Quello strano "appuntamento": punteggiatura e terminologia - Laura Clemenzi

Quello strano appuntamento: punteggiatura e terminologia

 di Laura Clemenzi 

 

Dietro l’uso dei segni di interpunzione e il processo di standardizzazione della punteggiatura si cela una storia complessa e secolare, strettamente legata a quella della tipografia e a quella della grammatica. Se da un lato l’invenzione della stampa a caratteri mobili incoraggiò i tipografi a sperimentare nuovi sistemi interpuntivi, dall’altro l’interesse per la codificazione della lingua volgare spinse i grammatici a ricercare una norma stabile anche per la punteggiatura, lungo un percorso segnato da difficoltà che si manifestarono anche in una perdurante oscillazione terminologica (Mortara Garavelli 2008). In tale impegno congiunto probabilmente fu tenuto in considerazione anche un altro fattore: per effetto del mutamento del panorama editoriale, iniziava ad allargarsi il numero dei lettori e al contempo a diffondersi l’abitudine alla lettura cosiddetta “endofasica” (cioè interna, tra sé e sé), ed è esperienza comune che questa, rispetto alla lettura ad alta voce, ha ancor più bisogno di “segnali stradali” (Mortara Garavelli 1986: 154) che chiariscano la struttura del testo (cfr. Chiantera 1986: 150 e Fornara 2010: 17-19). Siamo in pieno Cinquecento: è l’inizio di un lungo cammino – solcato all’inizio del secolo, in relazione alle convenzioni interpuntive, dal sodalizio tra il tipografo Aldo Manuzio e il grammatico Pietro Bembo – che porterà la punteggiatura, attraverso le epoche, a diventare un codice sempre più raffinato e stabile, al punto da poter essere usato, in tempi vicini a noi, anche a scopi espressivi e stilistici.

 

1. Tra il puntare e l’appuntare, verso l’appuntamento

 

La punteggiatura è un tema che le opere grammaticali del secondo Cinquecento non possono ignorare. Alcuni autori la trattano con pochi accenni, all’interno delle sezioni dedicate all’ortografia o in particolare agli accenti: ad esempio, brevi indicazioni sull’uso di alcuni segni figurano nelle Regole osservanze et avvertenze sopra lo scrivere correttamente la lingua volgare Toscana in prosa et in versi (Napoli, 1545) di Paolo Del Rosso e nei Fondamenti del parlar thoscano (Venezia, 1549) di Rinaldo Corso; alle maniere di punti per “distingue[re] tutto lo scritto” riserva circa tre pagine Pierfrancesco Giambullari nel libro quinto dell’opera De la lingua che si parla et scrive in Firenze (Firenze, 1552); “de’ punti” si propone di trattare “brievemente” Francesco Sansovino, nell’Ortographia delle voci della lingua nostra (Venezia, 1568). Altri dedicano invece alla punteggiatura più ampio spazio. È il caso di Lodovico Dolce, grammatico e curatore di testi presso importanti tipografie veneziane – tra le quali quella di Gabriele Giolito de’ Ferrari –, che nelle Osservationi nella volgar lingua (Venezia, 1550) tratta il puntare all’interno di pagine ritenute rappresentative della svolta che si realizzerà negli anni successivi sia sul fronte teorico-normativo, sia su quello della prassi editoriale (Maraschio 2008: 122). I criteri d’uso dei segni interpuntivi lì illustrati, più che dalle indicazioni di precedenti grammatici, sembrano discendere proprio dal lavoro editoriale condotto da Dolce (Telve 2016: 422).

 

     

  Fig. 1 Frontespizio ed estratto del libro terzo dell’opera

Osservationi nella volgar lingua (Venezia, 1550) di Lodovico Dolce.

 

Così anche Leonardo Salviati, filologo e fondatore, insieme ad altri letterati, dell’Accademia della Crusca (1583), maggiore promotore del progetto lessicografico cruscante e protagonista della questione della lingua del secondo Cinquecento, all’interno del libro terzo del primo volume degli Avvertimenti della lingua sopra ’l Decamerone (Venezia, 1584) tratta la punteggiatura in una specifica partizione, “Del punto, e degli altri segni, onde si distinguono le parti della scrittura”.

