’animo © sul. corpo. Il costume d'andar a
spasso, o di starsene colle mani in mano, fa acqui-
star l’abito all’ ozio.
DESISTERE, RINUNZIARE, LASCIARE,
ABBANDONARE. Ognuno di questi termini im-
porta cessazione dal tener dietro a qualche oggetto,
ma per diversi motivi. Noi desistiamo per la diffi-
coltà d’ ottenere; rinunziamo per qualche disgusto
sopravvenuto; lasciamo per appigliarci a qualche
altra cosa che più ne piace; abbandoniamo perchè
la cosa ci è di peso. Un Politico desiste da' suoi.
disegni, quando li trova impraticabili; rinunzia
l'impiego, quando ha ricevuto alcun torto; lascia
l'ambizione per amore della tranquillità; abbando-
na il servigio , allorchè invecchia, o che più non
può sofferirne il peso.
DISTINGUERE, SEPARARE. Noi distin-
guiamo tutto ciò che non confondiamo con altre
cose; separiamo che stacchiamo da quelle. Gli
oggetti son distinti l’ un dall’altro per le lor qua-
lità; son separati per la distanza di luogo o di
tempo.
EQUIVOCO, AMBIGUO. Espressione equi-
voca è quella che ha un senso palese inteso da
tutti, e un senso occulto inteso soltanto dalla per-
sona che l’usa. Espressione ambigua è quella, che
ha palesemente due sensi, e ci lascia in dubbio
qual le si debba applicare. Un uomo onesto non
userà mai un’ espressione equivoca ; un uom con-
fuso spesso proferirà delle frasi ambigue senza av-
vedersene.
INTERO, COMPIUTO. Una cosa è intera
quando mon manca niuna delle sue parti; è com-
piuta quando non manca nulla di ciò che le spet-
ta Uno può aver per sè solo un’ intera casa, o
non aver niuno appartamento compiuto.
/ BEGIN PAGE 134 /
INVENTARE, SCOPRIRE. Si inventano le
cose nuove, e si scoprono quelle che prima eran
nascoste. Galileo ha inventato il telescopio; Har-
vey ha scoperta la circolazione del sangue.
ORGOGLIO, VANITA’. L'orgoglio fa che
abbiamo soverchia stima di noi medesimi ; la va-
nità che cerchiamo soverchiamente la stima degli
altri. Perciò fu detto di taluno: Egli è troppo or-
goglioso per esser vano.
SORPRESO, ATTONITO, STUPEFATTO.
Io son sorpreso da ciò che è nuovo o inaspettato;
attonito di ciò che è vasto o grande; stupefatto
di ciò che mi riesce incomprensibile.
OSSERVARE, NOTARE. Si osserva in via
d’ esame per giudicare; si nota in via d’attenzione
per ricordarsi Un Generale osserva tutti i movi-
menti del suo nemico; un Viaggiatore nota tutti
gli oggetti, che più lo feriscono. |
TRANQUILLITA', PACE, CALMA. La
tranquillità è una situazione libera da ogni turba-
mento considerata in sè stessa; la pace è la me-
desima situazione considerata rispetto alle cagioni
che posson turbarla; la calma rispetto ai turba-
menti che l'han preceduta. L’uomo dabbene gode
tranquillità in sè stesso, pace cogli altri, e calma
dopo le tempeste.
UNICO, SOLO. Una cosa è unica quando
non ve n' ha alcun’ altra della medesima specie: è
sola quando non è accompagnata da altre. Un fi-
gliuol unico da’ premurosi genitori non sì lascia
mai solo.
VERBI ADOPERATI IN DIVERSI SENSI.
Questi son molti; è come il volerli tutti an-
noverare ne porterebbe assai in lungo, sceglieremo
soltanto i principali.
/ BEGIN PAGE 135 /
ACCATTARE oltre al significato di mendi-
care ha quello aricora di prendere in prestanza.
Accattato da lei un mortajo, il rimanda. Bocc.
ADAGIARE s adopera per fornire uno di
qualche cosa. Gli ebbe di tutta ciò , che bisognò
loro, e di piacere era, fatti adagiare. Bocc.
AGGIUNGERE si usa invece di giungere.
Quando aggiugnerò io alla liberalità delle gran
cose di Natan ? Bocc.
AMAR MEGLIO s'adopera per voler piutto-
sto. Io amo molto meglio di dispiacere a queste
mie, carni, che ec. Bocc.
ANDARNE LA VITA, o LA TESTA si-
gnifica essere stabilita per alcuna cosa la pena di
morte, o esserne in pericolo la vita. Come fostù
sì folle, che tu confessassi quello che tu non fa-
cesti giammai, andandone la vita? Bocc.
APPORRE si usa per incolpar uno a torto.
Il marito poteva per altra cagione essere cruc-
ciato con lei, e ora apporle questo per iscusa di.
sè. Bocc.
APPORSI vale, indovinare. E venne immagi-
nandosi, e s'appose, Ch'ella fosse sua moglie,
ei suo marito. Malmantile.
ATTENERE si usa per appartenere. L' ere-
dità s'attenerà a mè. Ambra. Per esser Parente,
Erede, d'uno, che non t'attiene quasi nulla. Sal-
viati. Per tenersi, stare ad una cosa. Attenendosene
Salabaetto alla sua semplice promessione. Bocc.
AVERE s’adopera per riputare. Gli diede la
sua benedizione, avendolo per santissimo Uomo,
Bocc. Per ottenere, o procacciare. Ebbe un ca-
vallo, e da'suoi fanti il fece vivo scorticare. Nov.
Ant. Per ritenere. Disse alla buona femmina,
che più di cassa non aveva bisogno , ma che se
le piacesse, un sacco gli donasse, e avessesi quel-
la. Bocc. Per intendere, o sapere. Donna, io ho
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avuto du lui, che egli non ci può essere qui do-
mane. Bocc.
AVVENIRSI si usa, per abbattersi, Ovunque
con persona a parlar s' avveniva. Bocc. Per gio-
vare. Oh come s'avvenne al savio Uomo d'esser
cauto! Guido Giudice, Per convenire, star bene.
Se ella va, ha grazia ec. Finalmente e'se le av-
viene ogni cosa maravigliosamente. Firenzuola.
AVVISARSI per accorgersi. Gentiluomo, av-
visiti tu di nessuno che queste cose ti faccia?
Franco Sacchetti. Per deliberare S' avvisò di far-
gli una forza da gualche ragion colorata. Bocc.
E per credere, o essere di parere, nel qual senso
s'adopera anche avvisare , o esser d' avviso.
CONDURRE per indurre. Con la maggior
fatica del mondo a prendergli, ed a mangiare la
condusse. Bocc.
CONFORTARSI per concepir fiducia. Come
costei l’ebbe veduto, così incontanente si confortò
di doverlo guerire. Bocc.
CONOSCERSI per intendersi, aver perizia.
Per quello che mi dice Boliette, che sai che si.
conosce così bene di questi panni sbiavati.
CONSENTIRE per concedere, permettere.
Prima soffrirebbe di essere squartato, che tal cosa
nè in sè, nè in altrui consentisse. Bocc.
CONTENDERE per vietare, impedire. Con-
tesono loro il passo. Gio. Villani. ‘
CRESCERE per accrescere. E crebbono assai
la città di Pisa. Gio. Villani. Per allevare. Come
figliuola cresciuta m'avete. Bocc.
DOMANDARE per interrogare. Alessandro
domandò l'Oste là dove esso potesse dormire,
Boccaccio.
ESSERE per andare. I pùrenti dell'una par-
te e dell'altra furono a lui, e con dolci parole
il pregarono. Bocc.
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FARE si usa per risvegliare l’idea di qualun-
que Verbo precedente. Così lei popparono, come
la madre avrebber fatto. Bocc. cioè poppato. Sul
sar del giorno o della notte vuol dire sul comin-
ciare. Or fan sedici anni, significa or son compi-
ti. Far forza vale importare. Disse il Zeppo: Egli
è ora di desinare di questa pezza; Spinelloccio
disse : Non fa forza, io ho altresì a parlar se-
co d'un mio fatto. Bocc. In questo senso usasi
anche il solo fare. Che vi fa egli, perchè ella so-
pra quel verron si dorma? Bocc.
FARSI vale innoltrarsi. Fattasi alquanto per
lo mare. Bocc: e affacciarsi. Nè posso farmi nè
ad uscio, nè a finestra. Bocc. Fatti con Dio vale
resta,o vanne con Dio, modo di salutare o di
licenziare. Meuccio, fatti con Dio, ch'io non
posso più stare teco. Bocc.
GIOVARE si usa alla maniera latina per
piacere. Poichè Filostrato ragionando in Romagna
è entrato, a me per quella similmente gioverà
d' andare alquanto spaziandomi. Bocc.
MENARE SMANIE, MENAR ORGOGLIO
significa smaniare, insuperbire. Nè invaghì sì for-
te, che egli ne menava smanie. Bocc. Desidera-
bile è la nobiltà, ancorchè di lei sola alcun non
debba menar orgoglio. Carlo Dati. Menar la vita
significa vivere.
METTERE gi usa in senso neutro per isboc-
care. Per l’ aggiunto di più fiumi, che di sotto
a Firenze mettono in Arno. Gio Villani.
MONTARE vale importare, e s’adoperà nel
medesimo senso anche levare, e rilevare. Ta di-
resti, e io direi, e alla fine niente monterebbe.
Bocc. Assalivano l'oste, ma poco levava, sì ave-
va Castruccio afforzato il campo. Gio. Villani.
La legge natural nulla rileva. Dante.
MORIRE si usa nei passati per uccidere,
Ohimè! ella m'ha morto. Bocc.
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MOSTRARE si adopera per sembrare ; ap-
parire Non è perciò così da correre, come mo-
stra, che voi vogliate fare. Bocc.
MOVERE per andare. Or movi, non smar-
rir l'altre compagne. Petrarca.
PARTIRE per allontanare. Egli aveva l’ a-
nello caro, nè mai da sè il partiva. Bocc.
E per dividere. Il del paese, Che Appennin
parte, il mar circonda e l’Alpe. Petrarca.
PENARE per avere difficoltà. Mentre ch' io.
penerò a uscir dell'arca, egli se ne anderanno
pe’ fatti loro. Bocc.
PICCARSI per offendersi di qualche cosa.
Non ti piccar di ciò, Malmantile. E per preten-
dere di ben saperla. Allo stesso Socrate era fatta.
qualche domanda: delle cose naturali e divine ec.
delle quali il medesimo Filosofo non si piccava.
Salvini.
PORRE, o PORSI IN CUORE per delibe-
rare. Tra loro hanno posto d' uccidermi. Franco
Sacchetti. Io mi posi in cuore di darti quello ,
che tu andrai cercando. Bocc.
PORTARE per esigere, richiedere. Secondo
che la stagione portava. Bocc. Portare in pace.
val sopportare. Portatelo in pace. Bocc.
PRENDERE per intraprendere. incomincia-
re. Lasciatami prestamente presero a fuggire,
Boccaccio.
RECARE per indurre. Io mi crederei in bre-
ve spazio di tempo recarla a quello, che io ho
già dell' altre recate. Bocc.
RECARSI posto assolutamente vale offender-
si. E recaronsi, che gli Aretini avessero loro
rotta la prece. Gio. Villani.
RICHIAMARSI s'adopera per dolersi. Io son
venuto a richiamarmi di ni d'una valigia, la
quale egli m'ha imbolata. Bocce.
