NON PRIMA VEDUTI CORRETTI, ET ACCRESCIUTI
Autore:
Rinaldo Corso | Macone Corso Rinaldo
AD HIPARCHA SUA RINALDO CORSO: 2r
PRIMO PARTIMENTO DELLE LETTERE: 3r
Primo partimento delle vocali: 3r
Partimento secondo delle vocali, cio è de Diphthongi: 3v
Del cangiarsi, che fanno le vocali insieme: 4r
Primo par[t]imento delle Consonanti: 4v
Partimento delle consonanti secondo: 4v
Come s’usi la X frà Thoscani: 4v
Della z: 5r
Del cangiarsi, che fà l’una consonante con l’altra: 5r
Del cangiarsi delle consonanti con le vocali: 5v
Del cangiarsi, che le consonanti sole, ò in compagnia delle vocali fanno colle consonanti, et vocali insieme: 6r
Dell’Aspiratione: 6v
Del componimento delle lettere: 7r
Regole universali: 7r
De gli accenti: 12r
Come s'usi l'accento grave: 12v
Come l'acuto s'usi: 14v
Del Misto: 16r
Come s'usi il converso: 16v
Delle parti dell'Oratione: 18v
Divisione delle già dette parti: 19r
Della Prepositione: 19r
Divisione delle prepositioni: 19v
De gli accidenti suoi: 20r
Prima parte delle prepositioni: 20r
Seconda parte delle prepositioni: 21v
Terza parte delle Prepositioni: 24r
Dell'articolo: 25v
De gli accidenti suoi: 25v
Del Genere: 25v
Come si conoscan le voci Neutre: 25v
Del Numero: 26r
De Casi: 26v
Differentie trà gli due articoli maschi: 27r
IL cosi si varia: 27v
LO si varia cosi: 27v
Dell'Articolo femminile: 28r
Ove si taccian gli articoli, ò nò: 28v
Come gli articoli stanno in vece di pronomi: 29v
DEL NOME: 30v
Prima divisione de Nomi: 30v
Seconda division de nomi: 30v
Terza division de nomi: 31r
Regole de nomi generali: 31v
De gli accidenti del nome: 34r
De gli ordini de nomi: 34r
De secondi numeri: 34v
Quai nomi sieno contenti del primo numero solo: 35v
Quai nomi non ricevano il primo numero: 35v
Del primo ordine il maschio: 37r
Del primo ordine la femmina: 37r
Del secondo ordine il maschio: 37v
Del secondo ordine la femmina: 37v
Del terzo ordine il maschio: 37v
Del Terzo ordine il comune: 38r
Del quarto ordine il maschio: 38r
Del quarto ordine la femmina: 38r
De pronomi: 38v
Prima division de pronomi: 38v
Seconda division de Pronomi: 39r
Terza division de Pronomi: 39v
De gli accidenti del pronome: 39v
Del genere: 39v
Della figura: 39v
Dell'ordine: 39v
Della persona: 40r
De numeri: 40r
De casi: 40v
REGOLE DE PRONOMI UNIVERSALI: 41v
DEL VERBO: 45r
De gli Accidenti del verbo: 45v
Del Genere: 45v
Del tempo: 47r
Del Modo: 47r
Della spetie: 48r
Della figura: 48v
Del Numero: 48v
Della persona: 48v
Della maniera: 49r
Regole generali de verbi, et delle loro formationi partitamente: 49r
De Perfetti: 53v
Della seconda qualità de perfetti: 57r
PRIMO ordine de perfetti della seconda qualità: 58r
ORDINE secondo de perfetti della seconda qualità: 59v
ORDINE terzo de perfetti della seconda qualità: 60r
ORDINE quarto de perfetti della seconda qualità: 61v
Della formatione del presente dimostrativo: 63r
Della formatione de gl’imperfeeti: 64v
Della formation de perfetti: 65v
Della formatione del futuro: 69r
Della formatione del presente disiderativo: 70v
Della formatione del futuro del disiderativo: 71v
DELLA formatione dell’imperativo presente: 73r
Della formatione del Congiuntivo: 74r
Della formatione del tempo più che perfetto: 77r
Della formatione del futuro dell’indefinito: 78r
Come HAVERE, ET ESSERE si cangino insieme: 79r
DEL PARTECIPIO: 80r
De gli accidenti suoi: 80r
Della formatione del partecipio attivo, et del gerondio: 81r
Del partecipio paßivo: 83r
Prima sorte de partecipij paßivi: 83r
Primo ordine della prima sorte de partecipij paßivi: 83v
Ordine secondo della prima sorte de Partecipij paßivi: 85r
Ordine terzo della prima sorte de partecipij paßivi: 85v
Seconda sorte de partecipij paßivi: 86r
Ordine primo della seconda sorte de partecipij paßivi: 86v
Ordine secondo della seconda sorte de partecipij paßivi: 86v
De verbi straordinarij: 87v
HAVERE cosi si varia: 87v
Essere cosi si varia: 89r
Dovere cosi si varia: 90r
Seguono gli essempi d’alcuni altri verbi straordinari: 91v
Dello adverbio: 92r
De gli accidenti dello adverbio: 92v
Della spetie: 92v
Della Figura: 93r
Della significatione: 93v
Della significatione del tempo: 93v
Della significatione del luoco: 95r
Significatione de gli adverbi universale: 96r
DELLA congiuntione: 98r
De gli accidenti suoi: 98v
Della figura: 98v
Della significatione: 98v
Della concordia delle parti principali insieme: 99v
Delle figure: 99v
Conclusione dell'opera: 103v
FONDAMENTI
DEL PARLAR
THOSCANO.
DI RINALDO CORSO.
ΝΟΝ PRIMA VEDUTI CORRETTI,
ET ACCRESCIUTI.
IN VINETIA
Alla correttion di questo libro ognihuom s'attenga.
& non ad altra ne scritta, ne stampata.
Io Rin.Corso.
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AD HIPARCHA
SUA RINALDO
CORSO.
QUESTI mesi (hà già il ventesi-
mo sesto) che io, lasciata per la feb-
bre Bologna, et i civili studi, hò pas-
sato, & passo miseramente in Cor-
reggio mia si come ne patria, ne
madre, così balia, et matrigna poco
amorevole, dai molti, & gravi tra-
vagli, che voi dalla mente, me dalla mente, & del corpo
hanno HIPARCHA dolcißima oltra il dovere mole-
stato lungamente, & molestano di continuo, mi sono io
pur finalmente riscosso, & in me medesimo tornato tan-
to, che quello, che gran tempo prima nell’animo haveva,
in ispatio di pochißimi giorni ho messo ad effetto; Et la
Thoscana favella incerta fin hora, & sparsa hò ridutto
in guisa (come vedete) che potrà per innanzi da ciascu-
no quantunq[ue] Barbaro, et strano sotto certe regole esse-
re impresa non altrimenti, che l’altre lingue ordinate si
sien fatte per adietro. Tale, vò dire, è stato il mio intendi-
mento, & per cio mi sono affaticato. Hora se io l’hò fat-
to, non sò. Mà se io l’hò fatto, disponga nel resto Fortu-
na à suo modo, che io non curo. À voi mando carißima
giovane questo dono, perché l’amore, che portato m’ha-
vete, & la fermezza, et l’honestà vostra l’han meritato.
Et è ben degno, che si come la memoria mia nel cor vo-
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stro piu, che pietra, saldo non s’e mai spenta, cosi la vo-
stra per me non si lasci morire, mà resti meco viva in
queste carte, se io con loro vivrò giamai. Forse anchora
adverrà, che voi cosi leggendo prenderete tregua co vo-
stri fastidi, come io scrivendo ho preso co miei. Di che
prego Dio, fino attanto che i desideri nostri giustißi-
mi habbiano miglior fine, che principio no[n] hanno havu-
to, & mezzo non hanno. State sana.
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PRIMO PARTI-
MENTO DELLE LETTERE
DI venti lettere, delle quali i Tho-
scani si servono, cinque son pure,
& quindeci nò. Quelle chiamo
pure, che i latini vocali addiman-
darono, le quali del suo proprio
suono restan contente. A E I O U.
Non pure dico esser le consonan-
ti, le quali mandar fuori separate non si ponno sen-
za il suono della vocale dietro, ò innanzi: come ap-
pare dicendo, B, & R, che BE, & RE si proferi-
sce. poste in compositione lascian poi quel suono: co-
me Battista, Rinaldo, che ne Beattista, ne ERi-
naldo diciamo, salvo però, se elle non rimangono infi-
ne d’alcuna voce, laqual sola si proferisca, ò nel fin di
qualche clausola, ò verso. Perche quivi elle ritengono
un tratto dietro, che ombreggia il suono della lor voca-
le. Dò l’essempio Agilulf. Tanto è quasi, come se noi di-
ceßimo Agilulfe. Dentro raccolto imagina Sion. Quasi
diceßimo Sione. Hora elle son queste. B C D F G L M N
P Q R S T X Z.
& son chiamate consonanti, perche necessariamente col
suon delle vocali s’accompagnano, si come le vocali per
cio son dette, che da se stesse han voce.
Primo partimento delle vocali.
Delle vocali accompagnando elle il lor suono alle conso-
nanti, due si pon chiamar libere, cio è A, & O, le quali
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ne dietro, ne innanzi servono giamai, le trè rimanenti ser-
ve non senza ragione chiamar si ponno. Percio, che la I
alla X presta il suo suono avanti proferendosi IX al co[n]-
trario de Greci. La U sempre la Q. dietro accompagna
proferendosi QU. La E tutte l’altre lettere serve, quan-
do prima, quando dopo. Di che bastan gli essempi di so-
pra dati. La Z sola par, che più oltre anchor richiegga,
perche ZETA si proferisce. Mà cio dal Greco manife-
stamente deriva. No[n] è per tanto, che in cotal nome di let-
tera la E prima dopo il segno della Z non s’appresenti.
Partimento secondo delle vocali, cio è de Diphtho[n]gi.
Delle vocali anchora si fanno i Diphtho[n]ghi; Diptho[n]go al-
tro no[n] è, che co[n]giugnime[n]to di due vocali; et son quattro.
Au, Aurora.
Eu, come Europa.
Uo, Uovo.
Ie, Altiero.
I trè primi son propri; l’ultimo io chiamo improprio,
per cio che in quelle voci non è da chiamar Diphthon-
go, ove per necessario compimento della voce la I si tra-
pone. come in PIENO, & PIETA. Mà dove l’auto-
rità sola de primi scrittori hà operato, che egli si metta,
ivi io lo chiamo Diphtho[n]go, come in Fiero, & Altiero si
vede. Che questo ultimo sia diphthongo, quando al-
tri ne dubitasse, si conosce chiaro nelle regole de verbi,
quali sono Tengo, tieni. Vengo, vieni, percioche se que-
ste due lettere non facessero (come io dico) diphthon-
go, la I non si perderebbe, come fa, ne gli altri tempi, &
modi, dicendo tenere, venire, tenea, & veniva, & cosi per
ordine seguitando, come à suo luoco più diffusamente di-
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mostreremo. Conosceßi anchora, che dove non è Diph-
tho[n]go, la I dalla E può separarsi, et n’escon sillabe diver-
se, onde PIETATE leggiamo di quattro sillabe nel
V del Purg. cosa che di FIERO in niun luoco si leg-
ge, ne può farsi. Et la ragion è in pro[n]to. Perche cessa il
congiugnimento, il qual fà il Diphthongo.
Del cangiarsi, che fanno le vocali insieme.
Perche le lettere hanno una certa vicinanza, et quasi paren-
tela trà se, & questa si conosce per le mutazioni, che fan-
no l’una con l’altra, però di queste io soggiungo.
A in E si muta. feriano, ferieno, grave, greve poeticamente.
In O solo una volta la cangiò il Pet. quando provenzal-
mente è disse OPRA in vece di APRA.
AU diphthongo in O. Aura, Ora. Laude, lode. Thesauro
poetica voce. Thesoro. In U semplice Augello, uccello.
Gettansi anchora intiere quelle due lettere nel mezzo
delle voci, quando non sono diphthonghi, in questo modo.
Fauola. Fola.
E in I. Estimo, istimo. Haveßi poeticamente per Havesse.
Cio si fà moltißime volte, se alcuna voce da latini si to-
glie, la quale in DE, ò RE comminci, percioche noi DI,
& RI mettiamo in quel cambio, come Dimesso. Riferi-
to. Tutto che non sempre,
E in U. Esco, uscire. Eguale, uguale, & iguale voce al Boc-
caccio più famigliare. In IO. Angelo, Angiolo.
I in O. Debile, Debole. In U. ferita, poeticamente feruta.
O in U, & per lo contrario senza fine si truova posto. No-
tabile essempio, & simile al dato pur dianzi mi pare o-
do, udire. occido, uccido. Oltra di cio molte voci, che dal
latino derivano, hora la O cangiano in U, come lungo,
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& lunghe: hora, & via più spesso la U, in O, come popo-
lo, & ombra.
Primo partimento delle Consonanti.
Detto delle vocali vengo alle consonanti, le quali divido in
due parti principali. in nove mute. B C D F G P Q T Z.
& in sei mezzovocali. L M N R S X.
Le mute cosi si chiamano, perche vole[n]dole noi proferire
senza il suono della vocale seco à guisa di Mutoli restia-
mo, et il suono è imperfettißimo, che noi mandiamo fuo-
ri. Da questa imperfettione son più lo[n]tane le mezzovo-
cali, percio han meritato diverso nome, et qual si vede.
Ne mancan di quelli, che la F mettono frà le mezzovo-
cali levandola del numero delle mute; Mà ci staßi nel-
l’arbitrio di ciascuno.
Partimento delle consonanti secondo.
Delle mezzovocali quattro si chiaman liquide. L M N R.
et una doppia X. l’altra rimane in suo stato. Quelle cre-
do, che fosser chiamate liquide, per essere appresso tutte
l’altre di chiaro, et purißimo suono. la X è doppia, p[er]che
hà forza di due SS. Faßi pò di lei quello, che di due SS
non si farebbe, ne di consonante alcuna duplicata. quan-
do diciamo Xerse. Xantippo. ne per tutto cio io credo,
che allhora semplice divenga, mà si bene, che ella si
mandi fuori più secondo l’uso de greci, & de latini, che
secondo il nostro, co[n]ciosia cosa che appresso di loro va-
glia quanto CS. di lei dò quattro Regole.
Come s’usi la X frà Thoscani.
Reg.I. In quelle voci solamente hà luogo, che dal greco, ò
dal latino idioma sono trasportate al Thoscano.
Reg.II. Nel principio delle voci ella stà salda,come habbia[m]
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veduto i[n] Xerse, et Xantippo nomi di p[er]sona particolari.
Reg.III. Posta frà due vocali in due SS si muta, come exe[m]-
pio essempio.
Reg. IIII. posta dietro ad una vocale innanzi una, ò più
consonanti in S semplice si muta, come extinse. estinse.
extremo estremo.
Il ritenerla talhora nel mezzo licentia è de Poeti per inal-
zare il verso. ne in rima però entra giamai. À prosato-
ri rarißimo si concede.
Della Z.
Se tal lettera appresso i Thoscani fosse doppia, no[n] sarebbe
di mestieri raddoppiarla giamai nel mezzo delle voci,
come spesso si fà dicendo bellezza, vaghezza.
Del cangiarsi, che fà l’una consonante con l’altra.
B, & P si mutano vicendevolmente. Iacobo, Iacopo.
B, & V consonante. bevvi, bebbi.
C, & G luoco, luogo. acuto, aguto.
C C H doppia, et aspirata in GL poeticamente, quando cio è
la I vocale appresso le segue. specchio, speglio. vecchio,
veglio. Come che appresso il Boccaccio nella novella di
Nathan si legga, Vegliardo tu sè morto: Mà cio forse
men che thoscanamente.
F, et G, in V co[n]sonante, schifo, schivo. volgo, volvo nel verso.
G dopo N si traspone, & viensi à cangiar con lei speße fiate.
piangendo, piagne[n]do. unghia, ugna. Et in questa seconda
voce è da notare, che la I in tal cangiar si perde, quando
ella è dopo la G, ò sia con l’aspiratione (la quale si perde
anche ella) ò sia senza, come angiolo, agnolo. Questo an-
che si fà nelle voci, dove la H stà nel principio innanzi
la I consonante, come Hieremia, Geremia.
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L in N come malenconia, maninconia.
L in G si muta, quando una altra L la segue nel mezzo del-
le voci, come begli. capegli. in vece di belli, & capelli.
M in G, quando ella stà dinanzi la N in quelle voci, che da
latini si prendono, & dopo la N segue incontanente la I:
come sogno, & ogni, da somnium, & omnis.
MB in NG. cambio, cangio.
N, & veneno, veleno.
in L, come
R vedello poeticamente per vederlo.
R parimente in I consonante, come muora, muoia. & in LL
doppio. peregrino, pellegrino.
P in V consonante. coperto, coverto.
Q in C. antiquo, antico: et la U si perde senza la quale nela
Q mai si proferisce sola, ne in co[m]positione se[n]za si scrive.
R in D, come ferire, fedire. ferita, fedita. voci, che habbiamo
nella decima novella della quarta giornata.
T similmente in D. Lito, Lido. Nutrire, Nudrire. Cittate,
Cittade. Ed in vece di Et onde il Pet. Con la figura vo-
ce, ed intelletto.
In doppia GG, Savio, saggio.
V consonante In B semplice Corvo, corbo. Servo, serbo.
In BB doppia. Deve, debbe.
Del cangiarsi delle consonanti con le vocali.
La L dietro la P, ò si tace, ò si muta in I. Templo, tempio.
Exempli, essempi. In Contemplo resta sempre.
Posta dietro la C sovente si muta in I aspirata. Concludo.
Conchiudo. Et in cio falle di rado nel trasportar simili
voci di latino in Thoscano.
R in I vocale: come Sembiante, cio è simigliante da sembro
verbo, cio è simiglio,
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Del cangiarsi, che le consonanti sole, ò in compagnia delle
vocali fanno colle consonanti, & vocali insieme.
BB doppia. Debbo, deggio.
& In GG doppia con la I seguente.
D semplice Cado, caggio.
G, & I seguendone la O in fin della voce in doppia ZZ Di-
spregio, disprezzo.
L, & G in G L, & I, come Tolgo, Toglio. et pe’l contrario.
GLIE
N, & E
N, & I Nel mezzo poste sotto una medesima sillaba
N, & O innanzi una altra R in R si mutano, come.
Côrre Cogliere.
Terrò Tenerò,
Verrei. In vece di Venirei,
Horrevole Honorevole.
S C, & I in due ss. Lascio, Lasso poeticamente.
Queste sono le consonanti; lequali non si comportano l’una
innanzi l’altra,
B innanzi D. M. P. S. T.
C,
& Innanzi T.
P
M innanzi N, & pe’l contrario.
N innanzi B, & P.
P innanzi S.
Accadendo, che elle si debban congiugnere insieme, la pri-
ma cede alla seconda mutandosi in lei, pur che altra con-
sonante nella medesima sillaba di subito seguente non
gliele vieti: come per essempio ACTO da latini tolto
/BEGIN PAGE 6v/
ATTO da noi si scrive. SANCTO, SANTO. Et
in q[ues]sto anchora gettarne l’una di loro la prima è dessa.
P inna[n]zi S nelle voci, che dal greco, ò dal latino deriva[n]o (se
alcuna n’è, che p[ro]prio come no[n] sia) p[er]desi nel principio, et
resta la S se[m]plice, come SALMO in luoco di PSALMO.
In qualche nomi particolari di luogo, ò di persona tai rego-
le non han luogo, come volendo dire Abfalone figliuolo
di David. Cadmo, & Admeto nomi propri. Ariadna fi-
gliuola di Minos. Capsa città di Barberia, che’l Boccac-
cio nominò in Alibech. Micipse nome d’huomo, & Hipsi-
cratea nome di donna. Truovasi anchora il medesimo
Boccacio havere lasciato scritto Raptore nella Novel-
la di Tito, & di Gisippo, laqual voce io nel vero, come la-
tina, accetto: Nondimeno ardisco dir quasi, che ella sia
necessaria in questa lingua, p[er]cioche niuna altra ne veg-
gio ad esprimer questo significato tanto acconcia.
Dell’Aspiratione.
Prima che io paßi più oltra, parmi qui luogo opportuno,
ove io ragioni dell’Aspiratione. Segno dell’Aspiratione
è la H. Ne può chiamarsi lettera. Di lei dò q[ue]ste regole.
Reg. I. Giu[n]ta colle vocali sotte[n]tra loro. Hora. Ahi. Huomo.
Reg. II. Colle consonanti dà lor polso. Pochi. Vaghi.
Regola. III. Due sono le consona[n]ti, le quali poste inna[n]zi à due
vocali senza l’aspiratione quasi si p[er]dono, giunte con esso
lei piiglin forza. Le co[n]sona[n]ti sono C,et G. Le vocali E, et
I. Gli essempi. Celio. Gentile. Cinthia. Girolamo. Vedete
q[ues]to farebbe differe[n]te suono scrive[n]dosi Chelio. Ghentile.
Chinthia. Ghirolamo. Sotto la O inte[n]do anchora di com-
pre[n]dere la T, qua[n]do ella hà forza simile à lei. Il che qua[n]-
do advenga, dirò poco appresso nelle regole universali.
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Reg. IIII. Anzi le trè vocali rimanenti A, O, & U niuno ef-
fetto fa l’aspiratione, però si lascia, advengna che la C, &
la G preceda, se non quanto l’autorità de gli antichi, ò
l’origine della voce non Thoscana ne detta. Dò gli eßem-
pi. Caro. Core. Cura. Gagliardo. Gola. Gusto.
Reg. V. Per sola cagione di differenza alle volte ella si scri-
ve, come Ghiaccio nome. Giaccio verbo. Vegghio, co[n]tra-
rio di Dormire. Veggio, Guardo. Ghiro nome d’anima-
le, & Giro, cio è avolgimento.
Reg. VI. Ogni volta che dopo l’aspiratio[n]e segue inco[n]tane[n]te
la I co[n] un’altra vocale app[re]sso ò tacita, ò espressa, l’aspira-
tio[n]e posta dopo la C, et G dà lor poca forza, co[m]e Occhi.
Carbo[n]chi. Unghia, & Ghiotto. In OCCHI, & CAR-
BONCHI si tace la seco[n]da I, have[n]do riguardo, onde
escono; occhio & carbonchio, ilquale è nome di ge[m]ma.
Reg. VII. La P aspirata per F si proferisce, & ne nomi dal
Greco tolti s’usa come Philippo. Philosophia.
Reg. VIII. L’aspiratione mai non può stare, se di subito al-
cuna vocale non la segue, ò non la precede nella medesi-
ma sillaba. Eccetto però quando la P consonante prece-
dendola prende con seco il suono della F: come quando
diciamo Daphne, Diphtongo.
Reg. IX. Posta frà due vocali talhora si muta in GG dop-
pia, come Trahi, Traggi.
Del componimento delle lettere.
Delle lettere si co[m]po[n]gono le sillabe, come RI. Delle sillabe
le voci, co[m]e Rinaldo. Delle voci il ragionar p[er]fetto, che i
latini chiamarono oratio[n]e, co[m]e Rinaldo ama Hiparcha.
Regole universali.
Per conclusione di questo mio primo ragionamento in-
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torno alle lettere, & alle sillabe hò pensato, prima che
alle parti dell’oratione paßi, soggiugnere alcune regole
brevi, & universali appartenenti all’ordinata scrittura,
& favella Thoscana, molte però riserbandone à luoghi
più opportuni. Appresso questo de gli Accidenti ragione-
remo. Finalmente dell’Oratione.
Due QQ mai non si scrivono: mà dove ella si doverebbe
raddoppiare, la C serve in iscambio di quella, che si ta-
ce, & questo si fà sempre nel mezzo tra la A, overamen-
te la O, quando le vanno innanzi, & lei. Dò l’essempio.
Acqua. Nocque. Se ne cana Aquila nome d’uccello, &
di città & Aquilone nome di vento.
La medesima Q in compositione vuol sempre dopo se la U
come anchora s’è detto di sopra.
La G sottentra alla I. moltißime volte seguendone la I voca-
le hora semplicemente nel mezzo, come RISVE-
GLIO: hora nel principio, come GLI articolo. hora
nel mezzo in luogo d’una altra L: come CAPEGLI
in cambio di CAPELLI.
La N dopo la G teneramente si proferisce. ogni. bisogni.
Dietro immantenente al Diphtho[n]go mai non segue più d’u-
na consonante. Che non diciamo Aurrora, Eurropa,
Nuovvo, & Altierro: Mà AVRORA, EUROPA,
NUOVO, et ALTIERO. Cosi non potremo dire FIE-
STA, per FESTA, ne CUORTO per CORTO.
Et la ragion di cio è, che nel divider le sillabe, se si truo-
van due consonanti vicine, ò sien d’una medesima quali-
tà, ò di diversa, l’una si dà all’una sillaba; & l’altra all’al-
tra: come per essempio SIL#LA#BA, ES#SEM#PIO.
Mà nel diphthongo sempre si posa la sillaba, per tanto
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non può seguirlo subito più d’una consonante. Appresso
i diphthonghi chiusi, & baßi si proferiscono, le conso-
nanti raddoppiate aprono, & alzan la vocale preceden-
te, come mostrerò di sotto, però non è poßibile, che die-
tro il diphthongo la consonante si raddoppi. Che questo
sarebbe un volere accoppiare due cose contrarie. Cava-
si di questa regola AU, alquale (concio sia cosa che pro-
ferendosi sibili più de gli altri) segue alcuna volta la S
accompagnata dalla P, overame[n]te dalla T in questo mo-
do. AUSPICIO. AUSTERO. Et la ragione
è, perché queste consonanti sibilano anche esse. Onde ad-
viene, che dietro alla S T s’aggiugne a[n]chora la R qual-
che volta, laquale seconda, & accompagna quel sibilo
in tal maniera. AUSTRO. Chi no[n]dimeno volesse fug-
gire queste eccettioni, & lasciar la regola generale, po-
trebbe dire tai voci essere anzi d’altra lingua (come nel
vero sono) che nostre. Ne parmi in questo proposito da
dover tacere chel Pet. lasciò scritto FAUSTINA di quat-
tro sillabe, quando è disse. Pur Faustina il fà qui star à
segno. La quale autorità, come che sia de Triomphi,
& possa oltre di ciò esser Figura, come altrove io dirò,
nondimento à me persuade, che’l Poeta, si come giudicio-
sißimo, havesse anchor questo riguardo, che dietro à Di-
phthongo non s’havessono a multiplicare le consonanti.
Di qui si conosce, perche i presenti VIENI, & TIE-
NI co simiglianti faccian ne perfetti VENNI, & TEN-
NI. Conoscesi parimente, quanto mal faccian coloro, che
AUTTORE, AUTTOREVOLE, & AUT-
TORITA scrivono con due TT nel principio. Il che
non fecero giamai i buoni scrittori. PIETRA pa-
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rimente si può cavar fuori di questa regola, be[n]ch’io cre-
da esser disputabile, se sia diphthongata, ò nò. Et quel-
le sillabe, ove entra la TR, sono sillabe privilegiate, che
quel TRA in Pietra è tutta una sillaba, & cosi cessa la
ragion del dividere, che di sopra io considerai.
Cavasi non meno di questa regola PUOLLO, cio
è lo può.
La T inanzi la I seguita da un’altra vocale immantenen-
te piglia un suono di mezzo trà la C (della quale è più
debile) & la Z (di cui è più fermo) ò sia quella T sempli-
ce, ò duplicata, ò posta nelle sillabe di mezzo, o in quelle
del fine. Dò gli essempi. Gratia. Distruttione. Silentio. Il
medesimo dico, se la seconda vocale non espressa vi s’in-
tende: La qual cosa nell’ultime sillabe sole, & ne secon-
di numeri de nomi maschi è lecito ad farsi, si come Stra-
ti, & Sati, in vece di Stratij, & Satij. Ristringo pe-
rò tal regola, dove tutte & trè queste lettere fanno
una sillaba sola, come ne gli essempi hora hora dati s’è
veduto. Che quando elle facessero due sillabe, cio è
quando la I dall’altra vocale subito seguente si di-
stinguesse (il che può intervenire nelle penultime silla-
be) allhora la T resterebbe col proprio suono, & la I
prenderebbe l’acuto per si fatta maniera. NATÍO,
& NATÍA in vece di NATIVO & NATI-
VA. Et qui intendetemi bene, perche io parlo delle
sillabe secondo la natura loro, & non secondo la licen-
tia, che alcuna volta s’usurpano i Poeti, liquali divido-
no una sillaba in due, & due giungono in una. Oltra di
questo io vi dico à voler tal distintion conoscere niuno
essere miglior maestro, quanto l’accento (di cui s’è det-
to)
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to) acuto. Tuttavia dove il nome è maschio, si come
STRATIO, & NATÍO, ivi prendasi anchora
il suo secondo numero, & levatene l’ultima vocale ten-
tisi, se egli resta col suo significato, ò nò, Se vi resta, la
sillaba è una sola, & la T per tutto quel nome si profe-
risce nel modo, che hora io insegno, come in Strati si ve-
de se non vi resta, le sillabe son due, & la T rimane col
proprio suono, si come in NATÍO si vede al cui secon-
do numero chi levasse la I seconda, levarebbe insieme o-
gni significato. Et questo è il primo ristringimento di
cotal regola. Il secondo è, che dove la S stà innanzi alla
T, ivi la T resta col proprio suono, qua[n]tunque ne segua
la I con un’altra vocale appresso nella medesima sillaba
immantenente. Si come. Hostia. Quistione. Il ter-
zo è, dove quella T è aspirata, come Cinthia. Phtia.
Il quarto è, che dinanzi al Diphthongo improprio IE
mai la T non cangia il suo natural suono: Si come in
TIENI, RITIENI, & simiglianti. ò diciamo
questo essere, perche la T nel principio delle voci stà sem-
pre dura. Onde appresso i latini anchora TIARA
(che la mitra significa) così si proferisce. Et chi guarda
RITIENI, quantunque la T paia essere nel mezzo,
non di meno è da esser giudicata, come fosse nel princi-
pio per rispetto del verbo, dal quale si compone. L’ulti-
mo ristringimento è, che la presente regola non proce-
da nelle prime persone del secondo numero di quê ver-
bi, li quali hanno la T per penultima lettera del primo
numero del presente dimostrativo. Dò gli essempi.
Muto. Mutiamo. Salto. Saltiamo. Et n’è la ragio-
ne, perche quivi la I si proferisce leggiera, & la T ver-
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so la A s’affretta non si fermando sopra la I, onde è qua-
si tanto, come se noi diceßimo Mutamo, & Saltamo. Ne
molto dißimile è questo effetto da q[ue]llo del diphtho[n]go det-
to pur dianzi, se no[n] che la IA mai no[n] è Diphthongo. Et
che sia’l vero, be[n]che la I leggierme[n]te si p[re]ferisca; et quasi
nell’A asco[n]da, non di meno mai non si leva, che la sillaba
non resti imperfetta. Cosa, che d’IE no[n] interviene come
si dimostrò ne Diphthonghi. Oltre di questo dietro
alla IA seguono ale volte di subito due consonanti, co[m]e
si vede in Fiamma, & Fiasco. Mà dietro alla IE, ne
ad alcuno altro Diphthongo in voce, che Thscana sia;
non mai: Et cio parimente di sopra è stato dimostrato.
Quando la voce latina termina in N,T, & I seguita da
un’altra vocale nel modo, che detto habbiamo, passan-
do frà le voci Thoscane il più delle volte muta la T in
Z, & la I si perde. Dò gli essempi. Presentia, & abon-
dantia. Preferenza,& Abondanza.
La I, & U essere alcuna volta consonante non è, chi du-
biti, quando nella medesima sillaba una vocale inconta-
nente la segue, solo advertisco, che la I posta per capo
della voce spesse volte innanzi se prende la G, come Io-
ve, Giove. Iulio. Giulio.
Advertisco anchora che ne principij di due sole voci i Tho-
scani mantengono la U vocale dina[n]ci ad un’altra vocale
& ne fanno Diphthongo. Sono tai voci. Uovo parto
degli uccelli, & Uopo, cio è bisogno. Dove è l’Aspiratio-
ne anchora nel principio, sempre la U seguente dinanzi
la O fà diphthongo; come Huomo. Et questo, perche l’a-
spiratione non può mai stare senza essere subito inna[n]zi,
è subito dopo la vocale, se non quando PH per F profe-
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riamo, si come Diphthongo. Et cio parimente di sopra
è stato detto.
La medesima U nel mezzo delle voci posta innanzi la O
con forza di consonante hora si perde, hora perdendosi
la O essa rimane con forza di vocale diphthongata. Si
come Pauolo. Paolo. Paulo.
La K, & la Y in questa lingua non sono conosciute. Che se
elle ci fossero, io haverei scritto HYPARCHA con-
venendosi cosi al significato di questa voce.
La I vocale posta inna[n]zi la A, overamente la O nel fin del-
la voce dopo la N, overame[n]te R tacesi molte volte, come
Strania, strana. Desiderio, desidero. Non però sempre.
La O Thoscana dalla U latina discendente sempre ristretta
si ma[n]da fuori, anchora i[n] quelle voci, ove la co[n]sona[n]te di su-
bito segue raddoppiata, Dò gli eße[m]pi. Ombra. Pollo. La
differe[n]tia si conosce pone[n]dovi allo’nco[n]tro opra, et Col-
lo, che appresso i latini, et appresso noi p[er]o si scrivono.
Tutte le vocali han doppio suono. Seguite da semplice con-
sonante rimesso l’hanno. Da consonante, che raddoppia-
ta sia l’inalzano. Eccovi gli essempi. Carro instru-
mento. Caro diletto. Vello di pecora. Velo di Don-
na. Ville campagne. Vile di poco pregio. Collo par-
te dell’huomo. Colo verbo, cio è Amo con osservan-
za. Bruto nome proprio. Brutto, cio è deforme.
Questa differentia insegno io à conoscere col formar
la voce primieramente nell’intelletto secondo il suon
dell’orecchia, indi col separarne le sillabe in questo
modo V, E, L, VEL. Già havete quasi Vello in-
tiero. Mà se dite, V, E, VE: altro non ne potete
trarre, che Velo.
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B, C, & F volentieri dopo la U vocale si raddopiano. Ubbi-
disco. Uccello. Ufficio. Benche non sempre.
Di sole consonanti non si può mai formarne sillaba, ne vo-
ce alcuna. si ben di sole vocali. Come À prepositione.
È verbo. & Eoo, che orientale significa.
Due consonanti d’una qualità medesima nel principio del-
le voci non si comportan mai.
La S hà due suoni. Nel principio delle voci, & nel fine lo hà
spesso indistintamente, come se fosse doppia. Nel mezzo,
se non è doppia, stà dinanzi a vocale, & beneramente si
proferisce, & alla Z s’accosta. Gli essempi sono infiniti,
& per se chiari.
Niuna consonante mai si truova immantenente duplicata,
se non frà due vocali, ò concorrendoci delle liquide, co-
me Afflitto. Quattro.
Ogni voce appresso i Thoscani termina in vocale, se non
è nome straniero, come Nathan: ò se non è per accide[n]-
te, come Paßion in vece di paßione: ò se non è parti-
cella di quelle, che no[n] si varian, come IN. PER. CON.
& fuori anchora l’articolo. IL.
L, N, & R trè lettere sono, le quali amano rimanere à
compimento delle voci abbreviate più di tutte l’altre,
come se io diceßi. Qual paßion potete stimar, che sia
Hiparcha dolcißima amar senza spera[n]za di goder gia-
mai il desiato frutto? Et voi mi rispo[n]deste. Niun per cer-
to tal, ne maggior dolor si truova.
Le voci in A terminanti non s’abbrevian mai, se non di-
cendo HOR in vece di HORA co suoi composti, &
LEGGIER in vece di LEGGIERA. che il Boc-
cac. disse nella sesta novella della decima Giornata, &
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altrove non una volta sola.
Le voci parimente, che con più lettere finiscono la loro ul-
tima sillaba, non ponno abbreviarsi. Più lettere chiamo
quando due consonanti vi sono, & una, ò due vocali, &
dò gli essempi. Tristo. Destro. Contempro. Adempio.
Appresso più i primi, che i secondi numeri, & più le voci,
che di più sillabe sono, sogliono abbreviarsi. Et meno i
nomi femminili, che i maschi.
Gli accidenti, che ponno far terminar la voce in consonan-
te, si fuggono, quando la voce, che viene appresso, com-
mincia da S giunta con altra consonante. Dò l’essem-
pio. Tale stato.essere scarco.
Et se advien pure, che la voce precedente una sia di quelle,
che in vocale terminar non ponno, allhora innanzi la S
è lecito aggiugnere la I, come sarebbe ad dire. Nathan
ischerzò seco per ispatio d’una mezza hora.
Non dico però esser necessario, mà potersi fare, come
si può similmente alle voci, che hanno la I naturamente
innanzi, levarla via ogni volta, che elle vengono dietro
ad alcuna vocale, come per essempio LA STORIA
in vece di LA HISTORIA, che il Bocc. disse nell’ul-
tima novella della quarta giornata. QUELL’I-
STESSO, & QUELLO STESSO.
Puoßi anchora alla CHE aggiugnere la D, quando la se-
guente voce commincia da vocale, come il Boc. fece del-
l’Abate di Cligni ragionando, il quale fù da medici con-
sigliato, ched egli andasse à bagni di Siena.
Fecero questo medesimo i Poeti nella O in vece di overo,
SE,& NE dicendo alcuna volta. In Cielo, od in ter-
ra. Sed egli è vero. Ned ella à me. Le quali voci tutte
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cadono sotto figura, come à suo luoco vedremo.
La Thoscana favella fugge i titoli, & i punti, che le voci
fan brevi.
Il punto, che fermo si chiama, & la distintione riceve, &
sonvi necessari.
Il punto fermo è solo in questo modo.
La distintio[n]e fan due pu[n]ti: ò una virgola al basso cosi posta,
Il punto si mette nel fin di tutto il ragionare.
La distintione, ove il fiato si ripiglia nel mezzo. Et advie-
ne spesse volte, che molte distintioni si fanno, prima che
ad un punto fermo s’arrivi.
La distintione molto hà luogo inna[n]zi il realtivo, la copula,
& la disgiuntiva, & nello usar quella figura, che hà il
nome d’articoli disciolti: la quale usò il Petrar. qua[n]do è
disse. Tana, Isira, Alpheo, Garonna, & in quel sonetto
s’hanno anchor del resto gli essempi, come Adige, & Te-
bro, e ’l mar, che frange. Faggio, ò Ginebro.
Il segno della interrogatione ha[n]no parime[n]te i Thoscani, il
qual si pon nel fine, et è à guisa de latini una S ritorta al
contrario sopra un punto fermo in questo modo?
Non tacerò anchora, che nel fin della linea molto si dee po-
ner cura, che la sillaba non resti imperfetta, et in se stessa
divisa: come volendo scrivere DIVISA non debbia-
mo finire la linea nella V di quella voce, ò nella S, mà nel-
l’una delle due I, ò nella A, le quali sono trè lettere poste
à compimento di trè sillabe, che hà quella voce DIVI-
SA. & se egli adviene, che la voce non possa in qulla li-
nea terminarsi, alhor finita la sillaba si dà segno del ri-
manente in questo modo con uno tratto solo, ò con due.
Divi#sa. & in tal caso non potendosi fare altramente.
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è lecito usare il titolo, che fa breve.
Qua[n]do anchora l’autorità d’un poeta s’allega, & il prin-
cipio del verso si tace, se ne dà segno co[n] questa linea ava-
nti tirata pe’ lungo, come -ond’io nutriva il core,
Ogni sillaba termina in vocale, se due consonanti non se-
guono incontanente.
De nomi propri di luoco, ò persona si dà segno scriven-
done la prima lettera in figura grande. come Verona, Ri-
naldo. Il che si fà anchora ne principij del ragionare, &
dopo i punti fermi generalmente.
Finalmente dico, che qua[n]do le lettere, ò le sillabe, ò le voci
sole, & senza altro significato havere si scrivono, suol ti-
rarvisi una tal linea sopra. Ā.Ū.Ā. ET QUELLO
CHE io poco prima feci scrivendo otiosamente. Divisa.
Quello stesso si fà sopra le note significanti numero, come
à X giorni, che tanti hoggi ne habbiamo; di settembre.
MDLXVII. Il che però non è necessario, ma degno che
si sappia, et utile molto à chiunque cerca dirittame[n]te leg-
gere, come altresi i segni acce[n]ti sono, de quali hor m’ap-
parecchio à favellare. De gli accenti.
Accento è temperamento, & armonia di ciascuna sillaba, ò
lettera significante. Noi quattro ne habbiamo. Grave.
Acuto. Misto, & Converso. Del grave dà segno la linea
comminciante di sopra dal sinistro lato, et di sotto ter-
minante nel destro in questo modo. `
Dell’acuto una contraria linea ´
Del misto l’acuto, e ‘l grave giunti insieme? ^
Del converso la C volta in contrario, ’
I trè primi si figurano nella U di qualità grande.
Al grave si dà la sinistra linea, all’acuto la destra.
/BEGIN PAGE 12v/
Al misto si volta la lettera sotto sopra. Et è questo mi-
sto appresso i Greci, & i latini scrittori il circonflesso.
Di questo cosi segnargli la ragione è provenuta dal
muovimento, che con la bocca si fà nel proferir le voci,
ove eßi stién sopra. Al qual movime[n]to chi be[n] riguarda
non istarà mai in dubbio, come, ò dove gli habbia à segna-
re. Percio che nel grave si tira la lingua à dietro verso
il palato, & s’ingrossa la voce. Nell’Acuto si spinge ol-
tra la lingua abbassandola verso i denti, & la voce s’as-
sottiglia. Nel Misto si contrahe la bocca nel modo mede-
simo quasi, che si depinge, & la lingua stà bassa, come
nell’acuto, mà la voce s’ingrossa, come nel grave. Del
Converso non accade dire se non chel suo segno per es-
sere una mezza Parenthesi mostra, che include parte
delle vicine voci. Questi accenti sono anima, & spiri-
to delle voci, & niuna sillaba è, che eßi non governino.
Tuttavia rarißime volte si scrivono. Io ne dirò quel tan-
to, che mi parrà poterci giovare ad acconciamente scri-
vere, & favellare.
Come s’usi l’accento grave.
Il grave stà sopra la vocale nel fine, ò sia la voce d’una silla-
ba sola, ò di molte: come Pò nome di fiume. Canterò.
Stà anchora sopra la vocale sola, quando non è lettera o-
tiosa, mà di qualche significato: come à prepositione.
È verbo. ò congiuntione.
È proprio di tutte le prime, et terze persone del primo nu-
mero nel futuro di ciascun verbo: come canterò. sederà.
leggierò. Sentirà.
È proprio similmente di tutte le terze persone nel primo
numero del perfetto ne verbi della prima maniera, co-
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me cantò, chiamò.