 

      

Fig. 2 Frontespizio ed estratto del libro terzo del primo volume dell’opera

Avvertimenti della lingua sopra ’l Decamerone (Venezia, 1584) di Leonardo Salviati

 

Soltanto due autori dedicano alla punteggiatura un intero trattato. A Orazio Lombardelli, principale teorico e codificatore cinquecentesco, si deve l’Arte del puntar gli scritti (Siena, 1585); a Giacomo Vittori da Spello, il Modo di puntare le scritture volgari et latine (Perugia, 1598), opera che testimonia anche la tendenza, da parte di alcuni grammatici, a descrivere il sistema interpuntivo applicandolo in modo indifferenziato sia all’italiano, sia al latino.

 

      

Fig. 3 Frontespizi dei trattati L’arte del puntar gli scritti (Siena, 1585) di Orazio Lombardelli

e Modo di puntare le scritture volgari et latine (Perugia, 1598) di Giacomo Vittori da Spello.

  

Benché nel secondo Cinquecento non manchino dunque i contributi allo studio della punteggiatura, sussistono ancora molte incertezze, sia nelle denominazioni, ereditate dai secoli precedenti, sia nella classificazione. Ad esempio, tra le denominazioni della virgola, oltre a sospensivo (Lombardelli), punto sospeso (Del Rosso), sospiro (Giambullari), figurano coma (Dolce, Salviati e altri) e semicircolo (che secondo alcuni si deve, scrive Vittori da Spello, ad Aldo Manuzio), ma lo stesso termine coma è da altri impiegato per identificare i due punti (Lombardelli, Giambullari); o, ancora, il punto è in alcune opere graduato (es. fermo, trafermo, fermissimo e trafermissimo in Salviati), in considerazione dell’iniziale minuscola o maiuscola della parola che segue ma anche dello spazio vuoto e del capoverso, mentre il punto esclamativo, anche punto affettuoso, ammirativo o patetico (Lombardelli, Vittori), ancora raramente figura negli inventari (per un prospetto complessivo, v. Fig. 4).

 

Fig. 4 Tavola delle denominazioni dei segni interpuntivi annessa al trattato

Modo di puntare le scritture volgari et latine (Perugia, 1598) di Giacomo Vittori da Spello.

 

Maraschio (2008: 128, 130-131) osserva che la maggior parte degli autori cinquecenteschi riconosce sei segni fondamentali – la virgola, il punto e virgola, i due punti, il punto fermo, il punto interrogativo e la parentesi (in tutte le loro varianti sinonimiche) – ma anche che allo stesso tempo, a prescindere dalle funzioni intonativo-pausative o sintattico-semantiche attribuite alla punteggiatura, concorda nel porre su una scala gerarchica, nell’ordine, la virgola, il punto e virgola, i due punti e il punto fermo; il punto interrogativo (eventualmente insieme a quello esclamativo) e soprattutto le parentesi sono spesso trattate a parte. Giambullari, ad esempio, che precisamente distingue quattro maniere di punti, dopo aver descritto il sospiro, il punto comato, la coma e il punto, specifica per il punto interrogativo che questo è funzionale solo alla pronuncia, mentre tratta la parentesi in un diverso libro, il settimo, nella partizione dedicata alla “costruzzione virtuosa”, evidenziando che tale segno “rompe l’ordine cominciato”.

Nel corso del Seicento il fervore si affievolisce: la punteggiatura è assente in opere di rilievo quali Della lingua toscana (Firenze, 1643) di Benedetto Buonmattei e le Osservationi della lingua italiana (parte prima, postuma: Forlì, 1685; parte seconda: Ferrara, 1644) di Marco Antonio Mambelli, noto come il Cinonio, mentre altri autori si limitano a una ricognizione dei segni (Marazzini 2008: 138). A distinguersi è Daniello Bartoli, che con modernità di vedute, e in particolare sottolineando l’importanza dei segni di punteggiatura non solo per le pause della voce ma anche per la scansione del pensiero, nel capo XVI della sua Ortografia italiana (Roma, 1670) affronta l’appuntare – “o punteggiare che voglian dirlo”, scrive – e approfondisce gli usi dei quattro segni con che si appunta (punto fermo, due punti, punto coma, coma o virgola; tratta a parte la parentesi).