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RICOVERARE s’adopera per rifugiarsi. Co-
me vide correre al pozzo, così ricoverò in casa,
e serrossi dentro. Bocc. S'adopera anche per ri-
cuperare
RICORDARE si usa per nominare. Perchè
ricordavàate voi o Dio, o i Santi? Bocc. E vale
anche consigliare, ammonire.
RIMANERSI s’adopera per cessare. Vanno
ad incantore con una orazione, ed il picchiar si
rimane. Bocc.
RIPOSARSI vale lo stesso. Riposandosene
già il ragionare delle donne , comandò il Re a
Filostrato che procedesse. Bocc.
RIPIGLIARE, e RIPRENDERE valgono
rimproverare. A voi sta bene di così fatte case.
non che gli amici, ma gli strani ripigliare. Bocc.
RITRARRE da uno val somigliarlo. Da quel-
la antica madre non ritrai, Che al mondo di-
mostrò la sua potenza. Franco Sacchetti.
ROMPERE usato assolutamente vale far nau-
fragio. Laddove dovreste riposare , per lo impeto
del vento rompete, e perdete voi medesimi. Dante,
RUBARE si usa per ispogliare. Molto ben
sapeva la cui casa stata fosse quella, che Gui-
dotto aveva rubata. Bocc.
SENTIRE s’ adopera per conoscere. Quel che
tu vali, e puoi, Credo che il senta ogni gentil
persona. Petrarca. E per aver qualità. Io il qual
sento dello scemo anzi che no, più vi debbo esser
caro. In questo senso adoprasi anche avere, come
Egli ha dello scemo, o del pazzo : e tenere, co-
me nel Boccaccio: Tenendo egli del semplice.
Sentire avanti vale saper molto. Tu se’ saviissi-
ma, e nelle cose di Dio senti molto avanti. Bocc.
SOPRASTARE si usa per indugiare. Delle
sette volte le sei soprastanno tre o quattro anni
di più, che non debbono a maritarle. Bocc.
/ BEGIN PAGE 140 /
SOSTENERE per comportare, o permet-
tere. Vollele far la debita riverenza; ma ella nel
sostenne. Bocc.
SPERARE per aspettare. Del quale sapeva,
che non si doveva sperare altro che male. Bocc.
STAR BENE ad uno val convenire. Io non
son fanciulla, alla quale questi innamoramenti
stieno oggimai bene. Bocc. Stare si usa anche
per consistere. In questo sta la dignità e l'eccel-
lenza della Vergine Maria sopra gli altri Santi.
Passavanti.
STARSI val intertenersi. Perciò sfatti piana-
mente fino alla mia tornata. Bocc. E astenersi
dal far qualche cosa. Sì è meglio fare e pentere,
che stare e pentersi. Bocc.
TENERE all’imperativo sì usa per pigliare.
Te' (cioè tieni) questo lume, buon Uomo. Bocc.
E per giudicare. Corrado avendo costui udito si
maravigliò, e di grand' animo il tenne. Bocc.
Tener uscio , porta; entrata, e simili s' adopran
per vietare. E quale uscio ti fu mai in casa tua
tenuto ? Bocc. Tener favella vale restar di parlare
ad alcuno per isdegno. La Belcolore venne in
iscrezio col Sere, e tennegli favella infino a ven-
demmia. Bocc. Tener credenza vale tener segreto.
Se io credessi , che tu mi tenessi credenza, io ti
direi un pensiero, che io ho avuto più volte. Bocc.
TENERSI val trattenersi, fermarsi. Di Fi-
renze usciti non si tennero , sì (cioè finchè non)
furono in Inghilterra. Bocc.
TOCCARE per commovere. Questo ragiona-
mento, con gran piacere toccò l'animo dello Aba-
te. Bocc.
TOGLIERE per prendere. Togli guel mor-
tajo, e riportalo alla Belcolore. Bocc.
TORNARE per riporre. Tacitamente il tor-
narono nell'avello. Bocc. Per ridondare. Ogni vi-
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zio può in grandissima noja ternare di colui che
l'usa. Bocc. Tornar bene vale giovare, convenire.
TRAPASSARE per morire. Il quale non
istette guari che trapassò. Bocc.
TRARRE per accorrere. Quasi al rumor ve-
nendo colà trassero. Bocc.
VALERE per giovare. La Regina le avea
ben sei volte imposto silenzio , ma niente valea.
Bocc. E per meritare, Ch'io ami, questo non de-
ve essere maraviglia ad alcuno savio , e spezial-
mente voi, perciocchè voi il valete. Bocc.
VENIRE per divenire. E crescendo Proneo
venne sì bello della persona, che ec. Bocc. Per
uscirne odore. Dianzi io imbiancai miei veli col
solfo , sì che ancor ne viene. Bocc. per riuscire.
Tanto più viene loro piacevole, quanto maggiore
è stata del salire e dello smontare la gravezza.
Boccaccio.
VOLERE si usa per dovere. Questi Lom-
bardi non ci si voglion più sostenere, cioè non
ci si debbono. Bocc. Voler essere vale esser per
essere. Per trattato de’ Tarlati ‘usciti d'Arezzo
volle essere tradito, e tolto a'Fiorentini il castel-
lo di Laterino, cioè fu per essere. Gio. Villani.
USARE s' adopera per frequentare. Usava
molto la chiesa. Bocc. E per conversare. Quanto
più uso con voi, più mi parete savio, Bocc.
NOMI E AGGETTIVI USATI IN DIVERSI SENSI.
Di questi non faremo che accennarne alcuni
pochi.
FATTO s'adopera.per nome, personaggio,
cosa ec. Qualche gran fatto deve esser costui, che
ribaldo mi pare. Bocc.
PECCATO per male in genere, danno, di-
sordine. Gran peccato fu, che a costui ben n'av-
venisse Bocc.
/ BEGIN PAGE 142 /
PEZZA significa spazio di tempo. Fgli è
gran pezza, che a te venuta sarei. Bocc. lo stesso è
vale anche pezzo. Io mi veniva a star teco un
pezzo. Bocc.
BELLA e VECCHIA aggiunti a paura signi-
fican grande. Per bella paura si rappatumò con
lui. Bocc. E fece a tutti una vecchia paura. Pulci.
SOLENNE è usato.dal Boccaccio per grande,
eccellente, straordinario , e da lui si aggiunge a
dono, convito , uomo , giocatore, bevitore ec.
Quanto alle Preposizioni; agli Avverbj, alle è
Congiunzioni , e agl’ Interposti già abbiam dimo-
strato a’ loro luoghi i significati diversi, in cui si
sogliono adoperare.
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GRAMATICA
RAGIONATA
DELLA LINGUA ITALIANA
LIBRO III.
DELLA ORTOEPIA O RETTA PRONUNZIA.
INTRODUZIONE.
La Pronunzia è sì diversa nelle diverse Provin-
cie dell’Italia, che troppo difficil cosa sarebbe, e
pressochè impossibile l' assegnarne regole certe e
precise. Quella che è tenuta in maggior pregio si
è la pronunzia de’ Romani, e de’ Tuscani, singo-
larmente de’ Sanesi, ma'questa medesima non può
apprendersi che coll’ uso. Noi dunque non farem
qui che alcune generali osservazioni, le quali se
non varranno ad insegnar la vera maniera del pro-
nunziare, gioveranno almeno a schifarne ì princi-
pali difetti.
Le Parole sono composte di Sillabe, e queste
di Lettere. Or per sapere in qual modo e le Let-
tere, e le Sillabe, e le Parole abbiansi a pronun-
ziare, è necessario il determinare primieramente
che cosa per esse abbiasi ad intendere.
Le Parole sona le Voci, o unioni di Voci,
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di cui ci serviamo per manifestare ad altri le no-
stre idee.
Diciamo Voci, o unioni di Voci, perchè
alcune Parole consistono in una voce sola, altre
son l'unione di più Voci distinte. Re per esempio
contiene una sola Voce; Mure ne contien due ,
MA, e RE; Amare ne contien tre A#MA RE.
Ogni Voce proferita con una distinta emissio-
ne di fiato si chiama una Sillaba.
E perciò le Parole, che sono formate di una
sola Voce, come Re, si dicono monosillabe; quelle
che son composte di due, come Mare, si chiaman
dissillabe, o bissillabe; quelle che ne contengono
tre, come Amare si dicono trisrillabe; e general-
mente tutte quelle, che comprendono più d'una
Voce, si chiamano polisillabe.
Ma le Voci non tutte si proferiscono allo
stesso modo.
Alcune si pronunziano con una semplice aper-
tura di bocca, come A; altre col premettervi qual-
che movimento particolare delle labbra, o della
lingua (a), come MA, e RE.
Le prime si dicono Voci semplici; le secon-
de si dicono Voci articolate, perchè son prece-
dute dai movimenti anzidetti, che chiamansi Arti-
colazioni.
Ma siccome noi abbiamo spesse volte bisogna
di manifestare i nostri pensieri a Persone lontane,
a cui non può giugnere la mostra Voce: così per
supplirvi si è inventata l’arte di scrivere, cioè
quella di rappresentare con alcune figure segnate o
(a) In alcune hanno parte eziandio i denti, il
naso ec. come vedremo, ma sempre dipendente-
mente dai movimenti delle labbra, o della lingua.
/ BEGIN PAGE 145 /
sulla carta, o su d’ altra materia, le diverse. Voci
o semplici, o articolate, di cui è composta ogni
Parola.
Queste Figure si chiamano Lettere; e l'atto,
in cui vedendole si proferiscono le Voci ad esso
corrispondenti, si chiama leggere.
Ma qui si osservi, che le Voci semplici, co-
me A, si rappresentano con una Lettera sola; le
Voci articolate, come MA, e RE , si rappresen-
tano con più Lettere, altre delle quali, come M,
e R indican le Articolazioni, che si premettono
alle Voci; altre, come A, ed E indican le Voci
stesse, che a lor succedono.
Le Lettere adunque altre rappresentan le Vo-
ci, ed altre le Articolazioni.
Quelle che rappresentan le Voci, si chiaman
Vocali ; e nella Lingua Italiana son cinque A, E,
I, O, U.
Quelle, che rappresentano le Articolazioni, si
chiamano Consonanti; e nella Lingua Italiana son
diciassette, vale a dire B, C, D, F, G, H, J,
L, M, N, P, Q, R, S, T, V, Z.
Le prime si dicon Vocali, perchè esprimono
le stesse Voci, e si proferiscono da sè sole.
Le seconde si chiamano Consonanti, perchè
esprimono le Articolazioni, che non si possono
proferir da sè sole, ma che fan suono insieme
colle Vocali, a cui sono congiunte.
Infatti per quanto uno prepari le labbra per
proferire la Lettera B, non ne uscirà mai niun
suono , finchè non v'aggiunga qualche Vocale, di-
cendo BA, o BE.
Quindi è che per nominare le Consonanti è
necessario aggiungervi qualche Vocale.
I Toscani le nominan bi, ci, di, effe, gi,
acca, je, elle, emme, enne, pi, qu, erre, essa,
ti, ve, zeta.
/ BEGIN PAGE 146 /
Gli altri Italiani le nominan più comunemente
be, ce, de, ef, ge, acca, je, el, em, en, pe,
qu, er, es, te, ve, zeta.
Le Lettere anticamente non significavano che
le figure; o i segni, con cui si rappresentano in
iscritto le Voci, e le Articolazioni.