Posto sopra le voci accorciate supplisce in luogo di quel,
che se ne leva, come potè. fè, cio è poteo (benche raro, &
da poeti solo questa voce s’usi) & fece. Udì in cambio
di udij overamente udio. Sanità, & virtù in vece di sa-
nitate, & virtute.
Di qui si conosce l’accento grave haver forza iguale ad una
sillaba. Però non è maraviglia, se nel verso una sola vo-
cale, à cui egli stia sopra, da se stessa, si regge senza en-
trare nella altra seguente vocale, come per essempio.
Ò occhi miei, occhi non gia, mà fonti.
Ne parimente debbiamo maravigliarsi, che ‘l verso in-
tiero con una sillaba di meno si fornisca, quando vi stà
l’accento grave nel fine, perche egli, come hò detto, hà
pari forza ad una sillaba. Il che appare in quel verso.
Quanto posso mi spetro, & sol mi stò.
Regola vera, & universale di questo accento è, che giu-
gnendosi alla voce, ove egli stà sopra nel fine, l’artico-
lo, quando stà in vece di pronome, ò maschio, ò femmi-
na, che sia, pur che essendo maschio da consonante in-
comminci, la consonante dell’articolo si raddoppi, & il
grave si muti in acuto. Dò l’essempio. Honoróllo. Sen-
tílla. cio è Honorò lui. Sentì lei.
Quello stesso dico farsi, quando uno de pronomi medesimi
abbreviato vi s’aggiugne, come mutóßi, cio è si mutò.
Farótti. cio è ti farò.
Dißi bisognare, che la voce dell’articolo incomminci da co[n]-
sonante, perche gli articoli del maschio son due: IL,
& LO; come altrove dirò più largamente; & quando
IL s’aggingne alle voci dette di sopra, il grave ben si
/BEGIN PAGE 13v/
muta nell’acuto, mà la consonante non si raddoppia gia-
mai che egli debba essere IL, & non LO si conosce,
quando niuna vocale dello articolo, s’esprime, come. Fél
se, cio è si fè. Dirólti. cio è il ti dirò, In queste voci ta-
ci tali viene à concorrere il converso col grave, & in
luoco d’amendue sottentra l’acuto solo.
Di questa regola cavo LE articolo, quando passa ad esser
pronome, et serve per terzo caso d’ELLA in vece di
À LEI. Questo cosi abbreviato, quando nella medesima
voce alcuno altro pronome parimente accorciato lo se-
gue, mai no[n] si raddoppia, se non dietro le voci d’una silla-
ba sola. Fálleti innanzi. Dálleti à conoscere, cio è fatti
inna[n]zi à lei. Datti à conoscere à lei. In questo dire, per-
che il verbo è d’una sillaba sola, la consona[n]te del prono-
me si raddoppia. Mà ella si scrive poi semplicemente in
questo altro. Mutòlesi il dato in mano, cio è il dato si
mutò in mano à lei. Et ne simiglianti.
Qua[n]do quella parte dell’oratione, la qual di sua natura hà
l’accento grave, s’appoggia alla voce segue[n]te & fà con
essa collegamento, tal che di due voci par, che se ne fac-
cia una sola, allhora l’accento grave, ò si perde, ò si can-
gia in acuto secondo il temperamento di quella seconda
voce. Et io quivi no[n] essendo mai necessario segnargli ac-
centi dico p[er] regola più facile niuno doversene segnare.
Dò gli eßempi. AI, cio è ÀI, co[m]e AI mo[n]ti. Fa i fatti suoi,
cio è fà i. Ma o sa vivo, ò morto, cio è mà ò. In tutti q[ue]sti
luoghi dovrebbe segnarsi l’acce[n]to acuto, et ta[n]to è, qua[n]-
to se si dicesse. Ái. fái.Máo. Cosi anchora ÁLATO.Á-
PETTO, ÁFATTO, & tutti i simiglia[n]ti co[n] l’Acuto
si scrivono. Mà eccovi uno essempio, dove il grave in tut-
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to si perde. La felicita altrui. Tanto è, qua[n]to se si dicesse.
La felicit altrui. Et niuno acce[n]to è sopra quel tal, se non
co[n]verso tacito. Bisogna adu[n]que, che la voce, over sillaba,
à cui s’habbia da segnar sopra l’accento grave, stia sepa-
rata da tutte l’altre, & posi in se stessa. Il che senza diffi-
cultà riesce, qualhora la voce seguente commincia da
consonante, si come.
Vera honestà, che’n bella Donna sia.
Beata s’è, che può bear altrui.
Mà quando anchora comincia da vocale.
Però à mio parer non gli fu honore.
Ò occisi miei, occhi non già, mà fonti.
Et in quello NON GLI FU HONORE: havete pa-
rimente l’essempio, q[ua]n[do] l’acce[n]to p[er]da, perche tanto è, qua[n]to
se dicesse no[n] gli F honore. Per q[ue]sto io dico l’acce[n]to gra-
ve p[er]dersi, ogni volta che’l co[n]verso gli viene appresso, p[er]-
che quel collidersi di piu voci insieme causa, che elle si p[re]-
feriscono, come fosse una sola voce, si come O’l, in vece di
Ò il. No’l in vece di Nò il. Et la ragio[n]e universale di tut-
te queste conclusioni (alle quali s’aggiungan quelle, che
D’HONOROLLO, et FAROTTI di sopra io po-
si) è, percioche l’accento grave (si come è detto) hà sem-
pre luogo nel fine, & quando due voci, delle quali la pri-
ma ha’l grave, si collegano insieme, già quella sillaba non
è più l’ultima, overo non termina in vocale, & cosi l’ac-
cento privato della sua fede, ò si perde, ò si muta, co-
m’è dimostrato. Ben è da avertire, anchor ch’el
contrario esser non possa, che dopo’l converso può se-
guir di subito, il Grave in questo modo. Non c’è.
Com’hà. Cosi gli segue anchora l’Acuto, come in
/BEGIN PAGE 14v/
quello, O’L’, & N’O’L’, che per proferirsi, come
fosse una voce sola, & perche termina in consonante, vie-
ne ad haver l’accento Acuto, come poco appresso dimo-
strerò più chiaro.
Son di parere anchora, che di due gravi si faccia uno acu-
to solo, quando s’uniscono due voci, alle quali amedue
stà sopra l’accento grave in questo modo. Quá giu: lá
su, ò lássu, che scrivere vogliamo in vece di QUÀ, &
GIÙ, & di LÀ, & SÙ. Et cio penso à imitatione de
Greci, & de latini. Mà te[m]po è già di passare all’acuto.
Come l’acuto s’usi.
L’acuto stà sopra la vocale sempre à guisa del grave, mà
nel mezzo delle voci, & in varij luoghi. Per regola di
lui basti addire, che niuna sillaba può seguitarlo nella
medesima voce, che lunga sia, se non per accidente. Gli
essempi se ne hanno in queste voci. Gía, cio è giva. Re-
sterébbemi, cio è mi resterebbe. Siamívene, cio è me ne
sia con voi. Et portandósenela, cio è mentre che egli se
ne le portava: voce, la quale Nell’ottáva novella hab-
biamo della nona giornata del decamerone. Della silla-
ba, che appreßo l’acuto segue lunga per accidente, hab-
biamo l’essempio dicendo fóssersi, & pregássersi in ve-
ce di fosserosi, & pregasserosi; la quale tutta via non co-
me lu[n]ga, anzi co[m]e breve si lascia andar fuori col riguar-
do della voce, che detta habbiamo intiera, & naturale.
Nelle prime persone de perfetti della prima maniera, quan-
do vi s’aggiugne MI pronome nel fine, gettasi la I tal-
hora, & entra l’acuto in quel luoco per si fatta manie-
ra, quetámi, cio è quetaimi.
Il medesimo dico negli altri tempi, & modi, ove la I sta nel
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fine dietro ad una altra vocale, & il pronome vi s’ag-
giugne, ò sia l’articolo in vece del pronome, si come cre-
derémi, ricorderáti, dirélo, cio è crediremi, ricorderai-
ti, direilo. Et quello ch’el Boc. disse puólo fare: in vece
di puoilo fare. Dove è da notare, che’n simili voci mai
non si raddoppia la consonante del pronome. come ap-
pare manifestamente in PUÓLO seconda persona, che già s’è detto,
se noi vi mettiamo allo’ncontro puollo,
la quale è terza.
In un caso l’acuto si segna nel fine, in altro sopra a quelle vo-
ci, di cui natura è havere il grave. Mà cio per tanto no[n]
contrasta alle regole date di sopra.
Il primo caso è, quando la voce termina in consonante, et in
quella si compie la clausola, o’l verso, come appresso
Dante nel Purgatorio.
Dentro raccolto imagina Sión
Con questo monte in sù la terra stare,
Si ch’amendue hanno un solo orizón,
& diversi emisperi; ond’è la strada,
Che mal non seppe carreggiar Phéton.
L’altro caso, è quando la voce termina in vocale, overo è
sola vocale anchora, & à lei segue di subito, l’interroga-
tione. Dò l’essempio. Ché? Io non v’andró? Tu dici,
che non v’é?
Mà considerata la natura de gli accenti io dico cosi, che’l
grave và tardo, & termperata mantien la sillaba, ove sta
sopra. Et cio molto ben gli riesce sopra la vocale, la qua-
le è lettera pura, & del suo suono contenta, come nel
primo partimento delle lettere io dißi. Mà quando la
voce termina in co[n]sona[n]te (il che però adviene rade vol-
/BEGIN PAGE 15v/
te frà Thoscani, come altrove dißi, se non è voce Barba-
ra, ò tronca) allhora la voce in modo alcuno no[n] può ri-
posarsi, ne star temperata, percio che la consonante hà
due suoni, il proprio & quello della vocale. Et ogni vol-
ta che la clausola, o’l verso in conosonante si finisce, ri-
manvi, un certo tratto dietro, che dice[n]do Sión, Orizón,
et Phetón, par, che egli si dica Sione, Orizone, & Phe-
tone. Dunque il grave privato del suo effetto no[n] vi può
stare: & l’acuto in mezzo à quê due suoni, che la con-
sonante hà, cio è sul proprio della consonante separato
da quel della vocale, mettendosi viene ad farsi luogo ad
un certo modo sulla penultima.
Quando similmente noi proferiamo con interrogatione, al-
lhora la clausola esce con vehementia, & vassene à ca-
dere più che di passo, onde il grave non può quella sil-
laba temperare, ne ritenere. Et percio vi si mette l’acu-
to, il quale, perche stà di sua natura nel mezzo, dà segno
che’l tempo del proferire s’è antecipato, & quando tem-
peratame[n]te parlando noi dovere[m]mo essere stati sulla pe-
nultima, allhora dimostra, che l’impeto già ci hà traspor-
tati al fine. Ne perche la voce sia p[er] se tale, che ricerchi
il grave, faßi percio di meno. Anzi il grave si muta in a-
cuto. Il che doversi fare ne dimostra quel tratto, che col-
la voce facciamo vole[n]do p[re]ferire l’interrogatione, il qua-
le occupa senza dubbio il tempo d’una sillaba, et giugne[n]-
dosi immediatame[n]te alla parola, che le và inna[n]zi, fà qua-
si in modo, che può dirsi l’accento acuto tornare à dietro,
& starsi sulla penultima. Assottigliasi anchor la voce, et
la lingua si spinge bassa verso i de[n]ti, mentre che egli s’in-
terroga. Et questi tutti sono indubitati segni, che quivi
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sopra stà l’accento acuto. Di cui piacemi anchora d’a-
vertire una similitudine, & una differenza, che esso hà
col grave. La similitudine è, che si come l’acce[n]to grave
posto sull’ultima, sede del verso, hà forza di terminarlo
con una sillaba meno, cosi fà parimente l’acuto. L’essem-
pio se ne hà in quê versi di Da[n]e allegati pur dianzi. La
differenza è questa, ch’el grave opera tale effetto pura-
me[n]te, & p[er] propria natura, dove l’acuto il fà p[er] beneficio di
quel tratto, che si dà hà ciascuna consonante per li due
suoni, che essa hà, si come è detto. onde tale effetto in que-
sto ultimo viene ad esser quasi p[er] accidente. Et cio si vede
i[n] q[ue]lle due voci, che tro[n]che si leggono, orizón, et Phetón,
le quali certo si conoscono essere imperfette d’altra sor-
te d’imperfettione, che qua[n]do diciamo Sanità, & Virtù.
Di Sión non parlo, la quala è voce Barbara à fatto, &
porta seco il tratto della vocale più palese delle due com-
pagne, quasi diceßimo Siône. Mà l’altre due sappiamo
esser voci (be[n]che dal Greco) Et doversi dire Orizonte,
& Phetone. Conoscesi parimente questo effetto della co[n]-
sonante paragona[n]do Plúto à Pluton, perche nel primo
l’acuto stà nel mezzo sopra la ú nel secondo stà nel fi-
ne sopra la ń.
L’acuto, et il grave male si co[m]portan vicini l’uno all’altro
per la ragio[n], che diremo nelle regole generali de verbi.
Del Misto.
Il misto anche egli stà sopra la vocale, et si come del grave
et dell’acuto si forma, cosi col grave partecipa sta[n]do sul-
la ultima sede, con l’acuto stando sulla penultima.
Egli dà segno delle voci abbreviate in tal maniera. Tâ, &
quâ. in vece di tali, & quali. Lacciuô in vece di lac-
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ciuoli. Côrre, cio è cogliere. Amâro, & amâr in vece
di amarono.
Utilißimo è per la differentia, che può nascere trà voce
& voce; come côrre, che hor detto habbiamo, et corre,
cio è affretta il passo. Amâro tempo passato di amo, &
Amaro, cio è non dolce. Questo accento sospende, &
inalza la voce. Et io per tanto stimo, che non pur sopra
le voci, che dette si sono, per segno di accorciamento
habbia luogo, mà anchora sopra quella ô, che piagne,
& desidera, quando diciamo. ô misero me. ô se. ô pur à
differentia di quelle altre volte, che tal particella con
altro accento, & significato chiamando, & distingue[n]-
do si pone.
Come s’usi il converso
Il converso ne sopra vocale stà, ne sopra consonante, mà in
lor vece.
Il suo luogo è trà la fine dell’una voce, & il principio del-
l’altra.
Il più delle volte hà luogo, dove interviene l’articolo, il
pronome, ò la prepositione, come si mostrerà p[er] essempi.
Egli si mette ordinariamente in luoco della prima vocale
sola, come ond’io, ov’altri, d’alcuno, cio è ond’io, ove al-
tri, di alcuno.
Questo si fa sempre ne gli articolo LO, & LA, quando in
alcuna seguente vocale si scontrano, se ella non è I, alla
quale segua immantenente M, overamente N: perche al-
lhora è in libertà dello scrittore ritener la prima vocale,
cio è quella dell’articolo, ò la seconda, cio è quella della
voce. Dò l’essempio. Lo’mperadore, l’imperadore. La’n-
vidia, l’invidia. Et simili altri, che io però ristringo à
quelle
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quelle sole voci, che dietro la M, ò la N di subito hanno
altra consonante.
Nell’articolo IL la seconda vocale è quella, che se[m]pre si
getta via, cio è quella dell’articolo, ne l’altra può essere
giamai, facendosi cio solamente, quando le và innanzi
un’altra vocale. Eccovi gli essempi: Su’l Fiume, Ne’l Te[m]-
pio. Co’l Signore. E’l padre. No’l farei. Delle particelle
non parlo, qua[n]do diciamo. DEL. AL. DAL. Nelle quai
tutte voci è l’articolo IL.
Dell’articolo LO dirò questo anchora, che andando in-
nanzi la Prepositione PER, il converso entra in luoco
dell’ultima consonante della Prepositione, & della vo-
cale ultima dell’articolo rimanendo la consonante di
mezzo, come Pe’l mondo, cio è per lo mondo. & cio
nel primo numero.
Nel secondo numero tutto l’articolo, cio è LI si tace insie-
me colla consona[n]te di PER Prepositione, et mettesi in
cambio loro il co[n]verso, quando la voce, che segue, co[m]min-
cia da consonante: come pe’ piani, cio è per li piani.
Quando la voce, che segue, commincia da vocale, ò vi stia
la detta Prepositione avanti, ò nò, sempre GLI articolo
si scrive intiero, perche cosi richiede la Thoscana pro-
nuncia. Gli altari. Gli estremi. Gli homini. Gli uccelli. Se
non ne seguisse di subito la I, che alhora è lecito mette-
re il converso in cambio dell’ultima vocale dell’artico-
lo, si come gl’impacci. gl’indicij. Et erra, chi altramente
insegna, ò scrive.
Il medesimo dico di BELLI, QUELLI, & simiglian-
ti nomi, ò pronomi, à quali, chi levasse l’ultima vocale co[m]-
mettere il co[n]verso in sua vece, oscurerebbe talme[n]te il suo
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significato, che non sapremmo discernere di che gener,
ne di che numero fussono. oltra che alla pronuncia loro
punto non si sodisferebbe. Dò l’essempio. Di quell’u-
no, e può dir Di quello, Di quella, & Di quelli. Me-
glio, è dunque per fugir questi dubbi, scriver distesa-
mente la parola, che abbreviarla.
Debbiamo anchora andar riguardati nelle prose in metter
questo accento nel luogo della vocale di LE secondo nu-
mero dell’articolo femminile, & piu sovente stenderlo,
che abbreviarlo.
Nel verso è lecito, & s’usa metterlo abbreviato bene
& spesso.
Alcuni verbi sono, li quali in I comminciando, ogni vol-
ta, che l’articolo stante in vece di pronome vi và in-
nanzi, quella I tramutano in E mettendosi il converso
in luogo della vocale, che si leva all’articolo in questo
modo. L’envio. L’envoglio. cio è la invio. lo invoglio. Co[me]
L’envolo, & L’envidio.
Advien talhora, che il converso tien luogo della vocale tol-
ta nel fin della seconda voce, la qual commincia da con-
sonante, & non di men si segna innanzi la detta conso-
nante, si come S’en duole. Me’n pento, cio è se ne duole
me ne pento. Tanto è vero, che egli stà volentieri, dove è
l’articolo, o’l pronome.
Accadendo, che due voci si riscontrino, di cui la prima hab-
bia l’aspiratione innanzi l’ultima sua vocale, l’altra
da aspiratione, & la vocale comminci, gettasi l’aspi-
ratione, & la vocale della prima voce, entrando in luo-
go loro l’accento converso in questo modo. C’huom, cio
è che huomo.
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Perch’habbia, cio è perche habbia.
Et cio si fà maggiormente nel verso.
Per regola universale togliendo varij essempi di sopra
dati si può concludere, che la I più si vale di questo ac-
cento, che tutte l’altre lettere, & ella quasi sempre si per-
de, ò sia mescolata nell’articolo, ò in quale altra voce si
voglia, aggiugnendoci anchor questi essempi. Che’n ta[n]ti,
cio è che in tanti. Che’mpatientißimo sono, cio è che im-
patientißimo sono.
Allhor resta salda la I, quando la voce senza lei si per-
derebbe; ò rimarrebbe dubbiosa: però nel pronome IO
mai non si getta et nell’articolo GLI & in QUEL-
LE, & BELLI, rade volte, come s’è dimo-
strato.
Et cio generalmente debbiamo havere innanzi à gli oc-
chi, che la voce per abbreviarla mai non si perda ne di-
venga men chiara di significato. & di due voci quella si
dee abbreviare, la qual manco si perde, & manco dub-
biosa doventa, overo perdendosi ò rimanendo dubbiose
amendue, niuna abbreviarne: et esser sempre più largo in
istendere, che stretto in accorciare. Impero che l’ac-
cento non può giamai rilevare voce alcuna perduta.
Et questi accorciamenti sono figure, come à suo luogo
vedremo, & le figure, come dicono i Grammatici, sono
vitij del parlare. Però deono parcamente essere usate.
Questo accento no[n] entra in luoco mai d’alcuna vocale, ove
l’accento grave stia sopra, o dovendoci egli entrare: il
grave si perde, come di sopra è stato detto.
Forse anchor si potrebbe alla Thoscana favella dar l’accen-
to dell’unione (& io’l conosco) il quale i Greci segna-
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rono in tal modo ˘ & con questo usarono di legare in-
sieme due voci, quando per natura sono separate, & si
co[m]pongono; come frà noi sarebbe dice[n]dosi. Mezzo ˘ vo-
cali sotto ˘ lassare. Mà io parendomi, che poco prò ci
torni, & rare volte accada valersi di tale accento, hollo
tacciuto per lasciare in maggior libertà la nostra lin-
gua. Et qui sia fine dilettißima Hiparcha à quanto nel
principio di voler ragionare intorno alle lettere, & alle
sillabe mi proposi.
Delle parti dell’Oratione.
Vengo hora alle parti dell’oratione, le quali dico essere ot-
to. Prepositione. Articolo. Nome. Pronome. Verbo. Par-
tecipio. Adverbio, Et coniuntione. Nel che mi piace di
serbare i nomi latini, et sono per serbargli anchora nel
ragionar de gli accide[n]ti d’esse parti, ovunque destro mi
verrà con una sola voce al latino accostandomi dir quel-
lo, che con due, & con trè, volendo thoscanamente par-
lare, mi bisognerebbe. Oltra che il finger ad ogni ho-
ra vocaboli nuovi par, che la scrittura molte volte renda
oscura. L’Articolo p[er] parte dell’Oratione hò nominato
et la Interiettione hò tacciuto all’usanza de Greci. ella si
truoverà compresa nello Adverbio. La Prepositione
hò messo inna[n]zi p[er] ordine co[n]tra lo stil de Greci, & de latini
scrittori, p[er]cio che il nome, & l’effetto suo d’essere prepo-
sto ricerca, & di grado in grado sagliendo dalle lettere,
& dalle sillabe alle voci, queste voci sono più facili, co-
me quelle, che bene & spesso d’una sillaba sola, & d’una
lettera anchor s’appagano. Aggiugnete à cio, che altra
ragione è nella lingua nostra, che nella coloro. Co[n]cio sia
cosa che queste sole Prepositioni senza altro mutamen-
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to di lettere fare distinguono i casi obliqui ne gli artico-
li, & nomi Thoscani, che de latini non interviene. Et ta-
le servigio anchora, che le Prepositioni à gli articoli
prestano à simiglianza del nome, è stato cagione (non
pur l’autorità de Greci) che io l’articolo habbia numera-
to per una delle parti, come hò fatto. Maggiormente, che
l’articolo nostro molto più si vede esser libero, che’l lati-
no, & meno obbligato al Pronome, come quello, che in
caso retto mai non gli serve.
Divisione delle già dette parti.
Di queste otto parti trè ne sono, che non varian mai, cio è
Prepositione, Adverbio, & Co[n]giuntione. L’altre cinque
variano, come à suoi luochi vedremo. Et sono Articolo.
Nome. Pronome. Verbo, Et partecipio. Variare impor-
ta, cio è haver generi, casi, numeri, persone, maniere, tem-
pi, ò modi distinti.
Della Prepositione.
La Prepositione adunque è prima di quelle parti, che non
variano, percio che ella giunta col Nome, ò col Verbo
riceve qualità simile à lui, ò sia il nome maschio, ò fem-
minile, ò in caso retto, ò in obliquo, ò d’una cosa sola si ra-
gioni, ò di molte, cosi nella altrui persona, come nella pro-
pria, tanto nel passato, quanto nel presente, & dimostran-
do, & commandando, & facendo, & sopportando sem-
pre con una voce medesima.
L’effetto suo dal nome si comprende, per cio che ella à tu-
tt’altre parti dell’Oratione ragionando si prepone, non
separata solo, mà composta. Della separata habbiamo
l’essempio dicendo. Innanzi à Dio. Verso’l cielo. Della
composta nel nome istesso della Prepositione l’habbia-
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mo perche preporre, è quando innanzi porre. se ne cava
MECO TECO, & SECO: ove par che la preposi-
tione dietro il Pronome si metta co[n]tra quel, che’l suo no-
me dimostra. Tuttavia noi diciamo anchora CON ES-
SO MECO, & CON ESSO TECO. CON ES-
SO SECO nò, che mi torni à mente d’haverlo letto
mai, mà si bene in quel cambio CON ESSO LUI, et
CON ESSO LEI nel primo numero, et CON ES-
SO LORO nel seco[n]do. NOSCO, et VOSCO sono
de poeti. CON MECO anchora truovo nella NO. di
Ferondo, & nel sonetto, Solo, & pensoso.
Trè effetti oltra di q[ue]sto fa la Prepositio[n]e: ò cresce, co[m]e Ar-
civescovo, cio è capo di Vescovi. ò scema, co[m]e Miscrede[n]-
za, cio è crede[n]za i[m]perfetta. ò muta, co[m]e dispiaccio. cio è
no[n] piaccio. Mà di lei veggiamo, q[ues]te parti si poßa fare.
Divisione delle prepositioni
Le prepositioni tutte in trè parti si dividono. Alcune son p[ro]-
prie, & quasi co[n]tinue co[m]pagne de gli articoli, et de nomi
ne casi obliqui. Alcune altre sono, mà no[n] ta[n]to p[ro]prie
ne si continue. Alcune solo in compositione si truovano.
Quasi continue hò detto esser le prime, perche del secondo,
& del terzo caso elle si tacciono in questi modi di ragio-
nare. La dio mercede, cio è mercè di Dio.
À casa le buone femmine delle buone femmine.
cio è
In casa questi usurai di questi usurai.
Il cui valore
I cui amori cio è di cui
Cui fosti figliuolo
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Del padre loro
Alle lor donne cio è di loro.
Co loro amici
Al colei grido, cio è di colei.
Per lo colui consiglio cio è di colui.
Per lo costoro amore cio è di costoro.
Nel costui regno cio è di costui.
Dell’altrui bene cio è d’altrui.
Fece lor bene cio è à loro.
Diede lor credere
Ne manda altrui cio è ad altrui.
Tedaldo Elisei, cio è de gli Elisei.
La particella DA si leva dal sesto caso ogni volta, che
vi si mette IN. NE. CON. CO, ò SENZA, come frà
qui à poco vedrem più chiaro.
De gli accidenti suoi.
Alla prepositione accade il caso, fuori il primo, et il quinto.
V’accade similmente la figura. Imperoche ella overo è
semplice, come À, DI, overamente composta, come
À lato. Di nascosto.
Prima parte delle prepositioni.
Le proprie co[m]pagne de gli articoli, & de nomi son queste.
Ne secondi casi dell’uno, & l’altro numero DI, &
DE.
Ne terzi À, &
AD.
Ne sesti | DA.
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Frà DI, & DE è questa differentia, che DI senza arti-
colo s’usa col nome solo, come di Pietro. di Roma. di vil-
la. DE sempre appresso di se l’articolo richiede ò espres-
so, ò che vi s’intenda, come del vino. de gli animali, de pe-
sci. Cio è de i pesci. Et è da sapere, che dopo questa pre-
positione si può tacer l’articolo nel secondo numero so-
lo del meschio, & innanzi à quelle voci, che commincian
da consonante, come si vede nell’arrecato essempio: la
qual cosa parimente si serva nelle prepositioni, che se-
guono À, et DA. Tuttoche noi diciamo DA CIELO,
& DA TERRA, imperoche tai voci sono piu tosto
adverbi, che nomi.
À, & AD sono differenti, che À si dà all’articolo, & al
nome: si come à Roma. al vino. & à pesci in vece di di-
re ai pesci. AD all’articolo non si dà mai.
Oltra di questo À si conviene alle voci, che co[m]mincian
da vocale, come à tutti gli homini, à ogni persona.
AD alle voci sole, che nel principio ha[n]no la vocale, co-
me ad ogni persona, eccetto qua[n]do elle havesson D, ove-
ramente F nel principio, come Ad dire, & ad fare, &
ad domandare, che cosi parmi, che usasse di scrivere il
Boccaccio.
In compositione anchora egli usò di cosi scriverla, quando
la V consonante le segue appresso, come dicendo Adviso.
Advegna, cio è benche. Advenire, cio è accadere, & simi-
glianti voci assai.
DA serve all’articolo, & al nome senza differentia, co-
me da Roma. dal Papa. da i Cardinali. ò sia da Cardi-
nali tacendosi l’articolo.
Hora di tai prepositioni i significati son questi.
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Materia, come coltello di ferro.
Posseßione, come casa di Rinaldo.
Fattura, come opera di Dio.
Maritaggio, come Giulia di Pompeo.
Figliatione, come Francesco di Federigo.
Famiglia, come di Gonzaga.
Podestà, come Duca di Mantova.
Di significa Valore, come catena di cento ducati.
Proprietà, come liberalità di Cesare.
Luoco presente, à chi parla, come di Correg-
gio serivo.
Usasi anchora in luoco d’INTRA, come.
Di molti, che v’erano, io fui quel-
lo, cio è, trà molti.
À, ET AD significan movimento à qualche luogo, ò per-
sona, come se tu vai à Vinegia, io manderò questo pre-
sente ad un mio signore.
Ad anchora si truova posta col significato di PER nella
Novella del Rè di Cipri. Ad alcuna consolation della no-
ia, cio è per alquanto di consolatione, & ristoro haver
della sua doglia.
Separatione, come da te mi parto.
Appressamento, come vien qua da me.
Cagione, come da Dio si dee conoscere o-
gni bene.
Distantia, come da Roma à Melano.
Da signifca Ordine, come da uno infino à cento.
Origine, come Masetto da Lampolecchio.
Ne solame[n]te in q[ue]sto significato s’usa di da-
re al luogo, mà al te[m]po anchora, onde il Pe.
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I dico, che da dì, che’l primo assalto.
Mi diede Amor, molt’anni eran passati, cio è
incomminciando fino à quel di, che amor mi diede il pri-
mo assalto.
Et debbiamo advertire, che volendo mostrar l’origine
della Città, ò Villa, ò Castello, & simili luoghi par-
ticolari, ove si nasce, poßiamo bene usar questa Pre-
positione col sesto caso. mà volendo l’origine della
Provincia, ò del paese dimostrare debbiamo con la
particella DI, & col secondo caso significarla; co-
me ogni Lombardo è di Lombardia: ogni Veronese
è da Verona. Usasi anchora DA speßißime volte in
questi modi. da parlare, cio è onde si parli. da man-
giare, cio è onde si mangi. da tacere, over da dire,
cio è che s’hà da tacere, over da dire. Materia da Co-
thurni, cio è degna di Cothurni. ingiuria da corruccio,
cio è degna di corruccio; cose da arrestare il Sole, cio
è possenti à cio fare.
Di queste prepositioni niuna mai passa ad essere adver-
bio, se non in compositione, come di certo. à fatto.
da presso.
Seconda parte delle prepositioni
Le prepositioni, che meno son proprie, & meno sollecite
compagne de gli articoli, & de nomi, sono le seguenti, &
cosi s’usano.
Con
Al sesto caso dannosi Co
rimuovendo la parti- In
cella DA Ne
Senza
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Per
Al Quarto, che niuna Ver, & Inver
particella hà propria Dopo
giamai. Secondo
Anzi, cio è innanzi
Infra. Intra. Frà, & Trà.
All’oncontro
Al quarto, & al secon- Contra
do rimane[n]do la parti- Oltre, & oltra) il rè, & del rè
cella propria nel se- Verso, & inverso
condo. Sopra
Sotto
Dietro
Al terzo caso si dan- D’intorno
no rimane[n]do la sua À canto
particella À lato
À petto Rimpetto, &
Dirimpetto, cio è p[er] iscontro al signore
Infino, & insino,
fino, & sino,
Di nascosto
Avanti, innanzi, et dinanzi
Appresso, lui.
Al quarto, al ter- di lui.
zo, et al secondo. Et presso à lui.
A secondo solo Fuori, & fuor
Fuora, & fuore di se.
Al secondo, et al
sesto con le lor Giuso, &
particelle Giù del ponte, dal Cielo.
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Suso, & sù
Al sesto con la Dentro dal fosso dalla piuma.
sua particella Di là
Di quà
Non senza cagione hò lasciato alcune di queste preposi-
tioni senza darne gli essempi, percio che di loro bisogna
far più lungo ragionamento.
Trà CON adunque, & CO è tale differentia, che CON
si dà all’articolo, et al nome: come con Pietro. con il
Rè. CO solamente si dà all’articolo espresso nel primo
numero, come col Duca. Nel secondo numero daßi, an-
chora, ove l’articolo tacitamente s’intende, et la voce co[m]-
mincia in consonante, come co Principi, cio è con i prin-
cipi. Non pur dove è l’articolo espresso: come co gli ani-
mi. Co i leoni. CO riceve anchora in compositione uno
altro significato al tutto diverso dal primo, come qua[n]do
diciamo COTALE, & COTANTO, le quali due vo-
ci vaglion, q[ues]to tale, & tanto, no[n] dimeno molto piu forza,
& maggiore espreßione co[n] q[ue]sta particella si vedono ha-
vere. Il medesimo dico di COTESTO, & simiglianti.
Mà qui potreste voi gratiosißima Hiparca dubitare intor-
no à due cose. Prima per qual cagione io non habbia co-
si messo questa particella CO sotto quelle, à cui l’accen-
to converso sottentra in luoco dell’ultima sua lettera, la
qual pare, che dovesse essere la N, co[m]e v’ho posto PE’ in
vece di per li: À cio vi rispondo la PE’ manifestamente
essere voce imperfetta, alla quale non solame[n]te manca la
propria consonante R nel fine, mà in lei anchora tacita-
mente si comprende l’articolo maschio nel secondo nume-
ro; Et che cio sia vero, non può usarsi la PE’ col primo
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numero in modo alcuno: ne col secondo può usarsi, se l’ar-
ticolo vi s’esprime, il quale due volte poi vi sarebbe. Ma
la CO da se stessa è particella intiera. Et cio si vede co[n]-
siderando, che ella nell’uno, & nell’altro numero s’usa, &
nel secondo anchora l’articolo senza vitio commetter vi
s’aggiugne. La qual cosa parimente conferma la NE,
di cui tosto ragioneremo.
Poi dubitereste forse oltra quel che io hò detto, che la pre-
positione CON possa anchora darsi al seco[n]do caso ri-
manendo con esso lui la sua particella. Impero che noi di-
ciamo. Con del pane. Con della carne. À questo io rispo[n]-
do, che egli s’intende. Con del pane, cio è alqua[n]to di
pane. Con della carne, cio è con alquanto di carne. Et p[er]
fondamento della mia ragione altro non voglio darvi à
considerare, se non che noi diciamo anchora speßisime
volte. Sono de gli altri. Son delle cose. cio è sono alcuni
altri. sono alquante cose. Et questo è parlar figurato, co-
me altrove dimostrerò.
IN, & NE sono d’uno medesimo significato, mà v’è que-
sta differentia: che IN mai non hà luogo, dove è l’arti-
colo. NE sempre. onde diciamo in Castello. In casa. Et
nel castello: & nella casa. cosi anchora ne soldati, cio è
ne i soldati. IN alcuna volta in compositione niega, co-
me inavedutamente. inavertenza, cio è non avedutamen-
te. niuna avertenza. Il più delle volte val, quanto dentro,
ò simil cosa, come Invoglio. Infiammo, cio è metto den-
tro voglia, ò fiamma.
Dell’altre prepositioni di questa seconda parte poco resta
ad dire. VER, & INVER in luoco di verso; FUO-
RA, & FUORE sono in uso particolare de Poeti.
/BEGIN PAGE 23v/
PER, VER, & INVER dandosi all’articolo, se egli
è maschio, richieggono sempre LO, & LI: IL, &
I non mai: come p[er] lo mondo. ver lo cielo. in ver li monti.
FUOR s’è detto alcuna volta senza la particella del secon-
do caso in questo modo. Fuor tutti i nostri lidi, cio è fuor
di tutti i nostri lidi.
VERSO non tanto vale, quanto INVERSO, mà
quanto à comparatione anchora, & in questo signi-
ficato non si vede usare, se non col secondo caso, co-
me verso di se.
INNANZI, & AVANTI non vaglion solo alla pre-
sentia, mà mostrano una certa eccellenza, come caro in-
nanzi ad ogni altro. Da niuna altra cosa esser più avan-
ti, cio è più oltra.
AVANTI anchora non pure all’occhio del corpo, mà
etiandio à quel della mente le cose rappresenta, come gli
venne prestamente avanti quello, che dir dovesse, cio è
subito gli occorse nell’animo.
Molte sono di queste prepositioni, lequali passano ad essere
adverbi, ò coniuntioni con altro significato, mà di loro à
tempo ragioneremo.
Qui penso haverne detto assai, come io concluda À PET-
TO esser voce sola delle Prose. À LATO, et À CAN-
TO comuni anchor del verso. Et tutte & trè valere,
quanto à paragone. À LATO più di tutte esser dolce,
& leggiadra.
Giunte alcune di queste Prepositioni co gl’indefiniti de
verbi danno lor significato di nome, come, Del mio ve-
nire. Nel tuo dimorare. Da fare. Con dire. Et simi-
glianti, che non tutte però, ne ad uno medesimo mo-
/BEGIN PAGE 24r/
do s’accompagnano.
Terza parte delle Prepositioni.
Quelle, che solamente in compositione si truovano, son qui
per ordine annoverate.
Ra Raccoglio.
Ri Ripiglio.
Risci Risciacquare.
Ex Exaltare.
Inter Interrompo.
Intro Intrometto.
Fras Frastaglio.
Mis Miscredenza.
Pro Propongo.
Pre Prevenire.
Tras Trasportare.
Pos Pospongo.
Dis Dispiaccio.
Arci, & Archi Arcivescovo. Archiduca.
Vece Vecerè
Sos Sostengo.
Sot Sottraggo.
Et quella, che gli antichi SOR dissero Sormonto.
RA, RI, & RISCI hanno un istesso significato, & è
di tornare ad fare, che che sia. Raccoglio torno ad ac-
cogliere. Ripiglio torno à pigliare. Risciaquo torno
à lavare con acqua. Ne fuor solamente, che’n questa
voce sola mi ricorda haver mai letto questa particel-
la RISCI.
FRAS guastare, corrompere significa Frastagliare, gua-
stare co tagli.
/BEGIN PAGE 24v/
Mis diminuisce. Miscredenza, cio è minor credenza,
di quanto bisognerebbe. Misfatto, fatto men che conve-
niente.
Misvenire. Venir meno.
PRO Innanzi. Propongono metto inanzi: Prevenu-
PRE to, venuto innanzi.
TRAS di là ò di quà. Trasportato di Provenza in
Thoscana, & di quella lingua trasportato nella nostra,
cio è portato di quà. POS dopo. Posporre dopo le spal-
le mettere.
DIS muta. Dispiaccio, non piaccio. Discorro, corro avan-
ti. Et rare son cosi fatte voci, ove non si possa la DI ta-
cere, & lasciarvi la S sola, facendone SPIACCIO,
SCORRO, & simiglianti. Rare per lo contrario son
quelle altre, che dalla S innanzi ad una altra consonan-
te incommincia[n]do non possano pigliare ava[n]ti la D’I, ò al-
meno la I, come Spoglio. Dispoglio. Sgo[m]bro. Isgombro,
& Disgombro. Il che facendosi è figura sempre.
ARCI, & ARCHI secondo il Greco significato (che
greche sono) vaglion quanto capo. Arcivescovo, capo di
Vescovi. Archiduca, Archidiacono. Capo di duchi, ò di
Diaconi.
VECE val, quanto sustituito. Vecerè, sustituito in vece
del Rè.
SOS, suso. Sostenere, tener suso.
SOT, sotto. Sottrare, levar di sotto.
SOR, sopra. Sormonto, monto sopra.
Ove queste prepositioni non ponno alla consonante,
che segue, stare innanzi in lei si mutano, come soggior-
nare, cio è menar giorno sopra giorno. Sommettere,
cio
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cio è metter sotto.
Mà voi per ventura valorosa Hiparcha dubiterete, che
io molte ne habbia lasciato, come AV, Avulse. TRA-
NS, Translato, le quali voci usò il Pet. ne sonetti suoi.
similmente AB, come Abbeverare. RAV, come Rav-
vivo, & infinite altre, le quali chi vi pon cura, ritruove-
rà facilmente. sappiate adunque prima, che quelle due
voci Avulse, & Traslato sono voci sole, & pure lati-
ne, le quali il poeta portò ne suoi componimenti col lor
primo singificato. Avulse, sterpò. Translato, trapor-
tato. Perciò io non le hò giudicate degne d’esser ridut-
te sotto regola alcuna.
Mà voi più oltra direte Risciaquare essere anche ella (si
come io hò confessato) voce sola, & non dimeno io l’hò
ridutta sotto regola. Vi rispondo Risciacquare essere
voce natìa Thoscana, & non latina. Appresso (& cio
notate vi prego) io tengo che’l Bocca. quando usò tal
particella, in luogo della RI la mettesse havendo ri-
guardo alla voce, con cui era composta, la quale da vo-
cale incomminciava. Et questo fondamento non è da
sprezzare, quando ci convenisse formare alcuna voce
nuova. Maggiormente se quella vocale fosse l’una delle
due: A, & O, colle quali parmi, che la Risci habbia mol-
ta convenientia.
Per risposta di Abbeverare, Ravvivare, & simili altre, sap-
piate che non la particella, che tale sia, come AB, &
RAV, mà la natura della A, & RA cosi porta, che in
compositione elle ricchiegon sempre dopo se la conso-
nante raddoppiata.
I d’altra parte, & RI semplice, come in Ripiglio si vede.
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Et percio di RA io diedi per essempio Raccoglio, ne
per tanto dißi RAC. Et questa medesima risposta mi
piace, che serva ad Avulse quando si voglia, come voce
Thoscana, accettare. Similmente Translato levandone
la N si può ridurre sotto la regola di TRAS.
Le voci, à cui queste prepositioni si mettono innanzi, tal-
hora anche restan nel primo significato, come Rac-
coglio in vece di Accoglio. Et Ravvivo in vece di
Avvivo.
Dell’articolo.
L’articolo è parte dell’oration, che si varia, & giunto col
nome i generi distingue.
De gli accidenti suoi.
Gli accidenti suoi sono trè. Genere. Numero, & Caso.
Del Genere.
Il Genere hà questo nome, perche è atto à poter generare.
Cio fanno in ogni cosa il maschio, et la femmina solamen-
te; Però sono due soli generi principali.
Del maschio IL, & LO.
Della femmina LA.
Il Neutro, si come dir poßiamo, che sia generato anzi
che generante, cosi il nome di Genere mal gli si convie-
ne. Però niuno articolo n’è distinto appresso i Tho-
scani, come non è parimente appresso gli Hebrei.
Sono tuttavia delle voci, che esser Neutre si conoscono
al significato loro. Delle quali io dò queste regole.
Come si conoscan le voci
Neutre.
Reg. I. Solo una voce sono, come cio. che. altro.
Reg. II. Accadendo à dovervisi dare l’articolo, gli si dà
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quello del maschio, come il che.