 

Fig. 5 Frontespizio dell’opera Dell’ortografia italiana (Roma, 1670) di Daniello Bartoli.

 

La punteggiatura ritrova più ampio spazio nelle pagine delle opere settecentesche – nelle quali tuttavia torna a prevalere l’attenzione all’aspetto prosodico (Fornara 2008: 159) –, perlopiù all’interno delle sezioni dedicate all’ortografia.

Una nuova denominazione del sistema interpuntivo è nella parte quinta, Dell’ortografia, della Prattica, e compendiosa istruzzione a’ principianti (Roma, 1711) di Benedetto Rogacci; all’inizio del capo nono, titolato Dell’appuntare, si legge che “Quattro sono i segni, che servono all’appuntamento, cioè alla distinzion delle scritture: il Punto Semplice, i Due Punti, il Punto con Virgola, e la semplice Virgola”.

 

      

Fig. 6 Frontespizio ed estratto della parte quinta dell’opera

Prattica, e compendiosa istruzzione a’ principianti (Roma, 1711) di Benedetto Rogacci.

 

2. Verso l’interpunzione e la punteggiatura, passando per un già visto punteggiare

 

La denominazione del sistema interpuntivo continua a essere variabile nel corso del Settecento, secolo in cui, contestualmente alle riforme scolastiche e in un clima di grande fermento culturale, inizia a manifestarsi un avvicinamento della grammatica alla scuola.

L’interpunzione (anche punteggiatura) a cui dedica circa sette pagine Domenico Maria Manni alla fine della X e ultima lezione, Dell’Ortografia, delle sue Lezioni di lingua toscana (Firenze, 1737) riapparirà – in forma plurale – negli Elementi della pronunzia e dell’ortografia italiana (Milano, 1786) di Francesco Soave, che titola Delle interpunzioni il capo VIII della sezione Elementi dell’ortografia italiana. Negli anni centrali del secolo sembra invece prevalere il punteggiare: Jacopo Angelo Nelli, nella Grammatica italiana per uso de’ giovanetti (Torino, 1744), titola Del Periodo, e del punteggiare il cap. II della parte III, Della Ortografia; Salvatore Corticelli, nel libro terzo, Della maniera di pronunziare, e di scriver toscano, di una delle più importanti opere nella storia della grammatica italiana, le Regole ed osservazioni della lingua toscana (Bologna, 1745), porta esempi del punteggiare tratti da scrittori moderni; Pier Domenico Soresi, nei Rudimenti della lingua italiana (Milano, 1756), titola Della maniera di Punteggiare la lezione 8 della parte seconda, Che contiene gli Avvertimenti sopra l’Ortografia. Allo stesso tempo non mancano soluzioni che non attribuiscono una denominazione al sistema interpuntivo: all’inizio del secolo, Girolamo Gigli, nelle Regole per la toscana favella (Roma, 1721) compilate in forma di dialogo tra maestro e scolaro, nel cap. X, Dell’Ortografia, individua le due macrocategorie dei punti e delle virgole quali “segni di quel posamento, che dobbiamo fare parlando, per dinotare l’interruzione, o in qualche modo il compimento del nostro ragionare”; così anche Soave, nella sua Gramatica ragionata della lingua italiana (Parma, 1771) – che precede gli Elementi della pronunzia e dell’ortografia italiana (v. sopra) – titola Dei punti, e delle virgole il capo VIII della parte V, Della ortografia.