Ora però questo nome si adopera ancora per
significare le stesse Voci, e le stesse Articolazioni.
Quindi allorchè si dice le Lettera A, la Let-
tera Bi, o la Vocale A, la Consonante B; ora
s'intende di esprimere le figure A, e B, ed ora
la Voce , e l' Articolazione , che da queste figure
sono rappresentate.
Noi abbiamo creduto necessario l'avvertirlo e
per maggior istruzione, e perchè noi medesimi ci
serviremo del nome Lettrra or nell' uno, or nel-
l’altro significato, facendo però in modo, che si
distingua sempre bastantemente in quale, dei due
significati si abbia a prendere (a).
CAPO I.
DELLA PRONUNZIA DELLE LETTERE.
ARTICOLO I.
DELLE VOCALI.
Le Vocali nella Lingua Italiana non sono che le
cinque già accennate A, E, I, O, U.
(a) In qualche Parte d'Italia le Lettere si chia-
man Parole, e si dice la Parola A, la Parola B.
È troppo necessario il ben distinguere i termini
per non confonder le cose, MARE è una Parola;
MA, e RE sono due Sillabe; M, A, R, E sono
quattro Lettere.
/ BEGIN PAGE 147 /
Ne' Libri Latini se ne trova un'altra , cioè Y
(ipsilon), che però da noi si pronunzia come I (a).
Il diverso suono delle Vocali nasce dalla diversa
apertura delle labbra, della bocca, e della gola (b).
L’A è la Vocale, in cui queste tre parti re-
stano più aperte.
Nel proferir l'E, che si chiama targa, o a-
perta, si stringono un pochetto la gola, la bocca,
e le labbra; e la lingua che nell’A ordinariamente
si tiene un po’ sollevata, nell'E si spinge un po'
innanzi verso ai denti inferiori.
Tutto questo si fa maggiormente nel pronun-
ziare l'E, che si dice stretta o chiusa.
Più ancora nel pronunziar l'I.
Nell'O largo, o aperto si rotondan le lab-
bra ; e la bocca, e la gola si aprono a un di
presso come nell’A.
Per l'O stretto, o chiuso si stringe alcun po-
co la bocca, e la gola; e le labbra più strette,
e più rotondate sì spingono un po’ in fuori.
Questo si fa ancor maggiormente nel proferir
l'U Toscano.
E vie più nel proferir l'U Francese, o Lom-
bardo.
Difetti nella Pronunzia delle Vocali.
L'U Francese, o Lombardo è uno de’ prin-
cipali difetti da doversi schivare nel leggere, e nel
parlare la Lingua colta d'Italia.
Convien però fare attenzione , che per fuggir
l'U Lombardo non si passi all' estremo opposto , a
(a) L'Y propriamente è Lettera Greca, e dai
Latini non si usava appunto che nelle parole deri-
vate dal Greco.
(b) La parte della gola, che serve principal-
mente alla diversa modificazione dei suoni, è quella
che si chiama laringe, e volgarmente pomo d'Adamo.
/ BEGIN PAGE 148 /
cui passano alcuni, che è di far sentir un O chiuso
invece dell'U Toscano.
Un altro difetto è lo scambio frequentissimo ,
che si fa dell’E, e dell'O aperto coll’ E, e l' O
chiuso, e viceversa.
Ma siccome nella nostra Ortografia non v' ha
indizio nessuno per distinguere quando si abbiano
a pronunziare nell’uno, o nell’altro modo {a): così
non resta che osservare diligentemente i Toscani
medesimi, o quelli che lor s'accostano più da vicino.
ARTICOLO II.
DELLE CONSONANTI.
Le Consonanti si distinguono primieramente in la-
biali, e linguali, secondo che le labbra, o la lingua
hanno la parte maggiore alla loro articolazione.
Delle Consonanti Labiali.
Le Consonanti labiali son cinque B, P, M,
V , F.
Nel pronunziare BA, BE, BI, BO, BU
non si fa che mandar fuori naturalmente la voce
(a)Il Trissino, il Salvini, il Manni, e alcuni
altri avean proposto, che l'o, e l'E si distingues-
sero con segni diversi quando son chiuse, e quan-
do aperte: ma il loro util pensiero non è stato se-
guito: benchè adempiere pur si potrebbe con som-
ma facilità, contrassegnando l'O, e l' E aperta
coll’ accento grave, alla maniera de' Francesi, e
l' O e l'E chiusa coll' accento acuto, o lasciando
anche quest' ultime senza accento, il che abbastan-
za indicherebbe, che s'abbiano a pronunziar chiuse.
L'uso degli accenti potrebbe anche servir moltissi-
mo alla determinazione delle Parole sdrucciole,
piane, e tronche, siccome a suo luogo diremo.
/ BEGIN PAGE 149 /
nell'atto che si apron le labbra, conformando poi
queste, secondo che richiede il suono delle Vocali,
che seguono alla Lettera B.
Per pronunziare PA, PE, PI, PO, PU si
fa lo stesso; ma le labbra si premono l’un contro
l’ altro prima d’aprirle, e la voce si manda fuori
con maggior forza.
L'articolazione di MA, ME, MI ec. è mol-
to simile a quella di BA, BE, BI se non che
la voce si fa uscire in parte anche dal naso, e ri-
sonare alcun poco nella sua cavità interiore.
Di qui è che il B, e il P si chiamano la-
biali semplici, e la M si dice labiale nasale.
Le altre due V, F, si dicono labiali dentali,
perchè la loro articolazione dipende unitamente
dalle labbra, e dai denti.
Per pronunziare VA, VE, VI, ec. si appog-
giano i denti superiori sul labbro inferiore, e la
voce si manda fuori naturalmente nell’atto di stac-
care i denti dal labbro.
Per pronunziare FA, FE, FI ec. il labbro
inferiore si preme alcun poco contro ai denti su-
periori, e innanzi di staccare i denti dal labbro
si comincia a spingere il fiato con forza , il quale
uscendo lateralmente, e battendo nel labbro supe-
riore fa sentire una specie di soffio.
Delle Consonanti Linguali.
Le altre Consonanti (eccetto la H) sono tut-
te linguali.
Si soddividono però anche queste in varie
classi.
Il D si articola appoggiando la punta della
lingua ai denti superiori, e spingendo la voce mo-
deratamente.
Il T appoggiando la punta della lingua un
po' più abbasso, cioè fra i denti superiori, e gl'in-
feriori , e spingendo la voce con maggior forza.
/ BEGIN PAGE 150 /
Perciò queste due Consonanti si chiamano lin-
guali dentali.
NA, NE, NI ec. si pronunzia appoggiando
la punta della lingua al palato (o come dicesi vol-
garmente al cielo della bocca) con un po' di for-
za , e facendo in parte passar la voce pel naso.
Perciò questa Consonante si chiama linguale
nasale.
LA, LE, Llec. si proferisce appoggiando
più debolmente la punta della lingua al palato, e
mandando naturalmente la voce nell'atto. di stac=
care la lingua.
RA, RE, RI ec. si pronunzia accostando la
punta delia lingua al palato un po’ più indentro
che per la L, ma senza toccarlo, e facendola
tremolare nell’ atto di mandar fuori la voce.
Queste due Consonanti si potrebber chiamare
linguali palatine; invece si chiamano linguali li-
quide, della quale denominazione è difficile l'asse-
gnar la giusta ragione.
GE, GI si proferiscono appoggiando al pa-
lato la parte anteriore della lingua ; e mandando
fuori la voce naturalmente.
CE, GI si pronunziano allo stesso modo, ma
premendo un poco la lingua contro il palato, e
spingendo la voce con maggior forza.
Nel proferire GA, GHE, GHI; GO, GU,
la punta della lingua si appoggia sotto a denti in-
feriori, e la parte di mezzo si appoggia al palato
un po' in dentro verso la gola, mandando fuori la
voce con una piccola aspirazione.
Lo stesso pure si fa nel proferire CA, CHE,
CHI, CO, CU, sennonchè il mezzo della lingua
si appoggia al palato un po’ meno indentro , e la
voce si spinge con maggior impeto, e con aspira-
zione più forte.
Quindi è che GE , GI, e GHE, GHI; CE,
/ BEGIN PAGE 151 /
CI, e CHE, CHI propriamente sono articolazioni
affatto diverse, e dovrebbero esser pure contrasse-
gnate con diverse Lettere : invece le une si scri-
vono colla H, e le altre senza.
Il G in GA, GHE, GHI ec., e il C in
CA, CHE, CHI ec. si chiamano gutturali, per-
chè si articolano verso alla gola : ma questo nome
non può lor convenire in GE, GI, e CE, CI,
che piuttosto son palatine.
K,e Q si articolan allo stesso modo che il
C gutturale. Si osservi però che il K appartiene
agli Alfabeti Latino, e Greco; e che il Q è se-
guito sempre da un Dittongo, che comincia per
U, come quasi, questo ec.
Nell’ articolazione della S s' appressa la punta
della lingua ai denti inferiori, e tra Questi e i
denti superiori, che tengonsi vicinissimi gli uni agli
altri, si fa uscire la voce a maniera di fischio, o
di sibilo.
Perciò questa Lettera si chiama linguale fi-
schiante , o sibilante.
Un tal sibilo però ora è più forte, ed ora
più dolce, come è facile a distinguere nel sa di
rossa, e di rosa.
La X, che parimente appartiene agli Alfabeti
Latino , e Greco, è un composto delle articola-
zioni del C gutturale, e della S forte: infatti
Xerxes si propunzia come Csercses.
La Z è similmente un composto delle artico-
lazioni ora di D, e S dolce, ora di T, e S for-
te: così Zelo equivale a dseto , e zitto eequivale a
tsitto.
Perciò la X, e la Z si chiamano Lettere
doppie.
Il J si articola mettendo le parti laterali della
lingua fra i denti molari, e accostandone la parte
/ BEGIN PAGE 152 /
più interna al palato nell'atto di spinger voce:
Resta la H, la quale da alcuni si esclude pu-
re dal numero delle Consonanti. Ella esprime quel
fiato, che avanti di proferire una Vocale si manda
talvolta dal fondo della gola a maniera di sospiro,
e che chiamasi aspirazione.
Nella Lingua Italiana però questa aspirazione
si sentir solamente in CHE, CHI, e GHE,
GHI.
Negli interpesti ah, oh, deh, uh, eh ec. in-
vece di far sentir l'aspirazione, si prolunga o stra-
scina,la Vocale medesima: e le parole io ho , tu
hai, egli ha, essi hanno si proferisceno come se
la H, non vi fosse; e alcuni infatti sogliono scri-
verle anche senza la H, sostituendovi in cambio
un accento , come ò , ài , à, ànno.
Difetti nella Pronunzia delle Consonanti.
Nelle labiali siccome fra il B, e il P, fra il
V, e la F non v'ha quasi altra differenza, che la
minore, o maggior forza, con cui si spinge la
voce ; così è facile lo scambiarle. I Tedeschi in-
fatti invece di BE frequentemente pronunzian PE,
e invece di VE dicon FE. In bocca ad un Ita-
liano ciò farebbe cattivissimo suono; perciò con-
viene avvezzarsi a ben distinguere le loro diverse
articolazioni.
Anche nelle linguali tra il D, e il T, tra il
G, e il C così gutturale come non gutturale, la
principal differenza consiste nella minore, o mag-
gior forza, con cui la voce si manda fuori. Ma
con un po’ di attenzione è facile accostumarsi ad
articolarli distintamente ne' debiti modi.