Reg. III. Questa una voce neutra in più voci d’altro gene-
re si risolve, come cio, questa cosa. Il che, la qual cosa. Al-
tro, Altra cosa.
Reg. IIII. Tali sono i nomi, liquali dove prima s’appoggia-
vano, poi stanno, si come il bello: il Gentile: cio è la bel-
lezza, & la gentilezza.
Reg. V. Tali anchora sono gl’indefiniti de verbi, quando ve[n]-
gono ad esser nomi, come il podere: lo advenire.
Reg. VI. Tale anchora è il male, & il bene, & simiglianti.
Oltra di questo sonoci trè secondi generi, liquali ne due
primi si comprendono. Il comune, che mettendo insieme
l’uno, & l’altro articolo si forma, & si fà di due sempli-
ci uno composto, cio è IL, over LO, & LA. dandosi à
quelle voci, che à maschio parimente, & à femmina pon
convenire, come lo hoste, & la hoste. L’incerto, che
si dà à quelle cose, dove niuna ragion naturale hab-
biamo, se elle sien maschi, ò femmine, mà l’autorità sola
de gli antichi seguitiamo dando loro qua[n]do l’uno artico-
lo, quando l’altro, come lo Aere, overo la Aria: il
Giorno, la stagione: & simiglianti. Et l’Indiffe-
rente, il quale è simile all’incerto, perche hor l’uno,
hor l’altro articolo si piglia, mà à quelle cose si dà,
dove la ragion naturale ci fa certi, che v’è il maschio,
& la femmina. Tuttavia nol discernendo noi co gli oc-
chi diamo lor quello articolo, che l’autorità de scrit-
tori ne mette innanzi, come dicendo, il passer. la aquila.
Non la Passer, ne lo aquila.
Del Numero.
I numeri son due. Primo, & Secondo.
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Il Primo ad una cosa sola si conviene, come il Sole.
Il Secondo à molte, come i cieli.
Il Primo men che propriamente hà cotal nome, perche uno
non è numero, mà capo de gli altri numeri.
De Casi.
I casi son cinque, Primo, Secondo, Terzo, Quarto, & Se-
sto. Il Quinto, col quale si chiama, non v’è perche di tal
caso non è capace l’articolo.
Appresso egli si forma sempre aggiugnendo alla voce del
nome l’adverbio, che chiama. ò Dio. ò Signore.
Regola anchora certißima è di tal caso, che egli s’usi in se-
conda persona, non in prima, come ne Pronomi.
Oltra di questo il primo, et il quinto impropriame[n]te si chia-
man casi, come quelli, che non cascan mai: anzi da loro
cascan tutti gli altri: ne alcuno è fuor di loro, che quel-
lo, onde si ragiona, possa mostrar dirittamente: Però da
latini furono i casi in due parti divisi: In Retti, cio è sta[n]-
ti, che furon questi due. Et in Obliqui, cio è cadenti, che
furon gli altri quattro.
Il significato. & la forza de casi, che io, pare[n]domi farlo più
acconciamente, per numero hò notato, si comprende dal-
le particelle, che seco s’aggiungono, delle quali s’è ragio-
nato al suo luoco.
Regola generale è de Thoscani articoli, & de nomi, pro-
nomi, & partecipij, che in ciascun numero uno arti-
colo, ò una voce sola serva à tutti i casi, distinguendo-
si solame[n]te co[n] le Prepositioni, che dette si sono, & varian-
do solo col variar del numero à guisa de nomi Hebrei.
Se ne cavano alcuni pronomi, come IO, TU, EGLI,
ALTRI, SE, CHI, & QUANTUNQUE, li
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quali fanno di ME, di TE, di LUI, d’ALTRUI, di
CUI, & SE, & QUANTUNQUE, duran sempre
con la medesima voce in tutti i casi dell’uno, & l’altro
numero. CHI similmente quello stesso è nel secondo nu-
mero, che nel primo.
Regola parimente ferma trà noi di tutte le sopradette par-
ti è, che trà il primo, & il quarto caso niuna differentia
sia gia mai nel semplice variare, ma tirandosi in ragio-
namento poi il quarto caso si regge dal verbo, & il pri-
mo regge igualmente con lui. Oltra di questo il primo
caso niuna particella mai riceve, il quarto molte, come
nelle Prepositioni è stato detto.
Differentie trà gli due articoli maschi.
Trà IL, & LO, son queste differentie.
IL si dà à nomi, che commincian da consonante, come il
compagno.
LO à quelli, che commincian da vocale, come lo amico.
Daßi anchora questo secondo à nomi, che commincian
da S giunta con altra consonante, come lo sciocco,
lo stratio.
Appresso s’accompagna sempre dietro la voce Messer, co-
me Messer lo Priete.
Dietro la voce Monsignor. Monsignor lo Rè. Testimonio
n’è la Novella del Conte d’Anguersa.
Dietro le particelle PER, VER, & INVER, come hab-
biamo detto nelle Prepositioni.
Il Petrar. usò di metterlo anchora innanzi alle voci d’una
sillaba sola assai sovente, tanto più nel co[m]minciar de ver-
si, come lo mio. lo cor. lo qual, & simiglianti.
Anzi la voce DEI, la quale è del verso. & DI I, che è del-
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la prosa, l’uno, & l’altro secondo numero del nome di
Dio, truovo i due lumi della lingua nostra, il Pet. di-
co, & il Boc. haver sempre posto GLI osservantißi-
mamente.
IL cosi si varia.
Del primo numero caso primo il. Secondo caso del. Ter-
zo caso al. Quarto caso il. Sesto caso dal. Del secon-
do numero primo caso i, & li, over gli. Seco[n]do caso dei,
& de gli. Terzo caso ai, & à gli. Quarto caso i, & gli.
Sesto caso da i, & da gli.
LO si varia cosi.
Del primo numero primo caso lo. Secondo caso dello. Ter-
zo caso allo. Quarto caso lo. Sesto caso dallo. Del
secondo numero primo caso gli. Secondo caso de gli.
Terzo caso à gli. Quarto caso li, over gli. Sesto ca-
so da gli.
Io cara Hiparcha hò fatto differentia trà il secondo nume-
ro d’IL, & il secondo di LO. Perche quello di LO ben
può darsi alle voci, à cui serve IL propriamente, come
li compagni, mà non à quelle, cui serve LO, si può da-
re il secondo numero d’IL, come i fratrij.
Appresso io truovo il Boc. havere in tutte le cento Novel-
le usato questo articolo LI senza G dinanzi al relativo
facendone LI QUALI, se non due volte sole. L’una
nel proemio universale del Deca. l’altra nel fin della se-
sta giornata. Il che m’è paruto degno d’osservation nel-
le Prose. Però differentia hò fatto, come vedete, trà LI
senza G, & GLI con la G.
Nel resto delle voci commincianti da consonante poßia-
mo dire indifferentemente I, & LI. Et erra di gran
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lunga, chi contradice à questo, perche tutto n’è pieno
il Decamerone.
Il Pet. infinite volte ha detto I QUAI.
Hò similmente fatto differentia nel secondo numero di LO
trà il primo caso, & il quarto aggiugnendo al quar-
to LI senza G, percioche parmi, che dietro la PER
sovente io truovi LI senza G scritto, quando cio è
la voce seguente commincia da consonante, come per
li campi.
Quando ella commincia da vocale, ò sia l’articolo primo, ò
quarto caso, la G mai non si dee lasciare indietro, come
gli animali vanno scorrendo per gli horti.
Dell’Articolo femminile.
L’articolo della femmina è un solo. Et parmi in cio, che i
Thoscan nostri habbian co[n] molto giuditio la natura imi-
tato dando alla femmina manco di perfettione, che al ma-
schio. Questo cosi si varia.
Del primo numero primo caso la. Secondo caso della. Ter-
zo caso alla. Quarto caso la. Sesto caso dalla. Del seco[n]-
do numero primo caso le. Secondo caso delle. Terzo ca-
so alle. Quarto caso le. Sesto caso dalle.
Quivi è da saper quello, che generalmente osservano i
buoni scrittori nel giugner le prepositioni destinate à
gli articoli co casi suoi. Imperoche in prosa legano
le voci insieme raddoppiando la consonante dell’arti-
colo in questo modo. Dello. Allo. Dalle, & simiglianti.
Nel verso separata scrivono la particella, & la conso-
nante dell’articolo semplice rimane, come De lo. À
la. Da le.
Vero è, che nel secondo numero di LO scrivesi con la
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G separatamente. De gli. À gli. Da gli: anzi che Delli.
Alli. Dalli.
Questa medesima differe[n]tia tra’l verso, & la prosa anchor
si serva in legar dell’altre particelle, & voci, come Ap-
petto nella prosa, À petto nel verso. Allei, À lei. Al-
lato, À lato.
Ove si taccian gli articoli, ò nò.
Gli articoli non si danno à nomi particolari di persona, ò
di luoco, come Pietro. Urbino. che ne il Pietro, ne l’Urbi-
no diciamo.
Dannosi alcuna volta nominando l’una delle trè parti, ò
alcuna p[ro]vincia del mo[n]do, come l’Europa. la Thoscana.
Similmente à nomi talhora, che son di femmina, come la
Fiammetta.
Et à nomi d’animale in suo genere, come l’huomo, lo aspe,
la volpe.
Non si dà à Pronome alcuno generalmente, come Io. Tu.
Colui. Ne alle voci indeterminate.
Non dico indeterminante sole per natura, come QUA-
LUNQUE: mà quelle tutte, che indeterminatamen-
te si mandan fuori non più di questo, che di quello inten-
dendo, come. Il sonno è veramente, qual huomo di-
ce: cio è qual dice alcuno de gli huomini, chi che
sia. cosi quando indeterminatamente diciamo Amo-
re. Natura. Ragione, & simiglianti non si dà loro
l’articolo mai.
Per questo è, che in alcuni di quê pronomi, à cui l’artico-
lo può stare innanzi, havendo riguardo alla voce, che
segue, la qual regge il pronome, l’articolo molte fiate si
tace assai leggiadramente. Come I dicea fra mio cor,
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cio è fra’l mio core. Recatosi suo sacco in collo, cio è
il suo sacco.
Due regole oltra di questo contrarie son da sapere. La pri-
ma è, che ove del corpo, ò di sue parti si ragiona, le pre-
positioni del secondo, & del sesto caso seco si mettono il
più delle volte senza articolo alcuno, come egli mi trar-
rà l’anima mia di corpo. le mise mano in seno.
L’altra regola è, che quando si vengono appresso due vo-
ci, l’una in primo, l’altra in secondo caso, & la seconda
pende dalla prima, overo l’articolo si tace in amendue,
overo daßi a ciascuna di loro in questo mondo. Colonne
di Porfido, overo le Colonne del Porfido. chiome d’oro.
le chiome dell’oro.
In dire femmina di mondo, cio è publica meretrice, son due
ragioni, perche non si dica del mondo. L’una è, & a
mio uditio la fortißima, perche indeterminatamente si
gi dice DI MONDO, quasi di tutto’l mondo, l’altra è
quella, che ultimamente s’è detto.
Tacesi anchora l’articolo dietro à TUTTO in ogni ge-
nere, numero, & caso leggiadramente, come sciolto da
tutte qualitati humane. Maggiormente se le segue Al-
tro, ò Altra, come
Che men son dritte al ciel tutt’altre strade. Et cio dico
farsi anchor nella prosa.
I poeti escon fuori sovente della regola, che io dißi, quando
ad amendue le voci, ò à niuna si dee l’articolo accompa-
gnare: perche eßi ad una sola l’accompagnano, si come
le vie[n] destro. onde il Pet. Dal laccio d’or non sia mai,
che mi scioglia. Non dal laccio de l’oro.
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Come gli articoli stanno in vece di pronomi.
Resta che io dica, co[m]e gli articoli passano alcuna volta ad
essere pronomi, et di retti si fanno obliqui: di secondi nu-
meri primi: stando hora innanzi il verbo, hor dopo lui.
Et prima regola generale è, che l’articolo mai non si truo-
va, come pronome in caso retto. Appresso delle differen-
ze, che io mostrai di sopra essere trà gli due articoli ma-
schi, niuna se ne osserva, tosto che prendono il significato
del pronome.
IL, & LO in vece di LUI nel quarto caso si pongono,
come il veggio, l’odo, guardolo; cio è veggio, & odo, &
guardo lui.
Mettesi anchora in vece di CIO, come ella s’el vede. Io non
lo truovo.
LA in vece di LEI nel medesimo caso. Piansela, et la pian-
se, cio è pianse lei.
GLI in vece di À LUI nel terzo caso. Diedegli. cio è
diede à lui. Gli porse, cio è porse à lui.
LE in vece di à lei. le diede, & porsele, cio è diede, & por-
se à lei.
GLI anchora in vece di LORO, ò di QUELLI nel
quarto caso del secondo numero del maschio, come chie-
se i suoi denari, & hebbegli, overo gli hebbe, cio è heb-
be quelli.
LE in vece di loro, ò di quelle nell’istesso caso, & numero
della femmina, come stracciò le sue vesti, & sparsele, ove-
ro le sparse, cio è sparse quelle.
Questi due articoli, cio è GLI, & LE, quando stanno in
vece di pronome nel modo, ch’è detto, si giungono insie-
me alcuna volta mettendovi trà loro la E nel mezzo
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per legame, & fassene GLIELE. La qual voce sen-
za mutarsi mai serve à tutti i generi, & numeri, ogni
volta che il terzo, & il quarto caso del pronome,
GLI, ò ELLA, QUELLO, ò QUELLA
dovessono dirsi due volte l’una appresso l’altra, come
portò certi falconi pellegrini al soldano, & presento-
gliele, cio è presentò quelli, ò loro, che dir vogliamo, à
lui. Io gliele promisi disse il Bocc. parlando d’uno Hor-
tolano, & d’uno Castaldo, cio è promisi lui à lui. Et di
Paganino del giudice di chinzica, et della sua moglie dis-
se. Gliele concede, cio è concede lei à lui. Haßi à guar-
dare, che tai voci à più d’una persona non si diano. che
se’l Bocc. di molti signori, castaldi, ò mariti havesse ra-
gionato, non haverebbe giamai cosi detto. Mà loro
gli presentò, lor lo promisi, lor la concede. Nel ver-
so è lecito dire GLIEL troncata l’ultima e, quando
l’articolo del fine al quarto caso, & al primo numero
del maschio si riferisce. Onde il Pet. come lume di notte
in alcun porto Vide mai d’alto mar nave, ne legno,
Se non gliel tolse tempestate, ò scogli. Et quel che segue,
cio è se tempestate non gli tolse quel lume.
Quando appresso il medesimo articolo GLI stante in ve-
ce di pronome si mette la NE particella, che val quan-
to DI CIO, vi si trapone la E nell’istessa manie-
ra, che dianzi hò mostrato; Et serve à tutti i nume-
ri, & generi con le istesse regole di Gliele Gliene die-
di, cio è diedi à lui, overamente à lei di cio. Et si-
miglianti.
Non s’usa mai di scrivere GLI senza G ne solo, ne compo-
sto, quando stà in vece di pronome.
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Notabilißima cosa de gli articoli, & de pronomi è da sape-
re, che egli alle volte si raddoppiano in questo modo qua[n]-
do cio è l’articolo concorre col pronome, ò quando sono
due pronomi. Pet. ET qual è la mia vita, ella s’el vede.
Bocc. in più luoghi. Mà di cio ragioneremo nelle figu-
re, perche io credo quella esser figura.
DEL NOME.
Segue nel terzo luoco il Nome, il quale è parte nobilißima,
& principalißima dell’oratione. Impero che frà tutte le
parti due ne sono di maggior perfettione, che l’altre. Il
Nome, & il Verbo, li quali giunti insieme ponno per se
steßi concludere una perfetta sententia, come Rinaldo
scrive. Il che dell’altre parti senza l’aiuto di queste due
non si può fare. Dico per tanto il nome esser trà le par-
ti, che si varian, quello, per cui l’essenza, & la quali-
tà di ciascuna cosa corporale, ò non corporale che sia,
particolarmente, & in universale si discerne. corpo-
rali son quelle cose, che toccar si possono, & vedere, co-
me libro. Rinaldo. Huomo. Non corporali son quelle,
che con l’intelletto solo si comprendono, come studio. in-
gegno, & valore.
Prima division de Nomi.
De Nomi altri sono particolari, come Rinaldo. Verona.
che propri sono, & particolari di quella persona, ò luo-
go. Altri universali, come huomo, & animale, che à tut-
ti gli huomini, & a tutti gli animali (li quali son mol-
ti) si convengono.
Seconda division de nomi.
De Nomi universali alcuni per se stanno, & questi mostra-
no la vera essenza della cosa, la quale significar si vuo-
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le, come il grano. la farina. altri s’appogiano, et da quel-
li, che stanno, dependono. Questi non l’essenza, ma la qua-
lità della cosa dimostrano, come bello. bianca.
Terza division de nomi.
Sono anchora diverse altre sorti de nomi assai. Alcuni sot-
to una voce sola co[m]prendono molte cose partitamente,
come popolo. gente. Altri ordinan, come primo, & se-
condo. Altri ci servono al numerare, come uno, due, trè.
Altri à soprava[n]zare, co[m]e buonißimo, & leggiadrißimo.
Altri à mostrar le patrie, ò le famiglie, come Veronese.
Corso. Altri mostran le dignità, come Vescovo. Cavalie-
re. Altri la profeßione, ò l’arte, come Dottore. Sol-
dato. Lanaiuolo. Altri sono corrispo[n]denti, come zio, &
nipote. marito. & moglie. che dicendone l’uno l’altro
necessariamente s’intende. Altri sono contrari, come
notte, & giorno, che non po[n]no havere stato insieme. Al-
tri son fermi, come padre, & madre, che all’altro genere
non pon piegarsi. Altri mobili, come figliuolo, che an-
chora si dice figliuola. Altri sono simili à verbi, come sgo[m]-
bro, & scemo. Altri simili à partecipi, come amante. pos-
sente. honorato. Altri da verbi discendono come ama-
tore, dicitore. Altri da altri nomi si formano, come lauda-
bile. dilettuolee. valoroso. Altri sono atti à diminuire,
come sdegnosetto. homicciuolo. Altri ad honorare, come
Messere. Madonna. Altri ad avvilire, come corpaccio.
Altri à biasimare, come gocciolone. dormiglione. Mà
veggiamo di tutte questi alcune regole, che servir ci pos-
sano, generali.
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Regole de nomi generali.
Conosconsi molti nomi, di quel forte sieno, alla simiglianza
del suono, che eßi hanno con questi, che io hò dato per
essempio.
Quelli, che ci servono à sopravanzare, in SIMO finiscono
formandosi sempre dal secondo numero del maschio con
la S raddoppiata, anchor che la voce sia di femmina:
come Belli. bellißimo. bellißima. ove la prima voce è co-
mune del maschio, & della femmina, è chiaro. Gentili.
Gentilißimo. Gentilißima.
I Nomi simili à verbi si conoscono, che hanno una voce istes-
sa con la prima voce del verbo, mà con lor si ragiona, co-
me si fa col nome. Horche sê sgombro della maggior sal-
ma. Et che fe’l folle amator del capo scemo. Et sappiate,
che tai nomi solo à verbi della prima maniera ponno
aßimigliarsi.
I nomi, che da verbi discendono, sono di due forti. Altri di
maschio, et questi in TORE finiscono, come dicitore.
Altri di femmina, et questi in TRICE, come dicitri-
ce. Ne verbi della prima maniera dalla terza per-
sona del primo numero del presente dimostrativo si
formano, come salta. saltatore. Nell’altre trè manie-
re della seconda persona si formano, come Dici. di-
citore. vedi. veditore. odi. uditore. Et qui considera-
te, se advien, che la prima lettera del verbo sia mu-
tabile, che’l nome, del quale io parlo, quella lettera
pre[n]de, che è più comune, & questa sempre è la V: et si co-
nosce principalme[n]te nell’Indefinito, come in altri luochi
dirò con altro proposito. Alcuna volta anchora questi
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nomi si formano dal partecipio perfetto, come Letto. let-
tore. Et alcuna altra dal latino ve[n]gono come Persecu-
tore che’l Bocc. usò alla fine della IX Novella della
I giornata. Et quello, che io dißi altrove lui medesimo
havere usato RAPTORE.
I Nomi simili à partecipi si conoscono esser nomi à trè se-
gni, quando ê non han tempo, che è proprio del parteci-
pio, come il Pet. fu poeta honorato.
Quando ê ricevono altro caso, che quel verbo, onde par,
che eßi si formino, come il Pet. amò Laura, Et il Pet. fù
amante di Laura.
Quando finalmente di loro si fà paragone, che del parteci-
pio non si può fare, come io sono più possente, ò più
honorato di te.
I Nomi delle patrie han varij fini, ne io per me alcuna rego-
la certa ne saprei dare. In ESE, in ANO, in INO, in
ASCO, et in EO sono à mio giudicio i più freque[n]ti, co[m]e
Veronese. Romano. Fiore[n]tino. Bergamasco, et Raguseo.
I Nomi in ABILE, et in EVOLE sono di significato con-
formi, & molte volte un nome solo hà l’uno, et l’altro fi-
ne, come laudabile. laudevole. Il significato loro è in vo-
ce paßiva, come dicendo huomo laudabile, che è degno
d’esser laudato. dilettevole, di cui si può prender diletto.
amabile, che amar si dee. autorevole, che merta, che gli
sia prestato autorità, voce dal Bocc. nel Deca. usata, &
simiglianti.
I Nomi in OSO pienezza dimostrano. Valoroso, pien di
valore. Amoroso, pien d’amore.
Quelli, ch’à diminuir sono atti, si conoscono à tai fini, che
egli hanno essendo maschi.
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In ELLO, Arditello.
In ETTO, Sdegnosetto.
In INO, Martellino.
In OTTO, Sempliciotto.
In UOLO, come Lacciuolo.
In UGLIO, Cespuglio.
In UCCIO, Andreuccio.
In UZZO, Pensieruzzo.
In OLE, Giannole. Minghole.
La femmina altrettanti fini hà, se non che hà la A per ulti-
ma sua vocale, come Arditella; sdegnosetta. ruginuzza.
femminuccia, & simiglianti. Facil cosa è discernere, co-
me si formino. Tutta via no[n] è da tacere, che alcuna volta
egli si formano anchora con più lettere, che io non hò
mostrato, benche sempre questi fini ritengano. l’essempio
havete in quello, che di sopra io dissi HOMICCIUO-
LO, VECCHIERELLO, TRISTANZUO-
LO, & se alcuno altro n’è di simigliante. Ne però tut-
ti quelli, che tal fine si vedono havere, sono da esser chia-
mati diminutivi.
Questi molte fiate s’usan per vezzo, & sempre scemano il
significato della prima voce. Appresso è da sapere, che
dall’un diminutivo anchora tal volta uno altro si tra-
he, il quale maggiormente diminuisce, come cassa, cas-
setta, cassettina.
La Thoscana favella nome alcuno non hà, con cui solo pos-
sa far paragone, ne dimostrare il padre, come i Greci, et
i latini fanno. Mà servesi alcuna volta di loro, come di-
cendo. ALCIDE, LEBELIDI, & simiglianti.
I Thoscani volendo far paragone usano la particella più,
& meno
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& meno col nome, che voglion ridurre al paragone, si co-
me più dotto, men gagliardo.
Hanno però Maggiore. Minore. Migliore, & Piggiore
fuor di questa regola.
I padri mostrano toglie[n]do il secondo caso del primo numero
del padre appresso il nome del figliuolo, co[m]e hò detto an-
chora nelle prepositioni, i[n] tal modo. Rinaldo d’Hercole.
Niuno di quê nomi, che per se stanno, può in uno medesimo
tempo al maschio, & alla femmina servire, quantunque
l’uno, & l’altro articolo riceva. Do l’essempio. Noi di-
ciamo il fine, & la fine. Non dimeno dir non poßiamo il
fine è stato bello, & presta.
Di quelli altri, che s’appoggiano, niuno d’uno articolo solo,
si contenta, mà overo hà due voci distinte, come Bello,
Bella. overo co[m]e una voce sola all’uno, & all’altro genere
serve, si come Gentile huomo. Gentile donna.
Questi ogni volta che all’articolo solo del maschio si ri-
stringono, figuratamente pigliano co[n]ditione di quei, che
stanno, et fansi del numero loro, come il bello, il dolce, cio
è la bellezza, & la dolcezza. Et neutri doventano, co-
me io dißi altrove.
Divengono anchora nomi particolari, come fortunato, &
gentile. il qual nome (dico l’ultimo) à maschio, & à fem-
mina si conviene.
De Nomi, che servono al numerare, è da sapere, che soli
due primi pon variarsi p[er] genere. de gli altri niuno. Im-
peroche noi diciamo uno huomo. una donna. duo ma-
schi, benche poeticamente, & due femmine.
È da sapere anchora, che niun di questi nomi hà il primo
numero. se non UNO, & egli per lo contrario no[n] hà il
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secondo, perche queste son due cose contrarie, che uno so-
lo sia in uno te[m]po medesimo più, et che più sieno un solo.
I Nomi di numero sono di due sorti, ò semplici, ò co[m]posti.
semplici sono da uno infino à dieci. uno. due. tre. quattro.
cinque. sei. sette. otto. nove, & dieci. Et sono semplici tut-
ti i capi delle decine, cio è venti, trenta, quaranta, cinqua[n]-
ta, cento, & mille. composti sono tutti gli altri, che sono
trà uno, & dieci, et frà cento. & mille. et sopra. come un-
dici. ventidue. trentatrè. quarantaquattro. dugento. tre-
cento. novecento. duemila. trè mila.
Nel comporre i numeri questa è regola generale, che inco[m]-
minciando da dicisete fino à cento sempre si mette il
maggior numero ava[n]ti. dicisette. diciotto. dicinove. ve[n]t’u-
no. trentatrè. quarantacinque. Et vadasi scorrendo.
Da cento fino à mille ne capi delle centinaia il minor nume-
ro si mette innanzi. dugento. trecento. quattrocento. Et
solo il due si corrompe tacendosi la E in dugento, et mu-
tando la C in G; tuttti gli altri stanno saldi.
Mettesi parimente innanzi il minor numero da dieci fino à
sedici facendone. undici. dodici. tredici. quattordici. quin-
dici, & sedici.
Il dieci in compositione sempre si corrompe perdendosi la
E. in dodici. quatordici. quindici. & sedici. si corrompe
anchora l’altro numero.
Da dieci si fanno le decine. Da venti le ventine. Da cento la
centinaia. Da mille le migliaia. Et finalmente si dice uno
milione, cio è mille volte mille.
Adverbio alcuno non è, che serva al numerare, mà giungo[n]si
questi nomi di numero con la voce fiata, ò volta in tal
guisa. Cento volte. Mille fiate. Et notate, che questa voce
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FIATE è sempre di trè sillabe.
Mille tirate in compositione con altro numero si muta di-
cendosi. Mila. Dieci mila soldi. Sessanta mila scudi. Et il
minor numero và sempre inanti.
Da uno fino à dieci sono i numeri principali, ne q[ua]li se[m]-
pre si ricade multiplica[n]do anchor sopra mille, che passa-
ti nove, nova[n]ta, novece[n]to, et nove mila, se[m]pre si torna alle
De gli accidenti del nome. (decine.
Gli accidenti del nome sono cinque. La spetie, che io natura
chiamo, per la quali di discerne, se egli è da se stesso, co-
me valore: ò derivato, come valoroso.
Il genere di maschio. Il bue.
Di femmina, La cavalla.
Comune, Come Il, & la hoste.
Incerto, Il giorno.
Indifferente, L’aquila.
Il numero primo Il Fuoco.
Secondo I Fuochi.
La figura, ò se[m]plice, Felice.
Ò, composta, Come Infelice.
Ò ricomposta, Infelicità.
Il caso primo, seco[n]do, terzo, quarto, quinto, & sesto. De
q[ua]li variando havremo gli eße[m]pi. Mà prima seguitiamo
l’altre regole necessarie à dar piena di loro i[n]struttione.
De gli ordini de nomi.
Dißi di sopra, se vi ricorda, ogni voce appresso i Thoscani
terminare in vocale, se no[n] è barbara, ò abbreviata, ò
se non è alcuna di quelle particelle, che variar no[n] ponno
ò l’articolo IL. Hor qui co[m]mincierete à farvi certa del-
/BEGIN PAGE 34v/
le mie parole, mentre che parlo de nomi. Ne rimarrete
poi chiara à fatto, quando io ragionerò del pronome,
del verbo, & del partecipio. Col fine adunque delle voca-
li io vi distinguo gli ordini de nomi, et questi dico esser
q[ua]ttro, si co[m]e quattro fini si vedono haver nel pri[m]o numero.
In A il primo. come Il pianeta. La vita
In E il secondo Lo Amore. La luce.
In I il terzo. Ruggieri. Il, & la pari.
In O il quarto, Lo stratio, La mano.
In U niun si truova nome, se non GRÙ nome d’uccello
nell’uno, & l’altro numero. Et IESÙ nome del nostro
saluatore, advenga che i nomi particolari di luogo, ò di
persona non cadan sotto regola per esser tolti sovente
da lingue strane. VIRTÙ co gli altri tali, se alcune ve
n’è così per accorciamento si dice in cambio di virtute.
Però sotto i nomi del secondo ordine staßi.
De secondi numeri.
Tutti i secondi numeri de nomi in I finiscono, come i piane-
ti, le luci, i, & le pari, le mani.
Soli i nomi del primo ordine, li quali hanno l’articolo della
femmina, finiscono in E, come le vite. Se ne cava PO-
DESTÀ nome d’uffitio, che nell’uno, & l’altro nume-
ro serva la medesima voce. Et GREGGE, di cui disse
il Petr. À l’amorosa gregge eran condutti. Et al-
trove: Mi meni à pasco homai trà le sue gregge. Ne mi
piace, che noi diciamo in questo secondo luoco essere il
secondo numero di GREGIA: Si perche il Pet. non si
servi mai di questa voce, si p[er]che dinanzi all’ultima voca-
le vi sarebbe la I trasposta i[n] cotal modo. GREGGIE.
I nomi, che nel primo numero in IO finiscono con una vo-
/BEGIN PAGE 35r/
cale i[n]a[n]zi à quella I, la quale si vede esser co[n]sonante, nel
seco[n]do numero p[er]dono la O, & restano co[n] la I semplice
vocale; si come Usuraio. Usurai. Cuoio. Cuoi. Buio. Bui.
Di tai nomi non tacerò quello, che usan di fare i poeti. cio è
sempre, che la I consonante stà innanzi l’ultima vocale
del nome (la qual cosa non può essere, se non qua[n]do una
altra vocale ne và innanzi à lei) i poeti tutta intieramen-
te scrivon la voce, non dimeno alle volte licentia si piglia-
no di proferirla con l’ultima sillaba di meno, come si ve-
de in quel verso di Dante.
Farinata, e’l Teggiaio, che fur si degni.
Et in quell’altro del Petrarcha.
Ecco Cin da Pistoia, Guitton d’Arezzo.
Li q[ue]i versi cosi si leggono, co[m]e se egli havessero scritto.
Ecco Cin da pistô, guitton d’Arezzo.
Et è figura, come à suo luoco diremo.
Quê nomi, che nel primo lor numero hanno la vocale dinan-
zi l’altra loro ultima vocale, nel secondo numero fanno
quella U diphthongo giugnendovi appresso la O, & ter-
minando poi, come terminan tutti i secondi numeri in
questo modo. Il Bue. I buoi.
Quelli, che in E finiscono co[n] la I vocale dina[n]zi nel primo
numero, formano il secondo con p[er]der la E i[n] questo modo.
La moglie. le mogli. Cosi credo anchora, che dar si do-
vesse La spetie, Le speti. proferendo però in questo ulti-
mo la T per Z Col riguardo della voce, onde esce.
Mà p[er]che sono alqua[n]ti nomi, che amendue i numeri haver
non ponno, veggiamo quali del secondo manchino, indi
vedremo quali per lo contrario manchino del primo.
/BEGIN PAGE 35v/
Quai nomi sieno contenti del primo
numero solo.
Manca il secondo numero in tutti quê nomi, che qualche sin-
golarità dimostrano, si come habbiamo detto del nume-
ro d’uno, et hor v’aggiungo i nomi particolari di perso-
ne, ò di luoghi, si come Iove. Alessandro. Roma.
Sono però de i luoghi, che da prima nominati col secondo
numero no[n] hanno giamai ricevuto, ne ponno ricevere il
primo, si come Thebe. Le liza fusine. le quattro castella.
I nomi di persona allhora ha[n]no il secondo numero, quando
di più persone have[n]ti il medesimo nome si ragiona. si co-
me di due Scipioni: di quattro Alessandri.
Più d’un Iove (sia christianamente inteso) no[n] si truova, però
no[n] hà mai secondo numero. Et più particolar nome è Io-
ve, che Dio. Però diciamo gli dij, mà non gli Iovi. Et il
dire anchor gli dij secondo la fede nostra, è figura anzi
che nò: laquale viene ad esser contraria all’altra, quan-
do il primo numero si mette per lo secondo. In persona
d’alcun Gentile stà propriamente. MESTIERI an-
chora, cio è bisogno, manca del secondo numero, & solo
hà il primo, & il secondo caso, & senza articolo s’usa
col verbo Essere, Havere. over Fare dicendosi È mistie-
ri, over di mistieri. havrebbe mistieri. & fà mestieri,
over di mestieri.
Quai nomi non ricevano il primo numero
Manca per lo contrario il primo numero à tutte le voci,
che ci servono al numerare, eccetto, co[m]e si disse, uno solo.
Manca anchora in parecchi, la qual voce val quanto molti,
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& sola serve all’uno, & all’altro genere parecchi per-
sone. parecchi miglia.
Et etiandio manca in Amendue, la qual voce però io non
ardisco chiamar secondo numero, anzi un numero
di mezzo tra’l primo, & il secondo à guisa del duale
hebreo, & greco, poi che à due sole cose, quando al-
tri lor ragiona, si vede servire. Questa voce A-
mendue serve ad ogni genere: non dimeno diciamo
anchora sovente nel genere del maschio Amenduni.
Ambi, & ambe, ambeduo, & entrambi sono de poeti.
Sono appresso di cio alquanti nomi, li quali nel primo
numero par, che richieggano d’essere abbreviati per-
de[n]do l’ultima sillaba loro, ogni volta che una altra voce
gli segue, la qual comminci da consonante. questi sono.
Frâ in vece di frate, Frâ cipolla.
San in vece di Santo. San Francesco.
Prô in vece di prode, cio è va- come Prô della sua p[er]-
loroso. Gran in vece di gra[n]de sona. Gran Cavaliere.
Alquanti altri sono, che nel secondo numero s’accorcia-
no nel medesimo modo, & anchor di più, che non so-
lo, dove è la consonante semplice innazi l’ultima voca-
le, si perde la sillaba, come in Tâ, & Quâ poeticamen-
te in vece di tali, & quali, Mà cio si fa parimente, dove
ella è doppia nelle prose, come dicendo quê, & bê in ve-
ce di quelli, & belli.
Hora di questi io penso potersi tal regola dare, cio è che
noi guardiamo se in tal numero prima potea cadere al-
tro accorciamento: allhora s’el primo vi potea cadere,
può cadervi anchora il secondo: dò l’essempio. Quelli.
& belli, tali, & quali sono le voci intiere. Il primo ac-
/BEGIN PAGE 36v/
corciamento si fà dicendo quei, bei, tai, & quai. Puoßi
anchora fare il secondo, & dire quê, bê, tâ, & quâ. Il me-
desimo dico di animâ, et lacciuô, che Animai, et lacciuoi
si dirieno in vece di animali, & lacciuoli.
Questo però inte[n]do, come di sopra, potersi fare inna[n]zi al-
le voci, che da consonante hanno principio, come bê pa[n]-
ni. Quâ do[n]ne. Gra[n]de argome[n]to n’è di cio la voce EGLI,
che EI parimente, & E’ si dice. & Togli. Toi, & Tô.
Et fuggendo mi toi quel, che più bramo. Parea dir Tô
di me quel, che tu puoi. Taccio vuogli, vuoi, & vuô. &
Meglio anchora, che Mei, & Mê si dice.
Alcuni nomi sono, liquali ricevendo nel primo numero due
fini, due similmente ne ricevono nel secondo, & no[n] escon
però della regola data di sopra. Questi sono.
L’Ala, l’Ale, L’ale, l’ali.
L’arma, l’arme, L’arme, l’armi.
La froda, la frode, Le frode, le frodi.
La fronda, la fronde, Le fronde, le frondi.
La loda, la lode, Le lode, le lodi.
L’orecchia, l’orecchio, L’orecchie. gli orecchi.
Quê nomi, che terminando in O collo articolo del maschio
nel primo numero mutansi in A, & prendono l’articolo
della femmina nel secondo, io chiamo à guisa de latini no-
mi instabili, ò variati, si come.
Il filo, le fila. il dito, le dita.
Il miglio, le miglia. il prato, le pratora.
Il tempo, le tempora, il corno, le corna.
Il membro, le membra. L’osso, le ossa. et simiglia[n]ti. De quali
però molti ricevono anchora la I per fine del secondo
numero, si come i fili, i diti, i tempi, i membri, & gli oßi.
/BEGIN PAGE 37r/
& nelle rime anchora membre, & osse si truova. Mà ve-
gniamo à gli essempi homai.
Del primo ordine il maschio.
Del primo numero caso primo il pianeta. Secondo caso del
pianeta. Terzo caso al pianeta. Quarto caso il pianeta.
Quinto caso ò pianeta. Sesto caso dal pianeta. Del seco[n]-
do numero caso primo i pianeti. Secondo caso de i piane-
ti. Terzo caso a i pianeti. Quarto caso i pianeti. Quin-
to caso ò pianeti. Sesto caso da i pianeti.
Del primo ordine la femmina.
Del primo numero caso primo la vita. Seco[n]do caso della vi-
ta. Terzo caso alla vita. Quarto caso la vita. Quinto ca-
so ò vita. Sesto caso dalla vita. Del seco[n]do numero caso
primo le vite. Secondo caso delle vite. Terzo caso alle vi-
te. Quarto caso le vite. Quinto caso ò vite. Sesto caso,
dalle vite.
Sotto questo ordine cadono molti di quê nomi, che sono.
D’ufficio Papa. Duca. Podestà.
D’arte, come Poeta.
Di famiglia, Scalza. da Rabatta.
Per accidente Zima.
I nomi delle città, delle provincie, de paesi, di donna par-
ticolari, & non particolari per lo più similmente vi ca-
dono, come Roma. Inghilterra. Lunigiana. Veronica.
fornaia, & lavandaia.
Bontà, sanità, & simiglianti cosi per accorciamento si di-
cono in vece di bontate, & sanitate, però del seguente
ordine sono.
Di questo ordine aspirasi nel secondo numero ogni no-
me, il quale habbia nel primo la C semplice, ò doppia,
/BEGIN PAGE 37v/
overamente la O dinanzi all’ultima vocale, si come, con-
che, fatiche, bocche, alghe, piaghe, da conca. fatica. boc-
ca. alga. piaga.
Del secondo ordine il maschio.
Del primo numero caso primo lo amore. Seco[n]do caso dello
amore. Terzo caso allo amore. Quarto caso lo amore.
Quinto caso ò amore. Sesto caso dallo amore. Del secon-
do numero primo caso gli amori. Seco[n]do caso de gli a-
mori. Terzo caso à gli amori. Quarto caso gli amori.
Quinto caso ò amori. Sesto caso da gli amori.
Del secondo ordine la femmina.
Del primo numero pri[m]o caso la luce. S[e]c[on]do caso della luce.
Terzo caso alla luce. Quarto caso la luce. Quinto caso
ò luce. Sesto caso dalla luce. Del seco[n]do numero pri[m]o ca-
so le luci. S[e]c[on]do caso delle luci. Terzo caso alle luci. Quar-
to caso le luci. Quinto caso ò luci. Sesto caso dalle luci.
Sotto q[ue]sto ordine cado[n] molti di quê nomi, che comuneme[n]te
parla[n]do in O finiscono, come pe[n]siere. se[n]tiere. destriere. ca-
valiere. scolare. Vi cadono a[n]chora i nomi, che da verbi si
formano, come andatore. facitore. ascoltatrice. et i par-
tecipij presenti, come ama[n]te. leggente. Et appresso vi ca-
dono gl’indefiniti de verbi, li quali pigliando l’articolo
nomi divengono, si come il podere. l’havere, & lo adve-
nire. Di questo ordine niun nome s’aspira nel secondo
numero, che non sia aspirato nel primo.
Del terzo ordine il maschio.
Del primo numero caso primo Ruggieri. Secondo caso di
Ruggieri. Terzo caso à Ruggieri. Quarto caso Ruggie-
ri. Qui[n]to caso ò Ruggieri. Sesto caso da Ruggieri. Il se-
co[n]do numero vi ma[n]ca p[er] eer nome di p[er]sona particolare.
/BEGIN PAGE 38r/
Del Terzo ordine il comune.
Del primo numero caso primo il, & la pari. Seco[n]do caso
del et della pari. Terzo caso al, & alla pari. Quarto caso
il, et la pari. Quinto caso ò pari. Sesto caso dal, et dalla
pari. Del secondo numero caso primo i, & le pari. Seco[n]-
do caso dei, & delle pari. Terzo caso ai, & alle pari.
Quarto caso i, & le pari. Quinto caso ò pari. Sesto caso
da i, & dalle pari.
Pare in vece di pari disse il Petrar. poeticamente.
Sotto questo ordine cadon molti nomi di persona simili à
Ruggieri, come Neri, Geri, Rineri. Et dißimili anchora,
come Tancredi. Luigi & Giovanni. Li quali nomi io dò
per regole, & per essempio.
I nomi delle famiglie, che molti sono, terminanti in I sono
tolti dal seco[n]do numero, p[er] tanto sotto questo ordine non
gli hò meßi, Come elisei, cavalcanti, cio è de gli elisei, &
de cavalcanti. Mà da eliseo, & cavalcante primo lor nu-
mero derivano. Mestieri anchora, cio è bisogno (del qua-
le parlai di sopra non longe) stà sotto questo ordine.
Del quarto ordine il maschio.
Del primo numero caso primo lo stratio. Secondo caso del-
lo stratio. Terzo caso allo stratio. Quarto caso lo stra-
tio. Quinto caso ò stratio. Sesto caso dallo stratio. Del
secondo numero caso primo gli stratij. Secondo caso de
gli stratij. Terzo caso à gli stratij. Quarto caso gli stra-
tij. Quinto caso ò stratij. Sesto caso da gli stratij.
Del quarto ordine la femmina.
Del primo numero caso primo la mano. Secondo caso del-
la mano. Terzo caso alla mano. Quarto caso la mano.
Quinto caso ò mano. Sesto caso dalla mano. Del seco[n]do
/BEGIN PAGE 38v/
numero primo caso le mani. Seco[n]do caso delle mani. Ter-
zo caso alle mani. Quarto caso le mani. Quinto caso ò
mani. Sesto caso dalle mani.
