Quando nasce il condizionale? - Viviana de Leo

Quando nasce il condizionale?

di Viviana de Leo

Il sistema verbale italiano mostra, rispetto alla lingua madre latina, alcuni importanti mutamenti: le coniugazioni verbali da quattro passano a tre, nascono i tempi composti, il futuro presenta una diversa formazione e nasce il modo condizionale, che il latino, invece, non aveva. Proprio a quest’ultima rilevantissima novità è dedicato presente contributo.

Un po’ di grammatica storica

È possibile definire il modo condizionale un’innovazione della lingua italiana e delle lingue a lei sorelle derivate dalla lingua latina, le lingue romanze: infatti, il latino esprimeva i significati del modo condizionale con altre forme. Tuttavia, il condizionale italiano, terminante in -ei, è solo una delle forme di condizionale che si sono generate nella storia della lingua: ne esistevano, infatti, altre parallele.

In generale, il condizionale è nato da una perifrasi del latino volgare comprendente l’infinito e una voce del verbo HABĒRE: in fiorentino (e, dunque, nella lingua italiana che da esso deriva), la voce impiegata è stata *HĔBUI, forma latino-volgare del perfetto di HABĒRE: *HĔBUI si è ridotto ad
-ei per sincope della sillaba centrale, dando vita alla prima persona singolare del condizionale presente; la riduzione delle altre persone verbali di *HĔBUI (*HĔBUISTI, *HĔBUIT, *HĔBUIMUS, *HĔBUISTIS, *HĔBUERUNT) ha generato le restanti uscite verbali. Nel Meridione e in Sicilia si riscontra l’uso di un’altra forma di condizionale: amàra (‘amerei’), derivata dall’indicativo piuccheperfetto latino (AMAVĔRAM > amàra); di questo tipo è, ad esempio, la forma fora (‘sarebbe’), che di frequente si registra nelle liriche della “scuola siciliana” e che si afferma presto nella tradizione lirica italiana. Non è raro, però, incontrare un’altra forma di condizionale nei componimenti dei poeti siciliani e nella lingua della poesia in generale: si tratta di una forma di condizionale uscente in -ia, sarìa (‘sarei’), che probabilmente deriva dal provenzale, la lingua dei trovatori d’oltralpe a cui i poeti siciliani si ispiravano; anch’essa è il risultato di una perifrasi, comprendente l’infinito del verbo e l’imperfetto del verbo HABĒRE, HABĒBAM: quest’ultimo ha subito una forte riduzione, divenendo ĒA e successivamente -ia, perché la Ē tonica in siciliano ha dato i.

CONDIZIONALE FIORENTINO o PERFETTIVO

amar(e) + *(h)ĕ(bu)i > amarei > amerei (ar protonico > er)

CONDIZIONALE SICILIANO

Ama(vĕ)ra(m) > amàra

 

CONDIZIONALE PROVENZALE o IMPERFETTIVO

Amar(e) (hab)e(b)a(m) > amarìa

 

Il riconoscimento del condizionale nelle grammatiche della lingua italiana

Il condizionale, quindi, è una novità della lingua italiana e delle lingue romanze: è per questa ragione che i primi grammatici della nostra lingua, nel tentativo di regolarizzare e categorizzare le forme che incontravano nella letteratura, hanno non poco faticato per identificare il modo verbale. La tradizione della grammatica latina, a cui essi facevano riferimento per la descrizione delle parti del discorso e delle forme verbali, non poteva infatti fornire aiuto per il modo condizionale, che veniva inserito, di solito, tra i tempi del congiuntivo. Il riconoscimento dell’autonomia del modo condizionale, dunque, si trasforma in un banco di prova per gli autori, e ci permette di valutare la loro abilità nell’individuare un fenomeno nuovo, che distingue latino e volgare.