/ BEGIN PAGE 153 /
I Toscani usano per lo più di articolare CE,
CI, come SCE, SCI, dicendo non sc' era, non
sci è stato invece di non c'era, non ci è stato:
e CA, CHE, CHI, CO, CU, come HA, HE,
HI, HO, HU con una forte aspirazione, senza
far sentire il C, dicendo he hosa invece di che
cosa. Ma in questa parte dagli altri Italiani non
sono imitati.
La S si pronunzia, come abbiam detto, con
un sibilo ora più dolce, ed ora più forte. Qui la
diversità fra le varie Parti dell’ Italia è grandissi-
ma. I Toscani, i Romani, i Napoletani usano più
comunemente la seconda ; i Piemontesi, i Geno-
vesi, i Lombardi, i Veneziani assai più la prima.
Casa per esempio da quelli si pronunzia con S
forte, da questi con S dolce.
La Z anch'essa, come abbiam pure accenna-
to, or si pronunzia con maggior forza, ed equi-
vale a TS forte, or con minore, e corrisponde a
DS dolce. Anche qui i Toscani, i Romani, i Na-
poletani fan più uso della prima che non della se-
conda, la quale sembra invece, che agli altri piac-
cia maggiormente.
Un difetto da schivarsi attentamente nella pro-
nunzia della Z, e che sebben più comune ai Pie-
montesi, ed ai Genovesi, non lascia però di aver
luogo talvolta anche fra i Lombardi, e i Vene-
ziani, è il far sentire la sola S, senza il T, o il
D, che deve precederla, dicendo a cagion d'esem-
pio Grasia invece di Grazia, Prestessa invece di vu
Prestezza, Pasiensa invece di Pazienza.
Un difetto contrario è quello di pronunziare
la S come Z, il che usano talvolta i Toscani, e
più i Romani e i Napoletani, singolarmente quan-
do la S viene dopo la L, la N, e la R, dicendo
Polzo per Polso, Inzegna per Insegna, Corzo
per Corso.
/ BEGIN PAGE 154 /
Altro difetto, che comunissimo ai Veneziani,
lo è pure ad alcuni Lombardi, si è quello di
proferire CE, CI come se fosse ZE, ZI, di-
cendo Zerto , Zittà, Zima invece di Certo, Cit-
tà, Cima.
La R è la Consonante più difficile ad artico-
larsi pel tremolio, che deve darsi alla lingua nel
proferirla. Per avvezzarvisi convien ripeterla più
frequentemente dell’altre or separatamente, or nel-
le parole che più n' abbondano, come trarre, i
tremare , terrore ec.
CAPO II.
DELLA PRONUNZIA DELLE SILLABE.
Ogni voce distinta, e proferita con una distinta
emissione di fiato , forma una Sillaba, come ab-
biamo già detto.
Ogni Vocale pertanto può formare una Silla-
ba da sé sola. Al contrario niuna Consonante può
formar Sillaba , se non è unita a qualche Vocale.
ARTICOLO I.
DEI DITTONGHI, E TRITONGHI.
Alle volte due Vocali non formano che una Sil-
laba sola, e questa allor si chiama Dittongo.
Ciò, avviene quando le due Vocali si pronunziano
/ BEGIN PAGE 155 /
in un sol fiato, e così unitamente, che vengono
quasi a formare un suono solo, come AU in Au-
ra, EU in Euro, UO in Uomo, IU in Giuro,
OI in Oibò.
Anche tre Vocali compongono alcuna volta
una Sillaba sola, la quale allor si dice Tritongo,
come IEI in Miei, UOI in Tuoi, IUO in Giuoco.
In questi casi la voce si posa sopra una sola
delle Vocali, la quale si può chiamar Vocal do-
minante : le altre si fanno appena sentire sfuggi-
tamente.
La Vocal dominante nei Dittonghi ora è la
prima, ed or la seconda. Nell’ Au di Aura la
voce si manda fuori solamente per l'A: l'U si fa
sentir dopo sfuggitamente col ristringimento delle
labbra, facendo muso del fiato medesimo, che è già
uscito per l'A.
Al contrario nell’UO di Uomo l'U si fa sen-
tire sfuggitamente innanzi all'O, e la voce si fer-
ma in seguito sull'O medesimo.
Nei Tritonghi la Vocal dominante ora è nel
mezzo, come in mièi, tuòi ; ora in fine, come in
giuò#co.
Allorchè nel proferire due, o tre Vocali di
seguito si manda fuori un nuovo fiato per ciasche-
duna, esse non formano più Dittongo , Triton-
go , ma fanno altrettante Sillabe separate, come
Pa#u#ra, Le#u#to o Li#u#to.
/ BEGIN PAGE 156 /
ARTICOLO II.
DELLE SILLABE MISTE DI CONSONANTI E DI VOCALI.
Le Consonanti oltre alle distinzioni, che abbiam
di sopra accennate, ne han pure un’ altra, ed è
quella di mute, e sonore.
Le Consonanti sonore sono F, R, S, X, Z.
Nel pronunziar FA, RA, e SA la prima fa sen-
tire il soffio, la seconda il mormario, e la terza
il sibilo innanzi che si oda il suono dell’ A. Questo
sibilo si sente pure nell’ X, e nella Z che son
composte dell' S.
Le altre Consonanti son tutte mute, perchè
non dan niun suono, se non seguite da una Voca-
le, e il suono non si ascolta, se non nell’ atto
che si spinge il fiato, e si apre la bocca per pro-
nunziare questa Vocale. Così ben può uno, come
si è già accennato nella Introduzione, preparare le
labbra o la lingua per pronunziare BA, o DA;
ma finchè non aprirà le labbra, e non istaccherà
la lingua dai denti per dar passaggio alla voce ,
onde far sentir l'A, non ne uscirà mai niun
suono.
Quindi è che siccome le Consonanti mute
non servono che a modificate il suono della Vo-
cale seguente ; così con queste avrebbero sempre
a far Sillaba, come avviene diffatti in BA, CA,
DA.
Ma AB, AC, AD, e simili non avrebbero a
formare una Sillaba sola, poichè dopo pronunziata
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l'A, non si può far sentire il B senza chiuder le
labbra, e riaprendole mandar fuori la voce nuova-
mente , la quale per conseguenza dee far sentire
un’ altra Vocale.
Questa vocale si ode infatti, ed è un e ; co-
sicchè volendosi pronunziar AB noi veniamo real-
mente a dir ABe.
Ma l'e è proferità sì rapidamente , e con
fiato sì tenue, che appena si sente. Perciò ella è
chiamata e muta; ed AB si considera per una Sil-
laba sola, come se il B fosse appoggiato all’A
precedente, e la e, che realmente la segue, non
esistesse. Così si dica di AC, AD ec.
Circa alle Consonanti sonore è vero che in
AF, AR, AS, pronunziata l'A, si ode il soffio
dell’ F, il mormorio dell’R, e il sibilo della S,
senza che s'abbia a riaprire la bocca. Ma questo
medesimo soffio , e sibilo, e mormorio contengo-
no il suono di un' e muta o di un’i ; e perciò
vale anche per esse quello che delle Consonanti
mute abbiam detto.
Oltre a queste Sillabe, che son le meno com-
poste,ve n'ha dell’ altre più composte assai, vale
a dire o di una Consonante, e più Vocali, come
PIE in pie#no, BUO in buo#no, MIEI, TUOI
ec.; o di una Vocale, e più Consonanti, come
BAN in ban#do, GRA in gra#do; o di più Con-
sonanti, e più Vocali, come PIAN in pian#ta ,
GLIUO in fi#gliuo#lo.
In queste Sillabe, quando v' ha più d' una
Vocale, esse formano sempre un Dittongo, o un
Tritongo ; e quando v' ha più di una Consonante,
quelle che non s' appoggiano immediatamente alla
Vocale seguente sono sempre accompagnate impli-
citamente da un e muta.
Abbiamo già avvertito che l'articolazione del
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G in gia, ge, gi, ec. e del C in cia, ce, ci ec.
è affatto diversa da quel che sia in ga, ghe, ghi, e
in ca, che, chi, dimodochè a rigore dovrebbe pure
indicarsi con Lettere totalmente diverse. Lo stesso
è di scia, sce, sci; glia, glie, gli; gna, gne,
gni, che sono anch’ esse articolazioni particolari, e
totalmente distinte da tutte l’ altre.
Per articolare sce , sai la lingua si ritira fra
i denti molari colla punta sollevata in mezzo del-
la bocca, e innanzi di proferir l'E, o l'I, si
manda un debol fischio , e quasi appannato : per
articolare glia, glie, gli , la lingua posta fra i
denti molari si accosta colla punta al palato; per
articolare gna , gne, gni , si applica al palato la
parte interiore della lingua, e sì fa risonar la vo-
ce nel naso.
Noi abbiamo dunque realmente tre nuove ar-
ticolazioni, una fischiante, una linguale palatina,
e una linguale nasale , che avrebbono pure a rap-
presentarsi con tre nuove Lettere.
La mancanza di tali lettere fa che la prima
si rappresenti da noi per SC, la sceonda per GL,
la terza per GN (a).
(a) La stessa mancanza fa pure, che queste
articolazioni dalle altre, Nazioni si rappresentino
con altre diverse Lettere. Cavallo a cagion d’esem-
pio da' Francesi si scrive Cheval, e si pronunzia
Sceval; Corto dagl’Inglesi si scrive Short, e si pro-
nunzia Sciort; Scherzo da Tedeschi si scrive Scherz,
e si pronuncia Scerz. Così invecchiato da’ Francesi
è detto viegli, e si scrive vielli; Signore dagli Spa-
gnuoli è detto Segnor, e si scrive Señor.
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ARTICOLO III.
DIFETTI NELLA PRONUNZIA
DELLE SILLABE.
Rispetto alle Sillabe composte di una sola Vo-
cale veggasi ciò che abbiam detto della pronunzia
delle Vocali.
Riguardo ai Dittonghi, ed ai Tritonghi il di-
fetto più comune a varie parti d'Italia è quello di
scambiar l’U in V, dicendo Av#gusto, invece di
Au#gusto, Ev#ropa invece di Eu#ropa, Vo#mo
invece di Uo#mo, Fi#gli#volo invece di Fi#gliuo#lo;
e di porre un V tra l'A, e l'O, dicendo Pa#vo#lo
in luogo di Pao#lo.
Nelle Sillabe composte di Consonanti, e di
Vocali oltre ai difetti , che possono nascere dalla
cattiva pronunzia delle Consonanti medesime, in-
torno ai quali veggasi ciò che abbiamo detto più
addietro, è da guardarsi che nelle Sillabe, le qua-
li terminan per Consonante , l'e muta non facciasi
troppo gagliardamente sentire, come usano alcu-
ni, i quali pronunzian conne invece di con, adde
invece di ad.
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CAPO III.
DELLA PRONUNZIA DELLE PAROLE.
Nelle Parole oltre alla retta pronunzia delle
Lettere, e delle Sillabe, di cui sono composte, è
d'uopo anche osservare 1.° di nulla aggiugnere, e
nulla togliere a ciò che è scritto 2.° di fermar
la voce sulle Sillabe, ove conviene.
ARTICOLO I.
DEL NON AGGIUGNERE, O TOGLIERE
A CIO', CHE È SCRITTO.