Pochi altri nomi sono di femmina, che in O finiscano, se non
sono particolari di donna, ò di luoco, & d’altre lingue
tolti, come Sappho. Calisto. Glicerio. Hero. Calipso. Len-
no. Sesto. Et Abido. Di questo ordine sono tutti i parte-
cipij del passato, come Amato. Temuto. Reverito.
Grando. Pondo. Imago sono voci poetiche in vece di Gran-
dine. Pondere. Imagine. Turbo nome di vento può sotto
questo ordine stare, non si truovando di lui voce alcuna
più numerosa, se non forse nel secondo numero, Turbini
à simiglianza d’huomini, & vermini. Pluto anchora in
vece di Plutone. Comminciò Pluto co[n] la voce chioccia.
De pronomi.
Il pronome è l’una delle parti, che al ragionar concorrono,
& il nome rappresneta, & co[m]e quel si varia, chiamato
p[ro]nome, p[er]che stà i[n] luoco del nome, si co[m]e parla[n]do Pietro,
& dice[n]do io, il nome di Pietro rappresenta: cosi tu: cosi
chi che sia ò maschio, ò femmina, ò solo, ò acco[m]pagnato.
Prima division de pronomi.
I pronomi tutti sono ò determinati, ò indeterminati, ò par-
tecipanti.
Determinati son quelli, che la persona mostran determina-
tamente, & son questi. Io, tu, quegli, over colui. Cosi pari-
mente quella, & colei.
Indeterminati sono quelli, che niuna persona mostran deter-
minatamente, & tutti cadon sotto questo nome, eccetto i
già detti, & quelli, che à man à man diremo.
Partecipanti adunque sono quelli altri, che della natura dei
/BEGIN PAGE 39r/
determinati han parte, per cio che ricordano p[er]sona, cui
noi conosciamo, no[n]dimeno ha[n]no anchor parte colla natu-
ra de gl’indeterminati, p[er]cioche eßi solo no[n] sono basta[n]ti à
determinare, & certame[n]te mostrarci tale p[er]sona, mà la
mostrano imp[er]fettamente have[n]do riguardo ad altra di-
mostratione. come have[n]do io ragionato del Possevino di-
rò. esso hà composto il dialogo dell’honore. Questo p[ro]-
nome ESSO determina bel la p[er]sona del Possevino cer-
ta, & in questo viene à partecipar co pronomi determi-
nati: ma se io non l’haveßi prima nominato, imperfetta
sarebbe tal dimostratione: però questo pronome, & simi-
li stansi di mezzo con natura mescolata. Et sono di due
sorti. Alcuni mostrano all’occhio, cio è Questi. costui. &
costei. Altri allo’ntelletto, come egli, esso, desso, egli
stesso. ella. essa. dessa. & ella stessa cosi esso stesso, & es-
sa stessa.
Seconda division de Pronomi.
De pronomi indeterminati questi sono acconci à doman-
dare? Chi? Che?
Questi à mostrar qualità. Tale. Quale.
Questi à mostrar quantità. Tanto. Quanto.
Questi à significar posseßione. Mio. Tuo. Suo. Nostro,
& Vostro. cosi Mia, Tua. Sua. Nostra. & Vostra.
Questi distinguono. Altri. Ciascuno.
Questi son relativi, cio è riferiscono continuatamente, et
rappresentan di nuovo quello, di che prima s’è ragiona-
to. Il quale. La quale, & Che.
Tutti gli altri generalme[n]te sono indeterminati, cio è Ni-
uno. alcuno. veruno. qualche. chiunque. chi che. che
che. qualunque, & cheunque.
/BEGIN PAGE 39v/
Terza division de Pronomi.
De pronomi finalmente alcuni sono di Natura prima, cio è
Io. tu. Se. Noi, & voi. Altri di derivata, cio è Mio. Tuo
Suo. Nostro, & Vostro con le voci della femmina seco.
De gli accidenti del pronome.
Al pronome accade Genere. Figura. Ordine. Persona. Nu-
mero, & Caso.
Del genere.
I generi tutti igualmente. & dirò questo, che ne pronomi
via più, che in altra parte dell’oratione si discerne il neu-
tro. De pronomi, che hanno le voci del maschio, & della
femmina distinta, no[n] fà mestier parlare. Quelli, che à cia-
scun genere servono, son questi. Io. tu. se. chi. che. tale.
quale. ta[n]to. qua[n]to. qualche. chiunque. chi che. qualunque,
& quantunque.
I maschi propriamente sono. Quegli. Altri, & Questi.
I neutri propriame[n]te sono. cio. che che. cheunque. quel-
lo stesso, & quel medesimo.
Della figura.
La figura è semplice. come io: chi. ò composta. come io stes-
so: chi che.
Dell’ordine.
Quanto all’ordine alcuni si metton ragionando innanzi, et
sono tutti igualmente i determinati, & gl’indetermina-
ti. Alcuni dopo, & sono i partecipanti insieme anchora
con alcuni de gl’indeterminati, cio è i Relativi Quale.
Quanto, et Veruno. & quivi è da sapere, che parla[n]do io
d’uno altro, & di me, ò sia quell’altro un solo, ò sieno più,
la persona loro debbo nominare avanti. come voi, & io
canteremo insieme.
/BEGIN PAGE 40r/
Della persona.
Le persone de pronomi son trè, della prima è io. Della seco[n]-
da è tu. Della terza son tutti gli altri.
De numeri.
I numeri son due. Primo, come io. Seco[n]do, come noi. Sono pe-
rò differentie in questo trà pronomi. Alcuni han due nu-
meri simili, & questi sono. Se. altri. chi. che. qualche.
chiunque. chi che. cheunque. qualunque. cio, & quantun-
que. Altri d’un numero solo si contentano, & una
sola voce hanno in tutti i casi. Questi sono ciascuno. cia-
scheduno, & niuno. Tutti gli altri ha[n]no due numeri dis-
simili, mà di questi alcuni stan sotto le regole de noi del
secondo ordine, si come tale. quale. Il quale. la quale. Al-
tri sotto quelle del quarto ordine, si come tanto. qua[n]to.
altro. esso. egli stesso, et esso stesso. desso. quello, questo.
mio. tuo. suo. nostro. & vostro. li quali tutti in I finisco-
no nel secondo numero facendo. tanti. quanti. & cosi per
ordine. come che mio. tuo, & suo passando nel secondo
numero, divengano diphthonghi, facendo miei, tuoi, &
suoi.
Altri finalmente son fuori d’ogni legge, & regola de nomi.
Mà di questi alcuni variano solamente la voce col numero:
& sono egli. eglino. quegli. colui, et colei; che fan coloro.
questi. costui, & costei: che fan costoro. Altri variano
anchora i casi: mà chi nel primo numero solame[n]te, come
io, et tu: che fanno di me, di te; poi servano igualme[n]te noi,
& voi nel seco[n]do: chi nell’uno, & l’altro gli mutano. Ho-
ra perche cio si fa parimente in alcuni di quê pronomi,
che ha[n]no amendue i numeri simili, come altri, altrui: chi,
di cui: mi serberò ad dirne nel ragionar seguente.
/BEGIN PAGE 40v/
Chiara cosa è le voci femmine di quê pronomi, che stanno
sotto’l quarto ordine, starsi elle sotto’l primo: come essa.
dessa. mia. tua, & cosi per ordine seguitando.
De casi.
I casi son cinque et il quinto, col quale si chiama, vi manca.
ne si può giugnere il pronome co[n] quella particella, che
chiama, se non esclamando, come ò noi felici. ò te beato.
ò chi che sia. solamente chiamiamo in seconda persona
dirittamente, ò tu, ò voi.
À SE anchora manca il primo caso nell’uno, & l’altro
numero.
Mà al medesimo pronome si veggion d’altra parte molti-
plicati il terzo, et il quarto, si come altresi in IO, & TU
si vede cosi nel primo, come nel secondo numero.
MI, TI, SI anchora serve al quarto caso.
CI, NE, CE, et VE servono in luoco di à noi, et noi. à voi,
& voi. Dico in vece di terzi, & quarti casi.
Gli articoli servono a i casi obliqui de pronomi dimostra-
tivi, come s’è di sopra veduto. Di maniera, che co[n] quello
che a pronomi s’aggiugne, eßi largamente sono rico[m]pen-
sati di quel, che se ne leva. I casi oltra di questo obliqui
di CHI servono à IL QUALE, & LA QUALE,
& CHE, come variando vedremo.
Quando, & come debbano usarsi le sopra dette parti-
celle, mostrerò nelle regole universali.
Io soggiungo qui variati per ordine quê pronomi, che i nu-
meri, & i casi mutano senza legge.
Del primo numero primo caso io. Secondo caso di me. Ter-
zo caso mi, me, & à me. Quarto caso mi, & me. Sesto ca-
so da me. Del secondo numero caso primo noi. Secondo
caso
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caso di noi. Terzo caso ci, ce, ne, et à noi. Quarto caso ci,
ce, ne & noi. Sesto caso da noi.
Del primo numero primo caso tu. Secondo caso di te. Ter-
zo caso ti, te, & à te. Quarto caso ti, & te. Quinto ca-
so ò tu. Sesto caso da te. Del secondo numero caso pri-
mo voi. Secondo caso di voi. Terzo caso vi, ve, & à
voi. Quarto caso vi, ve, & voi. Quinto caso ò voi. Se-
sto caso da voi.
Del primo, & secondo numero caso secondo di se. Terzo ca-
so si se, & à se. Quarto caso se. Sesto caso da se.
Del primo numero caso primo egli, ei, overo ê. Secondo ca-
so di lui. Terzo caso à lui. Quarto caso, il, lo, et lui. Sesto
caso da lui. Del secondo numero caso primo egli, overo
eglino. Secondo caso loro, et di loro. Terzo caso gli, lo-
ro, et à loro. Quarto caso gli, et loro. Sesto caso da loro.
Del primo numero caso primo ella. Seco[n]do caso di lei. Ter-
zo caso le, & à lei. Quarto caso la, & lei. Sesto caso da
lei. Del secondo numero caso primo elle, overo elleno. Se-
condo caso loro, et di loro. Terzo caso loro, & à loro.
Quarto caso loro. Sesto caso da loro.
Del primo, et secondo numero caso primo chi. Secondo ca-
so cui, over di cui. Terzo caso cui, & à cui. Quarto ca-
so cui, & chi. Sesto caso da cui.
Del primo, et seco[n]do numero caso primo altri. Secondo ca-
so altrui, over d’altrui. Terzo caso altrui, & ad altrui.
Quarto caso altrui. Sesto caso da altrui.
Del primo numero caso primo quegli, over colui. Secon-
do caso colui, over di colui. Terzo caso à colui. Quar-
to caso colui. Sesto caso da colui. Del secondo nume-
ro caso primo coloro. Secondo caso coloro, over di co-
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loro. Terzo caso à coloro. Quarto caso coloro. Sesto
caso da coloro.
Del primo numero caso primo colei. Secondo caso colei,
over di colei. Terzo caso à colei. Quarto caso colei. Se-
sto caso da colei. Il secondo numero si varia, come quel-
lo del maschio.
Questi over costui, & costei si variano à guisa delli sopra
detti, & nel secondo numero hanno costoro.
Mà veggiamo anchora il variar de relativi, li quali, come
dicemmo, si vagliono de casi obliqui di CHI. perche io
varij tutte & trè le voci, insieme, dirò nelle regole ge-
nerali de pronomi.
Del primo numero caso primo il quale, la quale, & che. Se-
condo caso del quale, della quale, cui, & di cui. Terzo
caso al quale, alla quale, cui, & à cui. Quarto caso il qua-
le, la quale, & cui. Sesto caso dal quale, dalla quale, &
da cui. Del secondo numero caso primo, li quali, le qua-
li, & che. Seco[n]do caso de quali, delle quali, cui, et di cui.
Terzo caso à quali, alle quali, cui, & à cui. Quarto caso
li quali, le quali, & cui. Sesto caso da quali, dalle quali,
& da cui.
Sono homai variati tutti i pronomi, ne quali dubbio alcuno
nascere potea. Resta, che alle regole loro paßiamo.
REGOLE DE PRONOMI
UNIVERSALI.
À niun pronome si dà l’articolo, eccetto a i Relativi.
Ne i pronomi si ponno ridurre in paragone mettendo seco
più, & meno, come si fà col nome.
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Come gli articoli s’usino in vece di pronomi, di sopra si dis-
se. Hora è da sapere, che cosi l’uno dell’altro si discerne.
L’articolo mai non istà senza il nome, & giunto seco niente
più significa, se non che il genere dimostra, qual sia.
Il pronome stà separato dal nome, & da se stesso hà signifi-
cato, come ne gli essempi dati a suo luogo appare.
I pronomi de poeti sono questi I in vece di io. esto in vece
di questo, cosi esta in vece di questa. nullo, & nessuno in
vece di niuno.
Dansi tal volta i pronomi alle insensibili cose: onde il Boc.
lei disse d’una testa morta ragionando. Dante colei del-
l’Arena. il Pet. costei dell’alloro.
I QUALI, & I QUAI sono parimente de poeti.
Il seco[n]do numero di Tu s’usa dare ad una persona sola vo-
lendo honorarla, & cio appresso i Thoscani è frequen-
tißimo cosi nel p[ro]nome primiero, che è voi, come nel deri-
vato, che è vostro, accordando però il numero, et la per-
sona del pronome con quella del verbo in questo modo.
Voi no[n] dovete Hiparcha mia maravigliarvi, che questa
opera sia vostra, per cio che anche io son vostro.
È però da notare, che drizzando il parlare ad alcuna ani-
ma, ò spirito non si dee mettere altro, che’l primo nu-
mero. Il che veggiamo per esperientia nelle preghiere,
che i[n] Dio si fanno. Rimembra lor, come hoggi fosti in
croce. Mà co gli spirti anchora de gli huomini. Spirto ge[n]-
til, che quelle membra reggi. Spirto felice, che soave-
mente Volgei quegli occhi più chiari, che’l Sole. Et cio
credo farsi havendo riguardo alla purità dell’anima,
la quale è pura forma creata à simiglia[n]za del suo crea-
tore. Mà con huomo ragionando per essere il corpo
/BEGIN PAGE 42v/
di più materie composto, & appresso gionto coll’anima,
quasi con più cose ragionando il secondo numero s’usa.
Però il Pet. alla sua Donna, mentre che vivea, parlando
disse. À voi armata non mostrar pu l’arco.
Trè pronomi sono, li quali uscendo fuori hanno sembianza
di secondi numeri, & di quelli, che s’appoggiano, non di
meno tutto’l contrario sono, percio che son primi nume-
ri, & per se stanno; Questi. Quegli, & Altri. In vece di
questa, quella, & altra persona.
Tai voci di pronomi non si truovano, se no[n] in caso primo.
QUESTI, & QUEGLI con tal significato non pon-
no servire al secondo numero giamai.
ALTRI vi serve alcuna volta.
Niun di loro può servire ad altro genere, che al maschio.
EGLI similmente, & ELLA non ponno esser meßi in al-
tro caso, che primo, in amendue i numeri.
La licentia de poeti hà usurpato CON ELLA, et CON
ELLE tirandole al sesto caso, cosi anchora D’EL-
LI in vece di loro. Di che rendendo la ragione parmi
di poter dire, che l’uno caso per l’altro sia figurata-
mente posto.
Tutti i pronomi tali, che in I finiscono nel primo caso del
primo numero, ne casi obliqui pigliano la U dinanzi la
I in questo modo. Questi di costui. Quegli, di colui. Al-
tri, d’altrui. Egli di lui. Chi, di cui.
Le terminationi de pronomi sono tutte igualmente le voca-
li, come che uno solo pronome vi sia in U, cio è TU. la I
è propria del maschio, pur che innanzi non vi sia la E,
co[m]e Colei. costei. La A è della femmina. Ella. Quella. La
E di tutti i generi. Qualche huomo. Qualche donna.
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Qualche cosa, che cio è il quale, la quale, & la qual co-
sa. La O del maschio, come Niuno, & del neutro,
come Cio.
Tale, & quale si mettono alle volte con significato neutro.
Tal par gra[n] maraviglia. cio è tal cosa; qual far dovesse
più tosto, cio è qual cosa. Lui, & lei non si truovano mai
in caso retto, se non si pongono in luoco di colui, & di co-
lei; il che può farsi anchora ne casi obliqui.
Due luoghi sono, del Petrarcha l’uno, l’altro del Bocc. che
fan dubbio intorno à questo, parendo che lui, & lei stan-
do anchora nel significato loro possano usarsi in primo
caso. Disse il Pet. del suo core, & di Mado[n]na Laura par-
lando – et cio, che no[n] è lei, Già per antica usanza odia
& disprezza. il Boc. disse maraviglioßi forte Tedaldo,
che alcuno in tanto il simigliasse, che fosse creduto lui.
Brevemente rispondo doversi havere riguardo all’ordine,
& alla catena di quelle sentenze, & cosi dichiarar le pa-
role. odia, & disprezza cio, che non è odiare, & disprez-
zar lei. intendendo, che non torni in odio, & in dispre-
gio suo: che io cerco sol di mostrare la forza di quê ver-
bi ODIA, & DISPREZZA, si stenda à quel pro-
nome LEI in guisa, che esso pronome resti quarto ca-
so guardato dal verbo medesimo, che è quel CIO
precedente. Cosi che fosse creduto lui, cio è essere stato
quello, che venuto fosse sconosciuto, & fosse stato ucci-
so. Poßiamo anchora dire, che sia posto figuratamen-
te l’un caso per l’altro, come io dißi pur testè parlando
di ELLA, & ELLE.
LUI, & LEI, & LORO in vece di SE si mettono, on-
de il Bocc. estimò costui dovere essere ottimo mezzano
/BEGIN PAGE 43v/
trà lei, e’l suo amante. Et nella Nov. di Bernabò. chè
con lui à lui venisse.
Trà CHI, & CHE è differentia, perche CHI solo al ma-
schio si conviene, & vale quanto ciascuno che. CHE
serve à tutti i generi, & vale quanto il quale, la quale,
& la qual cosa.
Però con il quale, & la quale mi piacque anchora va-
riando di accompagnarvi che.
Mà Trà CHE anchora è differentia in se stesso, perche
quando significa il quale, ò la quale, mutasi ne casi obli-
qui in CUI; q[ua]n[do] significa la qual cosa, resta in tutti i casi
co[n] la medesima voce et cio si vede pure in quel variare:
CHI, quando stà in guisa di domandare, non vale (come
dicemmo) ciascuno che, mà chiede esser fatto certo d’al-
cuna persona, come chi fù quello? cio è da[m]mi notitia di
tale persona. egli si mette anchora per modo di elettio-
ne in tal maniera. chi quà, chi là si fuggi: cio è alcuno, in
una parte, alcuno in altra. Trovasi oltra di questo (mà
raro) ne casi obliqui. si chi Dio vuole; disse il Boccac.
Et il Pet. À chi’l ben piace.
Et non è da dire, che tai pronomi si convengano alla voce
di femmina, perche ella vi si può comprender sotto: mà
la ragione è, perche sono indeterminati.
I secondi, & i terzi casi dell’uno, & l’altro numero di tut-
ti quei pronomi, che nel primo caso del primo numero
in I finiscono, ò sien di maschio, ò di femmina, speßißime
volte usano senza la particella sua di mettersi ne ragio-
namenti. Di che furon dati gli essempi nella division del-
le propositioni.
Ove i casi obliqui del primo numero in UI, overo in EI
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sillabe separate finiscono, ivi accadendo, che vi sia l’al-
tro numero distinto, egli in tutti i suoi casi termina in
ORO. colui. costui. colei. costei. coloro, & costoro.
Alle particelle MI, TI, SI, CI, VI; ME, TE, SE, CE, NE,
& VE, lequali servono a i terzi, & quarti casi de i trê
pronomi primi nel modo, che pur dianzi io dißi, mai no[n]
si dà particella alcuna.
Questa differentia è trà loro, che quando elle si giungono
al verbo immantenente, ò dopo, ò innanzi in guisa, che da
lui dependano, in I sempre le facciamo terminare, si co-
me. Mi disse, feceti, si fornì, ci chiamò. Et parlo anchora,
quando due di loro seguentemente si dicono, come mi ti
dono. Donomiti.
Quando l’articolo stante in vece di pronome ò altra voce è
trà loro, e’l verbo se elle sono innanzi, in E si ma[n]dan fuo-
ri. come melo disse: te’l diedi.
Ecci una notabile eccetione, quando cio è trà queste parti-
celle di p[ro]nomi, e’l verbo s’intermette PUR, come – I
ti pur prego, & chiamo ò Sole. et è da avertire, che io
parlo quando tai voci interposte non sono più d’una so-
la, che quando elle fosser più, altramente si direbbe. Dò
l’essempio. Mi ve ne son doluta. & altri cosi fatti.
Quando anchora col verbo è giunta alcuna di queste par-
ticelle, et dopo lei s’aggiugne etiandio l’articolo, elle in
E si fanno terminare cosi, Fartelo. Dartelo.
E’ no[n] dimeno usanza de prosatori Thoscani piu sove[n]te la-
sciare in ultimo il pronome, & mettere nel mezzo l’arti-
colo, et allhora p[er] regola generale è da sapere, ogni vol-
ta che il p[ro]nome resta in fine, ò vi sia l’articolo, ò nò; che
egli se[m]pre in I si ma[n]da fuori. Farti. Farloti, et simiglia[n]ti.
/BEGIN PAGE 44v/
Farme, consolarme, dolerse, & altre tali voci sono
de poeti.
Honorarti, salutarti, et simiglianti no[n] altrame[n]te mai si truo-
van poste da gli antichi.
SI anchora, & non SE sempre s’è detto ne secondi nume-
ri, come fansi, stansi. non fanse, stanse.
IO, & TU dopo il verbo SONO sovente si raddoppiano.
Io non ci fui io. Tu non ci fosti tu. Et questo parlar sempre
è figurato.
Molti pronomi sono, che hanno uno medesimo significato.
Mà quelli, di cui sapere importa, sono questi, dove par,
che sia alcuna differentia.
COTESTO, & QUESTO. De quali il primo si dà
solamente alla cosa, che è dalla parte di colui, che ascol-
ta. Il medesimo si fa di COSTUI, & COSTEI. l’al-
tro indistintamente s’usa.
ALCUNO, VERUNO, ET QUALCHE. De
quali il primo si mette nel principio, & nel fine. il se-
condo solo nel fine. il terzo solo nel principio. Dò gli
essempi. Alcuno non può saperlo. Nol può sapere al-
cuno, Non ci fù veruno. Qualche persona vi verrà ad
ogni modo.
VERUNO hà alquanto più stretto significato de gli
altri, quasi si dicesse pure uno. et par che più di loro ne-
gando s’usi: come appare nell’essempio già dato.
NESSUNO alcuna volta stà affermativamente in vece
di alcuno. onde il Pet. I di miei più leggier, che nessun
cervo, fuggîr. Et di qui è, che appresso i Thoscani due
negative non par, che affermino, perche l’una può stare
in vece di affermativa, come dirò anchora ne gli adver-
/BEGIN PAGE 45r/
bi. gli altri indifferentemente si pongono. CUI serve al
pronome per rispetto di CHE, & non per rispetto di
IL QUALE, come detto habbiamo. CHI CHE va-
le, quanto ciascuna persona che.
CHE CHE vale, quanto ognicosa che. QUALUN-
QUE da quale: QUANTUNQUE da qua[n]to si for-
ma: indi si ponno havere i lor significati.
Del pronome relativo QUALE è da sapere, che esso vuol
sempre l’articolo innanzi, quando ordinatamente ra-
giona[n]do egli si mette drieto all’antecedente. Dò l’essem-
pio. Pietro, il quale è vecchio, morirà tosto, cosi ancho-
ra, colui è certo d’haver poco termine di vita, il quale è
ito innanzi ne gli anni. Mà quando l’ordine si muta del
ragionare, & prima il relativo si dice, che l’antecedente
(il che solo mi pare, che si faccia dina[n]zi a i pronomi de-
terminati) allhora senza articolo si manda fuori in que-
sto modo, Qual più gente poßiede. Colui è più da
suoi nemici accolto.
Di questi pronomi alcuni passano alle parti, che non si va-
riano; mà di loro à suo luoco vedremo. In tanto io mi
sento già dal verbo esser chiamato.
DEL VERBO.
L’altra parte dell’oratione principale è il Verbo, il quale
anche ei si varia, & con tempi distinti, et modi ò fare si-
gnifica, ò patire.
Il nome suo della sua nobilità dà segno: con cio sia cosa,
che egli solo in particolare habbia quel nome, che l’al-
tre parti hanno generalme[n]te. chiara cosa è verbo esser,
quanto parola.
/BEGIN PAGE 45v/
De gli Accidenti del verbo.
Gli accidenti suoi sono otto. Genere. Tempo. Modo. Spetie.
Figura. Numero. Persona, & Maniera.
Del Genere.
I generi son quattro. Attivo. Paßivo. Neutro, et Impersona-
le. Fuori il paßivo gli altri generi d’una voce sola si co[n]-
tentano. Il paßivo due ne ricerca. Et ne p[er]fetti anchora,
& ne più che perfetti trè ne vuole, come si vedrà p[er] gli
essempi, che si soggiugnera[n]no. Le voci, di che il paßivo
si forma, sono i partecipij perfetti de verbi attivi giunti
col verbo SONO, ERA, SONO STATO, ERA
STATO, & SARÒ.
Trà l’attivo, & il neutro è questa differentia: che del neu-
tro non si può (come dell’attivo) formar paßivo al-
cuno: Mà giunto col verbo SONO prende signi-
ficato del tempo perfetto, come io sono andato, io
son piacciuto.
Trà’l paßivo, & il neutro è differentia, che quelle due vo-
ci, delle quali si forma il paßivo presente, formano il tem-
po perfetto nel verbo neutro, come appare dicendosi. io
son mirato. & io sono andato.
Per questo adviene, che’l verbo neutro mai non si serve del
tempo perfetto, ne del più che perfetto del verbo SO-
NO, che noi non diciamo io fui, overo io sono stato an-
dato. Mà vegniamo alla definitione di questi generi.
Verbo attivo è quello, che fare significa, & può di se forma-
re il paßivo, come io miro.
Paßivo è quello, che dall’attivo ne viene, & è per modo di
dire materia, & soggetto à quel, che si fà, come io sono
mirato. Ne può star senza l’attivo.
/BEGIN PAGE 46r/
Neutro è quello, che fare significa à guisa del verbo atti-
vo: mà di se non forma paßivo alcuno, come io vado. Et
è da sapere, che una sorte è di neutri, li quali dentro di
noi mostran qualche effetto. onde bisogna accompagnar
con seco il pronome significante la persona nostra. Que-
sti io chiamo Neutri paßivi. & son tali, come Io m’alle-
gro. Io mi doglio. Io mi credo, et simiglia[n]ti. Et tutto che
allegrare, & credere sieno anchora attivi dice[n]do noi re-
golatamente, Tu m’allegri sentendo; che tu credi le mie
parole: No[n] dimeno allhora parmi, che negar no[n] si possa
che egli non paßino ad esser neutri, quando il pronome
seco s’aggiugne nel modo, che io sopra hò detto. Talme[n]-
te che uno verbo solo diversamente usato concludo po-
tere essere di diversi generi.
Impersonale è quel verbo, il quale seco non comporta per-
sona alcuna prima, seconda, ne terza, mà col suon di que-
sta ultima (quello dico, ch’ella suole havere nel primo nu-
mero) mostra alcuni effetti cosi generalmente. Piove.
Tuona. Verna.
Ne gli effetti del cielo alcuna volta vi s’aggiugne la perso-
na di Giove, come Giove tuona. Giove piove.
Alcuna altra, cio è quando niuna persona vi s’aggiugne,
usasi cosi dire. egli tuona. ê piove.
I lor perfetti, & i più che perfetti escono co[n] due voci à gui-
sa de Neutri, come egli è tuonato. egli è piovuto.
Due sorti sono d’impersonali. alcuni nativi, che da niuno al-
tro verbo derivano, come tuona, et verna. Alcuni da ver-
bi attivi, ò neutri discendenti, si come Diceßi. Faßi.
À questi, che da altri verbi discendono, suolvisi aggiugne-
re quella particella SI dietro incontane[n]te, come appare
/BEGIN PAGE 46v/
negli essempi di sopra dati.
Alcuna volta anchora tal particella si mette innanzi sepa-
rata per si fatta maniera SI DICE: SI FÀ, ove-
ro più leggiadramente EGLI SI DICE, EGLI
SI FÀ.
Et è da sapere, che tale impersonale può qua[n]do vien bene,
mettersi in cambio della terza voce del paßivo di quel
verbo, onde esso viene. Quando cio è vien dall’attivo. co-
si fè il Pet. ê disse. Tal per te nodo faßi: et tu nol
sai. Volendo dire è, FATTO.
Se l’impersonale si forma da altro verbo, sempre si piglia
la terza persona presente del primo numero, come s’è
dimostrato.
Appresso l’accento non si muove del suo luogho, & p[er] que-
sto adviene, che la penultima sillaba resta sempre sdruc-
ciola, et breve, ne la S si raddoppia mai ne verbi di più
d’una sillaba, come Dicesi, Mirasi, Vedesi, Sentesi.
Ne verbi d’una sillaba sola la S si raddoppia, perche à tai
verbi l’accento grave stà sopra, & giugnendosi lor die-
tro alcuna particella si raddoppia la consonante di quel-
la, & l’accento grave in acuto si muta, come de gli acce[n]-
ti parlando io dißi. & Novamente ne dò l’essempio in
Faßi. Staßi: & simiglianti.
Per questa ragion medesima tutti i futuri de gl’Imperso-
nali, ò d’una sieno, ò di più sillabe, sempre raddoppiano
la consonante nella penultima, la qual viene ad essere la
S. Imperoche ogni futuro nella prima, & nella terza p[er]-
sona hà l’accento grave sopra, si come Ca[n]terò. Farò. Can-
terà. Farà. Onde si fà poi Canteraßi, & Faraßi.
Il medesimo dico in tutti i perfetti di quegl’impersonali,
/BEGIN PAGE 47r/
che da verbi della prima, ò della quarta maniera deriva-
no, de quali è proprio l’accento grave nelle terze perso-
ne, come più largame[n]te dimostreremo. Però ne gl’Imper-
sonali l’accento grave nell’acuto si muta, & la consonan-
te della particella aggiunta cosi si raddoppia. cantò. udì.
cantoßi. udißi. Se ne cava FECE, DIEDE, &
STETE di quei della prima, che sotto regola non ista[n]-
no, come che possano abbreviati formare l’Impersonale
secondo la regola de gli altri in questo modo. Fê. diê. stê.
feßi. dießi. steßi. Di quei della quarta VENNE si ca-
va co suoi co[m]posti; & COPERSE, che no[n] di meno an-
chora fà COPRÌ. Onde poi si può formar CO-
PRISSI. Cosi APERSE, APRÌ, & APRIS-
SI co simiglianti.
Se i verbi, onde gl’Impersonali si formano, son tali, che nel-
le terze lor persone presenti comportino d’essere ac-
corciati, resta l’Impersonale con quello accorciamento
medesimo, si come. Valsi. Vuolsi. Viensi, & altri tali.
Del tempo.
I tempi son cinque, & hanno i lor significati piani.
Presente, Spero.
Imperfetto, Sperava.
Perfetto, Come io Sperai.
Più che perfetto, & Haveva sperato.
Advenire, ò futuro, che dir vogliamo, Spererò.
Del Modo.
I modi parimente son cinque, co quali noi significhiamo, à
chi ne ascolta, il voler nostro.
/BEGIN PAGE 47v/
Dimostrativo, io spero.
Imperativo, spera tu.
Desiderativo, come speraßi io.
Congiuntivo, & come che io speri.
Indefinito, sperare.
I dimostrativo cosi si chiama, perche dimostra pianame[n]te
quel che si fa, overo che è co[m]minciato à farsi, overo che
s’è fatto, cosi di poco prima, come d’assai, over che si fa-
rà, rappresentando quello atto semplice, che’l significa-
to del verbo ci porge. & hà tutti i cinque te[m]pi distinti.
L’imperativo, perche commanda. IMPERARE frà la-
tini voce assai nota val, quanto commandare frà noi. &
hà due tempi solamente, presente, & advenire. Passato
in guisa alcuna non si può commandare, però vi ma[n]can
tutti & trè quê tempi di mezzo.
Il disiderativo, perche disiderando s’usa. Però dinanzi à
lui sove[n]te usiamo porre gli adverbi, che desiderio espri-
mono, si come ô se, ô pur che. Dio voglia che. Questo
modo hà il presente, & l’imperfetto insieme, il per-
fetto similmente, & il più che perfetto: poi l’advenire
separato.
Il congiuntivo hà questo nome, perche tirato in ragiona-
mento nol può da se stesso fornire, mà bisogno hà del di-
mostrativo, che lo fornisca, come appare dice[n]do – per-
ch’io miri.
Mille cose diverse attento, & fiso
Sol una Donna veggio, e’l suo bel viso.
Chi’l chiama soggiuntivo, si’l può fare havendo ri-
guardo alla diritta maniera di ragionare, laqual ricer-
ca che tal modo si soggiunga dovendo noi ordinata-
/BEGIN PAGE 48r/
mente cosi dire.
Sol una Donna veggio, e’l suo bel viso.
Perche, cio è ben ch’io miri
Mille cose diverse attento, & fiso.
Questo modo hà tutti i cinque tempi distinti à guisa
del dimostrativo, & par, che sempre ponga conditio-
ne, overo eccettione, overo che di qualche cosa ren-
da ragione; però seco si mettono le congiuntioni atte
à cio fare. si come benche, se, quando, & conciosia
cosa che & à me percio pare anchora più ragionevo-
le, che egli si chiami congiuntivo, da che seco si giun-
gono le congiuntioni.
L’Indefinito cosi si chiama perche non definisce persona al-
cuna certa, mà la prima, la seconda, & la terza sotto una
sola voce comprende, si come.
Io vò leggere. Tu dei leggere. Altri può leggere.
INFINITO anchora si dice ragionevolmente, impero-
che questo solo modo è senza fine. egli no[n] dimostra, non
commanda, non disidera, non mette condition, ne eccetio-
ne, ne rende ragion di cosa alcuna, mà giunto con qua-
lunque altro modo da lui pre[n]de il suo fine, come appare
del dimostrativo ne gli essempi già dati. & de gli altri
modi eccovi altri essempi. Attendi à leggere. ò se io po-
teßi leggere. Benche io non possa leggere. Questo mo-
do hà i tempi intricati à guisa del disiderativo.
Il presente coll’imperfetto, il perfetto co[n] il più che per-
fetto, poi l’advenire solo.
Della spetie.
La spetie de verbi è di due sorti. Prima, & natìa, come inci-
do: seconda, & derivata, come incischio.
/BEGIN PAGE 48v/
Della figura.
Le figure sono trè. Semplice, come spingo. composta, come
sospingo. Ricomposta, come risospingo. & è da sapere,
che’l verbo composto alcuna volta può essere di diversa
maniera dal suo semplice: come si vede in PAIO, che
fà PARERE, & è della seconda. non dimeno APPA-
RISCO, & APPARIRE indi composto è del-
la quarta.
Del Numero.
I numeri sono due. Primo, che ad un solo si conviene, come
io spero. seco[n]do, il quale co[n]viene à molti, come noi speria-
mo. tutti i modi ha[n]no i numeri distinti salvo l’indefinito.
Della persona.
Le persone son trè. Prima, cio è quella, di chi parla, come io
spero. Seconda, cio è quella, con ci si parla, come tu spe-
ri. Terza, cio è qualu[n]que altra fuori le due sopra dette,
come altri spera.
Queste similmente l’indefinito solo non hà distinte, come
già s’è detto. Tutti gli altri modi le hanno.
Appresso è da sapere, che ordinariamente in tutti i modi
la p[er]sona si mette innanzi il verbo, come per molti essem-
pij di sopra dati appare. L’imperativo solo, & il diside-
rativo par, che dopo se la richieggano il più delle volte,
come spera tu, speraß’io. et cio si fà maggiormente nel
disiderativo, quando alcuno adverbio seco non s’aggiu-
gne, come allhor, che’l Pet. disse.
Far poteß’io vendetta di colei, Che guardando, & par-
lando mi distrugge.
Il medesimo dico, quando la Ò sola vi s’aggiugne. come se
io diceßi, ô poteß’io far vendetta di costei.
Ponsi
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Ponsi anchora la persona dietro al verbo, quando egli esce
fuori in guisa di domandante. Dò l’essempio – perche
non venne Ella più tardi? over io più per tempo?
Et altrove, come non vedestù negli occhi suoi Quel, che ve-
di hora? Non dico per tanto, che cio sempre si faccia.
Della maniera.
Le maniere sono quattro, le quali si conoscono alla penulti-
ma sillaba dell’indefinito.
La prima v’hà la A lunga, Sperare.
La seconda v’hà la E lunga, Come Temere.
La terza la E breve, Ridere.
La quarta la I lunga, Sentire.
Et truovansi alcuni verbi, li quali sono di due maniere, come
Aggradare da aggrado, & aggradire da aggradisco.
cosi colorare da coloro, & colorire da colorisco. Appa-
rere da appaio, & apparire da apparisco.
Regole generali de verbi, & delle loro
formationi partitamente.
Ogni presente dimostrativo nella prima p[er]sona in O finisce,
come io spero, temo, rido, & sento.
Ogni imperfetto in À, come sperava, temeva, rideva, &
sentiva.
Ogni advenire in Ò con l’acce[n]to grave sopra, come io Spe-
rerò. Temerò. Riderò. Sentirò.
Et è da sapere, che de presenti dimostrativi de verbi non si
può dar regola certa, quale cio è consonante egli hab-
biano innanzi l’ultima lor vocale: perche eßi son senza
legge, mà ben dannola à gli altri tempi, & modi.
Il medesimo dico dell’accento, che ove il verbo è di più di
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due sillabe, l’accento variamente si pone senza poterse-
ne dar regola alcuna, se non quando raddoppiare sono
le consonanti naturalme[n]te, che ivi sempre è il luogo del-
l’accento, come appare dicendo, sostengo. impallidisco,
& simiglianti.
Hora de gli altri tempi, & modi posso dar queste regole.
Propria consona[n]te dell’imperfetto è la V, come s’è mo-
strato. De verbi straordinarij non parlo, come ERA.
Quella V spesse volte si lascia nello scrivere i verbi del-
le trè seconde maniere. come temea. ridea. sentìa.
Mà cio faßi per figura, & per abbreviamento, del qua-
le altrove ragionerò.
Il luogo dell’acce[n]to è la penultima in tutte le persone
già dette de gl’imperfetti. Però tale sillaba è lunga.
L’accento, di cui non parliamo, è l’acuto.
Propria consonante di tutti i futuri è la R, cosi anchora di
tutti gl’indefiniti. Mà diversa ragione è trà loro ne gli
accenti, però diversamente si pongono.
Tutti i futuri ha[n]no l’accento innanzi la penultima, dico l’a-
cuto, come mostran gli essempi di sopra dati.
Et la ragion di questo è, come io credo, perche stando
sulla ultima sillaba l’accento grave, viene à fuggirsi
quella vicinanza poco tolerabile dell’acuto, & del
grave.
Che cio possa esser vero, niun futuro dimostrativo si truova
di due sillabe sole, se non accorciato, & spesso con l’acce[n]-
to misto nel mezzo, come vedrò, & côrrò, in vece di ve-
derò, & coglierò. overo se non è qualche verbo straor-
dinario, come sarò. starò. farò. darò, & potrò.
Di qui si conosce il misto co[m]portarsi vicino al grave mol-
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to più, che l’acuto non fa. La ragione è, perche il misto
niuno effetto fà, se non d’inalzare, & sospender la voce,
& spesso dà segno dell’accorciamento, come io dißi ra-
gionando de gli acce[n]ti; mà l’acuto, et il grave fanno uno
medesimo effetto, in quanto che ciascun di loro fà quella
sillaba esser lunga. over egli stà sopra; però mal si com-
portano vicini l’uno all’altro.
Ne gl’indefiniti il luogo dell’accento è sopra la penultima,
perche niuno altro ne hanno nel fine.
Cavansi di tal regola gl’indefiniti della terza maniera, li
quali l’accento vogliono innanzi la penultima, come si
vede dicendo ridere.
La cagione di questo è, p[er]che la penultima della terza ma-
niera è sempre breve à differe[n]za della seconda, che sem-
pre è lunga, come s’è dimostrato.
De perfetti, & de più che perfetti qui non si ragiona, per-
che eßi più lungo ragionamento richieggono.
Gl’imperativi anchora, & i congiuntivi serbo nel fine, per
cio che gl’Imperativi nel primo numero senza la prima
persona sono, della quale hor noi parliamo. Appresso
il congiuntivo è modo tutto poco men che impresta-
to. Al disiderativo passo.
Ogni prima persona del presente disiderativo in I finisce.
Propria sua consonante è la SS raddoppiata, come spe-
raßi, temeßi, rideßi, sentißi.
L’accento è sulla penultima, di cui non è dubbio per la du-
plication delle consonanti.
Ogni futuro disiderativo della prima maniera hà il medesi-
mo fine del suo presente, cio è la I.
Delle trè seguenti maniere la A.
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Sue proprie consonanti sono quelle stesse che hà il presen-
te dimostrativo.
L’accento parimente è quello stesso, & nel medesimo luo-
go. Dò gli essempi.
Spero. Speri.
Io Temo. Pur che io Tema.
Rido. Rida.
Sento. Senta.
Dovendo hora venire alle formationi, tutto che m’habbia
proposto voler prima delle prime persone separatamen-
te ragionare (& già ne hô dato segno) non dimeno sfor-
zato sono innanzi à tutte l’altre parlare della seconda
& della terza nel primo numero del presente dimo-
strativo. ne romperò per tanto l’ordine dell’intention
mia, essendo queste due persone in compagnia della pri-
ma capo, & guida di tutti gli altri tempi, & modi in cia-
scun verbo.
Ogni seconda persona adunque nel primo numero del pre-
sente dimostrativo in I finisce, come tu speri, temi, ridi,
& senti.
Finiscon parimente cosi in tutti i tempi, et in tutti i modi.
Ogni terza persona del primo numero nel presente di-
mostrativo della prima maniera in A finisce, come
altri spera.
Delle trè seguenti in E, come altri teme, ride, sente.
L’altre lettere, & gli accenti sono quei medesimi nella se-
conda, & nella terza persona, che nella prima, come
si vede.
La formation loro è facile.
La seconda dalla prima si forma mutando la O in I.
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Spero. Speri.
Temo. Temi.
Io Rido. Tu Ridi.
Sento. Senti.
La terza da ciascuna di loro si può formare, mutandone
l’ultima lor vocale.
Nella prima maniera in A la muta, come io spero, tu speri,
altri spera.
Nell’altre trè in E, come io temo, tu temi, altri teme.