Il nostro primo grammatico, Leon Battista Alberti, l’autore della Grammatichetta vaticana (1438-1441), individuò la differenza tra la lingua latina e il volgare italiano, nonostante l’unico riferimento per la sua opera potesse essere la grammatica latina: attribuì al condizionale il nome asseverativo o assertivo, distinguendolo dal modo congiuntivo, che chiamò invece optativo e subienctivo. Giovanni Francesco Fortunio, autore delle note Regole grammaticali della volgar lingua (1516), non riuscì, invece, a ravvisare la differenza tra il congiuntivo e il condizionale, trattati sotto il termine di soggiuntivo o soggiontivo: addirittura, nella flessione del soggiuntivo, le voci del congiuntivo imperfetto e quelle del condizionale presente risultano mescolate. Lo stesso fecero tanti altri grammatici del secolo XVI, come Flaminio, Del Rosso, Dolce, Tani, ecc. Diverso, secondo alcuni studiosi, il caso di Pietro Bembo, l’autore delle famosissime Prose della volgar lingua (1525) – che possedeva una copia della Grammatichetta vaticana di Leon Battista Alberti, dal quale avrebbe, con tutta probabilità, raccolto la distinzione. A causa della scelta della perifrasi al posto della più nota e diffusa terminologia grammaticale di derivazione latina, il passo in cui Bembo tratta del congiuntivo e del condizionale è stato oggetto di dibattito, ma sembra possibile affermare che riuscì nell’identificazione del modo condizionale (una delle tre guise di voci condizionate) rispetto al congiuntivo. Da ricordare anche l’autore de’ La grammatica volgare (1539), Tizzone Gaetano da Pofi, che pose i due modi sotto il termine ottativo, ma come tempi differenti: il condizionale presente, infatti, è individuato come un tempo a sé stante e non confuso con l’imperfetto del congiuntivo (un altro futuro che ha del presente). Anche Pierfrancesco Giambullari, nelle sue Regole della lingua fiorentina (1552), pur non riconoscendo l’autonomia del modo verbale, ne isolò i tempi all’interno del modo congiuntivo. Pochi, in definitiva, coloro che nella prima metà del secolo XVI riuscirono nell’ardua impresa di isolare i tempi del condizionale: oltre ai già citati, Giovan Giorgio Trissino, autore di una Grammatichetta (1529), distingue il soggiontivo dal soggiontivo redditivo, vale a dire il condizionale; Rinaldo Corso, nei suoi Fondamenti del parlar thoscano, editi a Venezia nel 1549 – primo grammatico dell’italiano ad usare la parola congiuntivo, invece di soggiuntivo, soggiontivo – differenzia il conditionale e il congiuntivo/soggiuntivo, parendo al corrente dell’autonomia del condizionale come tempo verbale; tuttavia, lo categorizza come tempo del modo dimostrativo (corrispondente al nostro indicativo) e, quindi, non ancora come un modo verbale autonomo.

Nessuno, insomma, nel secolo XVI riuscì a guardare al condizionale come a un modo verbale sciolto, come viene considerato ai giorni nostri nella grammatica italiana. La situazione non mutò nel corso del secolo successivo: i grammatici continuarono a identificare il condizionale al massimo come tempo a sé stante (di solito imperfetto del congiuntivo), ma mai come modo. Si pensi, ad esempio, a una delle più importanti grammatiche del secolo XVII, Della lingua toscana (1643) di Benedetto Buommattei, laddove i tempi dell’ottativo comprendono i quattro tempi del congiuntivo e i due tempi del condizionale, fusi insieme in un unico modo verbale.

Il condizionale come modo verbale

Insomma, pensare al condizionale come modo sciolto dall’indicativo e dal congiuntivo non fu un’acquisizione dei primi due secoli di riflessione grammaticale: un significativo passo avanti venne infatti compiuto nel Settecento da Francesco Soave che, nella sua Gramatica ragionata della lingua italiana (1771), riconobbe per primo il modo verbale:

Grammatica ragionata della lingua italiana di Francesco Soave, Venezia, 1801, presso Andrea Santini, e Figlio, pp. 64-65.

La classificazione del modo verbale condizionale e la sua distinzione dal modo congiuntivo non fu, dunque, un’acquisizione scontata: quello compiuto dal Soave fu un passo avanti in un lento tragitto che va a costituire il fondamento della normativizzazione della lingua italiana, ma che, per il caso del condizionale, si compì pienamente solo a partire dal secolo XIX.

febbraio 2024

Per saperne di più

AA.VV., Vocabolario Treccani online, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma: CONDIZIONALE in "La grammatica italiana" - Treccani - Treccani

Ilaria Bonomi, La grammaticografia italiana attraverso i secoli, Milano, CUEM Edizioni Unicopoli, 2012.

Simone Fornara, La trasformazione della tradizione nelle prime grammatiche italiane (1440-1555), Padova, Aracne, 2013.

Giada Mattarucco, Alcuni punti critici nelle grammatiche italiane da Fortunio e Buonmattei, in «Studi di Grammatica Italiana», XIX, 2001, pp. 93-139.

Giuseppe Patota, Nuovi lineamenti di grammatica storica dell’italiano, Bologna, il Mulino, 2007.

Raffaella Petrilli, Le forme in -rei e il termine condizionale nelle grammatiche italiane del Cinquecento, in «Linguaggi», III/1-2, 1986, pp. 23-31.

Pietro Schenone, Lo studio del congiuntivo in alcune grammatiche del Cinquecento, in «Aevum», LX, 1986, pp. 388-396.

Salvatore Claudio Sgroi, Retrodatazioni di termini grammaticali quattro e cinquecenteschi, in «Studi Linguistici Italiani», XVIII, 1992, pp. 251-269.

Antonella Stefinlongo, La definizione del sistema verbale nel Cinquecento. Il caso del condizionale, in AA.VV., Studi latini e italiani in memoria di Marcello Aurigemma, Roma, Herder, 1997, pp. 175-208.

 

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