È difetto comure a molti nella pronunzia delle
Parole, in cui l'I, e l’U son seguiti da un'altra
Vocale, senza però far con essa Dittongo, il frap-
porvi sfuggitamente un J;o un V, dicendo per
atto d'esempio MI#jO invece di MI#O; e TU#vO
Invece di TU#o.
Ciò avvienè nel primo caso, perchè nell’apri-
re la bocca per far passaggio dall'I all'O, solle-
van la lingua, e le fan toccare il palato, sicchè
si sente frammezzo l'articolaziene del J; e avvien
nel secondo caso perchè nell' aprire le labbra per
passare dall' U all'O, incontrano col labbro infe-
riore nei denti superiori , sicchè nè nasce l' artico-
lazione del V.
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Un altro difetto, che assai comunemente s'in-
contra spezialmente nella Superior Parte dell' Ita-
lia, si è quello di proferir come semplici le Con-
sonanti doppie, massimamente quando sono verso
il principio, o verso il mezzo della Parola ; e
all'incontro sul fine di essa proferir doppie le sem-
plici. Si odon molti per esempio prenunziare
a#rivo, ca#tivo , dife#toso invece di ar#rivo, cat-
tivo, difet#toso, e pronunziare al contrario stat#to
invece di sta#to ; vedut#to invece di vedu#to , ca-
ten#na invece di cate#na ec.
Le seguenti osservazioni potran giovare a cor-
reggerne più facilmente i Fanciulli.
Abbiamo detto, che le Consonanti sono altre
sonore, ed altre mute. Ora le Consonanti mute
veramente non si pronunzian mai doppie. Se in
Fatto s'avessero a pronunziare distintamente i due
TT, converrebbe dir FATe# TO, perchè dopo il
primo T sarebbe indispensabile il far sentire l'e
muta.
Qual è dunque la differenza tra fatto, e fato,
accetta, e aceto, e simili?
Eccola: nel dir fatto, dopo proferita 1'A si
dispone subito la lingua per l’articolazione del T,
e colla lingua così disposta si sta un momento in
silenzio, quindi si proferisce con forza la Sillaba
TO. La sua pronunzia si può dunque esprimere
nella maniera seguente : FAt# TO.
Al contrario nel dir fato la Vocale A si pro-
lunga alcun poco, e dietro a lei si proferisce la
Sillaba TO senza interrompimento, e naturalmen-
te; sicchè la sua pronunzia equivale a FAa#TO.
La stessa è la differenza tra accetto, e aceto.
Nelle Consonanti sonore, il doppio suono si
fa sentir realmente col prolungare per doppio tem-
po, e rinforzar maggiormente il loro soffio, o
sibilo, o mormerio.
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La differenza adunque tra Saffo; e Pafo, tra
spesso, e speso, tra ferro, e fero sì è che in
Saffo tra l'A, e l'O si ode un soffio continuato,
e gagliardo, che s' attacca ad amendue le Vocali,
e la Vocale A cessa subito; il che può rappresen-
tarsi per SaF#FO: al contrario in Pafo la Vocale A
si prolunga, e il soffio della F cade tosto sull'O,
onde è come PAa# FO. Lo stesso dicasi della di-
versa pronunzia di SPeS#SO, e SPEe# SO, di
FeR#RO , e FEe#RO.
Circa alla Z siccome essa equivale a due Con-
sonanti, una muta, e l'altra sonora; così quando
è raddoppiata, si comincia ad interromper la voce
per la Consonante muta, e si proferiscono in ap-
presso con maggior forza la muta, e la sonora
appoggiate amendue alla Vocale seguente : perciò
da pronunzia di pezzo è come PEt#TSO.
ARTICOLO II
DELLE POSE DELLA VOCE,
E DEGLI ACCENTI.
Nelle Parole Italiane la posa della Voce, che
anche chiamasi Accento , si fa ordinariamente o
sull’ ultima Sillaba, come troverà, o sulla penulti-
ma come troverànno , o sulla terzultima , come
troverannosi.
Le prime si dicono Parole tronche, le secon-
de Parole piane , le terze Parole sdrucciole.
Alcune pur ve ne sono, in cui la posa si fa
sulla quartultima Sillaba, come abbèverano o sulla
quintultima, come abbè#veranosi, o sulla sestultima
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come abbèveranosene, la prima delle quali si chia-
ma bisdrucciola, la seconda trisdrucciola, la terza
quadrisdrucciola : ma queste sono rarissime.
Se in quella guisa che si segna l'accento nelle
Parole, in cui la voce si ferma sulla Vocale fina-
le, come troverà, si accentassero anche le Parole
piane, e le sdrucciole, niuno potrebbe errare nel
pronunziarle (a).
Ma quest uso nell’ Italiana, Ortografia, sebben
proposto, da alcuni, non s' è introdotto: e dall'al-
tra parte il ridurre a classi generali tutte le Parole
piane e le sdrucciole sarebbe cosa infinita.
Noi ci riportiamo adunque in ciò all’esperien-
za, ed all’ uso. Invece osserveremo, che quando
la voce si posa sull’ ultima Vocale, questa si pro-
nunzia con maggior forza, e con un certo alza-
mento di voce. La differenza tra amo e amò;
arrivo, arrivò è sensibilissima.
È però da notare, che. aleuni fan sentire
questa differenza anche più che non dovrebbesi,
pronunciando le ultime Vocali non accentate così
debolmente, che si ha pena ad intenderle. Convien
(a) Basterebbe anche accentare soltanto le tron-
che, e le sdrucciole, con che verrebbe a conoscer-
si, che le non accentate son piane. E perchè l’ac-
cento indicante le pose della voce non si confon-
desse con quello che si destinasse a contrassegnare
l'E, e l'O aperto, basterebbe fissare per queste
Vocali l'accento grave (‘), siccome abbiam detto
innanzi, e per le pose della voce l’ accento acu-
to (’). Dove poi la voce cadesse sopra lo stesso E,
ed O aperto, ad indicare amendue le cose servir
potrebbe l' accento composto (^).
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pertanto avvezzarsi a spiccarle anch’ esse distinta-
mente, e per meglio riuscirvi, è d’uopo accostu-
marsi a proferire l'O, e l'E in fin di parola non
chiuse e strette, come sogliono per lo più i Lom-
bardi, ma larghe, e aperte, come usano i Tosca-
ni, e i Romani.
Nelle Parole piane, e nelle sdrucciole la Vo-
cale, su cui si ferma la voce, comunemente si
proferisce con minor impeto , e minor alzamento
di tono, ma invece si prolunga di più, come
AMAa#TO, AMAa#BILE.
Si eccettuin le Vocali seguite da doppia Con-
sonante della medesima specie, le quali, come già
abbiamo accennato, si pronunzian con prestezza ,
prolungando invece o la Consonante medesima, se
è sonora, o frapponendovi un piccolo silenzio, se
è muta.
La stessa regola si tiene quando questa Vocale
è seguita da due Consonanti di diversa specie, di
cui una a lei si congiunga. La Vocale anche allora
si pronunzia prestamente, e la sospensione di voce
si fa in cambio sulla Consonante , a cui si unisce
un’ e muta, ma quasi insensibile, come ban#do,
par#to ec.
/ BEGIN PAGE 165 /
GRAMATICA
RAGIONATA
DELLA LINGUA ITALIANA
LIBRO IV.
DELL'ORTOGRAFIA.
INTRODUZIONE.
Il vocabolo Ortografia nasce dai due Greci ortes
retto, e grafo scrivo, e significa scrivere retta-
mente.
Lo scrivere rettamente consiste nel'rappresen-
tar le parole per mezzo dei caratteri in quel mo-
do medesimo, in cui debbon essere pronunziate.
Perciò ad avere un'esatta Ortografia importa
moltissimo l' acquistar prima un’ esatta Pronunzia.
Dove però questa manchi, potranno rispetto
all' Ortografia supplire in parte le seguenti regole.
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CAPO I.
DELL'ALFABETO ITALIANO.
L'Alfabeto (a) Italiano è composto di ventidue
Lettere, che sono A, B, C,D, E, F, G, H,
I, J, L, M, N, O, P, Q, R, S, T, U, V,
Z, cinque delle quali , cioè A, E, I, O, U sono
Vocali, le altre son Consonanti.
Delle Lettere K, X, Y.
I Latini avevano una Vocale di più, cioè Y
(ipsilon) , e due Consonanti di più, cioè K (cap-
pa), e X (ix), che in Italiano non si usano.
Gl’ Italiani nelle Parole derivate dal Latino
all’ Y sostituiscono l'I, come gyrus (giro); al
K sostituiscono il C; come kalendae (calende);
alla X sostituiscono l’ S, come exemplum (esempio).
La X però si conserva in alcuni pochi Lati-
nismi, come ex professo; ex abrupto, ex proposito.
(a) Alfabeto è nome tratto dalla lingua Greca ,
in cui le prime due Lettere A, B si nominan Alfa,
Beta. Dai Toscami esso chiamasi l’Abbicci, perchè
le prime tre Lettere A, B, C da lor si pronunzia-
no, come già si è detto, a, bi, ci.
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ALFABETO ITALIANO
Della Lettera H.
Anche della H gl'Italiani non fanno molto uso.
In principio non si adopera che nelle quattro
parole ho, hai, ha, hanno derivate dal verbo
avere.
Nel fine si aggiunge soltanto negli Interposti,
o voci di esclamazione ah, oh, eh, uh, deh,
doh, puh.
Nel mezzo si dà soltanto agli interposti ahi,
ohi, ahimè, ohimè, e alle Sillabe Che, Chi, Ghe,
Ghi, Sche , Schi, come cheto, china, ghetto,
ghiro , esche, paschi per distinguerle da Ce, Ci,
Ge, Gi, Sce, Sci, come ceto, Cina, getto, giro,
esce, pasci.
Le Sillabe Ca, Co, Cu, e Gu, Go, Gu si
scrivono sempre senza la H, come caro, curo ,
cura, gara, gola, gusto.
Dell'I dopo il C, ed il G.
Le Sillabe Cia, Cio, Ciu; Scia, Scio, Sciu;
e Gia, Gio, Giu hanno l’I; ma Ce, Sce, e Ge
ne van senza. Percìò si scriverà faccia , e facce ;
fascia, e fasce ; piaggia , e piagge; comincio, e
comincerò ; gareggio, e gareggerò.
Cie, Scie e Gie hanno l’I solamente allorchè
questo si pronunzia distintamente, e separatamente
dall’E, come Provinci#e, regi#e, speci#e, effigi#e,
sci#enze. Si scrivon però coll’ I anche le Reggie,
e le greggie per distinguerle dal verbo egli regge,
e dal nome singolare il gregge, e coll’ I si scrive
anche Cielo , cieco, leggiero, arciero, messaggie-
ro , passeggiero , perchè alcun poco si fa sentire
nella pronunzia.
/ BEGIN PAGE 168 /
Del Ci, e Zi.
Alcune parole si pronunziano , e scrivono in-
differentemente e con ci, e con zi, come ufficio
e uffizio, indicio e indizio, beneficio e benefizio,
giudicio e giudizio, delicie e delizie, specie e
spezie, annunciare e annunziare, pronunciare e
pronunziare ec.
Del Gl, e Gn.
Le Sillabe Glia, Glie, Glio, Gliu, hanno il
C quando nel pronunziarle si applica tutta la lingua
al palato, come veglia, toglie, meglio, figliuolo.