Io Rido. Tu Ridi. Altri Ride.
Sento. Senti. Sente.
Quivi è da sapere, che alcuni presenti sono, liquali haven-
do la D semplice appresso la A, overamente la E nel luo-
go ultimo della consona[n]te, quella mutano in GG doppia
con la I seguente nella prima persona in questo modo.
Cado, Caggio.
Vedo, Veggio.
DEBBO anchora quelle due BB muta nel medesimo
modo facendo DEGGIO.
Nelle due seconde persone egli ritengono la prima let-
tera sempre, cio è la D, come.
Debbo anche egli fà
Cadi, Cade. Debbi, & debbe. Tutto che sia
Vedi, Vede. più in uso die Dei, &
Dee.
D’intorno anchora à questi presenti è da sapere, che qual-
hora la prima persona si muta nel modo, che hora hora
s’è detto, se scrivendosi con la D ella per sorte hà il Di-
phthongo improprio, nella penultima sillaba mutandosi
in due GG, il perde, & la I di quello trapone portando
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la innanzi l’ultima vocale, come per essempio.
Siedo. Seggio. Chieggio co suoi composti la ritie-
ne. Mà la ragione è in pronto.
Egli s’hà da haver riguardo all’indefinito, cio è che quan-
do il presente primiero del dimostrativo hà il Diphtho[n]-
go, se advien, che egli si muti, perde il Dipththongo, ogni
volta che l’indefinito di sua natura non se’l vede have-
re. Dò l’essempio.
Siedo. Sedere. Seggio.
Mà quando l’indefinito di sua natura hà il Diphthon-
go, mutisi qua[n]tunque vuole il presente dimostrativo, &
nelle voci prime, et nelle mutate, giamai nol perde. Però
Chiedo, Chiedere, & Chieggio si dice. Ben-
che io sò quivi non esser Diphthongo: Mà sia dato per
uno essempio.
Haßi parimente da haver riguardo all’indefinito, quando
la prima persona del presente dimostrativo hà la G le-
gata con la N, percio che non ritenendo quella G l’inde-
finito, la seconda parimente, & la terza persona presen-
te la lasciano. Dò l’essempio.
Tengo, over tegno. Tenere.
Pongo, Ponere, benche porre sia
più usato.
Tu tieni, over poni, altri tiene, over pone.
Haßi riguardo similme[n]te all’indefinito, qua[n]do la prima vo-
ce del verbo esce in più consonanti, et in più vocali, come
cappio, & empio. Percio che se l’indefinito ritiene quella
spessezza di lettere, ritengonla parimente la seconda, &
la terza persona presente, si come Empio. Empiere. Tu
empi, altri empie.
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Mà se l’indefinito le lascia, lascianla anchora le due soprad-
dette persoue. Dò l’essempio.
Cappio. Capere. tu capi, altri cape.
Vero è, che l’indefinito da queste due persone si forma, co-
me poco stante vedremo. Non dimeno egli non resta, che
non sia fermo segno, & regola assai facile (per quel, che
io stimi) à quanto di sopra s’è detto. Ad altre regole
anchora ci serve, mà di mano in mano à suoi luochi ne
ragioneremo.
Di tutte & trè le prime maniere la terza persona già det-
ta regge tutti gli altri tempi, & modi.
Solo il futuro disiderativo se ne cava, come vedremo, cosi
nella quarta maniera, come nelle trè prime.
À formare la prima persona dell’imperfetto dimostrativo
s’aggiugne alla terza presente VA nel fine.
Spera, Sperava.
Teme, Temeva.
Ride, Rideva.
À formar quella dell’advenire RÒ vi s’aggiugne.
Sperarò. Temerò. Riderò.
À formare del presente disiderativo la prima persona giu-
gnesi alla terza presente del dimostrativo SS nel fine.
Spera, Speraßi.
Teme, Temeßi.
Ride, Rideßi.
À formar l’advenire del desiderativo nella prima maniera
si piglia la seconda persona del presente dimostrativo,
della quale niente si muta. Dò l’essempio.
Tu speri. Pur che io speri.
Nell’altre trè maniere è da sapere che dalla prima per-
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sona del verbo s’ha da formare mutando la ultima O in
A senza altro accrescimento darle, si come
Temo, Tema.
Rido, Pur che io Rida.
Sento, Senta,
La ragione, ond’io mi muovo à formar questo tempo dalla
prima persona del verbo più, che dalle due seguenti, è
non tanto, perche ella sia principale, et più nobile di tut-
te l’altre, mà anchora perche accadendo, che quella pri-
ma persona del verbo sia per alcuna mutation di lettere
diversa dalla secunda, & dalla terza, il futuro del disi-
derativo sempre quelle lettere serba, che la prima si ve-
de havere mutata solamente, come io dißi, la ultima O
in A. Dò nuovi essempi.
Veggio. Vedi, Vede. Pur che io veggia.
Cappio. Capi, Cape Pur che io cappia.
Pongo, Poni, Pone. Pur che io ponga.
Vengo, Vieni, Viene. Pur che io venga,
Ne questo solamente si fà ne verbi regolati, mà ancho-
ra ne gli straordinari, come debbo, over deggio, dei,
dee. debbia, over deggia. posso. puoi. può. possa.
In questo tempo la prima maniera si discorda dalle due se-
guenti, & con esso loro s’accorda la quarta, laquale in
tutto’l resto poi è differente, come tosto vedremo. Onde
in cio puoßi dire, che la prima maniera con la quarta
faccia scambiamento. Imperoche essendo proprio della
prima governarsi, come dicemmo, dalla terza persona
presente, ella qui se ne parte, & colla seconda si gover-
na. d’altra parte la quarta, di cui, come vedremo, suole
esser guida, & capo la seconda persona presente dalla
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sua legge si parte, & forma à guisa delle due di mezzo
questo futuro dalla prima persona del verbo nel modo,
che io hò mostrato. Mà torno alle trè prime maniere.
L’indefinito loro dalla terza persona presente sempre si
forma accrescendovi RE nel fine.
Spera, Sperare.
Teme, Temere.
Ride, Ridere.
Passo hora alla quarta maniera.
DELLA quarta maniera la seconda persona del presen-
te dimostrativo nel primo numero è quella, che tutte le
prime persone de gli altri tempi, & modi forma, et reg-
ge nell’istessa guisa, che delle trè prime s’è detto, cavan-
done sempre il futuro del desiderativo.
Sentiva.
Senti, Sentirò.
Sentißi.
Sentire.
Sotto questa regola cosi, come hò detto, semplicemente po-
sta non stanno i verbi in SCO termina[n]ti, li quali, nella
seconda, & nella terza persona presente ritengono le
medesime lettere col mutar solamente l’ultima vocale
nel modo, che già si disse, come
Impallidisco. Impallidisci. Impallidisce.
In tai verbi gettasi via tutta l’ultima sillaba, & ponnosi poi
formare i secondi te[m]pi, & modi da qualunq[ue] s’è l’una di
quelle persone con l’aggiugnervi in quel cambio le sil-
labe, che già si dissero.
Impallidisco. Impallidisci. Impallidisce.
Impallidiva Impallidirò. Impallidißi. Impallidire.
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Il disiderativo presente potrebbe con più facilità formarsi
dalla seconda persona, che dall’altre due, mutando sola-
mente la C in S. Tu impallidisci. Impallidißi io.
L’indefinito dalla terza mutando la SC in R semplice.
Impallidisce. Impallidire.
Mà io hò inteso à dar le regole più certe, et universali: con-
ciosia cosa che in tutti gli altri verbi della quarta ma-
niera (di cui tuttavia si ragiona) et i presenti desiderati-
vi, & gl’indefiniti dalla seconda persona sempre si for-
mano, & questo già s’è detto.
Gl’indefiniti anchora si potrebbon formare in ogni manie-
ra dal tempo sciolto (di cui ragionerò nel congiun-
tivo) perdendone solamente l’ultima vocale in que-
sta guisa.
Sperarei. Sperare.
Temerei. Temere.
Riderei. Ridere.
Sentirei. Sentire.
Mà chi non vede, che da un tempo cosi nascosto non s’hà à
formare un modo tanto principale, quanto è l’indefinito
uso più di dar legge à gli altri modi, & tempi, che di ri-
ceverla esso da alcuno? certo à me pare, che torto si fa-
cesse alla degnità sua, essendo egli quello, che tutte le ma-
niere distingue, come s’è veduto. appresso sarebbe uno
intrico di memoria, far queste eccetioni, et alla fine da
un fonte medesimo deriverebbe l’uno, & l’altro rivo.
Dunque all’acqua chiara, & non al fango si ricorra.
vengo à i Perfetti.
De Perfetti.
Convenevole cosa, & necessaria veggio esser carißima
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Hiparcha, che io mi stenda con alquante più parole in-
torno à i perfetti. & in cio parmi via più, che’n tute l’al-
tre cose, di meritar perdono, se de perfetti ragionando
men che perfettamente ne ragionaßi. Percio che qui
tutta stà la confusione, che fino ad hora sia nella Tho-
scana favella. & chi i perfetti poßiede, può dir di pos-
sederne la maggior parte. voi con diligentia notate le
mie parole. Perche spero non m’abbandonando la cele-
ste gratia doverne dar tal lume, che ne resterete presso
che sodisfatta.
Ogni perfetto si ristringe alla differenza di due qualità
principali: overo che egli nella prima persona in doppia
vocale finisce, overo in semplice.
Oltra di questo ogni perfetto ò cresce più del presente, on-
de si forma, ò resta pari à lui.
La lettera sua del fine sempre è la I vocale.
Il luogo dell’accento è la penultima.
Se ne cavan gli accorciati dell’ultima sillaba, come DIÈ
in vece di DIEDI, UDÌ in vece di UDII, che’n que-
sti tali l’acuto in grave si muta, & la penultima sillaba
ultima diventa.
Hora quelli, che’n doppia vocale, finiscono, crescon tutti.
Il loro crescimento è d’una sola vocale nel fine, la qual pe-
rò hà forza iguale ad una sillaba.
I lor fini son trè. AI, EI, & II. FUI è verbo stra-
ordinario.
AI è p[ro]prio fine di tutti quei della prima maniera, si come
sperai. chiamai. saltai. se ne cava Feci, Diedi, & stetti.
Voci anzi latine, che Thoscane le quali no[n] diciamo fai,
dai, & stai: à differenza delle seconde persone presenti.
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EI è proprio fine di molti verbi della seconda, & terza
maniera, cio è di quelli generalme[n]te, che nella prima vo-
ce del verbo escono in più co[n]sona[n]ti, et vocali insieme, co[m]e
Cappio, Capei.
Empio, Empiei.
Se ne cava ROMPO, il quale fà RUPPI straordi-
nariamente.
Sotto questa fine anchora cadono rendo, vendo, & perdo,
liquali fanno rendei, vendei, & perdei fuor dalla legge
de gli altri verbi simili, che poi diremo.
Godo parime[n]te fà godei. Posso (benche sia verbo straor-
dinario) potei. pento, pentei: in quanto egli si vede essere
della seco[n]da maniera; come che della quarta essendo fac-
cia anchora pentì. converto. convertei.
Il proprijßimo, & particolarißimo fine ê di quei della
quarta maniera, che p[er] lo più cosi finiscono, si come udij,
sentij, ordij, come che udì. Sentì. & ordì anchora si dica.
Mà cio non contrasta alla regola nostra, perche l’acce[n]-
to grave (come di lui parlando dißi) hà forza iguale ad
una sillaba, & viene à stare in luogo della I seconda.
Quei verbi della quarta maniera, li quali ha[n]no due p[er]fetti,
in doppia vocale mai non finiscono. Ben ricevono l’acce[n]-
to grave sopra il fine di quel perfetto, che è di minor nu-
mero di sillabe forse per pareggiarlo all’altro. Tali so-
no aprì, & apersi. coprì, & copersi.
I perfetti, li quali hanno i due primi fini dalla terza perso-
na del presente si formano crescendovi la I nel fine, co-
me s’è detto.
Spera, Sperai, Cape, Capei,
Cavasi VADO di quei della prima maniera, il quale tutto
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che habbia uno medesimo fine co gli altri, impero che
fà ANDAI, non dimeno essendo tal verbo in tutti i suoi
modi diverso nel primo numero del presente da gli al-
tri modi, & tempi, non può formare il perfetto dalla ter-
za sua persona, che è VÀ: se non si piglia la voce anti-
ca ANDA, che hoggi non s’usa. Mà tal verbo io’l met-
to nel numero de gli straordinari.
Quelli, che in EI finiscono della seconda, ò della terza ma-
niera, potrebbono parimente formarsi dalla seconda p[er]-
sona presente crescendo frà le due ultime lettere la E
in questo modo.
Capî, Capei.
Vendi, Vendei.
Mà la prima formatione è meno intricata, & più univer-
sale facendosi nel fine l’accrescimento con più facilità,
che nel mezzo, & essendo (come io dißi) la terza per-
sona quella, he principalmente governa i verbi delle
trè prime maniere.
Però in CAPEI veggiamo, che sola una P si scrive, quan-
tunque da CAPPIO, ove la PP è doppia derivi. in
POTEI v’è la T semplice, no[n] la SS doppia. tutto che
da posso ne venga, non per altra ragione, che per que-
sta; cio è che’l perfetto dalla terza persona si forma, non
dalla prima. Et in tai verbi, dove la prima persona è
differente dall’altre, niuna voce ritien le consonanti di
quella, se non le sottonotate.
La prima, & la terza nel secondo numero del presente di-
mostrativo, come.
Cappio, Cappiamo, Cappiono.
Posso, Poßiamo, Possono.
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La terza del primo numero, la prima del secondo, & la
terza dell’Imperativo.
Cappia quello, Cappiamo noi, Cappiano quelli.
Lo advenire del disiderativo, & il presente del congiunti-
vo (che sempre sono simili) in tutte le loro persone.
Io Cappia, tu Cappia, altri
Pur che overo quantunque Cappia, noi Cappiamo, Voi
Cappiate, altri Cappiano.
Similmente Dio voglia Io Possa, tu Possa, quel Possa.
che, overo tutto che Noi Poßiamo, voi Poßiate, quel-
li Possano.
Il medesimo dico di PONGO, & VENGO co simi-
glianti, li quali tutti cadono sotto questa regola face[n]do
Pogniamo, Pongono, Ponga, Pogniate, Pongono.
Vegniamo, Vengono, Venga, Vegniate, Vengono.
Mettendo hor la G innanzi la N, hor dopo lei. Nelle prime
persone però de secondi numeri la N mai no[n] si mette in-
nanzi. Nelle terze del medesimo numero mai non si met-
te dopo.
Dico questo medesimo di quelli, che la D mutano alcuna
volta in GG doppia con la I seguente, come già si disse
& eccovi gli essempi.
Cado, over Caggio, Caggiamo, Caggiono, Caggia,
Caggiate, Caggiano.
Veggo, over Veggio, Veggiamo, Veggiono, Veggia,
Veggiate, Veggiano,
Quelli anchora, che hanno dinanzi all’ultima vocale
GLI, come voglio, cosi fanno. Vogliamo, Vogliono, Vo-
glia, Vogliate, Vogliano.
Tutte l’altre vocali di cosi fatti verbi hanno la consonante
/BEGIN PAGE 56r/
che la terza persona del dimostrativo presente nel pri-
mo numero si vede havere, però à lei sempre è da ricor-
rere, & chi truovar no[n] la sapesse altramente, guardi in
queste trè maniere l’indefinito, et togliendone via l’ulti-
ma sillaba havrà la già detta persona intiera, come
Sperare, Spera.
Temere, Teme.
Ridere, Ride.
Et se l’indefinito per sorte s’usi abbreviato, cerchi di ste[n]-
derlo, come
Condurre, Conducere, Conduce.
Trarre, Trahere, Trahe.
Torre, Togliere, Toglie.
Dire, Dicere, Dice.
Fare, Facere, Face, over fà, che è più in uso.
Se ne cava DEBBO, over DEGGIO, il quale adve-
gna che faccia nella terza persona debbe, deve, over dee:
non dimeno hà nell’indefinito DOVERE; mà questo
metto con VADO trà gli verbi straordinarij.
Quei perfetti, che hanno il terzo fine delle due II, dalla
seconda persona del primo numero del presente dimo-
strativo si formano, la qual persona, come io dißi, gover-
na tutti i verbi della quarta maniera, & questo è il pro-
prio lor fine: come tu Senti. io Sentij. overo Sentì co[n] l’ac-
cento grave.
Sono alcuni verbi, liquali hanno per prima lettera una
vocale mutabile, si come ODO, & ESCO, & fuori al
quante voci, che poi si diranno, cangian quella vocale
in U facendo
Udiva. Udirò. Udißi. Udirei, & Udire.
/BEGIN PAGE 56v/
Questi il perfetto formano con la lettera mutata, si come
con la più comune. Però ODO, quantunque dalla seco[n]-
da persona, che è ODI, formi il perfetto à guisa de gli
altri verbi della quarta maniera, no[n] dimeno fà UDII,
ESCO, ESCI, USCII.
Et in cio fare s’hà riguardo all’indefinito, et quella lettera
si prende, che l’indefinito si vede havere.
Il medesimo dico ne verbi, che la SC hanno per ultime co[n]-
sonanti nel primo numero presente, & sono della quarta
maniera, si come Impallidisco, Impallidisci, Impallidisce.
Impero che questi tali in tutti i modi, & tempi (eccetto
quelli, che si dimostreranno) restano senza quelle due co[n]-
sonanti. Però il perfetto anche egli non le ritiene, mà
formandosi da Impallidisci resta Impallidij.
Et in cio fare s’hà parime[n]te riguardo all’indefinito, cio è,
che quelle lettere che esso non ritiene, non le ritenga pa-
rimente il perfetto.
Haßi anchora riguardo all’indefinito in serbare il Diph-
thongo generalmente, per cio che ove l’indefinito nol
serba, tutto che’l presente l’habbia, niuno altro tempo, ò
modo lo serba. Però VENNI, POTEI, & simiglia[n]-
ti senza Diphtho[n]go si scrivono, tutto che da VIENI
& PUOTE si formino, solo perche l’indefinito n’è sen-
za dicendosi VENIRE, & POTERE.
SUONI, et SUONAI poscia si dice, perche similme[n]te
si scrive SUONARE, cosi INVESCAI, et ADE-
SCAI si dice ritene[n]do la SC, perche Invescare ancho-
ra, et ADESCARE la ritiene. mà soli i perfetti del-
la prima maniera pon ritenerla.
Sia adunque per regola generale questa, che nelle trè pri
me
/BEGIN PAGE 57r/
me maniere la terza persona del primo numero del pre-
sente dimostrativo governi i perfetti, li quali in due voca-
li finiscono, nella quarta la seconda; mà giunta l’una, &
l’altra con l’indefinito, il quale molta autorità si vede
havere, come s’è dimostrato.
Le voci, dove le prime lettere de verbi mutabili stan salde,
& quelle, dove la SC non si perde dinanzi l’ultima vo-
cale ne verbi della quarta maniera, son queste.
Tutte & trè le persone del primo numero del presente di-
mostrativo con la terza persona dell’altro numero.
Odo, Odi, Ode, Odono.
Esco, Esci, Esce, Escono.
Impallidisco, Impallidisci, Impallidisce, Impallidiscono.
La seconda, & la terza persona del primo numero, &
la Terza del secondo nel presente Imperativo.
Odi, Oda, Odano.
Esci, Esca, Escano.
Impallidisci, Impallidisca, Impallidiscano.
Il primo numero intiero, & la terza persona del secon-
do numero del futuro disiderativo, & del presente
congiuntivo.
Pur che, & Oda, & odano.
Quantunque Io, tu, overo altri Esca, & escano.
Impallidisca, & impallidiscano.
Della seconda qualità de perfetti.
Fin qui s’è ragionato de perfetti, li quali in doppia vocale
finiscono: tempo è, che si ragioni di quegli altri, che fini-
scono in semplice. Io di loro metto quattro ordini stan-
do sempre salda la prima divisione, & le regole dell’ulti-
ma lettera, & de gli accenti, che già si disse.
/BEGIN PAGE 57v/
Alcuni restan pari di lettere, & di sillabe col presente.
Alcuni restan pari di sillabe, & sceman di lettere.
Alcuni restan pari di sillabe, & crescon di lettere.
Alcuni crescon di sillabe, & di lettere.
La mutation delle lettere si fà in tutte & trè le prime sorti
de perfetti, nella quarta non mai.
Appresso no[n] cadono sotto q[ue]ste regole i verbi della prima
maniera, ne q[ue]i della quarta, et già di loro s’è ragionato.
Di quei della quarta si cava SOFFERSI, APERSI,
et VENNI co suoi composti, li quali pur ci cadono, co-
me vedremo.
Hora le consonanti, che ponno haver luogho inna[n]zi l’ulti-
ma vocale di tai perfetti, sono otto. B.D.L.N.Q.S.T.V.
Fuori trè lettere, la D, la S, & la V: niuna si trova, che non
vi si raddoppi, come vedremo.
Et elle altresi vi si raddoppian sovente. Dò brevemente
gli essempi. Crebbi. Caddi. Volli. Ve[n]ni. Tacqui. Leßi. Se-
detti. Bevvi. D in VEDO fà VIDI rimanendo sempli-
ce, & cosi ne suoi composti.
S alcuna volta è semplice, come POSI. alcuna altra è giu[n]-
ta con consonante di diversa qualità; & queste sono trè.
L, N, & R, come Volsi, Piansi, & Porsi.
V co[n] la R precedente si lega in PAIO, et suoi co[m]posti fa-
cendo PARVI, APPARVI, et DISPARVI. la
quale V poeticame[n]te in S si muta & fassene PARSE,
APPARSE, et DISPARSE. Ta[n]to è vero, che la
S semplice inna[n]zi se riceve co[n]sona[n]te di diversa qualità.
TACQUI hò dato p[er] essempio della Q doppia, i[m]peroche
la C serve in luoco di quella Q, che si tace, non usandosi
mai di scrivere due QQ seguenti l’una all’altra, come
/BEGIN PAGE 58r/
altrove si dimostrò. La U, che vi si vede stare appresso,
è la serva della Q senza la quale (se vi ricorda) io dißi,
che la Q mai ne sola si proferisce, ne in compagnia sen-
za si scrive. Mà entriamo più ad alto.
PRIMO ordine de perfetti della seconda qualità.
Di quê verbi, che nel presente, & nel perfetto son pari di
lettere, & di sillabe, io dò queste regole.
Egli son di due sorti.
Alcuni mutano una lettera sola.
Altri ne mutan due.
Tutti igualmente dalla seconda persona si formano.
Di quelli, che mutano una lettera sola, altri mutano la voca-
le di mezzo, altri la consona[n]te del fine.
La vocale, che si muta, è la E.
La mutata è la I.
Vno verbo solo co suoi composti è quello, ove tal muta-
tione si fà.
Vedi, Vidi.
Provedi, Providi.
No[n] dimeno questo ultimo anchora fà PROVEDET-
TI accostandosi alla regola comune de gli altri verbi
simili, de quali à suo luoco diremo.
La consonante, che sola si muta, è l’una di queste. C.D.G. &
N, overamente R.
Il luogo della mutatione è il penultimo.
Mutasi in quê verbi la C, ove ella stà nel presente dopo
la N, si come
Vinci, Vinsi, Torci, Torsi.
La D si muta dopo l’una di queste lettere: I, O, U, N,
& R: si come.
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Ridi, Risi.
Rodi, Rosi.
Chiudi, Chiusi.
Ardi, Arsi.
Spandi, Spansi.
Mordi, Morsi.
Se ne cava GODO, di cui già si disse, il qual fa GO-
DEI; & PERDO, PERDEI. MORDI anchora
può far MORDEI.
La G si muta, ovunque ella stà nel già detto luogo dopo
alcuna consonante di diversa qualità nel presente, ò sia
mutabile, ò nò.
Mutabile dico esser la G, qua[n]do ella può mettersi innanzi,
& dopo la consonante, si come.
Piangi, & Piagni, Piansi.
Pungi, & Pugni, Punsi.
Immutabile allhora la chiamo, quando necessariamente hà
sempre il penultimo luogo nella seconda persona del
presente, come
Volgi, Volsi.
Porgi, Porsi.
Questa regola dichiaro procedere anchora in quê verbi,
dove nella detta seconda persona la G sottentra alla L
per si fatta maniera.
Togli, Tolsi. Sciogli, Sciolsi.
VOGLI fà VOLSI, & VOLLI, & il seco[n]do è più
suo proprio, che’l primo. mà oltra che io reputo questo
verbo straordinario, cio adviene per due rispetti.
Prima per la differentia del p[er]fetto di VOLGO, il quale
(come s’è veduto) fà propriamente VOLSI.
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Appresso più sottilmente considerando, ove la prima perso-
na del verbo non hà la G mutabile almeno nel penulti-
mo luogo, ivi no[n] ê suo p[ro]prio prendere nel perfeto la S.
però VOGLIO non potendo far VOLGO stante
il medesimo significato non dee similmente potere far
VOLSI. & se lo fà, lo fà men che p[ro]priamente. VOL-
LI adunque è suo proprio: nel che niente si muta, se no[n]
la figura dello scrivere. Imperoche la G nel mezzo del-
le sillabe posta innanzi la L con la I seguente hà molte
volte forza iguale ad una altra L, come parlando delle
lettere io dißi; ò pur diciamo, che ella si cangia in L, &
levasi la U di mezzo gettando il Diphthongo secondo
la regola da me mostrata di sopra, onde viene à farsi di
VUOGLI VOLLI.
Da togli, & sciogli si fà tolsi, & sciolsi, perche la prima vo-
ce di tai verbi acconciamente può metter la G nel penul-
timo luogo perdendo solamente la I, & facendo di To-
glio, Tolgo, & di scioglio, sciolgo.
In formare adunque cotali perfetti haßi da haver riguar-
do non pure alla seconda persona, onde si formano, mà
anchora alla prima p[er] sapere qual lettera, ò come s’hab-
bia da prendere, ò ritenere.
La N si muta, quando ella segue dopo la A, overamente la
O, come Rimani, rimasi. poni, posi. & quando anchora
segue dopo la R, si come scerni, scersi. Il Bocc. pare,
che nella Nov. di Tito lasciasse in terza persona scrit-
to. DISCERNE. Il che se cosi è, da credere è ancho-
ra, che dir si possa nella prima persona (& forse meglio
nelle prose), SCERNEI, & DISCERNEI. cosi
questo sie uno di quê perfetti, li quali hanno due fini.
/BEGIN PAGE 59v/
La R dopo una altra R in S si muta, come corri, corsi. soc-
corri, soccorsi.
De i verbi, che sotto questa regola stando due lettere mu-
tano, cosi mi spedisco.
Quelle, che si mutano, & le mutate anchora sempre son
consonanti.
La mutatione si fà nel penultimo luogo, come di sopra.
La SC in doppia BB si muta dopo la E, overame[n]te la O,
come cresci, crebbi. Conosci, conobbi.
Dopo la A truovo in queste due maniere di mezzo due es-
sempi soli. NASCI verbo straordinario, il quale fà
NACQUI. & PASCI, il quale fà PASCETTI
riducendosi nel quarto ordine de perfetti della seconda
qualità. NASCI dico essere straordinario havendo ri-
guardo al partecipio NATO, il quale non hà, donde si
formi, se non che vien dal latino.
La GG doppia in SS parimente dopia si muta: come leg-
gi, leßi. Distrugge, distrußi.
ORDINE secondo de perfetti della
seconda qualità.
Di quei perfetti, che restan pari di sillabe col presente, &
non dimeno sceman di lettere, facile è prestarne notitia.
Egli sono, come quei di sopra, di due sorti.
Alcuni mutano una lettera sola.
Altri ne mutan due.
Tutti igualmente una sola ne perdono.
Tutti anchora igualme[n]te dalla seco[n]da persona si formano.
Tutti in somma senza differentia hanno la semplice S per
ultima consonante.
Ove una sola lettera si muta, la D è dessa.
/BEGIN PAGE 60r/
La N precedente si perde.
Cio si fà quando la già detta seconda persona innanzi la N
D hà l’una di queste due vocali: E, & O, si come
Prendi, Presi.
Ascondi, Ascosi.
Più certa è la seconda regola, che la prima, impero che
della prima si cavan trè verbi, li quali altramente forma-
no i lor p[er]fetti. De gli due già si disse. del terzo diraßi al
suo luoco. Questi sono RENDI, il q[ua]l fà RENDEI.
Vendi. Vendei.
Et RISPLENDI, il q[ua]l fà RISPLENDETTI,
Hora in quê verbi, dove si mutano due lettere, & una si per-
de, mutasi una vocale, & una consonante.
La vocale è la E.
La consonante è di due TT l’una di loro.
L’altra T è quella, che si perde.
Cio si fà dove le gia dette consonanti in questo modo dupli-
cate seguono la predetta vocale nel penultimo luogo del
presente, si come. Metti, Misi. Prometti, Promisi.
Meßi anchora, & promeßi si dice, mà poeticamente
anzi che nò. Et io credo MESSI più conveniente per-
fetto essere di MIETO facendolmi credere il voca-
bolo della messe. Il che se cosi è, tal verbo cade nel nu-
mero de crescenti, & à mio guidicio nel numero an-
chora di quelli, che hanno due perfetti variandosi in
questo modo.
Meßi over metei, metesti, messe, over metè: metemmo, me-
teste, messero, over, messono, over meterono. Mà MES-
SI, come hò detto, tengo per più proprio.
ORDINE terzo de perfetti della seconda qualità.
/BEGIN PAGE 60v/
Seguon nel terzo luoco per ordine quê perfetti, che di silla-
be restan pari col presente, mà di lettere lo ava[n]zano. De
quali io cosi dico. Egli sono di trè sorti.
Alcuni senza più raddoppiano la consona[n]te del presente.
Alcuni appresso di quella pre[n]dono altra consona[n]te strana.
Alcuni mutan la p[ro]pria in altra, et la mutata raddoppiano.
Tutti del pari dalla seconda persona si formano.
Il luogo della duplicatione, del crescimento, & della muta-
tione è sempre innanzi l’ultima vocale.
La V consonante fà tutti & trè questi effetti.
Si raddoppia dietro la C overamente la O, si come.
Bevi, Bevvi.
Piovi, Piovvi.
Quel BEVI poco si scrive, mà in quel cambio BEI si
dice variandosi per si fatta maniera a tutto’l verbo.
Beo, Bei, Bee; Beiamo, Beete, Beono.
Beea, Bevvi, over Bebbi, havea bevuto, Berò, Beeßi, Bea,
Berei, & Bere.
PIOVVI similmente, & PIOVO in prima persona no[n]
si truova, se egli non s’introducesse Dio à parlare. mà
quel, che io dico farsi nella seconda persona di quê ver-
bi, che tutte & trè le voci hanno distinte, intendo, che
debba parimente farsi nella sola voce di quelli: che più
l’una non ne hanno, quali sono gl’impersonali. Per tan-
to poßiamo prendere ancora tale essempio.
Piove, Piovve.
La medesima V cresce dopo la R nel p[er]fetto di Paio co suoi
composti. Pari, Parvi. Appari, Apparvi. PARSI,
& APPARSI alla licentia de poeti si concedono.
Mutasi la V consonante in S ogni volta, che la I nel presen-
/BEGIN PAGE 61r/
te la precede, et quella S nel perfetto si raddoppia, come
Vivi, Vißi. Scrivi, Scrißi.
Oltra la V due consonanti sono, che senza più si raddoppia-
no D, & N.
La D presso la A cosi si raddoppia, cadi, caddi.
La N dopo il diphtho[n]go IE, il qual si perde, & riman la E
pura in questo modo. Tieni, Tenni. Vieni, Venni.
L’altra co[n]sona[n]te strana, che senza crescer di sillabe pre[n]do-
no alcuni verbi (eccetto PAIO co suoi co[m]posti) è la S.
Pro[n]donla quei verbi, che nella seco[n]da p[er]sona presente ha[n]no
la L se[m]plice inna[n]zi l’ultima vocale in q[ue]sto modo. vali, val-
si. cosi cale, calse. Tutto che q[ue]sto verbo p[er] ma[n]car d’alcuni
tempi sia straordinario, & Impersonale, come si vede.
Prendonla anchora quegli altri, che havendo più di due sil-
labe, hanno R semplice nel penultimo luogo continuata
ad una sillaba breve: come offeri, offersi. sofferi. soffersi.
Il primo di questi verbi può essere della seconda, et del-
la quarta maniera dicendosi OFFERERE, & OF-
FERIRE. L’altro è della quarta sola dice[n]dosi SOF-
FERIRE. Ciascun di loro è vario nel presente per si
fatta maniera. Offero, offro, & offerisco. soffero, soffro,
& sofferisco. et quelle regole, che io di sopra diedi de
verbi della quarta maniera in SCO terminanti, hanno
parimente luogo in OFFERISCO, in quanto ei si
vede essere della stessa maniera.
Mà che’n questi verbi la sillaba di mezzo sia breve indi si
conosce, che delle sillabe lunghe nel mezzo raro ò niu-
na mai s’accorcia con perder la propria vocale, se non
mutan la sillaba intiera in una lettera sola, come Horre-
vole in luoco di Honorevole. Dunque accorcia[n]dosi que-
/BEGIN PAGE 61v/
ste senza mutare, & perdendo la propria vocale dan
chiaro segno, che elle son brevi.
Le consonanti, che si mutano, & mutate si raddoppiano, so-
no quattro. C, G, M, & T.
Le mutate, & raddoppiate sono due: Q, & S.
La O si muta in Q dopo la A, overamente la O, & quella Q
si raddoppia, come Taci, Tacqui. Nuoci, Nuocqui. Il
Boccaccio nell’ultima Novella della quarta Giornata
lasciò scritto TACETTONO. Tuttavia TAC-
QUI è più in uso, che TACETTI.
In SS si mutano tutte le segue[n]ti lettere nel mo[do], che diremo.
La C dopo la I, overamente la U, come
Dici. Dißi. Conduci, Condußi.
La G dopo la I, come Figi, fißi. Affligi, afflißi.
La M dopo la E ne verbi della terza maniera, come premi,
preßi. Temi il quale fà Temetti, è della seconda.
Et è da sapere, che qua[n]tunque PREMO in formare il pre-
sente de suoi composti muti la E in I face[n]do ESPRI-
MO, & OPPRIMO: No[n] dimeno in formare il p[er]fetto
egli torna alla sua natura, & riprende le prime lettere
facendo ESPRESSI, & OPPRESSI.
Quinci potete co[m]prendere, che q[ue]llo, che io dico doversi fare
ne primi verbi, intendo parime[n]te, che debba farsi ne com-
posti, tanto più quando lettera alcuna non si muta.
In SS finalmente si muta la T dopo la O, si come Scuo-
ti, Scoßi.
ORDINE quarto de perfetti della seconda qualità.
I perfetti, che di lettere, & di sillabe crescon oltra il pre-
sente, sono di due sorti.
Alcuni crescon nel mezzo. Altri nel fine.
/BEGIN PAGE 62r/
Quelli, che crescon nel mezzo, cresco[n] di due lettere sole.
Quelli, che crescon nel fine, crescon di trè.
I primi son della quarta maniera, & si forman dalla secon-
da persona presente, la qual regge, come io dißi, i verbi
di quella maniera.
I secondi sono della seconda, & della terza maniera, et si
forman dalla terza persona presente, la quale è capo di
cosi fatti verbi.
Le lettere, che crescon nel mezzo, sono una vocale, & una
consonante. La vocale è la E.
La consonante è la S.
Queste due togliono la R nel mezzo, & la E se le mette in-
nanzi, la S dopo.
Cio si fà, quando la R dietro subito ad una, ò più consonanti
stà nel penultimo luoco del presente, si come
Apri Apersi. Cuopri, Copersi.
Diciamo anchora APRÌ, & COPRÌ crescendo so-
lamente l’accento grave alla detta seconda persona se-
condo la regola de perfetti di questa maniera da noi da-
ta di sopra. Mà cio si fa poeticamente.
Le lettere, che nel fin crescono, sono due consonanti, & una
vocale.
Le consonanti sono due TT legate insieme.
La vocale è la I.
Cio si fa generalmente in tutti quê verbi della seconda, &
della terza maniera de quali di sopra non s’è fatto par-
ticolar mentione. Mà in questi maggiormente.
Ove la D, ò la V consonante stà dopo la E, come.
Crede, Credetti. Riceve, Ricevetti.
Se ne cava VEDO co suoi composti, di cui già si disse.
/BEGIN PAGE 62v/
Dove stà la M dopo la medesima vocale ne verbi della se-
conda maniera, come Teme, Temetti.
Dove anchora stà la V predetta dopo la L come Risolve,
Risolvetti. Di VOLVO, SOLVO, et Dissolvo non
parlo, perche esse son voci del verso, & i lor perfetti si
formano da Volgo, Scioglio, et Discioglio, de quali di so-
pra s’è ragionato.
Concludo finalmente i verbi delle due maniere di mezzo,
maggiorme[n]te quei della seconda, essere per lo più dispo-
sti à ricevere questo fine. Di che prendo argomento da
quei due p[er]fetti, che di sopra veduto habbiamo; TAC-
QUI dico, et PROVIDI; li quali partendosi da que-
sta regola, vi tornano anchora sotto, facendo TACET-
TI, et PROVEDETTI, come io dißi. Et ne habbia-
mo l’autorità nella No. di Bergamino, et in quella dello
ama[n]te messo nell’arca. Appresso RISPLENDET-
TI no[n] prende egli questo fine parte[n]dosi dalla regola de-
gli altri verbi à lui simili? Questo è chiaro. Mà parreb-
be forse ad alcuno, che tai perfetti anchora potessono le-
gitimamente, formarsi dalla seconda persona presente
mettendo la E per vocale dinanzi le due TT, et interpo-
nendo tutte & trè quelle lettere unite innanzi l’ultima
vocale del verbo. Io à cio non contradico. Mà, come hò
detto altrove, l’intendime[n]to mio è di dare le regole più
universali, & meno intricate, che io possa.
Molto proprio fine anchora di cosi fatti verbi (della secon-
da cio è, et della terza maniera) è la EI, come si vede in
GODO, il quale fuor della regola sua fà GODEI: &
MORDO, il quale riceve[n]do due fini fà MORSI, &
MORDEI. DIEDI similmente, & DIEI. FECI,
/BEGIN PAGE 63r/
& FEI si dice. Mà delle prime persone de perfetti sia
detto assai. Torno, ove io lasciai il presente.
Della formatione del presente dimostrativo.
DELLE seconde, et terze persone del primo numero del
presente dimostrativo di ciascuna maniera di sopra
(quanto fù necessario) s’è ragionato mostrando, quale
debba essere il lor fine, & onde si formino. Resta, che
egli si parli del secondo numero.
Dalla già detta persona terza del primo numero nella pri-
ma maniera formansi tutte et trè quelle del secondo nu-
mero giugnendo alla prima MO nel fine, et interponen-
do la I dinanzi la A. Alla seconda giugnendo semplice-
mente TE. Alla terza semplicemente NO, in questo mo-
do. Noi speriamo. Voi sperate. Quelli sperano.
Puoßi anchora in ogni maniera la prima del secondo for-
mare dalla seconda del primo crescendovi AMO nel
fine, si come.
Speri. Speriamo.
Tu Temi. Noi Temiamo.
Ridi. Ridiamo.
Senti. Sentiamo.
In tutti i tempi, in tutti i modi, in tutti i verbi regola è sem-
pre vera, che i secondi numeri, si come à più persone co[n]-
vengono, cosi più sillabe richieggono. Già se n’è mostra-
to uno eße[m]pio, gli altri di mano in mano si mostreran[n]o.
Appresso in ogni tempo, modo, & maniera ê questa perpe-
tua differenza trà le seconde persone del primo numero,
et quelle del secondo, che quelle del primo in I, quelle del
secondo in E finiscono sempre sempre. veduto habbiamo
come egli si dice. tu speri, voi sperate. gli altri essempi,
/BEGIN PAGE 63v/
qui non raguno per essere infiniti.
In ciascun tempo anchora, & modo, & maniera di verbo
le prime, et terze persone del secondo numero in O fini-
scono, se non sono per accidente troncate, come Noi spe-
riamo, Quelli sperano.
Trà le due prime p[er]sone, & frà la terza del secondo nume-
ro è questa differenza inviolabile, ovunque si trovano,
che le due prime hanno l’accento sulla penultima, la ter-
za l’hà innanzi la penultima fuori quê tempi, & verbi,
che diremo.
Oltra di questo tutte le prime persone hanno la M p[er] pro-
pria consonante dinanzi l’ultima vocale, le seconde v’han-
no la T, le terze v’hanno la N fuori i perfetti della seco[n]-
da, & della terza maniera giunti con i presenti diside-
rativi in ogni verbo, come temettero, risero, sperassero,
temessero, ridessero, sentissero, & simiglianti, che la R si
vedono havere: Non dimeno sovente ella si muta in N, co-
me à suo luoco dimostreremo.
Quivi è da sapere per dichiaratione di queste due Regole,
che ultimamente hò dato, che le consona[n]ti M, & N alcu-
na volta si raddopiano, quantunque per lo più restino
semplici mà quando la N si raddoppia, allhora l’accen-
to, che innanzi la penultima dovea stare (come io dißi)
sulla penultima si trasporta: per ta[n]to è necessario sapere
dove ella si raddoppi, et dove nò. et dice[n]do di lei dirò an-
chora della M: conosciuta la ragio[n]e della duplicatio[n] lo-
ro si conoscerà poi similme[n]te, ove elle debban semplici
rimanere la M. si raddoppia nelle persone, che seguono.
Nelle prime p[er]sone del seco[n]do numero di qualunque p[er]fetto
dimostrativo, come sp[er]a[m]mo, teme[m]mo, ride[m]mo, sentimmo.
/BEGIN PAGE 64r/
Et nelle prime p[er]sone del medesimo numero nel te[m]po, che
io chiamo sciolto, come spereremmo, temere[m]mo. ridere[m]-
mo, sentiremmo. La N si raddoppia nelle terze perso-
ne del secondo numero di quê presentti dimostrativi, li
quali non hanno oltra due sillabe. Ne soviemmi in que-
sta regola altro essempio, che straordinario: come dan-
no, vanno, fanno, & stanno. se ne cava SONO.
Appresso ella si raddoppia nelle terze p[er]sone dell’istesso nu-
mero ne futuri dimostrativi, imperativi, et co[n]giuntivi, li
quali se[m]pre ha[n]no tutti et trè una medesima voce, si come
altri sperera[n]no. spereranno quelli. se quelli spereranno.
Cosi fatti tempi adunque hanno in tai persone l’accento
sulla penultima dovendolo ordinariamente havere in-
nanzi à lei.