In relazione ai singoli segni di punteggiatura, sembra stabilizzarsi la terminologia attuale, sebbene ad esempio Soresi impieghi invece ancora coma (anche nella denominazione del punto e virgola: Punto, e Coma, o Punto coma), specificando, per la virgola – il Coma – “la qual voce Greca è chiamata da’ Latini virgula, e presso noi suona verghetta”, e Corticelli usi per i due punti anche mezzo punto. Manca ancora, tuttavia, una classificazione ben definita: mentre sono sempre inclusi tra i segni di punteggiatura il punto (anche punto fermo o finale), i due punti, il punto e virgola e la virgola, più incerta appare la collocazione del punto interrogativo (anche d’interrogazione), del punto ammirativo (o d’esclamazione) e ancor di più delle parentesi e delle virgole accoppiate (le virgolette).

Nel corso dell’Ottocento le grammatiche dedicano alla punteggiatura solo poche pagine all’interno delle sezioni dedicate all’ortografia; è nell’ultimo ventennio del secolo che “la punteggiatura acquisisce uno statuto meglio definito, soprattutto perché inizia a farsi strada l’attenzione per i suoi aspetti logico-sintattici” (Fornara 2010: 24) grazie al contributo di Raffaello Fornaciari. I segni di interpunzione, quali segni “che cadono fra l’un pensiero e l’altro”, trovano spazio nella sua Sintassi dell’uso moderno (Firenze, 1881) – pubblicata a breve distanza dalla Grammatica italiana dell’uso moderno (Firenze, 1879) –, nel cap. 3 della parte terza, La collocazione delle parole; “senza parlare di quei segni che hanno un valore fisso e chiaro di per sé, come il punto interrogativo, l’ammirativo, le virgolette ed altri (vedi la Grammatica)”, Fornaciari si sofferma, nell’ordine, sulla virgola, la parentesi, il punto e virgola, i due punti e il punto fermo.

 

Fig. 7 Frontespizio dell’opera Sintassi dell’uso moderno (Firenze, 1881) di Raffaello Fornaciari.

 

Ferrari (2018: 185) sottolinea che inizia inoltre a prendere corpo una svolta che troverà poi un primo assetto all’inizio del Novecento: in contrapposizione alla concezione morfosintattica tipica delle grammatiche a vocazione puristica, tra cui quella dello stesso Fornaciari – ma maggiormente rappresentativa del filone puristico-tradizionale è l’opera, con numerose edizioni fino alla fine dell’Ottocento, Regole elementari della lingua italiana (Napoli, 1834) di Basilio Puoti –, comincia a essere concepito un uso comunicativo della punteggiatura; tale novità è propria dalle grammatiche di impronta manzoniana, tra le quali ad esempio la Grammatica della lingua italiana premiata al concorso nazionale della Società Editrice Sonzogno (Milano, 1905) di Francesco Zambaldi.

La codificazione della punteggiatura e al contempo una standardizzazione terminologica vengono più pienamente raggiunte nel corso del Novecento. Va detto tuttavia che ancora oggi si manifestano alcune oscillazioni: violazioni consapevoli di una norma ormai definita, frutto di precise scelte stilistico-espressive, si osservano nella letteratura e nel giornalismo, mentre usi nuovi – talvolta anche abusi o non usi – appaiono in alcune forme di scrittura digitale che simulano l’oralità (es. chat, email, sms).

Prova del raggiungimento di un alto grado di maturazione del comparto è l’introduzione della macrocategoria dei segni paragrafematici. Con tale espressione, coniata da Arrigo Castellani (1985), si fa riferimento a tutti gli accorgimenti grafici che completano il significato dei grafemi: oltre ai segni di punteggiatura (per un prospetto contemporaneo autorevole, riprodotto nella Fig. 8, si rinvia a Serianni 1989), si riconoscono ad esempio come paragrafematici, tra gli altri, l’accento grafico, le parentesi graffe e le parentesi uncinate, ma anche le diverse forme del carattere tipografico (es. tondo, corsivo, neretto).

 

Fig. 8 Segni di punteggiatura descritti da Serianni 1989, riprodotti in Fornara 2010: 27.