All'incontro quando nella pronunzia si applica,
al palato solamente la punta della lingua, cioè si
fa sentire solamente la L, il G si tralascia, come
Italia, Giulia; olio, Cavaliere, umiliare , milione
e simili.
Gna, Gne , Gno , Gnu si scrivono sempre
senza I, come degna, insigne, regna , ignudo.
Del J, e dell'j doppio.
Il J in Italiano non si usa, che in mezzo
alle parole, e sempre tra due Vocali, come ajuto.
gioja, guajo , cuojo, Ferrajo , Librajo ec.
Nelle parole, che in Latino comincian per J,
in Italiano si sostituisce il G, come da jacere (gia-
cere), da jurare (giovare) ; e in quelle che
/ BEGIN PAGE 169 /
hanno il J dopo il B, come abjectus, objectus,
subjectus , si sostituisce l’I raddoppiando il B, co-
me abbietto, obbietto, subbietto.
Quando un Nome, o un Aggettivo nel singo-
lare termina colle Vocali io, che faccian sillaba
separata, nel plurale invece di scriversi con ii, si
scrive con j: così da giudizi#o, ozi#o, uffizi#o
vengon giudizj , ozj, uffizj.
Ciò non può farsi coi Verbi; e perciò non si
scrive tu ringrazj, tu annunzj, ma tu ringrazii,
tu annunzii.
Anche nei Nomi, e negli Aggettivi sono ec-
cettuati tutti quelli in cui la voce si posa sull’ I,
di io, come Dio, pio, restìo , natìo che al plu-
rale si scrivono con ii, cioè Dii, pii, restii, natii.
Quelli al contrario, in cui nel singolare le
Vocali io fan dittongo, cioè si pronunzian con una
sola emissione di fiato, nel plurale si proferiscono,
e sì scrivono con un solo i, come da raggio,
occhio , figlia, empio , esempio ec. raggi, occhi,
figli, empi, esempi.
Anche quelli che nel singolare finiscono in jo,
come Ferrajo, Librajo, guajo, cuojo, nel plurale
si scrivono con un i semplice, come Ferrai, Li-
brai, guai, cuoi.
Dell' M, e dell'N.
La Lettera N avanti a B, e P si cambia
sempre in M, come Giambatista, Giompiero in
luogo di Gianbatista , Gianpiero. Lo stesso si fa
ancora in tiemmi per tienmi.
La M all’ opposto si cambia sovente in N
quando è innanzi ad un’ altra N, come andianne
invece di andiamne.
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Dell'U, e del V.
Ben appresa la diversa pronunzia, e denomi-
nazione della Vocale U, e della Consonante V (ve),
non sarà più sì facile lo scambiar l'una per l’altra.
Noi farem dunque soltanto intorno a queste Lettere
alcune piccole osservazioni.
1.° Dopo il G, ed il Q, l'U è sempre Vo-
cale, ed ha un suono sfuggito, che termina nella
Vocale seguente, come guerra, guadagno, questo,
acquisto ec.
2.° L’U ha il medesimo suono sfuggito in-
nanzi all’O, quando con lui fa dittongo, come
cuore, buono, scuola, uomo, figliuolo, vuole,
duole ec.
3.° L’ U però non ha luogo, se non in quel-
le parole, dove la voce si posa sull’ O che gli
viene appresso ; come negli esempi anzidetti. Al-
lorchè la voce batte su d'altra Vocale, l'U si
tralascia, come bontà, coraggio, scolare, voleva,
dolente, non buontà, scuolare ec. Si eccettuan
nuovamente , buonamente ; e da alcuni si scrive
anche giuocare.
4.° Alcune parole si pronunziano , e si scri-
vono indifferentemente, e coll’u, e senza, come
pruovo, e provo, scuopro, e scapro, truovo e
trovo.
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Delle Lettere Majuscole.
Da Lettera Majuscola si incomincia sempre:
1. La prima parola d'ogni discorso.
2. La prima parola dopo il punto.
3. La prima parola allorchè si riferisce qual-
che detto, o qualche autorità altrui.
4. La prima parola di ogni verso scrivendo
in poesia.
5. Ogni Nome proprio di persona, di fami-
glia, di città, di provincia, di fiume ec., come
Pietro , Bembo, Milano, Lombardia, Po.
6. Ogni Nome di dignità, o di titolo, come
Imperadore, Re, Duca, Marchese, Conte ec. (a).
7. Ogni Nome di nazione preso da sè, come
gl' Italiani, i Tedeschi , i Francesi ec.
8. I Nomi di quelle cose, che nel discorso
interessano maggiormente , e su cui si vuole che
il Leggitore fissi maggiormente l’attenzione.
CAPO II
DELL’ ACCENTO.
L' Accento si sovrappone generalmente all’ultima
Vocale di quelle parole, che sono di più sillabe,
(a) Da alcuni questi titoli si scrivon ora con
lettera minuscola. I più però amano tuttavia di
scriverli con lettera majuscola.
/ BEGIN PAGE 172 /
che finiscono in Vocale, e in cui sa di questa Vo-
cale si appoggia la voce, come pietà, bontà, per-
chè , però ec.
Nei Monosillabi non si pone se non:
1.° Quando contengono un dittongo, e la vo-
ce si ferma su l’ultima Vocale, come ciò, può,
già , più, quì, quà (dalla maggior parte però
qui, e qua si scrivono senza accento ).
2.° Quando hanno due diversi significati, per
distinguere i quali in uno si aggiunge l'accento, e
nell’ altro si ommette. Così hanno l’ accento è , e
dà quando vengono dai verbi essere e dare, come
egli è, egli dà; dì nome in significato di giorno,
e imperativo del verbo dire; sì avverbio afferma-
tivo, e in significato di così; nè congiunzione ne-
gativa; là e lì avverbj di luogo: e non hanno
l'accento, allorchè questi monosillabi si usano in
altro senso.
Alcuni aggiungon l’ accento anche a sè quan-
do è nome personale, come egli ama troppo sè
stesso, e a chè quando significa perchè, altri l’om-
mettono.
Qualche volta l' accento si pone anche sulla
penultima Vocale, come in balìa (arbitrio) per
distinguerlo da balia (nutrice ), in gìa (andava)
per distinguerlo da già avverbio, e in umìle, si-
mìle, Oceàno ec. quando in Poesia l’ accento del
verso si fa cadere sulla loro penultima Vocale.
/ BEGIN PAGE 173 /
CAPO III.
DELL’APOSTROFO.
L' Apostrofo è quella virgoletta, che mettesi in
alto, quando l’ultima Vocale di una parola sì tra-
lascia per l’incontro di un’ altra parola, che per
Vocale incominci, come bell’ ingegno invece di
bello ingegno , grand' opera invece di grande
opera.
Nell’ articolo Gli l'i non si può troncare, se
la parola seguente non comincia similmente per i.
Quindi si scriverà bene gl' Italiani, gl' Indiani,
ma non gl' anni, gl' editti, gl' orsi, gl’uomini,
perchè gl' avrebbe allora quel suono aspro, che
ha nelle parole latine gladius, gleba, gloria,
gluten.
Similmente CE, CI, GE, GI non si possono
apostrofare se non innanzi all’ E, e all’ I; onde
lo scrivere piagg’ amene, dolc' amico è errore.
Anzi queste sillabe si sogliono per lo più scri-
vere intere anche innanzi all’ E, e all’ I, come
piagge erbose, dolce incontro.
Il nome personale ci è quasi il solo, che in-
nanzi alle Vocali E, ed I si scriva coll’Apostrofo,
come c'era, c'invitò , c' indusse.
Le Vocali accentate non si possono elidere se
non nei composti di che, per esempio perch' io
venga , bench' egli vada.
Quando il che si apostrofa innanzi alle Vocali
A, O, U, da alcuni si tralascia anche la H, la
/ BEGIN PAGE 174 /
quale infatti non è più necessaria, e si scrive
c'ama, c' onora, c'udiva: dai più però la H si
ritiene tuttavia, scrivendo ch’ ama, ch' onora,
ch' udiva.
Gli Antichi usarono spesso di elidere la prima
Vocale della parola seguente invece dell’ ultima
della parola precedente, come allo ’ncontro invece
di all’ incontro: da' Moderni ciò si usa assai più
di rado.
Nelle parole che si troncano anche innanzi a
Consonante ( delle quali verremo ora a parlare ) ,
l’Apostrofo, benchè segua Vocale, suol tralasciarsi,
scrivendo gentil animo, fedel amico, invece di
gentil' animo , fedel' amico.
CAPO IV.
DEL TRONCAMENTO DELLE PAROLE.
Le Parole Italiane regolarmente finiscono tutte
in Vocale, eccetto alcune poche, come non, con,
per, in, e simili.
Affine però di togliere la troppa uniformità di
suono, che nascerebbe dal terminarle sempre in
Vocale, alcune si troncano di quando in quando,
e si finiscono in Consonante, benchè la parola se-
guente cominci anch’ essa per Consonante.
Intorno a ciò ecco le regole principali.
/ BEGIN PAGE 175 /
Del Troncamento de' Nomi,
e degli Aggettivi.
Innanzi a parola, che cominci per Consonan-
te, si posson troncare i Nomi, e gli Aggettivi
singolari, che finiscono in E, o in O, e che in-
nanzi a queste Vocali hanno una delle Consonanti
L, M, N , R, non preceduta da altra Consonan-
te, come fedel servidore, Uom grande, pien po-
polo, leggier vento. Quelli però, che troncandosi
formano un suono troppo aspro, si scrivono, e si
pronunziano interi, come chiaro , raro , oscuro ,
duro , strano , e quasi tutti quelli, che finiscono
in me, o mo, eccetto Uomo.
Similmente se le Consonanti L, M, N, R
sono raddoppiate, o sono precedute da altra Con-
sonante diversa, il troncamento non può più farsi;
onde non si dirà ingan per inganno, fer per fer-
ro, ladr per ladro.
Si eccettui capello, bello, quello, e alcuni
altri terminati in llo, che tuttavia si troncano, co-
me capel biondo, bel viso, quel campo.
Anzi bello, e quello innanzi a Consonante,
che non sia S impura (cioè seguita da altra Con-
sonante ), o Z aman piuttosto di esser troncati,
che interi; e perciò si dirà piuttosto bel viso, quel
campo , che bello viso, quello campo.
I Nomi, e gli Aggettivi plurali regolarmente
non si troncano, benchè ai Poeti qualche volta ciò
sia permesso in grazia del verso.
Nemmeno i Nomi, e gli Aggettivi singolari
si troncan mai, se finiscono in A; ed è inesatto
il dire (benchè se ne trovi qualche esempio anche
/ BEGIN PAGE 176 /
presso gli Antichi) una sol volta, una sol cosa
invece di dire una sola volta, una sola cosa.
Si eccettui Suora, di cui si fa Suor, come
Suor Maria, Suor Cecilia.
Del Troncamento dei Verbi.
Nei Verbi si posson troncare:
1. Gl’Indefiniti, come amar, temer, legger,
sentir invece di amare, temere, leggere, sentire.
2. Alcune prime persone plurali, come noi
amiam, amavam, amerem invece di noi amiamo,
amavamo, ameremo.
3. Alcune terze persone plurali, come essi
aman, amavan, ameran, amaron, amin, amas-
ser, amerebber, amerebbon invece di essi amano,
amavano , ameranno ec.