Mà advien per lo co[n]trario talhora, che l’ordine si rompe
in quelle persone, ove l’accento suole stare sulla penulti-
ma. Impero che egli si trasporta sulla sillaba innanzi. Et
ciò si fa nella sola terza p[er]sona del secondo numero del-
l’imperfetto dimostrativo ne verbi delle trè seconde ma-
niere, dove ogni volta che la V consona[n]te propria di tal
te[m]po se ne leva (il che può farsi, come vedremo) l’accento
si tramuta antecipando, come hò detto, il suo luoco in
questo modo. Teméano. Ridéano. Sentíano.
I poeti alcuna volta si prendon licentia di terminare altra-
mente queste prime persone del secondo numero del pre-
sente dimostrativo dice[n]do SEMO, & HAVEMO in
cambio di siamo, & habbiamo. Mà cio truovo solamente
fatto ne verbi straordinari, li quali io non intendo di strin-
ger sotto regola alcuna.
Darò ben delle seconde p[er]sone una regola nuova, che dalle
/BEGIN PAGE 64v/
sopra dette depende, cio è che dove la prima persona hà
la M raddoppiata nel secondo numero, ivi la seconda
persona tanto nel primo, quanto nel secondo numero di-
nanzi la T prende la S in cotal modo. noi sperammo. tu
sperasti. voi speraste.
Noi spereremmo. Tu spereresti. Voi sperereste.
Altramente la T non si raddoppia giamai.
Mà seguitando più oltra delle seconde persone dico, che
non pur della prima maniera, di cui già s’è veduto, mà
delle seguenti anchora la seconda persona del secondo
numero presente dalla terza del primo si forma aggiu-
gnendovi TE per si fatta maniera.
Altri. Teme, Voi Temete
Ride, Ridete.
Nella quarta maniera ella si forma dall’altra seconda, come
Tu senti Voi sentite. La ragione è quella, che spes-
se volte s’è detto, che nelle trè prime maniere la terza p[er]-
sona, nella quarta la seconda governa. Et della quarta
maniera propria vocale di mezzo è la I.
La terza p[er]sona del seco[n]do numero ne presenti delle trè seco[n]-
de maniere de dimostrativi sempre si forma dalla prima
persona del primo numero aggiugnendovi NO, come.
Temo, Temono.
Io Rido, Altri Ridono.
Sento, Sentono.
Se ne cavano i verbi straordinarij, de quali pur dian-
zi hò dato alcuni essempi, come Sò, sanno. Hò hanno.
Vado, vanno.
Della formatione de gl’imperfeeti.
Di tutti gl’imperfetti la prima, et la terza persona del pri-
mo
/BEGIN PAGE 65r/
mo numero hà una voce medesima in ogni maniera. La
seconda in I termina senza altra differentia esser trà
loro. Dò gli essempi.
Sperava, Speravi, Sperava.
Io Temeva, Tu Temevi, Altri Temeva.
Rideva, Ridevi, Rideva.
Sentiva, Sentivi, Sentiva.
Dalla prima overo dalla terza sopradetta nel primo nu-
mero si formano le trè del secondo nel modo, che hò det-
to del presente, crescendo alla prima MO, alla seconda
TE, alla terza NO nel fine.
Io Sperava, Speravamo, Speravate, Speravano.
ove- Temeva, noi Temevamo, voi Temevate, altri Temevano.
ro al- Rideva Ridevamo, Ridevate, Ridevano.
tri Sentiva, Sentivamo, Sentivate, Sentivano.
Usasi ne gl’imperfetti delle trè seconde maniere gettar so-
vente la V posta dinanzi l’ultima vocale in queste per-
sone cosi.
Temea, Temeano. Ridea, Rideano.
Sentia, Sentiano.
Nelle prime, & seconde persone del seco[n]do numero mai no[n]
si getta. Nelle seconde del primo alcuna volta, mà raro,
et solamente nella seconda, & nella terza maniera secon-
do anchora l’uso de poeti.
Nella prima maniera in niuna persona, & in niun nu-
mero si getta.
Nella quarta maniera ê da sapere, che i prosatori nelle ter-
ze persone del secondo numero di questo tempo usano
il più delle volte scrivere la E dinanzi la N, quando la V
se ne leva, cosi dice[n]do: venièno. ferièno, & altri tali,
/BEGIN PAGE 65v/
la quale usanza è stata anchor da Poeti ricevuta, come
quando il Pet. disse.
Come venieno i miei spirti mancando. Et l’accento par che
si trasporti sulla penultima.
À simiglia[n]za di questi, quelli anchora della seconda et del-
la terza maniera hanno la E vocale di mezzo in I mu-
tata, & perdono la V consonante, cangiata la A seguen-
te in E, per si fatta maniera.
Havieno, in vece di Haveano.
Ponieno, Ponevano. & l’accento si met-
te, come di sopra.
Della formation de perfetti.
Io dißi di sopra ogni perfetto della prima persona termina-
re in vocale ò semplice ò doppia. Hor dico di quelli, che
in semplice vocale finiscono, ogni seco[n]da persona del pri-
mo numero formarsi da quella p[er]sona presente, che reg-
ge; cio è nelle due maniere di mezzo, dalla terza p[er]sona;
nella quarta, dalla seconda: aggiugnendo a ciascun di lo-
ro STI nel fine, in questo modo.
Teme, Temesti.
Ride, Ridesti.
Vieni, Venisti.
Apri, Apristi.
Le seconde p[er]sone di quei perfetti, li quali finiscono in dop-
pia vocale, dalla sua prima si formano mettendo la ST
frà le due vocali del fine, per si fatta maniera.
Sperai, Sperasti.
Perdei, Perdesti.
Udii, Udisti.
Questa à me pare la più convenevole formatione di tal p[er]-
/BEGIN PAGE 66r/
sona, che far si possa. Impero che oltra che egli si segui-
ta la division fatta da prima de perfetti, egli anchora si
vengono à fuggire tutte le eccettioni, che necessarie sa-
rebbono ad fare p[er] la mutation, che delle lettere del pre-
sente si fà talhora; come odi, udisti; ò per lo perdimento
di quelle; come impallidisci, impallidisti.
Per questa ragion medesima hò posto sotto una regola so-
la tutte le seco[n]de persone de primi perfetti (cio è di quel-
li, che hanno la semplice vocale nel fine) tutto che due di-
stintioni soggiugner vi poteßi. Imperoche quei perfetti,
che nel fin della prima persona crescon di lettere, & di
sillabe oltra il presente, ponno con pochißima mutatione
formare la seconda lor persona cangiando la prima T
sola in S à questo modo. Credetti. Credesti. Oltre di
cio quegli altri perfetti, che due fini si vedono havere, ò
sia l’uno in semplice vocale, & l’altro in doppia, come
MORSI, & MORDEI, ò sia l’uno, & l’altro in sem-
plice, come APERSI, & APRÌ: molto ben pon-
no la seconda lor persona da se steßi formare, ò dal
presente, come.
Morde, Mordei, Mordesti.
Apri, Aprì, Apristi.
Mà come hò detto, io mi sono ingegnato schivar tutte l’ec-
cetioni à mio potere. Tanto più, che’n questo ultimo
essempio APRÌ conveniva l’accento grave muta-
re in acuto dovendo formarne Apristi. Cosi chi da
VENNI havesse voluto formar VENISTI, bi-
sognava lasciar l’una delle consonanti di mezzo: dove
formandolo dal presente, la I sola del Diphthongo si
lascia; il qual Diphthongo ad ogni modo perder si do-
/BEGIN PAGE 66v/
veva, poi che l’indefinito nol serba, secondo la regola da
me data altrove.
Cavo in tutte le regole fuori le persone de verbi straordina-
ri, come Desti. Stesti. Sapesti. Et simiglianti, li quali co-
me che mostrino talhora in alcuna persona, ò tempo
star sotto le regole de i più, tuttavia non hanno fer-
meza alcuna.
Hora in formar le terze p[er]sone del primo numero de p[er]fet-
ti io dò queste regole generali, et prendo quella via, che
mi par più facile distinguendo secondo le maniere.
La medesima voce, che ogni verbo della prima maniera si
vede havere nella prima persona del presente, halla an-
chor nella terza del passato solamente con l’aggiugne-
re à questa ultima l’accento grave nel fine in questo
modo. Io Spero. Altri Sperò.
Nelle due maniere di mezzo la terza persona, della qual
noi parliamo, sempre si forma dalla sua prima, mà di-
versamente.
Se la prima persona termina in semplice vocale, quella sola
vocale, che è la I, si muta in altra, che è la E, p[er] tal modo.
Temetti, Temette.
Risi, Rise.
Se la prima persona in doppia vocale finisce, in queste due
maniere non può cadere altro fine, che della EI, quel fi-
ne adunque si spezza, & tolta l’ultima vocale rimane
l’altra con l’accento grave sopra in questa guisa.
Perdei. Perdè. I poeti quello acce[n]to mutano alcuna vol-
ta nella O facendo PERDEO, & simiglianti.
Nella quarta maniera anchora ogni terza persona del p[er]-
fetto dalla sua prima si forma, mà diversamente, come
/BEGIN PAGE 67r/
dell’altre due è stato detto.
Se la prima persona in semplice vocale finisce, la terza indi
si forma mutando l’ultima vocale, come di sopra.
Venni, Venne.
Apersi, Aperse.
Se la prima termina in due vocali, elle son in questa ma-
niera sempre due II, l’ultima vocale senza più si mu-
ta in O, come.
Sentii. Sentío.
Et l’accento, come prima, resta sulla penultima. vero è,
che quando con l’accento grave sopra una sola vocale
si manda fuori la prima persona di tai perfetti, quella
voce medesima col medesimo accento serve anchora alla
terza persona in questo modo.
Io, overo altri Aprì, Cio è Apersi, Overo Aperse.
Sentì, Sentii. Sentío.
Per le ragion premostrate di fuggire ogni mutatione, &
perdimento di lettere, et ogni altra confusione, quanto
si può, dico in ogni maniera igualmente formarsi la
prima, & la seconda persona del perfetto nel seco[n]do nu-
mero dalla seconda del primo col mutar nella prima le
trè ultime lettere, che sono STI, in trè altre, che sono
due MM con la O seguente, si come.
Sperasti, Sperammo.
Temesti, Tememmo.
Ridesti, Ridemmo.
Sentisti, Sentimmo.
Chi d’altro tempo volesse formar questa persona, dall’altra
simile nell’imp[er]fetto à mio giudicio dovrebbe formarla
mutando la penultima sillaba di quella in una M, come
/BEGIN PAGE 67v/
Speravámo, Sperammo.
Temevámo, Tememmo.
Ridevámo, Ridemmo.
Sentivámo, Sentimmo.
La seconda dall’altra seconda si forma cangiando solamen-
te l’ultima vocale I, che è propria del primo numero, nel-
la E, che è propria del secondo, cosi
Sperasti, Speraste.
Temesti, Temeste.
Ridesti, Rideste.
Sentisti, Sentiste.
Questa d’altronde non si può meglio formare.
La terza varie più di tutte l’altre formationi riceve, mà io
penso ad assai certezza ridurle con tali considerationi.
Hannosi da considerare in lei due fini, co quali ella avanza
la persona, onde si forma.
Il primo è d’una sillaba sola, che è RO.
Il secondo di due, che è RONO.
Quel primo fine è proprio infallibilmente di tutti i per-
fetti, che in semplice vocale finiscono nella prima p[er]sona.
Et questa terza, della qual noi parliamo, dall’altra ter-
za si forma, aggiugnendovi senza più la sillaba già
detta, come
Temette, Temettero.
Rise, Risero. Aperse, Apersero.
Quell’altro fine è indifferentemente di qualunque perfet-
to nella prima persona termina in doppia vocale, mà da
varij luochi si formano.
Ove il perfetto termina in AI (la qual cosa si fà ne verbi
come è detto, della prima maniera) ivi la terza persona
/BEGIN PAGE 68r/
del secondo numero del perfetto si forma dalla terza
del primo numero del presente crescendovi le due silla-
be predette, in questo modo.
Altri spera. Altri sperarono.
Ove il perfetto termina in EI, (& cio adviene nelle due
maniere di mezzo) ivi ella si forma nel medesimo mo-
do, come
Altri perdè. Io perdei. Altri perderono.
L’accento grave, che stà sopra la terza del primo nu-
mero del perfetto in questi verbi, mi persuade à formar
questa altra più tosto dalla terza presente, che da lei,
per fuggire il perdimento di tale accento, da che può
farsi senza contrasto.
Ove il perfetto termina in II solo fine della quarta ma-
niera, ivi per lo più breve modo dico non doversi al-
cun riguardo havere all’accento, benche si perda, mà
formarsi la terza persona del secondo numero dalla
terza del primo getta[n]do quello acce[n]to (il quale intendo,
che ad ogni modo scacciato l’altro fin del tutto vi sia)
et aggiugne[n]dovi le predette due sillabe, in questo modo.
Altri sentì. Altri sentirono.
Chi questa terza persona del secondo numero del perfet-
to volesse formar dalla terza del medesimo numero
dell’imperfetto mutando la penultima sillaba di quella
nella penultima di questa, io nol dannerei. Anzi que-
sta formatione accompagnerei con quella, che poco dian-
zi io dißi potersi far della prima persona di questo me-
desimo numero, & tempo. Di che solo basteranno due
essempi.
Noi speravámo, Sperammo. Altri Speravano, Sperarono.
/BEGIN PAGE 68v/
Noi Sentivàmo, Sentimmo. Altri Sentivano, Sentirono.
Di queste terze persone, che in RONO finiscono, è lecito
troncare alcuna volta una lettera sola, alcuna due, et al-
cuna altra trè in questo modo.
Speraron, Sperâro, & Sperâr In vece di Sperarono.
Sentiron, Sentîro, & Sentîr Sentirono.
Allhora è necessario sopra le due ultime l’accento misto
di cui à suo luogo dicemmo.
Et è da sapere, che tai gradi di mutatione solo han luogo
ne verbi della prima, & della quarta maniera, li quali
in AI, & in II finiscono la prima p[er]sona del lor perfet-
to. cio mostrano gli essempi di sopra dati. Nella seco[n]da,
& terza maniera, tutto che quê verbi, che in EI finisco-
no il lor p[er]fetto, habbiano la p[er]sona (di cui noi parliamo)
simile, mentre è intiera, à questi altri, non dimeno à lei
non par, che tante mutationi sì convengano, mà la prima
sola cosi. Perderon in vece di Perderono.
Le terze persone del secondo numero de perfetti, che in
RO finiscono ordinariamente, nel verso molte vol-
te perdon l’ultima vocale, & la R mutano in N per si
fatta maniera.
Piacquen, In vece di Piacquero.
Risen, Risero.
Mà dinanzi la V consonante tal mutatione non si fà gia-
mai. onde il Pet. Beati gli occhi che la vider viva.
Nelle prose elle s’accorcian talhora nel medesimo modo,
& mutansi bene & spesso anchora di R in N, mà di più
la E precedente in O si muta, & faßi Temettono, in vece
di Temettero.
/BEGIN PAGE 69r/
Risono, in vece di Risero.
Piansono, Piansero.
Piacquero nelle prose sta sempre saldo, & più sovente
i perfetti della terza maniera, che quei della seconda si
mutano.
Per conclusione finalme[n]te de perfetti dò questa regola, che
ove la prima persona del p[er]fetto hà più fini, ivi due altre
sole persone la seguono prendendo anche elle più fini.
Queste sono amendue le terze del primo, & del secondo
numero. Dò l’essempio. Mordei, over morsi. Mordette
over morse. Mordettero, over morsero. Cosi mordetto-
no anchora, & morsono.
Aprì, & Apersi. Aprì, et Aperse. Aprirono, et Apersero.
Cosi Apriron, Aprîro, & Aprîr, & Apersono anchora.
Le seconde persone dell’uno, & l’altro numero, & la prima
del secondo mai più d’un solo fine non hanno, ne mai s’ac-
corciano. Di che si rende la ragione, percio che elle
con più lettere finiscono l’ultima loro sillaba. & tai vo-
ci non si sogliono abbreviare, come nelle regole univer-
sali fù detto.
L’altra prima, & le due terze s’accorciano quelle volte,
& in quê modi, che s’è detto non una volta sola; spetial-
mente ne gli accenti.
Della formatione del futuro.
De futuri la formatione è facile. Dißi di sopra propria lor
consonante essere la R, & ogni prima persona in Ò ter-
minare con l’accento grave in qualunque maniera. Hor
dico durante la medesima consonante ogni seconda per-
sona nel primo numero in AI, ogni terza in À con l’ac-
cento parimente grave finire.
/BEGIN PAGE 69v/
La seconda dalla prima si forma mutando l’ultima vocale,
& l’accento di quella nelle due vocali, che si son dette,
in questo modo.
Sperarò, Sperarai. Temerò. Temerai.
Riderò, Riderai. Sentirò. Sentirai.
La terza dalla seconda si forma tornando à cangiar l’ulti-
ma di quelle due vocali, che hà la seconda, nell’accento
della prima, per si fatta maniera. et cosi di tutti i verbi.
Sperarai, Sperarà.
Diciamo anchora, che la terza dalla prima formar si possa
mutando solamente l’ultima vocale, la qual si vede esser
propria della prima, cio è la Ò nell’altra, che sua pro-
pria esser si vede, cio è la À, durante nell’uno, et l’altro
luoco il medesimo accento: come
Sperarò, Sperarà. Temerò, Temerà.
Le due prime persone del secondo numero non veggio, on-
de meglio formar si possano (vole[n]do fuggire ogni per-
dimento, & mutatione di lettere,) che dall’indefinito, cre-
scendo in ogni maniera nel fin della prima persona MO,
della seconda TE, si come
Sperare, Speraremo, Sperarete.
Temere, Temeremo, Temerete.
Ridere, Rideremo, Riderete.
Sentire, Sentiremo, Sentirete.
La terza si forma dall’altra terza del primo crescendovi
NO nel fine, mà con la NN duplicata, percio che l’ac-
cento grave in una di quelle viene à mutarsi, havendo
(come altre volte hò detto) forza iguale non pure
ad una lettera, mà anchora ad una sillaba. Dò gli
essempi.
/BEGIN PAGE 70r/
Sperarà, Speraranno.
Temerà, Temeranno.
Riderà, Rideranno.
Sentirà, Sentiranno.
De futuri trè regole son da sapere.
La prima è, che in tutte le persone & numeri della pri-
ma maniera la A, che stà dinanzi la R, il più delle volte
in E si muta, cosi dicendo.
Spererò, Spererai, Spererà.
Spereremo, Spererete, Spereranno.
& cosi in tutti i verbi simili.
La seconda regola è, che delle trè seguenti maniere ogni vol-
ta, che quella persona presente, onde il futuro si forma,
hà nel penultimo luogo la D, la R, overamente la V
consonante: la vocale, che doverebbe seguire, per lo
più si tace (maggiormente nel verso) legando imman-
tenente la consonante del futuro, che è la R, con quella
del presente, cio è l’una delle già dette in cotal modo: il
che è figura.
Vede, Vedrò. Vedrai.
Soffere, Sofferrò. Sofferrai.
Vive, Vivrò. Vivrai. & cosi di mano in mano
POTRÒ anchora si dice in cambio di POTE-
RÒ, benche tale verbo reputi, come hò detto altrove,
straordinario.
La terza & ultima regola è, che nelle due maniere di mez-
zo qual hora la persona del presente, onde il futuro
si forma, hà per ultime lettere GLIE, in tai verbi il
futuro cangia tutta quella sillaba in una lettera sola, rad-
doppiando cosi la propria consonante, & prendendo
/BEGIN PAGE 70v/
l’accento misto nel mezzo.
Coglie, Côrrò.
Toglie, Tôrrò.
Nella formation di questi futuri salvo sempre le regole, che
già diedi de verbi in SCO terminanti, come IMPAL-
LIDISCO, & di quelli, che hanno la prima lettera
mutabile, come ODO, & ESCO. Impero che ove l’in-
definito (à cui si dee haver riguardo) non ritiene la SC,
ivi il futuro non l’havrà. Però da IMPALLIDI-
RE diremo IMPALLIDIRÒ et ove sono le let-
tere mutabili, ivi quella si prende, che l’indefinito si vede
havere. Però da UDIRE, UDIRÒ: da USCIRE,
USCIRÒ si forma:
Della formatione del presente disiderativo.
Benche di sopra habbia detto il presente disiderativo for-
mare la sua prima persona dalla terza presente nelle
trè prime maniere, nella quarta dalla seconda: Tutta-
via qui mi piace considerando di continuo, come io fug-
ga le mutatione, & i perdimenti, che già tante volte hò
detto, delle lettere darne nuove, & più salde regole. À
formare adunque la prima persona del presente diside-
rativo consiglio, che egli si riguardi sempre il perfet-
to dimostrativo.
Quê verbi, il cui perfetto in vocale semplice finisce, forme-
ranno la prima persona del disiderativo della lor terza
presente nel modo, che allhora si disse, & torno ad ar-
reccarne gli essempi.
Teme, Temeßi. Volge, Volgeßi.
Ride, Rideßi.
Quê verbi, che due vocali hanno per fine del lor perfetto,
/BEGIN PAGE 71r/
indi formeranno il disiderativo mettendo due SS frà
quelle due vocali in questo modo.
Amai, Amaßi. Perdei, Perdeßi.
Udij, Udißi.
Impallidij, Impallidißi.
La seconda persona di questo tempo è la medesima con
la prima.
La terza dall’una delle due prime si forma, mutando l’ulti-
ma lor vocale in E cosi.
Speraßi io, Speraßi tu, Sperasse quegli,
Temeßi io, Temeßi tu, Temesse quegli.
Rideßi io, Rideßi, tu Ridesse quegli.
Sentißi io, Sentißi tu, Sentisse quegli.
La prima del secondo numero anche ella si forma dall’una
delle due simili sopra dette giugnendovi NO nel fine.
Speraßi io, over tu, speraßimo noi.
Temeßi io, over tu, temeßimo noi; et cosi i[n] ciascu[n] verbo.
La seconda è quella stessa, che è la seconda del perfetto di-
mostrativo nel medesimo numero, come.
Voi speraste, Dio volesse che voi speraste.
La terza dall’altra sua terza si forma crescendovi nel fine
RO, come sperasse quello, sperassero quelli.
I poeti usano scrivere questa persona cosi. SPERAS-
SEN, TEMESSIN, & simiglianti, quasi che ella in
tal guisa con più leggiadria, & con maggior dolcez-
za si mandi fuori.
I prosatori SPERASSONO, & TEMESSONO
co gli altri simili usano moltißime volte ritornandosi al-
la N cosi in questo, come anchora nel perfetto dimostra-
tivo. Tanto ê vero, che la N è propria consonante nelle
/BEGIN PAGE 71v/
terze persone del secondo numero in ogni tempo.
Mà egli è da sapere, che’n cotali persone ogni volta che la
R si muta in N, ò sia nel perfetto, ò in qualunque altro te[m]-
po, la prosa ricerca sempre, che la vocale precedente in
O si cangi. Il che per gli essempi di sopra dati s’è vedu-
to, ove del verbo anchora s’è detto.
Della formatione del futuro del disiderativo.
Di questo futuro tutte & trè le persone del primo nume-
ro stanno regolatamente sotto una voce sola in ogni
maniera, come
Speri.
Dio voglia che io, tu, overo altri Tema.
Rida.
Senta.
Et sono quelle stesse con la terza persona del primo nu-
mero dell’imperativo in qualunq[ue] maniera, come vedremo.
I poeti nella prima maniera si prendon licentia di muta-
re à lor piacere ogni simil voce nel fine in E, la qual co-
sa non è senza figura: si come tu spere, spere colui, pur
che io spere, & quantunque io spere.
I prosatori d’altra parte, non pure i poeti, nelle trè se-
Et guenti maniere mutano in questo tempo la A posta nel
fine, in I, mà nella seconda persona sola; come pur che
tu temi, ridi, senti.
Se la C, overamente la G stà nel penultimo luogo di ta-
le persona mutandosi la A in I, l’aspiratione se le mette
innanzi: come Dio voglia che tu vegghi, dichi, ponghi,
& conoschi.
Allhora questa I mutata credo che poeticame[n]te possa in E
cangiarsi à sembianza de verbi della prima maniera.
La ragione, perche l’aspiratione frà le due consonanti già
/BEGIN PAGE 72r/
dette, & la I mutata si traponga, è quella, che per terza
regola io diedi parlando dell’aspiratione, cio è per man-
tenere in sua forza quelle consonanti.
La prima persona del secondo numero in questo tempo è
la medesima con la prima dello stesso numero del pre-
sente dimostrativo. Però diciamo.
Noi speriamo, Et Dio voglia che noi Speriamo.
Noi temiamo, Temiamo.
DELLA seco[n]da persona (la cui formatione alqua[n]to è più
difficile) dovete sapere, che la A è sua p[ro]pria vocale nel
fine della penultima sillaba, mà con la I sempre inna[n]zi.
Nella prima, et nella quarta maniera ella si forma dalla se-
conda del secondo numero del presente dimostrativo.
Et perche la A è propria lettera della penultima sillaba nel-
la prima maniera, ivi s’accresce la I, in questo modo.
Voi sperate. Dio voglia che voi speriate.
D’altra parte con cio sia cosa che la I sia propria vo-
cale punultima nella quarta maniera, ivi la A vi s’accre-
sce talmente. voi sentite, udite, & impallidite.
Dio voglia che voi sentiate, udiate, & impallidiate.
Nelle due maniere di mezzo, perche nella detta p[er]sona del
dimostrativo no[n] è alcuna di queste due vocali, la p[er]sona
(di cui io parlo) si forma dalla voce comune à tutte &
trè le p[er]sone del suo primo numero mettendo la I dinan-
zi la A, et giugnendovi nel fine TE, in cosi fatta guisa.
Dio voglia che io, tu, overo altri Tema.
Rida.
Dio voglia che voi Temiate.
Ridiate.
/BEGIN PAGE 72v/
La terza persona di questo numero è una medesima con la
terza del medesimo numero nel presente Imperativo.
Mà per non essersi anchora di lui parlato dico, che ella
si forma in ogni verbo dall’una delle trè del suo primo
numero crescendovi NO cosi nel fine.
Speri.
Tema.
Dio voglia che io, tu, overo altri Rida.
Senta.
Oda.
Impallidisca.
Sperino.
Temano.
Dio voglia che coloro Ridano.
Sentano.
Odano.
Impallidiscano.
Quivi è da saperer che usandosi accompagnare col diside-
rativo quegli affetti, che’l disidero esprimono, diciamo
spesse volte Dio voglia che. Piaccia à Dio che. Mà
perche in formar questi adverbi concorre una mesco-
lanza di varie voci, & v’entra dentro il verbo; quinci ad-
viene, che egli si fà differenza dall’uno tempo all’altro.
Col presente, & col perfetto diciamo Dio volesse che, et
piacesse à Dio che: pigliando à punto del verbo VO-
GLIO, over PIACCIO quella voce, che à simil te[m]-
po si conviene: col futuro diciamo Dio voglia che, &
piaccia à Dio che. Simile advertimento habbiamo nello
acco[m]pagnare al congiuntivo CON CIO SIA CO-
SA
/BEGIN PAGE 73r/
SA CHE, et CON CIO FOSSE COSA CHE.
Mà di questo non dopo molto diremo.
DELLA formatione dell’impe-
rativo presente.
Mi s’appresenta l’imperativo, & il congiuntivo, de quali
mi riserbai dopo tutti gli altri modi à dover far paro-
le. De secondi tempi dell’infinito ragionerò col più
che perfetto.
Nel primo numero del presente imperativo sono intra se
differenti la prima, & le trè seconde maniere.
La prima maniera usa la terza voce del presente dimostra-
tivo per seconda del presente imperativo, & la seconda
per terza in questo modo.
Altri spera, Spera tu.
Tu speri, Speri quegli.
L’altre trè maniere hanno una voce medesima nelle secon-
de persone in amenduni i luoghi, si come
Tu temi, Temi tu.
Tu ridi, Ridi tu.
Tu senti, Senti tu.
La terza poi dell’imperativo formano dalla sua seconda
mutando l’ultima vocale, che è la I, in altra, che è la A.
Dò gli essempi.
Temi tu, Tema colui.
Ridi tu, Rida colui.
Senti tu. Senta colui.
Cosi vengono tutte et quattro le maniere ad haver la ter-
za persona del primo numero del presente imperativo si-
mile del tutto à quelle del primo numero dello adveni-
re disiderativo, come io dißi.
/BEGIN PAGE 73v/
Nel secondo numero di questo presente imperativo tutte le
maniere s’accordano in havervi per prima & seconda
persona quelle voci medesime, che hà in tal luogo il pre-
sente dimostrativo, si come.
Noi speriamo, Speriamo noi.
Voi sperate, Sperate voi.
Noi temiamo, Temiamo noi.
Voi temete, Temete voi.
Noi ridiamo, Ridiamo noi.
Voi ridete, Ridete voi.
Noi sentiamo, Sentiamo noi.
Voi sentite, Sentite voi.
La terza persona di questo numero si forma sempre dalla
terza del primo crescendovi NO nel fine: Et cosi vie-
ne ad esser la medesima voce con la simigliante perso-
na nel futuro del disiderativo, si come io dißi. eccovi
gli essempi.
Speri quello, Sperino quelli.
Tema quello, Temano quelli.
Et cosi in ciascun verbo.
Regola de gl’imperativi Thoscani, è che la seconda p[er]sona
del primo numero del presente non comporti appresso
di se la negativa, mà in quel cambio l’indefinito presente
s’usi in questo modo.
Non sperare. Non temere, & altri tali.
Il futuro dimostrativo et l’imperativo hanno le stesse voci
levatone la prima persona del primo numero del dimo-
strativo, la quale l’imperativo non può havere, come di-
cemmo in altro luoco, & messo la voce principale dietro
l’imperativo, si come co[n]vien fare il più delle volte, mag-
/BEGIN PAGE 74r/
giormente quando l’imperativo ò presente, ò futuro che
sia, solo si proferisce nel modo, che io hò già fatto dan-
dogli essempi del presente, & hor farò dando quelli del
futuro. De quali però stimo, che arreccarne un solo
debba essere assai.
Spererai tu, Spererà quello.
Spereremo noi, Spererete Voi, Spereranno quelli.
Della formatione del Congiuntivo:
Il congiuntivo dißi essere un modo tutto poco men che im-
prestato, percio che egli à pena hà uno tempo solo,
che sia suo proprio; & quello anchora non è ben suo
proprio, come vedremo. il presente suo nell’uno, et l’altro
numero è quello stesso collo advenire nel disiderativo.
Però diciamo. Quantunque io, tu, overo altri speri, &
spere poeticamente.
Noi speriamo, Voi speriate, Altri sperino,
Quantunque io tema, tu tema, over temi, altri tema.
Noi temiamo, Voi temiate, Altri temano. et cosi per cia-
scun verbo.
L’imperfetto suo è il medesimo col presente del disiderra-
tivo, Quantunque io speraßi, Tu speraßi, Altri sperasse.
Noi speraßimo, Voi speraste, Altri sperassero, overo spe-
rassono, & sperassen poeticamente.
Sotto questo tempo anchora par, che cada quello, che io hò
detto proprio essere del congiuntivo, mà di lui parlerò
più di sotto.
Il perfetto, il più che perfetto, & il futuro di questo modo
in ogni verbo attivo, & neutro si forman con il parte-
cipio lor passato acco[m]pagnato col verbo HAVERE, Ò
ESSERE in questo modo. Al perfetto si dà il tempo
/BEGIN PAGE 74v/
presente del congiuntivo.
Quantunque io, tu, overo altri habbia sperato, & sia per
isperare. Noi habbiamo sperato, & siamo per isperare,
Voi habbiate sperato, & siate per isperare, Altri hab-
biano sperato, & sieno per isperare. Al più che perfet-
to si dà l’imperfetto.
Quantunque io, over tu haveßi sperato, Altri havesse spe-
rato, Noi haveßimo sperato, Voi haveste sperato, Altri
havessero sperato, overo havessono, overo haveßin spe-
rato. & si può dire in ogni persona, & numero SPE-
RATO, à SPERARE, & per ISPERARE
cosi nel tempo già detto, come nel seguente, che è il futu-
ro, à cui si dà l’altro futuro.
Quando, overo se io haverò sperato, tu haverai sperato,
altri haverà sperato. Noi haveremo sperato. Voi have-
rete sperato. Altri haveranno sperato.
Questo futuro tal volta s’usa in guisa, che dimostrativo
par che sia, non accompagnando seco niuna congiuntio-
ne, come quando diciamo. Io haverò sperato: Nondime-
no chiaro si conosce, che egli è congiuntivo, perche sen-
za altro intendervi non si compie con queste parole
alcun ragionamento.
Il tempo, che io dißi parer, che cadesse sotto l’imperfetto,
è tale. Io spererei, et poeticamente spereria. Noi sperere[m]-
mo, Voi sperereste, Altri spererebbero, ò spererebbono,
ò spererièno, & poeticamente spererebben. & cosi di
verbo in verbo.
À questo tempo egli non si dà mai ne adverbio, ne con-
giuntione alcuna davanti, mà cosi, come io hò mostrato,
/BEGIN PAGE 75r/
semplicemente si manda fuori. Però io dißi correggen-
domi tale tempo, advegna che secondo l’universale opi-
nione nel Congiuntivo solo si truovi, non dimeno non es-
sere anchora ben suo proprio.
Imperfetto è egli certo, perche niente pone in essere, mà
non di quella sorte d’imperfettione, che sono i propri
imperfetti, li quali di cosa comminciata, mà non finita si
soglion dire, come io sperava. quantunque tu temeßi,
& simiglianti. Questo di cosa à niun patto comminciata
si dice. Però egli si dee chiamar più tosto tempo sospeso,
over conditionale, overo impedito, che altramente.
Appresso egli dimostra pianamente da se stesso quel,
c’huom intende di dover dire, come I canterei d’amor.
Ne più perder dovrei.
Et più oltre anchor considero, che egli con niun modo si
congiugne, quando s’hà da congiugnere, se non col mo-
do medesimo del congiuntivo, sotto’l quale fino à qui
s’hè creduto, che egli stia. Et cio te[n]nero gli scrittori del-
l’altre lingue anchora ne tempi loro, che à questo rispo[n]-
dono. Mà io per le ragion premostrate concludo à mio
giudicio questo cader più tosto sotto’l modo dimostra-
tivo, che sotto’l congiuntivo: & tengo, che esso ragione-
volmente si debba chiamar tempo sciolto, overo sesto
tempo à guisa del settimo caso de nomi latini, de quali
noi ne partecipij diremo. Gli essempi, come egli si con-
giunga, son tali.
S’io credeßi per morte essere scarco
Del pensier amoroso, che m’atterra,
Con le mie mani havrei già posto in terra,
Queste membra noiose, & quello incarco.
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Se’l sasso, ond’è più chiusa questa valle,
Di che’l suo proprio nome si deriva,
Tenesse volto per natura schiva
À Roma il viso, & à Babel le spalle;
I miei sospiri più benigno calle
Havrian per gir, dove lor speme è viva.
Chi niega, che egli non si possa usare senza la conditione
tacita, overamente espressa, espressamente dice contra il
Pet. in infiniti luoghi, maggiormente nella canzone de
gli sco[n]giuri ove habbiamo#senza il qual morrei#For-
se’l farei, & molti altri essempi. Quando io lo chiamo te[m]-
po sospeso, over conditionale, overo impedito, hò riguar-
do all’effetto suo. la convenie[n]za non dimeno che egli hà
collo imperfetto, si conosce in questo, che l’imperfetto tal
hora in suo cambio s’usa, mà non l’imperfetto del con-
giuntivo, anzi quello del dimostrativo. il che conferma
in parte le mie ragioni.
Sentite il poeta Thoscano.
Se l’honorata fronde, che prescrive.
L’ira del ciel, quando’l gran Giove tuona,
Non m’havesse disdetta la corona,
Che suole ornar, chi poetando scrive:
Iera amico à queste vostre dive. cio è sarei stato.
Resta che noi vediamo, onde, et come questo t[e]mpo si formi.
Io’l formerei dall’indefinito, mà l’indefinito ordinariamen-
te non s’accorcia, tutto che’l Petrar. dicesse#Rompre
ogni aspro scoglio. Mà tal parlare è figurato & fù li-
centia poetica anzi che nò, & forse per inasprare quel
verso disdegnosamente per quel che segue,
Et hà si eguale à le bellezze orgoglio,
/BEGIN PAGE 76r/
Che di piacer altrui par, che le spiaccia.
Io per ta[n]to lo formo dal futuro del dimostratino, & ò sia il
futuro intiero, ò accorciato, muto l’ultima vocale di
quello, che è la O nella penultima di questo, che è la E,
& l’accento di quello nell’ultima vocale di questo, cio è
nella I, cosi fattamente.
Spererò, Spererei.
Io Vedrò, Vedrei.
Vivrò, Vivrei.
Morrò, Morrei.
La seconda persona della sua prima si forma crescendo la
ST frà le due ultime vocali,
Io Spererei, Tu Spereresti.
Vedrei, Vedresti.
La terza si forma dalla seconda mutandone le trè ultime in
trè altre, cosi.
Tu Spereresti, Altri Spererebbe.
Vedresti, Vedrebbe.
Delle voci poetiche non parlo: speraria, & vedria.
La prima del secondo numero si forma dalla prima del me-
desimo numero nel futuro dimostrativo doppia[n]do sola-
mente la consonante nel penultimo luogo, si come
Noi Spereremo, Spereremmo.
Vedremo, Vedremmo.
Overo si forma dalla seconda del suo primo mutando le
due penultime consonanti in altre due, & l’ultima voca-
le in una altra, cosi.
Tu Spereresti, Noi Spereremmo.
Vedresti, Vedremmo.
La seconda del secondo numero dalla seconda del primo si
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forma mutando l’ultima vocale propria di quel numero
nell’altra vocale propria di questo, si come
Tu Spereresti, Voi Sperereste.
Vedresti. Vedreste.
La terza dall’altra terza si forma crescendovi nel fine
RO per si fatta maniera.
Altri Spererebbe, Altri Spererebbero.
Vedrebbe, Vedrebbero.
In formare SPEREBBONO, overo SPEREREB-
BEN si servan le regole, che io hò dato di sopra ne p[er]fet-
ti dimostrativi, & ne presenti disiderativi.
SPERARIENO dalla poetica voce SPERARIA
si forma mutando l’ultima A in E; della quale par, che
assai sovente le prose più sien vaghe, che della A, tutte le
volte che la I precede; come io mostrai ne sca[m]biamenti
delle vocali, & dißil nelle terze persone del secondo
numero dell’imperfetto dimostrativo ne verbi della
quarta maniera.
Hor finalmente è da sapere intorno al modo congiuntivo,
che differenza è in accompagnare seco CON CIO
SIA COSA CHE, & CON CIO FOSSE
COSA CHE. Impero che col tempo presente, col p[er]-
fetto & col futuro noi usiamo il primo, cosi dicendo.
Speri,
Concio sia cosa che io Habbia, &
Haverò sperato.
Col più che perfetto s’usa il secondo, come
Con cio fosse cosa che io haveßi sperato.
Coll’imperfetto (dico quello anchora, che io chiamai te[m]po
sciolto) l’uno, & l’altro s’usa secondo l’intention, di chi
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parla, si come.
Con cio sia cosa che, overo Speraßi, & spererei.
Con cio fosse cosa che io
Ne truovo, che’l Boc. mai habbia tacciuto quella ulti-
ma voce COSA, come molti hoggi fanno, oltra il dove-
re della brevità studiosi. Passo al più che perfetto.
Della formatione del tempo più che perfetto.
Tutti i più che perfetti si formano col verbo HAVER, et
col partecipio perfetto del proprio verbo, pigliando in-
nanzi il partecipio l’imperfetto del verbo HAVERE
di modo in modo,
Nel dimostrativo piglia l’imperfetto, che è separato cosi.
Io haveva sperato, tu havevi sperato, colui haveva spe-
rato. Noi havevamo sperato, voi havevate sperato, co-
loro havevano sperato.
Nel disiderativo piglia l’imperfetto, che è legato col pre-
sente in questa guisa.
Ò se io haveßi sperato, se tu haveßi sperato, se quegli
havesse sperato.
Ò se noi haveßimo sperato, se voi haveste sperato, se
quelli havessero sperato.
Del congiuntivo s’è veduto. Dell’indefinito dico il medesi-
mo, che del disiderativo, onde diciamo
Havere sperato.
Di qui si conosce, che’l verbo HAVERE non pure al più
che perfetto serve, mà anchora al perfetto puro: con cio
sia cosa che nel disiderativo, & nell’indefinito questi due
tempi sono nel secondo luoco legati insieme, come io
dißi altrove.
Nel congiuntivo, dove sono i te[m]pi distinti, si conosce anchor
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meglio il servigio, che fà questo verbo al perfetto.
Mà tale tempo in somma in niun modo si truova, dove egli
di questo verbo non si vaglia. Non diciamo noi nel di-
mostrativo.
Io sperai, & hò sperato, Tu sperasti, & hai sperato,
Altri sperò, & hà sperato. Noi sperammo, & habbiamo
sperato. Voi speraste, & havete sperato. Altri sperarono
& hanno sperato.
Tutta via differenza è dal perfetto di quê modi, ove egli si
truova distinto, & da gli altri, dove col più che perfet-
to è giunto. Quando è distinto, piglia il presente del ver-
bo HAVERE. quando è legato, piglia l’imperfetto: il
quale imperfetto però è la medesima voce col presente,
considerando, che nel disiderativo, & nell’indefinito, ove
sono i tempi intricati, l’imperfetto stà col presente, e’l
più che perfetto con il perfetto.
Hora nel dimostrativo anchora par che sieno differenti di
significato quê due perfetti. Io sperai, & hò sperato.
Imperoche’l secondo mostra più da vicino, che’l primo.
la qual cosa chiaro appare dicendo noi. Io sperai di ve-
nir teco à Roma, mà non hò mai sperato di truovarci
tale ventura, quale hò fatto.
Il medesimo dico ne perfetti paßivi si FUI, & SONO
STATO, p[er]che quel primo più da lunga mostra, che’l
seco[n]do, et cio si vede in quel solo verso del Pet. Seco fù
in via, & seco al fin son giunto.
Quel perfetto primo, che d’una sola voce è, come SPE-
RAI, et FUI, io giudico à pu[n]to esser quello, che i Gre-
ci te[m]po indeterminato chiamarono, il quale ben mostra
la cosa, onde si parla, passata; mà non distingue il tempo,
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quando ella passasse.
Appresso mostrando (come detto habbiamo) i secondi per-
fetti, che hanno due voci, il passato più da vicino, che i
primi; quinci mi si fà credere, che sia caduto nella Tho-
scana favella questo altro modo di dire. Io hebbi fatto,
Altri hebbe detto, & simiglianti. Il qual modo di dire al-
lhor s’usa, che’l passato vuole intertenersi, & all’ontellet-
to mostrarsi poco men che presente. Però io credo con-
venienteme[n]te potersi chiamare un tempo mezzano: La
cui simiglianza parimente si vede ne verbi Greci. ecco-
vi nel Bocc. Alzata alquanto la lanterna hebber vedu-
to il cattivello d’Andreuccio.