 

3. Conclusioni, con uno sguardo alla lessicografia

 

Nell’excursus presentato si è tentato di offrire un quadro sintetico dell’evoluzione terminologica relativa al sistema interpuntivo, facendo contestualmente solo rapidi accenni all’evoluzione che ha riguardato anche le sue funzioni. Si aggiunge qui che nella lessicografia almeno puntare è stato accolto con un certo ritardo: lo registra la terza edizione (1691) del Vocabolario degli Accademici della Crusca, “Da punto, segno, che si fa, per la posa del periodo nelle scritture e vale Il porre tali punti, o segni” (definizione poi ridotta nella quarta edizione a “Porre i punti”). La stessa edizione registra punteggiare, rinviando a puntare, e punteggiatura, “il punteggiare”; appuntare, presente dalla prima edizione (1612), e appuntamento, apparso nella terza, non sono registrati con l’accezione che qui interessa, mentre è assente in tutte le edizioni interpunzione. Le accezioni con le quali i grammatici hanno usato appuntare e appuntamento non figurano nemmeno in altri importanti dizionari storici quali il Grande dizionario della lingua italiana fondato da Salvatore Battaglia e poi diretto da Giorgio Bàrberi Squarotti (Torino, 1961-2003, con due supplementi curati da Edoardo Sanguineti, 2004 e 2009) e il Dizionario della lingua italiana di Niccolò Tommaseo e Bernardo Bellini (Torino, 1861-1879), che documentano invece l’uso sia di punteggiatura, sia di interpunzione per indicare l’insieme dei segni di punteggiatura. Le grammatiche di base attuali, sebbene oggi i due termini risultino nell’uso interscambiabili, sembrano preferire punteggiatura; Tommaseo, s.v. interpunzione, osservava che “Punteggiatura però è il più com[une]; Interpunzione cade meglio nel ling[uaggio] erud[ito], parlando d’ant[iche] Scritture”.

marzo 2024

Per saperne di più

Arrigo Castellani, Problemi di lingua, di grafia, di interpunzione nell’allestimento dell’edizione critica, in La critica del testo. Problemi di metodo ed esperienze di lavoro, Atti del Convegno (Lecce, 22-26 ottobre 1984), Roma, Salerno Editrice, 1985, pp. 229-254.

Angela Chiantera, Alle origini della punteggiatura, in «Italiano e oltre», 4, 1986, pp. 149-152.

Angela Ferrari, Punteggiatura, in Giuseppe Antonelli, Matteo Motolese e Lorenzo Tomasin (a cura di), Storia dell’italiano scritto. IV. Grammatiche, Roma, Carocci, 2018, pp. 169-202.

Simone Fornara, Il Settecento, in Bice Mortara Garavelli (a cura di), Storia della punteggiatura in Europa, Roma-Bari, Laterza, 2008, pp. 159-177.

Simone Fornara, La punteggiatura, Roma, Carocci, 2010.

Nicoletta Maraschio, Il secondo Cinquecento, in Bice Mortara Garavelli (a cura di), Storia della punteggiatura in Europa, Roma-Bari, Laterza, 2008, pp. 122-127.

Claudio Marazzini, Il Seicento, in Bice Mortara Garavelli (a cura di), Storia della punteggiatura in Europa, Roma-Bari, Laterza, 2008, pp. 138-158.

Bice Mortara Garavelli, Punteggiatura tra scritto e parlato, in «Italiano e oltre», 4, 1986, pp. 154-158.

Bice Mortara Garavelli (a cura di), Storia della punteggiatura in Europa, Roma-Bari, Laterza, 2008.

Luca Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di Alberto Castelvecchi, Torino, UTET, 1989.

Stefano Telve, Modelli grammaticali e revisioni linguistiche ed editoriali delle Osservationi nella volgar lingua di Lodovico Dolce, in Paolo Marini e Paolo Procaccioli (a cura di), Per Lodovico Dolce. Miscellanea di studi, vol. I, Passioni e competenze del letterato, Manziana, Vecchiarelli, 2015, pp. 395-463.

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