4. In alcuni Verbi anche la terza persona
singolare, come egli vuol, suol, duol, vien ,
tien, val, cal invece di egli vuole, suole duole,
viene, tiene, vale, cale.
5. Nei Verbi venire, e tenere anche la se-
conda persona singolare, come vien presto , tien
questo, invece di vieni presto, tieni questo.
6. Nel Verbo essere anche la prima singola-
re, come io son pronto invece di io sono pronto,
Negli altri Verbi la prima persona singolare mai
non si tronca; e perciò fu rimproverato al TASSO
quel verso: Amico, hai vinto, io ti perdon,
perdona.
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Del Troncamento degli Avverbj,
e delle Preposizioni unite all’Articolo.
Tra gli Avverbj si troncano bene, male, fuori,
ora, e i suoi composti allora, talora, finora,
dicendo ben, mal, fuor, or, allor, talor, finor.
Tra le Preposizioni unite all’Articolo, si tron-
cano dello, allo, dallo, nello, dicendo del, al,
dal, nel come del piano, al monte ec.
Troncansi pure dei, ai, dai, nei, dicendo
de’, a', da’, ne’, come de’ piani, a' monti ec.
Si dice ancora col, e co’ invece di con lo, e
con li; pel, e pe' invece di per lo , e per li; sal
e su’ invece di su lo, e su li; tral, e tra’ invece
di tra lo, e tra li.
Notisi però, che quando la parola seguente
comincia per S impura, o per Z, questi tronca-
menti non posson farsi, e perciò allora nel singo-
lare si dice dello, allo, dallo, nello ec., come
dallo scudo, allo zecchino ; e nel plurale si dice
degli, agli, dagli, negli ec. come dagli scudi ,
agli zecchini: sebbene alcuni dicano ancora al zec-
chino, e ai zecchini.
Del Troncamento d' intere Sillabe.
Alle Preposizioni articolate riferite di sopra
non si tronca una sola lettera, ma un’ intera Sil-
laba, come del invece di del#lo, al invece di al #lo.
Altre parole vi sono pure, nelle quali si fa
lo stesso, come vo' per voglio ; die' per diede ;
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fe per fece, e fede; ve’ per vedi; e' per egli;
que’ per quelli; be' per belli; gran per grande;
San per Santo ; ver per verso (preposizione ) ; e
in alcuni Scrittori si legge anche me' per meglio,
e mezzo; ma' per mali; qua’ per quali.
Questi troncamenti però non posson mai farsi
allorchè la parola seguente comincia per Vocale,
o per S impura.
Anzi allora non si scrive nemmeno quelli, e
belli; ma quegli, e begli, come begli Uomini,
begli Spiriti, quegli anni, quegli studj.
CAPO V.
DELL’ACCRESCIMENTO DELLE PAROLE.
Quando ad una parola, che termini per Conso-
nante, segue una parola cominciata per S impura,
innanzi alla S si pone un I, come per istento,
con istudio , affin di togliere il cattivo suono, che
farebbe il dire per stento, con studio.
Alla preposizione a, ed alle congiunzioni e, o,
seguendo Vocale, si aggiunge ordinariamente un
D, come ad uno, ed egli, od io, per togliere
similmente il cattivo suono, che farebbe a uno,
e egli, o io.
Questo però non si fa sempre; ma solamente
quando tralasciando il D ne risulti un suono spia-
cevole: nel qual caso si usa anche ned invece di
nè, come ned egli in cambio di nè egli.
Ad alcuni di que' Nomi che finiscono in Vo-
cale accentata s' aggiunge talvolta un'intera sillaba,
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dicendo pietade o pietate, virtude o virtute ec.
invece di pietà, e virtù; ma ciò si usa più nel
verso, che nella prosa.
CAPO VI.
DEL RADDOPPIAMENTO
DELLE CONSONANTI.
Questa è la parte, in cui errano più di frequen-
te gli abitanti dell’Italia superiore così nel pronun-
ziare, come nello scrivere. Egli è pur difficile
l'assegnarne regole universali, ed esatte. Procurerem
tuttavia di accennare almeno le principali, incomin-
ciando dalle Parole composte , dove le regole son
più costanti, e venendo in seguito alle semplici.
Delle Parole Composte.
Parole composte si chiaman quelle, che son
formate di due, o più altre unite insieme, come
oltremodo formato di oltre, e modo.
In alcune di queste la Consonante raddoppiasi,
in altre si scrive semplice.
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Parole Composte , in cui raddoppiasi
la Consonante.
Nelle Parole composte la Consonante raddop-
piasi.
1.° Quando uno dei Vocaboli componenti fi-
nisce in Vocale accentata, e l’altro incomincia per
Consonante. Così in perciocchè composto di per-
ciò, e che si raddoppia il C, in vedrollo compo-
sto di vedrò, e lo si raddoppia la L.
Conviene eccettuare il pronome gli, che sem-
pre scrivesi con un G solo; come dirogli, man-
derogli.
2° Quando il primo dei Vocaboli componenti
è un Verbo monosillabo, come evvi, statti, van-
ne, fammi composti dei Verbi è, sta, va, fa, e
delle parole vi, ti, ne, mi.
3.° Quando la prima delle Voci componenti
è una delle seguenti particelle A, I, O, CO, SO,
SU, DA, RA, FRA, come accorrere, irriga-
re, opporre, commovere, sollevare, succedere,
dabbene , raccontare , frammettere.
Si eccettua la S impura, che sempre si scrive
semplice, come aspirare , costringere , sospirare.
Parole Composte, in cui la Consonante
non si raddoppia.
Nelle Parole composte la Consonante non si
raddoppia:
1.° Allorchè la prima delle Voci componenti
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è di più Sillabe, e non finisce in Vocale accen-
tata, come portami, vedilo , godasi, oltremodo,
altresì, oltremonti, sottoposto ec.
S' eccettuan contra, e sopra, che fan rad-
doppiare la Consonante che lor succede, come
contrapporre , soprattutto.
Anche altre raddoppia in dltreltanto, e al-
trettale, ma non in altresì; ogni raddoppia in
Ognissanti; oltra raddoppia in oltracciò, che pe-
rò equivale ad oltr' a ciò.
2.° Quando la prima è una delle Particelle
DE, RE, PRE, come deridere, regolare, pre-
mettere.
Parole Composte, in cui la Consonante
or si raddoppia, ed or no.
Vi sono alcune particelle, che ora fan rad-
doppiare la Consonante , ed ora no.
TRA raddoppia solamente in trattenere.
DI raddoppia solamente la F, e la S, come
diffondere, dissimile
Ma circa alla F si eccettua difetto, e difen-
dere: circa alla S si deve osservare, che quando
la seconda delle parole componenti comincia per
Vocale, invece di DI si scrive DIS, ma con una
S sola, come disinganno, disonore.
IN raddoppia sempre di sua natura, quando
la seconda delle Voci componenti comincia per N,
come innato , innumerabile, e qualche volta an-
che quando la seconda comincia per Vocale, come
innacquare, innabissare, innalzare, innamorare,
innanellare, innanimare , innanzi.
SE raddoppia solamente in sebbene; e seppure.
RI solamente in rinnegare , rinnestare , rin-
novare.
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PRO solamente in proccurare , proffilare, e
provvedere, che però scrivonsi ancora senza rad-
doppiamento , cioè procurere , profilare, e prove-
dere.
E raddoppia il C, e la F, come eccedere,
eccitare , effeminato , effusione, ed anche il B,
ed il P in ebbene, ed eppure.
Delle Parole Semplici.
Intorno alle Parole semplici deve osservarsi:
1.° Che niuna Consonante si scrive mai dop-
pia al principio della parola, nè dopo un'altra
Consonante diversa ; perciò non si scriverà ffiato
apparrso , ma fiato , apparso.
2.° Che tutte le parole derivate da un’ altra
vogliono essere scritte come quella, da cui deriva-
no: perciò attivo , atteggiamento, attualmente ec.
si scrivono con due T, come atto.
Si eccettui mellifluo, che ha due L, benchè
mele ne abbia una sola; il che però avviene, per-
chè è tratto dal Latino mellifluus.
Dubitare all’ incontro scrivesi con un sol B,
e dubbio, dubbioso ec. con due.
Anche i Verbi tacere, piacere, e giacere
fuori di taccio, piaccio, giaccio ; taccia, piaccia,
giaccia; e tacciano, piacciano , giacciano han
tutto il resto con un C solo.
È però da notare che questi Verbi nel Tem-
po Passato hanno tacqui, piacqui, giacqui; tacque,
piacque, giacque; tacquero, piacquero, giacquero,
dove il Q equivale ad un secondo C: la qual so-
stituzione del Q al C si fa allo stesso modo in
nacqui, nocqui, acqua, acquisto, e simili.
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3.° Che innanzi all’ I seguito da altra Vocale
le Consonanti B, C, F, P si raddoppiano quasi
sempre, spezialmente se le due Vocali forman dit-
tongo, come nebbia , caccia, graffio , doppio,
coppia (un pajo). S'eccettua bacio, cacio, ta-
ciuto, giaciuto , piaciuto , e le parole, ove le due
Vocali si pronunziano separate, come audacia,
tenacia , fallacia , prosapia , inopia, copia (ab-
bondanza ).
4.° Che innanzi allo stesso I seguito da altra
Vocale le Consonanti D, L, M, N, R, V, Z
non si raddoppiano quasi mai, come sedia, olio,
premio , testimonio , gloria, savio , grazia.
Si eccettuino Mummia, bestemmia, pazzia, e
poche altre.
5.° Che la S innanzi all’ I seguita da altra
Vocale si scrive doppia quando si pronunzia aspra,
come Messia, passione, e semplice quando si
pronunzia dolce, come cortesia, occasione.
6.° Che il G sempre si scrive semplice in-
nanzi alle Lettere ion, come ragione , prigione ,
cagione.
Se non v'è la N, è più difficile il fissarne
regola. Tuttavia si osservi, che nelle parole deri-
vate dal Latino, se il G è sostituito alle Conso-
nanti D, o J, deve sempre esser doppio, come
da modius, radius, Majus, mojor ec. moggio,
raggio , Maggio, maggiore: se è posto invece
del T, delta S, o del medesimo G, per ordina-
rio è semplice come da palatium, Ambrosius,
collegium ec. palagio, Ambrogio, collegio.
7.° Che nelle parole derivate dal Latino le
Consonanti CT, e PT si cambiano in due T,
come rectus retto , fructus frutto, aptus atto,
ineptas inetto: e GM si cambia in due M, come
fragmentum frammento, dogmaticus dommatico.
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Si eccettui rispetto a GM augmentum au-
mento , segmentum segmento; e per riguardo a
CT sanctus santo, tinctus tinto, unctus unto, e
simili, dove il T non raddoppiasi, perchè vien
dopo un’ altra Consonante.
CAPO VII.
DELLA DIVISIONE DELLE PAROLE
IN FIN DI LINEA.
Quando una Parola non cape tutta intera in una
linea, e se ne trasferisce una parte nella linea se-
guente , si deve essa divider sempre esattamente
fra Sillaba, e Sillaba.
In ciò le regole da tenersi son le seguenti:
1.° Le Vocali che forman Dittongo, non si
debbono mai dividere l’ una dall’ altra; quindi non
si scriverà sci#o#gli#e#re, pi#ano, bu#ono; ma
scio#glie#re , pia#no, buo#no.