Et nel Petrarcha.
Non volendomi amor perder anchora
Hebbe un’altro lacciuol l’herba teso.
Non vedete voi carißima Hiparcha in queste parole sco-
perto Andreuccio meschino, & una reticella ascosa in
alcun prato verde? certo à me pare, che cosi sia: ne pu-
re in questi essempi, mà in tutti gli altri simili. Trà
quali anchora è una altra notabile differenza, che di
questi due perfetti l’uno il fin solo dell’effetto mostra.
et questo è il doppio. l’altro, che è il semplice, mostra dal
principio succeßivamente fino alla fine. Dò gli essempi.
Io hebbi scritto il giorno di Natale, cio è fini quel gior-
no di scrivere. Io scrißi il di di S. Stephano, cio è quel
di comminciai, & quel di finij. Passo al futuro dell’inde-
finito.
Della formatione del futuro dell’indefinito.
Hò fino à qui differito il ragionar di questo tempo, con-
siderando, che anchora egli si forma con l’uno de due
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verbi sopradetti, cio è HAVERE, & ESSERE. À
quali per terzo aggiungo il verbo DOVERE poco
di significato lontano da gli altri due primi.
Havere à sperare.
Cosi adunque diciamo Essere per temere,
Dover ridere, ò udire.
Et tanto è vero, che questo tempo con tali verbi si forma,
che trà se steßi anchora egli si servono cambievolmente
cosi dicendosi havere ad essere, essere per havere, dove-
re havere, dovere essere, esser per dovere, & havere à
dovere.
Di qui conoscete la differenza, che è trà questi trè verbi,
quando eßi ad altro verbo servono. Imperoche HA-
VERE vuol sempre dopo se la prepositione À, overa-
mente AD, quando le viene appresso l’indefinito. Ha-
veßi, habbia, haverò, & havere à sperare. ESSERE
vuol la PER. sia, foßi, sarei, sia stato, sarò, & essere per
isperare.
DOVERE niuna prepositione ricerca. Dovere
sperare.
HAVERE, & ESSERE alcuna volta pigliano dopo
se la DA, come ho da sperare. È da temere. Mà allhora
stanno con altro significato, per cio che vaglion, quanto
io hò materia, che mi dà speranza, et questa è occasione
degna di metterci spavento. Il che dice[m]mo anchora nel-
le prepositioni. Mà oltre di cio non poßiamo dire, che
usandosi cosi questi verbi eßi servano ad altri, anzi gli
altri servono loro. & cio si vede, perche il presente loro
dimostrativo si mette con certa persona innanzi l’indefi-
nito di quegli altri, la qual cosa non mai può farsi, quan-
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do eßi servono, come s’è veduto.
Questi trè verbi di significato hanno gran parentela insie-
me. Di che mi piace anchora dar questo essempio vario
di parole, mà di sentimento simile. Havete à sapere, per
voi è da sapere, & dovete sapere. Si per questo adun-
que, come che tutti & trê sono igualmente nel numero
de verbi straordinarij, hò pensato darvegli à vedere per
ordine variati. Mà prima voglio mostrarvi notabilißi-
mamente, come HAVERE, & ESSERE alcuna vol-
ta si cangino insieme, poi seguirò de partecipij, il qual
ragionamento dopo il nome, & il verbo è necessario, &
sarà brevißimo. Finalmente da loro incomminciando vi
darò à conoscere buona parte de verbi straordinarij. In-
di à gli adverbi, & alle congiuntioni passato entrerò à
parlar delle figure, & appresso con uno breve, & faci-
le ammaestramento, il quale la strada v’aprirà per inte[n]-
dere qualunque scrittore, compierò tutta la somma del
mio ragionamento.
Come HAVERE, & ESSERE si
cangino insieme.
Le terze persone di Hò si mettono in luoco delle terze di
SONO in questo modo,
Non hà anchor lungo tempo, non è.
V’hebbe alcuno, cio è vi fù.
V’hebbero molti, vi furono.
Mà quel, che merta maggior consideratione, è, che il pri-
mo numero di HÒ serve per lo seco[n]do di SONO, usan-
za à mio giudicio de greci tolta, si come
Due fonti hà, cio è sono.
Hacci tavoglieri, & scacchieri,
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La quale usanza non dimeno si vede anchora servata
nel medesimo verbo SONO. Già e molti anni. Disse il
Boccaccio dovendo propriamente dire. Già sono. Foßi,
sarei, sia, & sarò con tutte le seguenti persone in simili
tempi mettonsi in luoco di Hò, haveßi, havrei, habbia,
& haverò, discorrendo ne tempi di quê verbi, che io di
sopra chiamai neutri paßivi, come io mi sono allegra-
to, voi vi sete lamentati, se egli si fosse creduto, & simi-
glianti,
Quello stesso si fà ne tempi doppij di VOGLIO, &
POSSO, quando appresso la voce del partecipio lor
p[er]fetto usa d’acco[m]pagnarsi col verbo HAVERE, ne vie[n]
l’indefinito d’alcun verbo, il cui partecipio col verbo Ha-
vere non si comporta, talmente che togliendo via il par-
tecipio di mezzo, esso potesse formar tempo alcuno del
suo verbo.
Dò gli essempi. Noi diciamo semplicemente.
Io hò voluto.
Io non hò potuto. Mà se io intendo dir più oltra.
Si come, che non mi sia piacciuto lo andare, ò che io sia
stato ritenuto dal venire, cosi debbo dire.
Io son voluto starmi.
Io non son potuto venire.
La ragione è, perche io no[n] potrei dire HÒ STATO, ne
HÒ VENUTO: mà si bene SONO STATO, &
SONO VENUTO. Dunque s’hà da haver riguar-
do alla voce dell’indefinito nel modo, che io hò detto. Et
è da sapere, che doppi io chiamo quê tempi, che col par-
tecipio, & col verbo HAVERE, Ò ESSERE si
formano.
/BEGIN PAGE 80r/
DEL PARTECIPIO.
Il partecipio è parte dell’oratione, la qual si varia à gui-
sa del nome, & deriva dal verbo ritenendo il significato
di quello, come da spero, & temo, sperante, & temuto.
Egli percio si chiama partecipio, che partecipa col nome,
& col verbo.
De gli accidenti suoi
Gli accidenti del partecipio sono sei. De quali due si con-
vengono col nome, cio è genere, & caso.
Due col verbo, il tempo, & la significatione.
Due co[n] l’uno, & co[n] l’altro, cio è il numero, et la figura.
Nel partecipio non cade la spetie, perche egli è sempre de-
rivato dal verbo, & non è mai di prima natura.
I generi del partecipio son due. Il maschio, come temuto
Et la femmia, come Amata.
Il comune anchora vi cade, come lo, & la amante
I casi sono sette, uno ne hà di piu il partecipio, che’l nome,
et è quello à punto, che gli antichi latini chiamarono set-
timo caso, come se noi diceßimo, Vive[n]te il Petrarcha Ma-
donna Laura da lui fù celebrata divinamente.
Cosi anchora: Morto il Petrarcha mori il fior della
poesia Thoscana. Soli i partecipij han questo caso. I no-
mi, et i pronomi allhora lo prendono, che co i partecipij
s’aggiungono, ma non e di lor natura lo haverlo.
I tempi son cinque à guisa de verbi sotto à due sole
voci compresi. Ne si può dire, che alcun di loro habbia
voce distinta: ma egli hanno quel tempo sempre, che si
vede havere il verbo, onde eßi si reggono. Della prima
voce eccovi gli essempi.
/BEGIN PAGE 80v/
La mia Donna resta,
Restava, Dolente.
Restò,
Era restata, et resterà
Nella seconda poi
Madonna Laura è
Era, Disiderata dal Petrarcha.
Fù,
Era stata, & farà
Niun dubbio è in questi tempi. Il partecipio FUTURO,
cio è questa voce, che io cosi chiamo, non è de Thosca-
ni proprio, mà de latini.
La significatio[n]e è di due sorti. Attiva, et paßiva. No[n] poßia-
mo dir noi, che tale sia la significatione del partecipio,
quale del verbo, onde si forma: Perche dal paßivo mai
non si forma partecipio alcuno; Anzi il paßivo con la vo-
ce del partecipio sempre si forma, come s’è veduto.
La significatione attiva si conosce à trè segni.
Prima la N stà dinanzi la T nell’ultima sillaba.
Poi una voce sola serve all’uno, & all’altro genere co-
munemente.
Appresso il variare di tai partecipij cade sotto il secondo
ordine de nomi. come sperante. temente.
La signification paßiva si conosce à due segni.
Prima le voci del maschio sono distinte dalle femminili.
Poi quelle del maschio variandosi cadono sotto l’ultimo
ordine de nomi, si come sperato, temuto.
Quelle della femmina sta[n] sotto’l primo. Sperata. temuta.
I numeri son due. Primo, co[m]e spera[n]te. Seco[n]do, come spera[n]ti.
Le figure trè.
Semplice,
/BEGIN PAGE 81r/
Semplice, come spinto.
Composta, come sospinto.
Ricomposta, come risospinto.
Veggiamo hora della formatione loro.
Della formatione del partecipio attivo,
& del gerondio.
Vole[n]do parlare della formatione de partecipij bisogna pri-
ma advertire, che moltißimi verbi sono hor senza il par-
tecipio attivo, co[m]e SENTO, ilquale hà solame[n]te SEN-
TITO; hor senza il paßivo, come RILUCO, che hà
solo RILUCENTE; & più speßi son quegli assai,
che mancan dell’attivo, che del paßivo.
Appresso è da sapere, che molti nomi sono, liquali hanno
sembianza dell’uno partecipio, & dell’altro senza però
esser partecipij, de quali io dißi già di sopra, come s’ha-
vessero à conoscere, nel ragionamento de nomi, & ivi
mi rapporto.
Oltra di questo dico, che appresso i Thoscani molto è fre-
quente l’uso del gerondio, Et di questo si servono in luo-
co del partecipio,
Con cio sia cosa che niun verbo, ò raro è quello, che sia sen-
za gerondio.
Il gero[n]dio (poi che sforzato sono à intermettere di lui quat-
tro parole) è uno solo, & sempre termina in DO con la
N dinanzi, si come sperando, temendo.
La sua formatione si fà in questo modo.
Pigliasi in tutte le maniere la terza persona del secondo
numero del presente dimostrativo, & indi si forma, mà
diverssamente.
Ne verbi della prima maniera la D sola nel penultimo luo-
/BEGIN PAGE 81v/
co vi s’aggiugne, & l’accento sulla penultima si traspor-
ta, come sperano, sperando, cantano, cantando.
Nell’altre trè maniere la O vocale della penultima sillaba
in E si muta, et poi la D s’aggiugne nel penultimo luogo
trasportando l’accento, come di sopra.
Temono, Temendo.
Ridono, Ridendo.
Sentono, Sentendo.
Ne verbi della quarta maniera salvo i verbi in SCO ter-
minanti, percio che quella sillaba intiera con la I ancho-
ra precedente si getta via, & appresso cavo fuori quê
verbi, che hanno la prima vocale mutabile, per cio che
la più comune lettera nel formare il gerondio si ritie-
ne. Al che fare s’hà riguardo all’indefinito, come in
altri ragionamenti si disse: cio è, che quelle sillabe perda
nel mezzo, & quelle lettere muti nel principio il ge-
rondio, che l’indefinito si vede perdere, & mutare. Dò
gli essempi.
Impallidiscono, Impallidire, Impallidendo.
Odono, Udire, Udendo.
Appresso ove la G mutabile stà nella detta terza persona,
onde si forma il gerondio, ivi è in poter nostro ritenerla
& lasciarla nel gerondio. Tuttavia quivi è sempre capo
di sillaba. Dò gli essempi.
Sagliono, over salgono. Salendo, over sagliendo. Vengo-
no, over vegnono. Venendo overo vegnendo, cosi Tene[n]-
do, over tegnendo, co simiglianti.
Questo cosi mostrato torno à dire, che i Thoscani usano as-
sai sovente il gerondio in vece del partecipio non pure
attivo (che di questo sono gli essempi infiniti) mà paßi-
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vo anchora. Di che mi piace arrecarvi quello del Pet.
quando ê disse.
Sol per venir al lauro, onde si coglie
Acerbo frutto, che le piaghe altrui.
Gustando afflige più, che no[n] conforta. cio è à chi’l gusta.
Et anchora quell’altro. Non ê si duro cor, che lagriman-
do, Pregando, amando, talhor non si smuova.
Cio è sentendo, che altri per lui pianga, lo preghi, & l’ami.
Et come che questo secondo essempio sia poco securo, p[er]-
cio che il relativo posto nel primo verso può pigliarsi
per primo, & per quarto caso, onde adviene, che’l ge-
rondio seguente la significatione attiva, & la paßiva
igualmente riceve, tutta via preso nell’un modo, & nel-
l’altro prova la mia intentione, la qual finalmente si ri-
solve in questo, che si come molti sono più i verbi, li qua-
li mancan del partecipio attivo, che quelli, che mancano
del paßivo, cosi più spesse volte il gero[n]dio il luoco del-
l’attivo si mette, che del paßivo. Ne in cio pruovare sti-
mo, che più oltre mi convenga affaticare. Passo per tan-
to alla formatione del partecipio attivo, la quale giudi-
co facilißima.
In tutte le maniere ogni partecipio attivo si forma dalla se-
conda persona del secondo numero del presente dimo-
strativo. Mà differenza è nel modo frà le trè prime, &
la quarta.
Nelle trè prime cresce una lettera sola.
Nella quarta cresce una sillaba intiera.
Il luoco del crescere è sempre dinanzi alla penultima lette-
ra, & questa sempre è la T.
La lettera sola crescente è la N.
/BEGIN PAGE 82v/
La sillaba è EN. Dò gli essempi.
Sperate, Sperante.
Temete, Temente.
Ridete, Ridente.
Obedite, Obediente.
In formar questi partecipij haßi da haver riguardo no[n] so-
lo alla persona, onde eßi si formano, mà alla prima voce
del verbo anchora. Per cio che dove nella prima voce
si vede star la G mutabile, in poter nostro è (come ancho-
ra del gerondio si disse) lasciarla, & ritenerla nel par-
tecipio: come.
Tengo, over Tegno, Tenete, Tenente, overo Tegnente,
Saglio, over Salgo, Salite, Salente, overo Sagliente.
Haßi parimente da haver riguardo, s’el verbo è della quar-
ta maniera, ò nò. Impero che in questa maniera se la G
nella prima voce del verbo è dalla N accompagnata, ivi
nel partecipio la I si perde, come non necessaria (tutto
che ella soglia esser propria della quarta maniera) do-
vendo la G sempre stare p[er] capo della penultima sillaba.
come anchora del gerondio si disse: et eccovi lo eße[m]pio.
Vengo, over Vegno, Venite, Venente, overo Vegnente.
SAGLIENTE, & VEGNENTE sono i veri parte-
cipij della lingua nostra. Però no[n] mi son curato di strin-
ger sotto la regola gli altri due, ne quali non una sillaba
cresce, mà una lettera cresce, et una altra si muta restan-
do egli pari di sillabe con la persona, onde si formano.
Alcuna volta anchora nella quarta maniera la I in E si
muta, & la N sola cresce in questo modo.
Sofferite, Sofferente.
/BEGIN PAGE 83r/
Del partecipio paßivo.
Il partecipio paßivo con più difficultà, che l’altro, sotto le
regole si riduce. Io nel formarlo dico doversi in tutti i
luoghi haver riguardo al perfetto del suo verbo.
Et cio per quattro cagioni.
Prima, perche ove manca il perfetto, manca anchora il par-
tecipio paßivo.
Poi perche ove sono due perfetti, sono anchora due par-
tecipij.
Appresso il crescimento, & la mutatione, che io mostrai
ne perfetti considerarsi, si considera anchora in que-
sto partecipio.
Finalmente io non veggio, come distinguer meglio si possa
la natura di ciascun verbo onde s’habbia à formar tale
partecipio, che per la via de perfetti.
Questo cosi presupposto dico esser di due sorti partecipij
paßivi.
Alcuni dalla prima persona del verbo si formano.
Altri dalla seconda del secondo numero del presente dimo-
strativo.
Prima sorte de partecipij paßivi.
Di q[ue]lli, che dalla prima p[er]sona si formano, trè ordini metto.
Altri restan pari con lei.
Altri crescon di lettere. et di questi l’uno, & l’altro si muta.
Altri crescon di sillabe senza mutatione alcuna fare.
La mutatione, et il crescime[n]to sempre si fà dinanzi l’ultima
vocale del verbo. ne parlo del partecipio femminile per-
che esso si forma dal maschio con mutar solamente l’ulti-
ma vocale propria del maschio, che è la O, nella pro-
pria della femmina, che è la A: si come Sperato. Spera-
/BEGIN PAGE 83v/
ta. Temuto, Temuta.
Primo ordine della prima sorte de
partecipij paßivi.
I partecipij paßivi, che dalla prima p[er]sona del verbo si for-
mano, & restano al tutto pari con lei, sono i seguenti.
Tutti quelli, i cui verbi hanno il perfetto stante sotto’l pri-
mo ordine della seconda qualità nella prima sorte, cio è,
che’l perfetto hanno pari con la seco[n]da persona del pre-
sente, onde si formano, ne vi si muta, fuor che una consona[n]-
te sola, come Vinci. Vinsi. & così di tutti gli altri. De
quali io dò queste regole.
Mutasi in T la C penultima del verbo dopo la N, &
R. come
Vinco, Vinto. Torco. Torto.
La D dopo la N, come Spando, Spanto.
La G dopo qualunque consonante di diversa qualità, si
come
Piango, Pianto.
Volgo, Volto.
Accorgo, Accorto.
Se ne cava SPARGO, che hà SPARSO: tutto che
nel verso anchora SPARTO si legga.
Dopo se stessa anchora, cio è dove sono due GG, in due
TT si fà la mutatione in questo modo.
Reggo, Retto.
Distruggo, Distrutto.
Mà tai verbi hanno i perfetti della seconda sorte del pri-
mo ordine già detto, perche advegna che restino pari
con la seconda persona presente, non dimeno mutano
due consonanti facendo da Reggi, Reßi, da Distruggi,
/BEGIN PAGE 84r/
Distrußi.
Tuttavia regola generale è della G ò semplice, ò dop-
pia che sia, che ella nel partecipio in T si muti. Et talhor
semplice anchora in due TT si cangia, come vedremo
nella seconda sorte in AFFLIGO, il quale fa AF-
FLITTO co simiglianti.
Tutti gli altri verbi del primo ordine della seconda qualità
de p[er]fetti, ove più della sola consonante in formare il per-
fetto non si muta, in formare il partecipio paßivo pren-
dono la consonante del perfetto in tal maniera.
Rido, Risi, Riso. Rodo. Rosi. Roso.
Chiudo, Chiusi, Chiuso. Mordo, Morsi. Morso.
Ardo, Arsi, Arso. Scorro, Scorsi, Scorso.
Chi mi domandasse la ragione, perche io questi partecipij
formo più tosto dal presente, che dal perfetto, essendo che
eßi ritengono la consonante del perfetto: Niente altro ri-
spo[n]do, se no[n] che io gli metto innanzi l’eße[m]pio di SCOR-
SO, & SCORTO. l’uno vien da SCORRO: l’altro
da SCORGO. & non dimeno amendue hanno scorsi
(benche il modo del proferire sia diverso) nel perfetto.
Mà la G sempre in T si muta, come poco dianzi io dißi.
Cavo di questa regola PONI, il cui perfetto sta sotto’l
predetto ordine, non dimeno hà nel partecipio PO-
STO. SCERNO credo ma[n]car di tale partecipio: ove-
ro sarà SCERNUTO da SCERNEI.
Tutti i verbi anchora, i cui perfetti stanno sotto’l secon-
do ordine della seconda qualità, dalla prima lor per-
sona presente formano il partecipio paßivo. Mà di-
versamente.
Ove una sola lettera si muta, & una si perde nel perfet-
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to, ivi il partecipio nostro prende una lettera mutata del
perfetto, & appresso di quella ne prende una altra, la
quale è sempre la T, cosi ricompensando la perduta nel
perfetto, Dò gli essempi.
Ascondo. Ascosi, Ascosto.
Rispondo, Risposi, Risposto.
PONGO anchora, & RIMANGO con tutti gli altri
composti, & simili, che io della regola del primo ordine
de p[er]fetti cavai, fanno POSTO, & RIMASTO nel
partecipio paßivo, have[n]do riguardo alla simiglianza,
che hanno i perfetti suoi con questi del secondo ordine.
Se ne cavan tutti quelli, che innanzi la lettera, che si per-
de nel perfetto, hanno la E, per cio che questi restan co[n]-
tenti della sola lettera mutata senza prenderne alcuna
altra, si come
Tendo, Tesi, Teso.
Quê verbi, nel cui perfetto non uscendo del medesimo ordi-
ne secondo si mutano due lettere, dalla prima similmente
lor persona formano il partecipio paßivo, et le medesime
lettere mutano in due altre. Et perche quelle sempre so-
no due TT, queste sempre sono due SS, come
Metto, Misi, Messo. & cosi de suoi composti.
Cosi dico regola esser generale della T, che sempre in S si
muti ò doppia, ò semplice che sia, come più chiaro an-
chora vedremo. Di modo che ella igualmente viene à
servire, & ad esser servita, la G in T si muta. la T in S.
due GG in due TT. due TT in due SS. una talhor
sola in due TT, come in AFFLIGO vedremo, di
cui parimente di sopra si disse. il quale fà AFFLIT-
TO. Talhor, per lo contrario una T sola in due SS co-
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me altresì vedremo per lo essempio di SCUOTO, on-
de si fà SCOSSO.
Ordine secondo della prima sorte de
Partecipij paßivi.
I partecipij paßivi, che dalla prima persona del presente
dimostrativo si formano crescendo oltra lui di lettere, so-
no quelli, i cui verbi ha[n]no i p[er]fetti sotto’l terzo ordine del-
la seco[n]da qualità, tutta via face[n]done quattro eccettioni.
Prima eccetto quei della prima sorte, ove la conso-
nante del presente senza più si raddoppia come
Bevi, Bevvi.
Poi eccetto quelli, che la V consonante strana prendono nel
penultimo luoco del perfetto, come Pari, Parvi.
Appresso eccetto q[ue]lli, che la S pre[n]dono dopo la L, si come
Vali, Valsi.
Finalme[n]te eccetto quelli, che la Q nel modo, che si può, dop-
pia hanno nel perfetto, come
Taci, Tacqui. Nuoci, Nocqui.
De quali tutti darò le regole ferme al suo luogo.
Gli altri crescono per si fatta maniera.
Dopo la R semplice posta nel penultimo luoco della prima
persona del verbo, et continuata ad una sillaba di mezzo
breve, la T cresce in questo modo.
Offero, Offerto.
Soffero, Sofferto.
La C dopo la I, overamente la V in T si muta, & appresso
la mutata una altra ne cresce, come DICO, Ditto.
Be[n]che sia più in uso Detto, & sia questo verbo straordi-
nario. Conduco, Condutto.
La G dopo la I fà la istessa mutatione, & crescimento in
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cotal guisa,
Affliggo, Afflitto.
Se ne cava FIGO, onde si forma FISSO. Tuttavia
i suoi co[m]posti sotto la regola nostra ricadono dicendosi.
SCONFITTO, & TRAFITTO, da SCONFI-
GO, & TRAFIGO.
La V parimente consona[n]te dopo la medesima I si come scri-
vo, scritto. se ne cava VIVO, di cui nel secondo ordine
della seguente sorte vedremo.
La M dopo la E ne verbi della terza maniera nella lettera
del perfetto si muta & cresce raddoppiandola, come
quello. Dò l’essempio.
Premo, Preßi, Presso.
La T frà due O fa il medesimo effetto, come scuoto, scoßi,
scosso. Ne fino à qui, ne per tutto l’ordine seguente della
prima sorte. di questi partecipij intendo ragionar di quê
verbi, che i perfetti hanno della prima qualità, cio è, che
in due vocali finiscono.
Ordine terzo della prima sorte de
partecipij paßivi.
Di sillabe crescono. & si forman dalla prima persona del
verbo tutti i partecipij paßivi di quê verbi, i cui perfet-
ti stanno sotto la prima sorte del quarto ordine della se-
conda qualità, come
Cuopri, Copersi.
In questi si stende il partecipio paßivo à guisa del per-
fetto, & dopo la R la T si mette in questo modo, Cuo-
pro. Coperto.
Quê verbi anchora, che hanno la Q doppia nel penultimo
luogo del perfetto, li quali dalle regole di sopra cavai
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fuori, quivi entrano, & formano il partecipio paßivo dal-
la prima lor persona crescendo frà l’ultime due vocali
V, & T, per si fatta maniera.
Taccio, Tacqui, Tacciuto.
Noccio, Nocqui, Nocciuto.
NASCO è verbo (come ne perfetti io dißi) straordina-
rio, et tutto che nel perfetto habbia NACQUI nel par-
tecipio paßivo hà NATO.
Seconda sorte de partecipij paßivi.
Tutti gli altri verbi, de quali di sopra non hò dato regola
partitamente, non curo sotto quale ordine stieno i lor
perfetti, dalla seconda persona del secondo numero del
presente dimostrativo formano questo partecipio.
Et sono di quattro sorti, cio è quelli, che i perfetti han-
no sotto la prima qualità terminanti in due vocali, AI,
EI, & II: che fanno trè sorti. Et quelli, che nel per-
fetto in qualunq[ue] modo innazi una sola vocale raddop-
piano la penultima consonante, che compiono le quattro
sorti, eccetto se alcun di sopra particolarmente ne hò
detto. Questi io ristringo à due ordini di partecipij
principali.
Alcuni mutano una sola vocale.
Altri ne mutan due,
Niun crescimento si fà mai.
La mutatione d’una sola vocale si fà nel fine.
Delle due si fà non solo nel fine, mà anchora dinanzi la pe-
nultima consonante.
La vocale del fine è sempre la E.
Quella, in cui essa si cangia, è la O.
La vocale del mezzo può essere la E, & la I.
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Quella in cui essa si muta, è sempre la V.
Ordine primo della seconda sorte de
partecipij paßivi.
Mutasi la sola vocale del fine in formare i partecipij paßi-
vi di quê verbi, i cui perfetti in AI, et in II finiscono, co[m]e
Sperai, Sperate, Sperato. Sentij, Sentite, Sentito.
APPARITO anchora da APPARITE si dice,
tutto che’l perfetto di tal verbo faccia APPARVI.
APPARSO è cosi partecipio de poeti, co[m]e APPAR-
SI è lor perfetto.
Et quello, che in ogni luoco io dico farsi, dove i perfetti in
due II finiscono, intendo parimente haver luogo, dove
egli finiscono in Ì sola con l’accento grave sopra, che
queste due regole con pari passo camminano, come al-
tre volte io dißi.
Ordine secondo della seconda sorte
de partecipij paßivi.
Due vocali si mutano in formare i partecipij paßivi di quê
verbi, i cui perfetti in EI finiscono, overamente hanno di-
nanzi una sola vocale due consonanti d’una medesima
qualità nel penultimo luogo, si come.
Perdei, Perdete, Perduto.
Caddi, Cadete, Caduto.
Volli, Volete, Voluto.
Crebbi, Crescete, Cresciuto.
Venni, Venite, Venuto.
Bevvi, Bevete, Bevuto.
Concedetti, Concedete, Conceduto.
VISSI anchora stà sotto questo ordine facendo da VI-
VERE VIVUTO contra la regola de gli altri ver-
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bi à lui simili, come io dimostrai nel seco[n]do ordine della
prima sorte de partecipij paßivi. VISSO è de poeti, si
come anchora SPARTO, di che io già dißi, & COM-
PITO, in vece di SPARSO, & COMPIUTO.
Al partecipio CRESCIUTO è da advertire, & à tut-
ti i simili, à quali oltra la mutatione delle due vocali già
dette cresce anchora la I nel mezzo. Mà la ragion di
questo è per non lasciar dura quella penutltima sillaba,
come sarebbe fuor della natura delle seconde persone del
suo verbo, se dopo la C noi scriveßimo inco[n]tanente la U,
la quale dà polso alla consonante precedente, dove per
lo contrario la I la intenerisce. Et tal ragione, chi ben
co[n]sidera, diedi nel ragionar dell’aspiratione: Però io no[n]
hò giudicato degno far di cosi fatti partecipij eccettio-
ne alcuna particolare.
Di questi partecipij notabil cosa è da sapere, che quando
egli s’aggiungono col verbo HAVERE, ponno over
sempre stare co[n] una voce medesima, che è quella del pri-
mo numero del maschio, overamente variar la voce col
variar del genere, et del numero, p[er] cosi fatta maniera. Io
hò sperato la pace. & io hò sperata la pace. Cosi io hò
temuto i bisbigli. et io hò temuti i bisbigli.
Più notabilmente anchora è da sapere, qua[n]do il verbo ES-
SERE s’accompagna col partecipio, talmente che egli
si prende in signification paßiva, che alcuna volta il par-
tecipio del maschio in luoco del femminile s’usa, alcuna
altra per lo contrario. Dò gli essempi. Passato è quella
in vece di passata; et alla quale era convenuta vivere à
guisa quasi di sorda in vece di dire. Alla quale era co[n]ve-
nuto. Tutti anchora i partecipij attivi, & paßivi hanno
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l’accento sulla penultima. Passo à verbi straordinari.
De verbi straordinarij.
Prima di tutti gli altri mi si para dava[n]ti il verbo HAVE-
RE co gli altri due, li quali già promisi di darvi à vede-
re variati. & questi io sotto i verbi straordinarij hò po-
sto, non perche lor manchi tempo, ne modo, ne p[er]sona al-
cuna à petto à gli altri, mà perche solamente varia, et po-
co certa è la formatione delle persone, & de i tempi lo-
ro. Qui non dimeno conoscerete, come gli altri ordina-
ri anchora variar si debbano.
HAVERE cosi si varia.
DEL presente dimostrativo primo numero io’hò, tu hai,
quegli hà. Seco[n]do numero noi habbiamo, & havemo, voi
havete, quelli hanno.
Dell’imperfetto primo numero io haveva, et havea, tu
havevi, quegli, haveva, & havea. Secondo numero noi ha-
vevàmo,voi haveváte, quelli havevano, & haveano, &
havièno.
Del perfetto primo numero io hebbi, & hò havuto, tu ha-
vesti, & hai havuto, quegli hebbe, & ha havuto. Secon-
do numero noi havemmo, & habbiamo havuto, voi ha-
veste, & havete havuto, quelli hebbero, & hebbono, &
hanno havuto. Chiedendo si dice havestu? in seconda per-
sona nel primo numero.
Del più che p[er]fetto primo numero io haveva havuto, tu ha-
vevi havuto, quegli haveva havuto. Secondo numero
noi havevàmo havuto,voi haveváte havuto, quelli have-
vano havuto.
Del futuro primo numero io haverò, & havrò, tu haverai,
& havrai, quegli haverà, et havrà. Secondo numero noi
/BEGIN PAGE 88r/
haveremo, & havremo,voi haverete, & havrete, quelli
haveranno, & havranno.
Del presente imperativo, primo numero habbi tu, habbia
quegli. Seco[n]do numero habbiamo noi, habbiate voi, hab-
biano quelli. Vietando si dice non havere.
Del futuro primo numero haverai tu, & havrai, haverà
quegli, & havrà. Secondo numero haveremo noi, & ha-
vremo, haverete voi, & havrete, haveranno quelli, &
havranno.
DEL presente, & imperfetto disiderativo primo numero
haveßi io, haveßi tu, havesse quegli. Secondo numero ha-
veßimo noi, haveste voi, havessero quelli, & havessono.
Del perfetto, & più che p[er]fetto primo numero haveßi io ha-
vuto, haveßi tu havuto, havesse quegli havuto. Secondo
numero haveßimo noi havuto, haveste voi havuto, haves-
sero quelli, & havessono havuto.
DEL futuro primo numero habbia io, habbia tu, et habbi,
habbia quegli. Secondo numero habbiamo noi, habbiate
voi, habbiano quelli.
DEL presente co[n]giuntivo primo numero qua[n]tunq[ue] io hab-
bia, tu habbia, et habbi, quegli habbia. Secondo numero
qua[n]tunque noi habbiamo, voi habbiate, quelli habbiano.
DELL’imperfetto primo numero qua[n]tunq[ue] io haveßi, tu
haveßi, quegli havesse. Seco[n]do numero quantunque noi
haveßimo,voi haveste, quelli havessero, & havessono.
Il tempo sciolto, che qui sotto si suol mettere, è tale. Primo
numero io haverei, & havrei, tu haveresti, & havresti,
quegli haverebbe, & havrebbe. Secondo numero noi
haveremmo, & havremmo, voi havereste, & havreste,
quelli haverebbero, et havrebbero, overamente havereb-
/BEGIN PAGE 88v/
bono, & havrebbono, overo havrieno.
DEL perfetto primo numero quantunque io habbia ha-
vuto, tu habbia havuto, quegli habbia havuto. Secondo
nomero quantunque noi habbiamo havuto, voi habbiate
havuto, quelli habbiano havuto.
DEL più che perfetto primo numero qua[n]tunque io ha-
veßi havuto, tu haveßi havuto, quegli havesse havuto.
Seco[n]do numero quantunq[ue] noi haveßimo havuto, voi ha-
veste havuto, quelli havessero, & havessono havuto.
DEL futuro primo numero quantunque io haverò, & ha-
vrò, tu haverai, & havrai, quegli haverà, & havrà. Se-
condo numero quantunque noi haveremo, et havremo,
voi haverete, et havrete, quelli haveranno, et havranno.
Presente, et imperfetto indefinito havere. perfetto, & più
che perfetto havere havuto. futuro dovere havere, & es-
sere per havere.
I partecipij sono Havente. Havuto, & Havuta.
Il gerondio è Havendo.
Le voci de poeti in questo verbo sono.
Haggio, In vece di Hò.
Have, Hà.
Havei, Havevi.
Hebben, Hebbero.
Haggia, Habbia.
Habbiate, Haggiate.
Haveßi in terza persona del primo numero, Havesse.
Haveßin in terza del secondo, Havessero.
Haria, Havrei, et havrebbe.
Hariano, Havrebbero.
Tali ca[n]giamenti si fanno in tutti i verbi universalmente.
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Il paßivo di questo verbo è Sono havuto. L’ipersonale.
Haßi. Essere cosi si varia.
DEL presente dimostrativo primo numero io sono, & sô,
tu sei, over sê, quegli è. Secondo numero noi siamo, voi se-
te, quelli sono.
DELL’imperfetto primo numero io era, tu eri, q[ue]gli era.
Seco[n]do numero noi eravámo, voi eraváte, quelli erano.
Del perfetto primo numero io fui, et sono stato, tu fosti, over
fusti, & sei, over sé stato, quegli fù, & è stato. Secondo
numero noi fummo, & siamo stati, voi foste, over foste, et
sete stati, quelli furo, over furono, et sono stati. Chiede[n]do
si dice fostu? nella seco[n]da persona del primo numero.
DEL più che perfetto primo numero io era stato, tu eri
stato, quegli era stato. Seco[n]do numero noi eravámo sta-
ti, voi eraváte stati, quelli erano stati.
DEL futuro primo numero io sarò, to sarai, quegli sara,
over sie, & sia. Secondo numero noi saremo, voi sarete,
quelli saranno, over siano, & sièno.
DEL presente, & imperfetto disiderativo primo numero
foßi io, foßi tu, fosse quegli. Secondo numero foßimo noi,
foste, over fuste voi, fossero, over fossero, over fussono
quelli.
DEL perfetto, & più che perfetto primo numero foßi io
stato, foßi tu stato, fosse quegli stato. Secondo numero
foßimo noi stati, foste voi stati, fossero, over fussono
quelli stati.
DEL futuro primo numero sia io, sia, over sij tu, sia que-
gli. Secondo numero siamo noi, siate voi, siano, over sié-
no quelli,
DEL presente co[n]giuntivo primo numero advegna che io
/BEGIN PAGE 89v/
sia, che ti sia, over sij, che quegli sia. Secondo numero
advegna che noi siamo, che voi siate, che quegli siano, o-
ver sièno.
Dell’Imperfetto primo numero advegna che io foßi, che
tu foßi, che quegli fosse. Secondo numero advegna che
noi foßimo, che voi foste, che quelli fossero, over fussono.
Del tempo sciolto primo numero io sarei, tu saresti, quegli
sarebbe, over saria. Secondo numero noi saremmo, voi
sareste, quelli sarebbero, over sarebbono, & sariéno.
Del perfetto primo numero advegna che io sia stato, che tu
sia, over sij stato, che quegli sia stato. Secondo numero
advegna che noi siamo stati, che voi siate stati, che quel-
li siano, over, siéno stati.
Del più che perfetto primo numero advegna che io foßi
stato, che tu foßi stato, che quegli fusse stato. Seco[n]do nu-
mero advegna che noi foßimo stati, che voi foste stati,
che quelli fossero, over fussono stati.
Del futuro primo numero advegna che io sarò, che tu sa-
rai, che quegli sarà, & sia, over sie. Secondo numero ad-
vegna che noi saremo, che voi, sarete, che quelli saranno,
& siano, over sièno.
Presente, & imperfetto indefinito essere. Perfetto, & più
che perfetto, essere stato. Futuro dovere essere, & ha-
vere ad essere.
I partecipij sono stato, over suto, & stata, over suta. Il
gerondio ESSENDO. Le voci de poeti in questo ver-
bo sono.
Semo in vece di Siamo.
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Foßin, Fossero.
Fora, In vece di Sarei, & sarebbe.
Saria, Sarei solamente.
Sariano, Sarebbero.
Paßivo da questo verbo non si forma. l’impersonale è Es-
si. Erasi.
Dovere cosi si varia.
Del presente dimostrativo primo numero io debbo, over
deggio, tu dei, quel dee, over dè. Seco[n]do numero noi deb-
biamo, voi dovete, quelli deono.
Dell’imperfetto primo numero io doveva, & dovea, tu do-
vevi, quel doveva, et dovea. Secondo numero noi dovevá-
mo, voi doveváte, quelli dovevano, & doveano.
Del perfetto, primo numero io dovetti, & hò dovuto, tu do-
vesti, & hai dovuto, quel dovette, & ha dovuto. Seco[n]do
numero noi dovemmo, & habbiamo dovuto, voi doveste,
& havete dovuto, quelli dovettero, over dovettono, &
hanno dovuto. Chiedendo si dice dovestu? nella secon-
da persona del primo numero.
Del più che p[er]fetto primo numero io haveva dovuto, tu ha-
vevi dovuto, quegli haveva dovuto. Seco[n]do numero noi
havevámo dovuto, voi haveváte dovuto, quelli haveva-
no dovuto.
Del futuro primo numero io doverò, & dovrò, tu doverai,
& dovrai, quegli doverà, et dovrà. Secondo numero noi
doveremo, & dovremo, voi doverete, & dovrete, quelli
doveranno, & dovranno.
Del presente imperativo primo numero debbi tu, debba,
over deggia quegli. Secondo numero debbiamo noi,
debbiate voi, debbano, over deggiano quelli. Vietando
/BEGIN PAGE 90v/
si dice non dovere.
Del futuro primo numero doverai tu, & dovrai, dovrà
quegli, & dovrà. Secondo numero doveremo noi, & dov-
remo, doverete voi, & dovrete, doveranno quelli, &
dovranno.
Del presente, & imperfetto desiderativo primo numero
doveßi io, doveßi tu, dovesse quegli. Secondo numero
doveßimo noi, doveste voi, dovessero, over dovessono
quelli.
Del perfetto, & piu che perfetto primo numero haveßi io
dovuto, haveßi tu dovuto, havesse quel dovuto. Secondo
numero haveßimo noi dovuto, haveste voi dovuto, ha-
vessero quelli, & havessono dovuto.
Del futuro primo numero debba io, over deggia, debba tu,
over debbi, debba quegli, over deggia. Secondo numero
debbiamo noi, debbiate voi, debbano, over deggiano
quelli.
Del presente congiuntivo primo numero con cio sia cosa
che io debba, over deggia, che tu deggia, over debbi,
che quel debba, over deggia. Secondo numero con cio sia
cosa che noi debbiamo, che voi debbiate, che quelli debba-
no, over deggiano.
Dell’imperfetto primo numero con cio fosse cosa che io do-
veßi, che tu doveßi, che quel dovesse. Secondo numero
con cio fosse cosa che noi doveßimo, che voi doveste, che
quelli dovessero, over dovessono.
Del tempo sciolto primo numero io doverei, & dovrei. tu
doveresti, & dovresti, quel dovrebbe, & dovrebbe. Se-
condo numero noi dovremmo, & dovremmo, voi dovere-
ste, & dovreste, quelli dovrebbero, over dovrebbero, &
/BEGIN PAGE 91r/
doverebbono, over dovrebbono, & dovrièno.
Del perfetto primo numero con cio sia cosa che io habbia
dovuto, che tu habbia dovuto, che quegli habbia dovuto.
Secondo numero concio sia cosa che noi habbiamo dovu-
to, che voi habbiate dovuto, che quelli habbiano dovuto.
Del più che p[er]fetto primo numero con cio fosse cosa che io
haveßi dovuto, che tu haveßi dovuto, che quegli haves-
se dovuto. Secondo numero con cio fosse cosa che noi
haveßimo dovuto, che voi haveste dovuto, che quelli ha-
vessero & havessono dovuto.
Del futuro primo numero con cio sia cosa che io dovero,
& dovrò, tu doverai, & dovrai, quel doverà, & dovrà;
Secondo numero con cio sia cosa che noi doveremo, &
dovremo, che voi doverete, & dovrete, che quelli dove-
ranno, & dovranno.
Presente, et imperfetto indefinito dovere.
Perfetto, & più che perfetto havere dovuto.
Futuro. havere à dovere, & essere per dovere.
I partecipij sono dovuto, & dovuta. Debito è latino. Il ge-
rondio dovendo.
Le voci de poeti in questo verbo sono
Debbe, & Deve Dee.
Dovemo Debbiamo
Dovei in vece di dovevi In vece di Dovevi.
Doveßi in terza p[er]sona Dovesse.
Doveßino Dovessero.
Dovria Doverei, & Doverebbe.
Dovriano Doverebbero.
Il paßivo di questo verbo è son dovuto.
L’impersonale Deesi.
/BEGIN PAGE 91v/
Seguono gli essempi d’alcuni altri
verbi straordinari.
Adhugge, cio è guasta con tristo humore.
Alse, patì freddo. onde si fa algente partecipio.
Ange, stringe con dolore.
Arroge, s’aggiugne.
Avinse, legò. Avinto, legato.
Cale, calse, caglia, calesse, calere, et caluto. À me no[n] cale, cio
è non ne hò cura, ne me ne scaldo.
Chero, voglio, & cerco col solo presente. Cherere, & che-
rire hà nell’indefinito.
Colo senza passato, amo con osservanza, & pulisco. Il suo
partecipio è colto, over culto.
Delinque, erra.
Dico, dißi, dirò, dire, detto, dicendo.
Divello, Avulse, Divelto: cio è sterpo, sterpai, sterpato.
Do, dai, dà; diamo, date, danno, dava, diedi. haveva dato, da-
rò, & dare. dante. dato. dando.
Elice, trahe senza più.
Ergo, ergi, erge, ergono, et ergere, cio è alzare senza altre
voci. Quinci io credo, che si faccia erto, cio è alto. Qua[n]-
tunque non come partecipio, mà come nome s’usi.
Faccio, over fò. fai, fà. & poeticamente face. faceva. feci,
fei, & fè. fare. fatto & facendo.
Intellette partecipio senza verbo, cio è intese.
Molce, addolcisce.
Nasco. Nacqui. Nato tutto si varia, & hà piano significato,
mà non hà legge nella formatione.
Posso, puoi, puote, & può. Poßiamo, potete, possono, & po[n]-
no. Potei. Potrò. Possente. Potuto. Potendo, & Possendo.
/BEGIN PAGE 92r/
Relinque, abbandona, onde si fà derelitto.
Rifulse, cio è rispiendette, sotto cui stà fulgente.
Rompo. Ruppi, Rotto.
Riedi, & Riede, cio è ritorni, & ritorna.
Serpe, monta senza passato, & futuro.
Sò, Sapeva, Seppi, Sapro, Sapere, Saputo.
Stò, Stava, Stetti, Starò, Stante, Stato.
Tomi, cada.
Torpo, impigrisco.
Translato partecipio senza verbo, cio è trasportato.
Vado io, & vò, tu vai, quel và. Noi andiamo, voi andate,
quelli vanno. Andava, iva, giva. et gìà. Andai, & gì, an-
dò, & gìo. Và. Vada. Andaßi. & gißi. Andrei, & girei,
Andare, ire, & gire. Andante, Andato, ito, & gito
Andando.
Voglio io, & vô, tu vuoi, quel vuole. volli, & vuolsi, vorrò
voleßi, vorrei, & volere, voluto, volendo.
Quivi non convien, che io trapaßi senza dire un molto no-
tabile significato, che ha il verbo FARE. p[er]cio che egli
messo in risposta pre[n]de qualità del verbo proposto, et ta[n]-
to ê, qua[n]to se quel medesimo verbo, qualu[n]q[ue] si sia, fosse sta-
to replicato. Verbi gratia. Leggi tu. No[n] so, cio è no[n] leg-
go. Canterai? si farò, cio è ca[n]terò. PUOTE è voce cer-
tißima delle Prose. Veggasi la Nov. di Sophronia.
Dello adverbio.
L’adverbio è parte dell’oratione, che non si varia, la qua-
le al verbo neceßariamente s’appoggia, & quinci hà
preso il suo nome.
L’effetto suo è quel medesimo col verbo, che suole essere
l’effetto de nomi, che s’appoggiano co nomi, che per se
/BEGIN PAGE 92v/
stanno. Dò gli essempi. Rinaldo ama Hiparcha smisura-
tamente.
L’amor di Rinaldo verso Hiparcha è smisurato.
Questo effetto si può considerare in quattro modi. ò for-
ma sempliceme[n]te. come certo io hò caro l’amor vostro. ò
niega à fatto, come io no[n] l’hò caro. ò cresce, come io l’hò
caro assai. ò scema, come io l’hò poco caro.
De gli accidenti dello adverbio.
Allo adverbio accadono trè cose. la spetie, la figura, et la si-
gnificatione.
Della spetie.
La spetie è di due sorti. prima, come Hoggi.
Derivata, come Novellamente.
Di questi derivati alcuni pochi da altri adverbi derivano,
ò almeno derivar si po[n]no; come da bene benißimo, da ma-
le malißimo, da assai assaißimo. le q[ua]i voci p[er]ò (dico le pri-
me) po[n]no altresì esser nomi, come adverbi, tutto’l resto
da nomi certi derivano, et di loro io dò queste regole.
Reg. I. Da i nomi soli, che s’appoggiano, derivano.
Reg. II. Qua[n]do il nome, onde l’adverbio deriva, hà la voce
della fe[m]mina distinta dalla maschile, pre[n]desi quella della
femmina intiera, come è nel primo numero, et se ne trahe
l’adverbio aggiugne[n]dovi nel fine MENTE, si come
Strano, Strana, Stranamente.
Leggiadro, Leggiadra, Leggiadramente.
Reg. III. Qua[n]do il nome hà una sola voce, la quale al ma-
schio, & alla femmina serve, q[ue]lla una si pre[n]de, et vi s’ag-
giugne MENTE nel fine del primo numero trahe[n]do-
ne l’adverbio nel modo, che di sopra è detto. eccovi gli
essempi.
/BEGIN PAGE 93r/
Dolce, Dolcemente. Pari, Parimente.
In questi derivati della terza regola è da sapere, che al-
cuna volta è lecito tacere l’ultima vocale del nome in
questo modo.
Humilmente, In luoco di Humilemente, &
Maggiormente, Maggioremente,
Ne derivati della seconda regola non è cosi lecito. La
ragione io credo essere, perche havendo riguardo al
nome semplice, onde questi adverbi della terza regola
derivano, egli si potrebbe anchor tacere la medesima
vocale nel nome, prima che lo adverbio se ne trahesse.
Però il derivato resta con la natura del suo primo. Ne
nomi, onde si traggono gli adverbi della seconda rego-
la, più si fugge l’accorciamento (come io dißi nelle re-
gole universali) però trà quelli adverbi solo è LEG-
GIERMENTE, in cui si tace l’ultima vocale del no-
me, havendo riguardo à LEGGIERA, che LEG-
GIER anchora si disse, come io pruovai coll’autorità
del Decamerone. I nomi, che in luoco di adverbi si met-
tono (li quali sono infiniti) ne sotto spetie, ne sotto figura
di adverbio cadono, mà figuratamente si trasportano
dalla significatione del nome à quella dello adverbio, co-
me per lo contrario giugnendosi l’articolo allo adver-
bio, egli si trasporta ad esser nome: Quando cio è noi di-
ciamo il sì, & il nò co simiglianti assai, & quando ancho-
ra senza articolo à sembianza di nome l’usiamo, come
fè il Petrarcha, quando è disse.
Ne sì, ne nò nel cuor mi suona intiero.
Della Figura.
La figura è di trê sorti.
/BEGIN PAGE 93v/
Semplice, come hora.
Composta, come hora hora.
Ricomposta, come adhora adhora.
In questo componimento cadono tutte le parti dell’o-
ratione.
Della prepositione, & del nome eccovi lo essempio.
in fatti.
Di due nomi. Tratto tratto.
Della prepositione, dell’articolo, et del nome al presente
Del pronome, & del nome. Talhora.
Del nome, & del verbo. Ben haggia.
Del pronome, & del verbo; cio è.
Del nome, del pronome, dell’articolo, & del verbo.
Dio ve’l dica:
Di due adverbi. Più tosto.
Dello adverbio, & del pronome. Ahime.
Dello adverbio, & del partecipio. Poco stante.
Dello adverbio, del pronome, & del verbo. Quando
che sia.
Dello adverbio, & della congiuntione. ò se.
Della significatione.
La significatione de gli adverbi è varia. Et due spetialmen-
te ne sono, le quali à mio giudicio di particolare, & di-
stinto ragionamento hanno di bisogno. Tutte l’altre co-
noscer leggiermente si lascieranno. Le due, che io dico,
sono la significatione del tempo. & quella del luoco.
Della significatione del tempo.
Nella significatione del tempo s’hanno à considerare due
qualità principali d’adverbi.
/BEGIN PAGE 94r/
Alcuni servono a certi tempi solamente.
Alcuni a tutti.
Di quelli, che servono à certi tempi solamente, alcuni ser-
vono ad uno solo, alcuni à più.
Al tempo presente solo servono. hora, & hor. al presente.
di presente. hoggi. hora. hora hora. novellamente, &
da capo.
All’imperfetto. testè: il quale è solo delle prose, cio e poco fà.
Al passato. hieri. per adietro, & per lo adietro. da che. da
poi che, & unquanco. Mà questo ultimo è de poeti. &
negando & afferma[n]do s’usa in vece di mai. Onde il Pet.
Verdi panni, sanguigni, oscuri, ò persi.
Non vestì donna un quanco. & altrove. Quanta dolcez-
za un quanco Fù in cor d’aventurosi amanti accolta.
Tutta in un luogo, à quel ch’i sento, è nulla.
Allo advenire, per innanzi. & per lo innanzi. domani. do-
mattina. fino attanto che, & quando che sia.
All’imperfetto insieme, & al passato serve propriamen-
te, già.
All’imperfetto, & all’advenire. testesso, cio è poco fa, ove-
ro frà qui à poco. Egli dee venir qui testesso uno, disse
il Boccaccio.
Di quelli adverbi, che servono à tutti i tempi, fò due parti.
Mostrano il tempo continuo. allhora sempre. guari, cio è
molto. quando. per tempo. in tempo. à bada. Mentre.
mentre che. Qual hora. qual volta. Anchora. anche, &
ancho. Sta sera. sta notte. sta mane. Homai, hoggi mai, &
hora mai. Da mane, da sera. Di merigge, over di me-
riggio, over di meriggiana. Unqua. & unque. Mai, &
unque mai. Ove, & dove, cio è quando, & onde, cio è dal
/BEGIN PAGE 94v/
qual tempo. Cosi indi, cio è da quel tempo, & quinci cio
è da questo tempo. Ivi, & colà, come ivi à pochi giorni.
Colà un poco dopo l’ave Maria. Per tempißimo ancho-
ra si legge nel Decamerone.
Mostrano il tempo con intermißione. Talhora. Tal volta.
Tratto tratto. Adhora adhora, & Parte.
In questi adverbi non ispenderò molto tempo per dimo-
strare, se alcuna piccola differe[n]tia è trà loro. diro solo,
che MAI di sua natura sempre niega; eccetto quando
con interrogatione si proferisce, benche quivi anchora
i[n] negativa si risolve. Che se io dico, chi vide mai. chi sarà
mai? Tanto è, quanto se io diceßi Niuno. È non dime-
no da advertire, che chi parlando dispositivamente, cio
è senza interrogatione non vuole esprimer seco la nega-
tiva convie[n], che l’ordini inna[n]zi al verbo. onde il Pet. Co-
me chi mai cosa incredibil vide. Et il Boc. Mai di lagri-
me, ne di sospiri fosti vaga. Dopo il verbo la negativa e-
spressa necessariamente ricerca. È da advertire che ap-
presso egli non significa tempo, ogni volta che s’appog-
gia al tempo sciolto, et con interrogatione si proferisce:
come. chi saprebbe mai dirmi questa cosa? Nel qual di-
re à me pare, che proprio stia con significato di dubita-
re, quanto se sì fosse detto. Chi saprebbe per aventura
chiarirmene? Et tacitamente anchora pende alla nega-
tiva, quasi infere[n]do, che niuno si truovi fino allhora, ch’il
sappia. Dal quale inferire cosi dichiarato segue similme[n]-
te, che egli partecipa della sua prima natura, cio è del si-
gnificato del te[m]po, di cui noi parliamo. ANCHO è solo
de poeti. POI DA non credo, che si truovi, mà solamen-
te DA CHE: ne truovo autorità in contrario.
/BEGIN PAGE 95r/
Della significatione del luoco.
Nella significatione del luoco due qualità similmente prin-
cipali d’adverbi s’hanno à considerar.
Alcuni à certi luoghi servono.
Altri à tutti.
Di quelli, che à certi luoghi servono, faccio trè parti in
questo modo.
Alcuni significano in luoco.
Alcuni à luoco:
Altri di luoco, overo per luoco.
Questi significano in luoco. Quì, quà, ci, & ce, ove, & do-
ve, & là dove, & ù poeticamente. ovunque, et dovunque;
& ove che, quivi, vi, ve, & costì.
Trà OVUNQUE, & OVE CHE faßi questa differen-
za, che OVUNQUE si dà al mo[do] dimostrativo, OVE
CHE al congiuntivo dice[n]dosi. ovunque io sono, & ove
che io sia.
I trè penutlimi significano in luoco, dove è qualche terza
persona, l’ultimo dove è la persona con cui si parla.
À luoco significano, là, colà, & costà.
Di luoco, overo p[er] luoco. di quì. di quà. di colà. indi. quin-
ci, & quindi. onde. donde. costinci, cio ê di dove sei tu; &
in costà, cio è da una parte. altronde, & per quindi. da
terra, & da cielo.
Chi dubita, se nelle prose dir si possa DONDE, legga la
novella del Rè di Cipri.
À tutti i luoghi servono indiffere[n]teme[n]te lunge. da presso:
da vicino. à destra. à sinistra. à basso. ad alto, & dopo.
Trà QUÌ, & QUÀ metto questa differenza, che quan-
do s’accompagnano questi due adverbi qua, & là, se
/BEGIN PAGE 95v/
QUÀ precede, mai no[n] poßiamo in QUI mutarlo. Mà
se per lo contrario LÀ precede, QUÌ senza mutarsi
sempre si dice. Dò gli essempi.
Chi qua, chi là si fuggi.
Et doventerai più da bene là, che quì non faresti.
Trà di QUÌ, & di QUÀ è la medesima differenza, per-
che qualhora noi v’accompagnamo di LÀ, sempre deb-
biamo dire di QUÀ. senza lei diciamo di QUÌ.
Cosi facciamo di COSTÀ, qua[n]do con QUÀ lo mettia-
mo, che non mai poßiamo dire COSTÌ.
Quando per dire di questo mo[n]do si dice di QUÀ, non è
mai lecito cambiare tale adverbio dicendo di QUÌ.
CI, CE, VI, & VE sono no[n] pure adverbi, mà anchor pro-
nomi, come à suo luogo si vide. Hor dico, che si come i
due primi la prima persona rappresentano, quando son
pronomi, cosi adverbi mostrano anchora il luogo, dove
noi siamo. I due ultimi, qua[n]do sono adverbi, mostrano il
luogo, dove è qualche seconda, ò terza persona, impero-
che pronomi anchora alla medesima seconda si danno.
Appresso CI, & VI, s’usano sempre, & pronomi &
adverbi, qua[n]do immante[n]ente ne segue, ò ne và innanzi il
verbo, onde eßi si reggono: gli altri due, quando frà loro
et il verbo alcuna altra voce è interposta. Bastano à cio
mostrare gli essempi, che ne pronomi si diedero. Mà è
da sapere anchora, che con queste particelle, quando so-
no adverbi, non si può mai comminciare ragionamento
alcuno, mà solo nel mezzo son lecite ad usare have[n]do ri-
guardo ad altro principio seco[n]do l’ordine delle parole,
ò almeno delle sentenze. Secondo l’ordine delle parole
dò gli essempi. Quì non piove, mà c’è bel tempo. Ivi no[n]
/BEGIN PAGE 96r/
mi fermerei io, ne pur v’andrei. Secondo l’ordine delle
sententenze eccovi lo essempio Del Bocc. Natural ra-
gione è di ciascuno, che ci nasce, la sua vita, quanto può,
aiutare. Dove che ci nasce s’intende, cio è che nasce quì
à questa vita. La qual vita secondo l’ordine della senten-
za doveva esser nominata prima, tutto che secondo l’or-
dine delle parole sia nominata dapoi.
Significatione de gli adverbi
universale.
Ad affermare servono. ben. certo. di certo. per certo. certa-
mente. nel vero. in veritate. veramente. per fermo, &
anzi che nò.
À negare. nò, ne, non, nulla, niente, non mica, & ne mica.
À giurare. à fe. mai. per Dio.
À temprare. tardi. à pena. quasi. presso che. al qua[n]to. un
cotal poco. pian piano. passo passo. per poco, et à punto.
Ad accrescere. via. molto. assai. à bastanza. troppo. di so-
perchio. in tutto. al tutto, et del tutto. à fatto. maggior-
mente, & maßimamente.
À dubitare forse. per ventura. per aventura, & à caso.
À paragonare. più. meno. meglio. peggio. si. tanto. cotanto.
à lato. à petto, à rispetto, & à canto. due cotanto. tre-
cotanto. altresì, & altre tanto. via meno. vie più. più
del mondo.
Ad ordinare. indi. appresso. quinci. hora. dapoi. subito. di su-
bito. incontenente. immantenente. alla fine. prestamente.
tosto. di continuo. ratto. ta[n]tosto. repente. in tanto. frà tan-
to. in questa. però. percio. pertanto, & là dove.
A distinguere. in disparte. à mano à mano. separatamente.
à vicenda. vicendevolmente. à pruova, & à gara.
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À ragunare. insieme. à paro del pari. & al pari. parimen-
te. insiememente. à schiera. & à mischio.
À diminuere. punto. men che.
Ad ava[n]zare. benißimo. pochißimo. assaißimo. dio ve’l dica.
À riserbare. eccetto, salvo, se non, e nò, se non se, in fuori,
fuor, & fuor che.
À dimostrare, ecco.
À fare augurio. ben haggia, mal haggia.
À significare i paesi, et le patrie. latiname[n]te. thoscanamente.
À far conditione. ove. dove. là. dove & quando.
Ad eleggere. Anzi. più tosto. meglio.
Ad aßimigliare, q[ua]si. co[m]e. si co[m]e. à tale. cosi et cosi fattame[n]te.
A mostrar qualità. bene. male. saviamente. valorosamente.
Di grado. à grado. volentieri, & mal grado.
Ad esprimere quantità. Molto. assai. poco. sovente. spesso.
raro, & di rado.
À dichiarare. cio è, & disse il Bocc. l’avaritia, & miseria di
messer Ermino.
À significare atti della persona. Carpone. Te[n]tone. Bocco-
ne. Rovescione. Frugone. Cavalcione. Ginocchione, &
Brancolone.
À chiamare, & à rispondere. o. ò là.
À disiderare. ô, ô se, ô pur. Dio volesse, & Dio voglia che,
over piacesse, & piaccia à Dio che, quando si voglian,
come adverbi ricevere.
Ad fare animo, & invitare. fa sù. hor oltre.
À dolersi. ahi. haime ô. oime. oise. lasso, & guai.
À ridere. ah ah. À pregare. deh.
À maravigliarsi. ò, & gnaffe, voce popolare.
À spaventare. Baco Baco.
À disdegnarsi.
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À disdegnarsi. ah. À beffare. ò. ò.
I Thoscani non ha[n]no adverbio, col quale possan numerare,
mà servonsi de nomi dicendo una volta, over fiata. Due
volte, over fiate, & in infinito, come altrove si dimostrò.
on hanno similmente, come addima[n]dare propriamente se
non solo à che? mà ponvisi oltra di questo acco[m]modare
che? onde? come? perche? quando? ove? & dove?
COME, & SICOME quel caso sempre ricercano, il
quale hà la voce, con cui la comparatione si fà. Dò gli
essempi. Voi potete, come, over si come io.
Due adverbi sono, de quali notabilmente ê da sapere, che
eßi servono spesse volte à pronomi co[n] molta leggiadria.
l’uno serve à dimostrativi, l’altro à relativi. ciascuno di
loro in vece del secondo caso all’uno, & all’altro nume-
ro, & à qualunque genere.
L’uno è NE, cio è di lui, di lei, di loro: di costui, di costei, di
costoro, et di cio. oltra il servigio, che egli presta al pro-
nome della prima persona.
L’altro è ONDE, cio è del quale, della quale, de quali, del-
le quali, della qual cosa, & delle quali cose. Et serve an-
chora al sesto caso.
Di NE, è da sapere, che posta in mezzo di due nomi col
punto della distintione avanti, hà forza talhora di due
negative, onde habbiamo nella novella di Lodovico. Mai
di lagrime, ne di sospiri fosti vaga. cio è ne di lagrime,
ne di sospiri.
Di nò, quando egli s’habbia ad usare, dò otto regole.
Reg. I. Seguendone incontanente l’articolo il, quando stà
in vece di pronome, come no’l vidi. quando stà nella
propria natura, no[n] è necessario, mà può farsi, come nòl
/BEGIN PAGE 97v/
padre, & non il padre.
Reg. II. Nelle sedi, ove và à cadere il verso come Mà rom-
per nò l’imagin aspra, & cruda. Perche nò de la vo-
str’alma vista.
Reg. III. Accompagnato col SI affermativo, come ò si, ò
nò, ne sì, ne nò.
Reg. IIII. Posto nel fine della sententia, come hor riesce,
hor nò.
Reg. V. Domandando ò rispondendo semplicemente, ò quan-
do anchora semplicemente si confuta la ragion d’uno al-
tro, come Nò? Nò. nò. Io non lodo questo.
Reg. VI. Quando ê nome, il che si conosce, quando sono ac-
compagnate seco le prepositioni, ò l’articolo convenien-
te al nome, ò quando s’usa col verbo, & amendui reg-
gono la sententia. Nò gli essempi. Il sì, & il nò. Dir di
no. Ne sì, ne nò nel cuor mi suona intiero.
Reg. VII. Duplicato immediatamente, come Nò nò.
Reg. VIII. Replicato sotto’l medesimo verbo, come non son
mio, nò. Non t’appressar, ove sia viso, ò canto Canzon
mia nò.
Et di qui si conosce, che due negative frà Thoscani ne-
gano maggiorme[n]te. Però NULLA anchora, et NIEN-
TE, come affermativi si dicono. io no[n] ne sò nulla. Tu no[n]
ne sentisti niente, cio è punto. Il simile dißi di NESSU-
NO in vece di ALCUNO. ASSAI oltra le signi-
ficationi gia dette tempra, et diminuisce anchora tal vol-
ta: come.
In tutte l’altre cose assai beata.
In una sola à me stessa dispiacqui,
Che’n troppo humil terren mi truovai nata.
/BEGIN PAGE 98r/
GUAI sempre s’aggiugne al terzo caso in questo modo.
Guai a me. LASSO allhora è adverbio, qua[n]do asso-
lutamente si pone: come Lasso, ch’i ardo, & altri non
me’l crede.
VIA non solamente hà i significati, che di sopra mostra-
ti si sono, mà uno altro anchora ne hà, il quale à me
par più notabile di tutti. Et questo è, quando noi dicia-
mo. Và via. Togli via. il qual siginificato io credo esser
quello à punto, che qualità dimostra. Imperoche tanto
par, che sia dire. Và via: quanto và distesamente, & non
ti tardare. Togli via: cio è leva à fatto, et non ne lasciar
punto. Di VIA puoßi prendere con significato
d’invitare, come se diceßimo. Di sù. Hor di. Et anchora
con questo altro, quasi diceßimo. Di, over parla libera-
mente. VIA VIA fù usato dal Bocc. in vece di subito
subito. dicendo Nello à monna Tessa. Poco fà si dieder
la posta d’essere insieme via via.
Trà SE NON, & SENÒ è questa differentia, chel pri-
mo indifferentemente si pone dinanzi alle vocali, & alle
consonanti, come se non potrò salire alto, mi starò baßo.
& se non à tutti, mi farò conoscere à buona parte. Il se-
condo dinanzi alle sole vocali si mette, come
Ne chi lo scorga, v’è se non amore.
Et che poß’io più se non haver l’alma trista?
DELLA congiuntione.
Nella congiuntione si compierà il mio ragionar delle par-
ti dell’oratione.
Ella è parte, che non si varia, la qual congiugne l’altre
parti insieme. Et per cio vien detta congiuntione.
L’effetto suo dal nome si comprende.
/BEGIN PAGE 98v/
De gli accidenti suoi.
Due sono gli accidenti suoi. Figura, & significatione.
Della figura.
La figura overamente è semplice, come advegna.
Overamente composta, come advegna che.
Overamente ricomposta, come advegna Dio che.
Della significatione.
Il significato della congiuntione, come anchor quel dello
adverbio, è vario. delle quali.
Altre servono ad accoppiare, come Et, Ed, E.
Mà, che. De Poeti solo è la seconda. la terza inna[n]zi l’arti-
colo IL perlo più s’usa. Il Pet. usò anchora NE in
vece della semplice copula, quando è disse.
Si ch’io non veggia il gran publico danno,
E’l mondo rimaner senza’l suo sole,
Ne gli occhi miei, che luce altra non hanno,
Ne l’alma, che pensar d’altro non vuole,
Ne l’orecchie, ch’udir altro non sanno.
Senza l’honeste sue dolci parole.
Altre à distinguere delle due cose l’una, come ò. overo. ove-
ramente. Il medesimo Pet. usò con tale significato ancho-
ra NE. quando lasciò scritto.
Quant’io di lei parlai, ne scrißi. Et se gli occhi suoi
ti fur dolci, ne cari.
Altre à co[n]tinuare, come di modo che. si fattamente che. per
si fatta maniera che. in guisa che. onde, & là onde.
Altre à render ragione, come Che. Perche. Impero che.
Percio che. Impercio che. Accio che, & pero che.
Questa ultima, par, che raro da prosatori s’usi.
CON CIO SIA COSA che, et CON CIO
/BEGIN PAGE 99r/
FOSSE COSA CHE, qua[n]do noi vogliamo accet-
tarle, come co[n]giuntioni, stara[n]no sotto questo significato.
Altre à concludere, come Dunque. Adunque. In fatti, & in
somma.
Altre à contradire, come No[n] dimeno. Niente di meno. Nulla,
di meno. Tuttavia, Tuttavolta. Come che. Benche. Tut-
to che. Qua[n]tunque. Advegna che. Advegna Dio che. &
Advegna, & Tutto semplicemente. Anchora che. Etian-
dio che. & se bene.
Questa ultima col solo modo dimostrativo s’usa, l’altre,
le quali han simil forza, tutte col soggiuntivo s’aggiun-
gono. onde diciamo se bene io non posso. & quantunque
io non possa, & cosi de simiglianti.
Alcune à ristringere, come almeno. pure. tanto, et solame[n]te.
Alcune senza significato alcuno, ò p[er] aprirsi la strada al ra-
gionare, ò p[er] rinco[m]minciare have[n]dolo tralasciato, ò p[er] sola
leggiadria, come Egli. È. Ben. Hora. Pur. NE. et SI.
Questa HORA, che io metto qui per congiuntione, &
misi di sopra per adverbio nella significatione del te[m]po,
& dell’ordinare, à giudicio mio sempre s’hà da scrive-
re nel principio aspirata. Imperoche ella ritiene quel me-
desimo significato appresso i Thoscani, che appresso i
latini suol ritenere NUNC. Quando verbi gratia è di-
cono. Nunc, ut ad rem redeamus. & i Thoscani.
Hora per ritornare, onde ci dipartimmo.
NE, & SI ne principij de ragionari no[n] entrano, mà cosi
nel mezzo s’usano vicini al verbo: come io ne vado à Bo-
logna. Ne sò, che spatio mi si desse il cielo.
SE co[n]giuntione è senza dubbio, mà in varij modi s’usa,
p[er]ò io non l’ho messa sotto alcun particolare significato.
/BEGIN PAGE 99v/
Il più delle volte importa conditione. Sovente anchor si
tace, maggiormente dopo la negativa, quando ella dove-
rebbe stare innanzi all’imp[er]fetto soggiuntivo di SONO
Non foßi alato, cio è se non foßi alato. fosse disciolto, cio
è se fosse disciolto, disse il Pet. & qui sieno concluse tut-
te le otto parti dell’oratione.
Della concordia delle parti prin-
cipali insieme.
Resta hoggimai vedere delle figure, come si p[ro]mise, mà pri-
ma convien, che noi vediamo della concordia, che haver
deono le parti principali dell’oratione frà loro, che que-
sto anchora fù promesso.
Il nome, quando è in caso retto, dee convenire col verbo in
due simili accidenti, Nella persona cio è, & nel numero.
Dò l’essempio. Rinaldo scrive.
Il nome, che s’appoggia, dee convenire col nome, à cui s’ap-
poggia, in trè accidenti. Nel genere. nel numero, & nel
caso. si come donna bella. à gli huomini dotti.
L’articolo, & il pronome relativo deono convenire col no-
me, à cui si referiscono, in due accide[n]ti. Nel genere, & nel
numero. eccovi gli essempi. Il maestro, il quale m’insegna-
va, questo mi disse. Le donne, le quali honestamente si la-
sciono amare, son degne di lode.
Delle figure.
La figura è un modo di parlare fuor dello stil comune. Del-
le figure alcune s’hanno à fuggire, se non per neceßità.
Alcune senza neceßità anchora son lecite ad usare con
gratia, & ornamento della scrittura.
Quelle, che s’hanno à fuggire, per gli effetti loro, &
essempi cosi dimostro,
/BEGIN PAGE 100r/
Il mal suono causato dal concorso delle lettere, over delle
parole: come se io diceßi.
Ecco, come m’è nemico costui.
Il crescimento soperchio, il qual si fa in trè modi, ò giugnen-
do alcuna cosa non necessaria à quel, che per se stesso è
chiaro, come parlò con la bocca. udì con l’orecchie. poi
che con altro non si può parlar, ne udire. ò replica[n]do pa-
role haventi una medesima forza, come io stesso verrò in
persona. ò replicando inutili sentenze con diverse paro-
le si come feci, quanto mi fù conceduto, lasciai quel, che
mi fù negato.
Una altra sorte di crescimento particolare hanno i Thosca-
ni, del quale io dißi altrove, & giudico, che come figura
debba essere notato, percioche appresso de buoni scrit-
tori è assai frequente. Questo è di raddoppiare col pro-
nome l’articolo stante nel caso, & nella significatione
del medesimo pronome nell’istessa sentenza. Do gli
essempi.
Et qual ê la mia vita, ella se’l vede.
Liquali Tancredi dopo molto pianto, & tardi pentuto
della sua crudeltà con general dolore di tutti i Salerni-
tani honorevolmente amenduni in un medesimo sepolcro
gli fè seppellire.
Il tacer cosa, onde il ragionar si lasci imperfetto, si come &
ella: Tu medesmo rispondi. Vi s’intende disse.
Ò de l’anime rare. cio è l’una.
Il parlar di cose alte con basse parole, nel qual vitio si mo-
strò assai licentioso Dante. Il Pet. forse in quel sonetto.
Cara la vita, & dopo lei mi pare
Vera honesta, che’n bella donna sia,
/BEGIN PAGE 100v/
L’ordine volgi, & non fur madre mia
Senz’honestà mai cose belle, ò rare.
Il metter le parole incomposte talmente, che si renda oscu-
ra l’intention di chi parla, si come
Per quelle, che nel manco
Lato mi bagna, chi primier s’accorse. Quadrella.
Il parlar fosco in modo, che à pena l’ordine vero del ragio-
nar si discerna, come sarebbe quel verso, se non fosse di-
chiarato da i seguenti, Vincitor Alessandro l’ira vinse.
Il parlar improprio, come sperar per temere. veder p[er] sen-
tire. Et quello, che’l Pet. disse nel proemio delle sue rime
E’L PENTIRSI mettendo la terza persona in vece
della prima, con cio sia cosa che di se stesso parla[n]do par
che dovesse dire e’l pentirmi.
Questi vitij sono tolerabili più, & meno, sc[on]do che più, et me-
no si veggiono essere stati usati da più degni scrittori.
Del resto delle figure, le quali dißi, che per orname[n]to usar
si ponno, toccherrò solamente le più necessarie, & conve-
nevoli al proposito nostro, parendomi haver fatto assai
nello havere di sopra rammemorato tutti i vitij, ne qua-
li era pericoloso il lasciarsi trascorrere.
Imperoche egli ben s’ha[n]no da fuggir tutti i vitij, mà no[n]
pe’l contrario s’hanno ad usar tutte l’altre figure. Però
lasciandone molte seguirò, come hò fatto di sopra, per ef-
fetti, & essempi dimostrandone alquante.
Egli s’aggiugne una lettera di più nel principio delle voci,
come gli. Nel mezzo, come accense. Allato in vece di
A lato. Nel fine, come Ched. Sed.
Vi s’ggiugne anchora una sillaba, come Divedere. Ignudo.
Inandando. Adivenirre. Fue. Dìe.
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Bastavasi, che disse Da[n]te i[n] vece di bastava, et simiglia[n]ti.
Levasi p[er] lo contrario quando una lettera, quando una silla-
ba di tutti i sopradetti luoghi, come. Rena, per arena.
Esto, cio è questo. Pingere. cio è spignere. Pinto, cio è de-
pinto. Poria in vece di potria. Ro[m]pre, in vece di rom-
pere. Sego, in vece di Seguo. Vivrò, in vece di viverò.
Propia in vece di p[ro]pria. I, cio è io. ê, cio è egli. Animâ
in vece di animali. Amâro in vece di Amarono. & infi-
niti altri assai, perche dovunque si fa accorciamento al-
cuno di parole in guisa che sia, ivi sempre è figura, ò vi
sottentri l’accento, ò nò.
Dividesi una sillaba in due, come quando il Pet. disse.
Aureo tutto, & pien de l’opre antiche.
Pure Faustina il fà qui star à segno.
Oime terra è fatto il suo bel viso.
Ristringonsi per lo contrario due sillabe anchora ad una
sola, la qual figura manifestamente si vede in quê versi,
che altrove io allegai.
Farina, el Teggiaio, che fur si degni.
Ecco Cin da Pistoia, Guitton d’Arezzo.
Sotte[n]trano alcuna volta molte vocali l’una nell’altra, come
À la speranza mia, al fin de gli affanni.
Alcuna altra delle spesse consonanti stride il verso, come
Ne bramo altr’esca.
Fior, frondi, herbe, ombre, antri, onde, aure soavi.
Mettesi talhora l’una lettera p[er] l’altra, la q[ua]l cosa spesso nel-
le rime si vede, & io ne primi ragionamenti delle lettere
arrecai sopra cio molti eße[m]pi. Bastera[n]no hor q[ue]sti due.
Credìa in vece di credêa.
Curto in cambio di corto.
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Trasportansi anchora l’una innanzi all’altra, come si vede
in vengo, & vegno con tutti i simiglianti.
Ne pur le lettere, ma anchor gli accenti si traportano, co-
me cercandomi, & (ò pietà) # Questi è antióco.
Quando verrà lor nemica podésta.
Senza che noi truoviamo spesse volte humile, & simile
hor co[n] l’acce[n]to sulla prima sillaba, hor sù quella di mez-
zo. Credo anchora, che ivi cada questa figura, ove biso-
gna prendere spirito nel mezzo d’alcuna parola volen-
do servare il suo suono al verso. eccovi lo essempio.
Come chi smisuratamente vuole.
Egli s’aggiungono varie sente[n]ze sotto un verbo solo, come
Qual fior cadea sul lembo.
Qual sù le trecie bionde.
Rendesi per lo contrario à ciascuna sentenza ciascun ver-
bo, come
I pensier son saete, e’l viso un Sole.
E’l desir fuoco, e’nsieme con quest’arme.
Mi punge amor, m’abbaglia, & mi distrugge.
Nascono alle volte da un verbo solo diverse sententie, come
Questo fu’l fel, questo gli sdegni, & l’ire.
Egli si rincommincia l’un verso nella medesima voce, ove
ha finito l’altro, come
Più volte amor m’havea già detto scrivi,
Scrivi quel, che vedesti in lettre d’oro.
Comminciansi più versi con una voce medesima, come
Vedi ben, quanta in lei dolcezza piove,
Vedi lume, che’l cielo in terra mostra,
Vedi, quant’arte dora, e’mperla, e’nostra.
L’habito eletto.
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Comminciasi anchora, & si chiude un solo verso con una vo-
ce istessa, come.
Morte m’ha morto, & sola può far morte.
Legansi molti nomi insieme continuatamente ad uno mede-
simo modo, come
In quel luogo, in quel tempo, & in quell’hora.
Molte parole talhor s’incomminciano da una lettera mede-
sima, come se io diceßi.
Parlate pregovi più piano.
Dicesi anchor due volte continuatamente nella medesima
sententia una stessa parola, come
Meco, mi disse, meco ti consiglia,
Non son colui, non son colui, che credi.
Finisconsi d’altra parte molte voci in una lettera medesima,
come cara la vita.
Santa, saggia, leggiadra, honesta.
Escono altresi più casi simili incontanente l’un dopo l’al-
tro, come.
À le pungenti, ardenti.
Tardo, sogliardo, & bugiardo. oltra l’essempio precede[n]te.
Mettesi un solo nome in varij casi distinti, come.
Di pensier in pensier, di monte in monte.
Stendonsi molte sententie ordinatamente secondo il successo
del fatto l’una appresso l’altra, come
Fiera stella, s’el cielo hà forza in noi,
Quant’alcun crede, fù sotto ch’io nacqui.
Et fiera a terra, ove i piè moßi poi.
Legansi molte voci copulatamene, come
Et le mani, & le braccia, e i piedi, e’l viso.
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Lasciansi anchora disciolte in contrario, come
À gli atti, à le parole, al viso, ai panni.
Ecci appresso tutte l’altre una figura, la quale speßißime
volte usano i Poeti, & i Prosatori Thoscani, & di que-
sta io feci mention nelle prepositioni, quando noi truo-
viamo scritto tali, ò simili parole. Son de gli huomini. co[n]
del pane, cio è sono alquanti huomini. & con un poco di
pane. Questa io concludo esser propria de Thoscani, &
da niuna altra lingua esser conosciuta: Impero che ella
hà sembianza solo dell’una di queste figure, & non è pe-
rò alcuna di loro. Dico di quella, ove si tace alcuna cosa
necessaria, della quale hò parlato ne vitij: ovvero di quel-
la, dove l’un caso serve in cambio dell’altro. Ma che ella
non sia ne l’una ne l’altra, chiaro ne dimostra l’articolo,
che in quel modo di dire s’aggiugne dietro la preposi-
tione. Impero che se una parola sola necessaria si ta-
cesse, manderebbesi non dimeno il nome fuori nel suo pro-
prio caso, & direbbesi sono huomini, & con pane. Ap-
presso se l’un caso si mettesse per l’altro, se[n]za l’articolo
si direbbe sono d’huomini, & con di pane, Considerando
che à volerlo nel proprio caso ritornare, noi diremmo
anchora sono huomini, & con pane senza articolo ve-
runo, Però da concludere è, come hò detto, che ella
sia propria, & particolar de Thoscani. La qual
cosa mi fà credere per essere anche, trà loro mol-
to frequente, che si come appresso i latini alcuna fi-
gura v’hebbe, che fù chiamata Greca per simil
rispetto, cosi questa possa meritamente esser, chiama-
ta Thoscana.
Non errerebbe à mio giudicio anchora, chi diceße se-
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condo la fede nostra esser figura quando gli Dij si dice
nel secondo numero in vece di Dio nel primo. Contra-
ria figura à quell’altra, quando il primo numero si met-
te per lo secondo, come io dißi nel ragionar de nomi.
Mà non è figura anchor quella, quando il nome, che s’ap-
poggia, si discorda da quello, che stà, accordandosi sola-
me[n]te col significato di quello? certo io credo, che si. come
ogni cosa è pieno di romore, cio è tutto è pieno, overo o-
gni cosa è piena. Cosi parime[n]te giudico esser figura, qua[n]-
do il Boc. discordando i numeri, & i generi disse nella
Novell. di M. Torello. Non ostante i prieghi de la sua
donna, & le lagrime.
Tutte l’altre figure lascio, & parendomi tempo homai di
dar fine à cosi fatti ragionamenti dopo l’havervi carißi-
ma Hiparcha mostrato la via, con la quale voi à scrive-
re havete, intendo mostrarvi anchora un breve modo,
col quale voi poßiate penetrare al vero sentimento del-
l’altrui scritture. Il che farete ogni volta, che queste trè
cose principalmente considererete.
Il soggetto prima della scrittura. Poi l’intentione,
& finalmente l’artificio del Poeta. Eccovi per essem-
pio il primo sonetto del Petrarcha. VOI, CH’AS-
COLTATE: con quel, che segue. Il soggetto è amo-
re esser cosa vana, L’inte[n]tion del Poeta iscusarsi per ha-
verlo seguitato, L’artificio consiste nel modo, che egli
usa di scusarsi; nella benivolenza, che ei prende, mostra[n]-
do di fidarsi tanto in color, che l’ascoltano, che spera
di truovar non solo perdono, mà anchor pietate, pur
che eßi sappiano cio, che amore sia. Quasi diceße, &
come gli si può malagevolme[n]te resistere. Nella ragion,
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che egli adduce incolpando la gioventù priva di cono-
scimento, la quale à cio lo condusse. Nel confessare esso
medesimo l’error suo; nell’ordine, nella elettione, & nel-
la dispotione delle parole mette[n]dole hor prima, hor do-
po, & usando l’una più tosto, che l’altra, & istendendo-
ne parte, parte accorciandone, come a lui pareva, che be-
ne stesse. Le figure d’altra parte cadono anche elle sot-
to questo artificio, come qua[n]do egli fuor del comun par-
lare si vede, che disse E’L PENTIRSI i[n] vece di dire
E’L PENTIRMI. AL MONDO, & non à gli
huomini mondani. Riserbando oltra di questo la senten-
tia morale per conclusion del sonetto, il quale sempre è
laudabilißimo fine in tutte le scritture.
Conclusione dell’opera.
Hanno soavißima Hiparcha, mentre che io scrivo, solleci-
tamente gli Dij procurato la nostra salute, & in bre-
vißimo spatio di tempo dato quel fine à nostri trava-
gli, il quale altrui pareva quasi impoßibile ad dovere
esser giamai. Mà ta[n]to può la divina giustitia oltra l’hu-
mane forze. Quel refrigerio adunque, che io pensai
da prima, che dovessono arrecare alle vostre tribola-
tioni queste mie carte, quanto à cio, sarà vano. Mà
non per tanto vi potete promettere, che elle non possa-
no anchora, quando che sia, giovarvi in simil caso. Im-
pero che la vita nostra (come vedete) à guisa d’una ca-
tena trahe continuamente d’una miseria un’altra. Pure
sia ringratiato il nome santißimo di colui, il quale all’-
Hidra pestilente, onde uscivan poco dianzi infinite, &
quasi immortali cagioni de nostri danni, ha tro[n]cato su-
bitamente tutti i capi. Et no[n] piaccia alla sua eterna bon-
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tà per innanzi, che io faccia più ne à voi, ne a me augu-
rio cosi tristo. Con proponimento d’aßai migliore spera[n]-
za intendo al presente di mandarvi le mie fatiche Con
cio sia cosa che voi potrete quivi honestamente dispen-
sar l’otio vostro, & in mezzo à gli agi non esser disa-
giata. Oltra di questo tale è il vostro ingegno, tale il giu-
dicio, & da tale memoria l’uno, & l’altro accompagna-
to, che in breve spero veder di voi gra[n] frutto, se co miei
scritti leggerete quelli di coloro, à quali io per aprirvi
la strada mi sono affaticato. Rimanetevi adunque in
pace, & tenete per fermo, che bene a persona più di me
dotta potevate advenirvi, mà à chi più di me v’amas-
se, niuno.
IL FINE.