2.° Quando una Consonante semplice è posta
fra due Vocali, si deve unire alla Vocale seguen-
te, non alla precedente, come a#mi#co, di#vi#no,
a#do#ra#bi# le.
Si eccettuin le Parole composte, che sempre
si debbon dividere nelle lor componenti, come mal-
agevole , dis#inganno.
3.° Allorchè in mezzo alla Parola s'incontrano
due Consonanti della medesima specie, come bb ,
cc, dd ec. una di esse deve congiungersi alla Vo-
cale precedente, e l’altra alla seguente, come
at#to, ac#cet#to , as#sog#get#ta#to.
/ BEGIN PAGE 185 /
4.° La S con tutte le Consonanti che la se-
guono s' appoggia sempre alla Vocale che viene
appresso, come que#sto , a#spet#to , vo#stro.
Si eccettuin sempre le Parole composte, come
dis#porre, dis#giungere.
5.° Se di due Consonanti fra lor diverse la
prima è un’ F, o una di quelle che chiamansi mu-
te, cioè B, C, D, G, P, T, V, e la seconda
è una di quelle che diconsi liquide, cioè L, M,
N, R , s uniscono amendue alla Vocale seguente,
come a#cre, ve#tro, de#gno ec. In Latino si fa
lo stesso ancora con CT, PT, MN, come do-
ctus , a#ptus, o#mnis.
6.° In tutti gli altri casi quando fra due Ve-
cali si trovano due Consonanti di diversa specie,
la prima s’ unisce sempre alla Vocale precedente ,
la seconda alla seguente, come cen#to, al#to,
er#to ec.
7.° Se le Consonanti son tre, la prima s’uni-
sce alla Vocale precedente, le altre due alla se-
guente, come om#bra , sem#pre, in#clito : eccetto
quando la prima sia un S, come s'è detto di sopra.
8.° Convien guardarsi dal terminare la linea
con una Consonante apostrofata, la quale dee sem-
pre far Sillaba colla prima Vocale della Parola
seguente.
/ BEGIN PAGE 186 /
CAPO VIII.
DELLE INTERPUNZIONI.
L uso de’ Punti, e delle Virgole si è introdotto
per indicare le pause del discorso, e distinguerne
i sensi.
ll Punto fermo o finale si mette alla fine d'o-
gni Periodo, cioè quando il senso è interamente
compiuto.
Se questo non contiene alcuna esclamazione ,
nè interrogazione, si adopera un Punto semplice.
Se v' ha esclamazione si scrive in questo modo (!),
come oh me misero! Se interrogazione, si scrive
in quest'altro modo (?), come Che fai? Che pensi?
I due Punti si adoprano :
1.° Per separare le parti maggiori di un lungo
periodo, come sogliono essere molti di quelli, in
cui la prima parte comincia per siccome, o quan-
tunque, e la seconda per così, nondimeno, e
simili.
2.° Allorchè ad un senso per sè compiuto si
vuol aggiungerne un altro, che vi abbia connes-
sione.
3.° Quando si vogliono riferire le precise pa-
role dette da alcuno.
Il Punto e Virgola serve a separare le parti
minori di un Periodo, e si usa frequentemente
innanzi a ma, poichè , perciocchè , e simili; ed
anche innanzi a così, pure, nondimeno ec. quan-
do la sospensione della prima parte non sia stata
troppo lunga.
La Virgola serve a distinguere le parti mini-
/ BEGIN PAGE 187 /
me, ossia i piccoli sensi, che entrano insieme uniti
a formare il Periodo.
Ella si pone ordimariamente:
1.° Avanti le congiunzioni e, o, nè, se, co-
me, perchè, acciocchè, affinchè , onde, dove,
che, il quale, cioè, vale a dire ec. Sebbene,
quando la distinzione del senso già sia chiara per
sè medesima, innanzi ad alcune di queste congiun-
zioni la virgola or si tralascia.
2.° Quando due, o più nomi, o aggettivi, o
verbi, o avverbj van nel discorso uniti insieme,
come: Le quattro parti della Terra sono l’ Eu-
ropa, l'Asia, l'Africa, e l'America.
3.° Fra due Virgole pur si pongono i Voca-
tivi, cioè i nomi dellè Persone, a cui è diretto il
discorso, come: Odi, o Cesare, chi ti chiama.
Porgimi, Antonio, cotesto libro.
A vie meglio dichiarare l’ uso del punto, dei
due punti, del punto e virgola, e delle virgole
servirà il seguente periodo tolto dall’ Orazione di
Monsignor della Casa a Carlo V.
Siccome noi veggiamo intervenir alcuna volta,
Sacra Maestà, che quando o cometa, o altra
nuova luce è apparita nell'aria, il più delle genti
rivolte al Cielo mirano colà, dove quel maravi-
glioso lume risplende: così avviene ora del vostro
splendore, e di Voi; perciocchè tutti gli uomini,
ed ogni popolo, e ciascuna parte della terra
risguorda inverso di Voi solo.
Un senso posto frammezzo ad un altro o per
modo d’ avvertimento, o per digressione, o per
altro motivo, si chiama una Parentesi.
Se questa è breve, si suol racchiudere fra due
virgole, come nel Casa: Quelli, che ciò fare non
vogliono, de’ quali la moltitudine è grande, tali
do questa amicizia riputati eseer deono, quali ec.
/ BEGIN PAGE 188 /
Se è lunga, si chiude fra due semilune, come
nel medesimo : Ponga mente ancora a fare che
gli atti, i movimenti, lo andare, lo stare, il
sedere, il giacere, le mani, gli occhi, la voce
non solamente non sieno di belle maniere prive
(comechè ciò ad altra scienza più che a questa
appartenga ); ma ancora di riverenza, e di os-
servanza verso l' Amico superiore dieno segnale.
Quando si riferisce alcun passo di qualche Au-
tore, se è breve, si suole sotto segnare con linee;
se è lungo, al principio, ed al fine vi si pongono
due Virgole accoppiate (,,), le quali da molti si
sogliono aggiungere anche al principio d'ogni riga.
/ BEGIN PAGE 189 /
INDICE.
INTRODUZIONE pag. 3
Libro I. Dell Etimologia.
Sezione I. Spiegazione generale del Discorso
e delle sue Parti " 5
Capo I. Natura ed uso di ciascuna Parte
del Discorso " 6
Capo II. Del Discorso e di ciò che forma
una Proposizione " 13
Sezione II. Dei Nomi e degli Aggettivi " 16
Capo I. Dei motivi per cui si cambiano le
terminazioni nei Nomi e negli Aggettivi " ivi
Capo II. Dei Generi " 17
Capo III Dei Numeri " 20
Capo IV. Dei Segnacasi e degli Articoli " 23
Capo V. Dell’uso degli Articoli " 27
Capo VI. Degli Aggettivi comparativi e
superlativi " 31
Capo VII. Dei Nomi e degli Aggettivi
aumentativi, diminutivi, e peggiorativi " 32
Capo VIII. De’ Nomi personali " 34
Capo IX. Degli Aggettivi indicativi, e sin-
golarmente de’ Pronomi " 36
Sezione III. Dei Verbi e dei Participj " 46
Capo I. De’ motivi per cui si cambiano
le desinenze nei Verbi " ivi
Capo II. Dei Modi " 47
Capo III. Dei Tempi " 48
Capo IV. Dei Verbi transitivi e intransi-
tivi, e della loro divisione in attivi,
passivi, e neutri " 51
Capo V. Delle Conjugazioni " 52
/ BEGIN PAGE 190 /
Capo VI. Conjugazione de’ Verbi ausiliari
Avere ed Essere pag. 53
Capo VII. Osservazioni intorno alle Con-
jugazioni de’ Verbi ausiliari , e al loro
uso co’ Verbi attivi e neutri ” 58
Capo VIII. Conjugazione de’ Verbi attivi
e neutri ” 60
Capo IX. Osservazioni intorno alle Con-
Jugazioni precedenti ” 66
Capo X. Del Passato rimoto dell’Indica-
tivo ” 67
Capo XI. Dei Futuri dell'Indefinito e del
Soggiuntivo ” 68
Capo XII. Dei Participj ” 69
Capo XIII. Dei Gerundj ” 73
Capo XIV. Degli Aggettivi verbali " ivi
Capo XV. Dei Verbi passivi " 75
Capo XVI. Dei Verbi anomali o irregolari " ivi
Capo XVII. Dei Verbi difettivi ” 85
Sezione IV. Delle Preposizioni , degli Av-
verbj, delle Congiunzioni, e degl’ In-
terposti " 86
Capo I. Delle Preposizioni ” ivi
Capo II. Degli Avverbj ” 95
Capo III. Delle Congiunzioni " 101
Capo IV. Degl' Interposti ” 104
Libro II. Della Sintassi " 106
Sezione I. Delle Concordanze ” ivi
Capo I. Concordanza dell’ Aggettivo col
Nome ” 107
Capo II. Concordanza del Verbo col Sog-
getto della Preposizione ” 108
Sezione II. Del Reggimento ” 109
Capo I. Del Reggimento de’ Nomi " ivi
Articolo I. Dei Nomi retti da' Verbi in-
transitivi " ivi
/ BEGIN PAGE 191 /
Articolo II. Dei Nomi retti da’ Verbi
transitivi pag. 111
Articolo III. Dei Nomi retti dalle altre
Parti del Discorso " 114
Capo II. Del Reggimento de’ Verbi " 115
Articolo I. De’ Verbi retti da altri Verbi " ivi
Articolo II. Dei Verbi retti dalle Con-
giunzioni " 118
Sezione III. Della Costruzione " 120
Sezione IV. Delle Figure gramaticali " 122
Capo I. Dell’ Ellissi " 123
Articolo I. Zeugma " ivi
Articolo II. Ellissi " 124
Capo II. Del Pleonasmo " 126
Capo III. Della Sillessi " 129
Capo IV. Dell’Enallage " ivi
Capo V. Dell’ Iperbato " 130
Appendice de’ Sinonimi, e delle Parole che
si usano in più sensi diversi " 131
Sinonimi apparenti " 132
Verbi adoperati in diversi sensi " 134
Nomi e Aggettivi usati in diversi sensi " 141
Libro III Della Ortoepia o retta Pronunzia " 143
Introduzione " ivi
Capo I. Della Pronunzia delle Lettere " 146
Articolo I. Delle Vocali " ivi
Difetti nella Pronanzia delle Vocali " 147
Articolo II. Delle Consonanti " 148
Difetti nella Pronunzia delle Consonanti " 152
Capo II. Della Pronunzia delle Sillabe " 154
Articolo I. Dei Dittonghi e Tritonghi " ivi
Articolo II. Delle Sillabe miste di Con-
sonanti e di Vocali " 156
Articolo III. Difetti nella Pronunzia delle
Sillabe " 159
/ BEGIN PAGE 192 /
Articolo I. Del non aggiugnere o togliere
a ciò che è scritto pag. 160
Articolo II. Delle Pose della voce o de-
gli Accenti " 162
Libro IV. Dell Ortografia " 165
Introduzione " ivi
Capo I. Dell’ Alfabeto Italiano " 166
Capo II. Dell’ Accento ” 171
Capo III. Dell’ Apostrofo — ”
Capo IV. Del Troncamento delle Parole " 174
Capo V. Dell’Accrescimento delle Parole " 178
Capo VI. Del Raddoppiamento delle Con-
sonanti " 179
Capo VII. Della Divisione delle Parole
in fin di linea " 184
Capo VII. Delle Interpunzioni " 186