«LE DONNE NON CAPISCONO LA GRAMMATICA». Le grammatiche italiane scritte per le donne - Danilo Poggiogalli

 

«LE DONNE NON CAPISCONO LA GRAMMATICA».

 Le grammatiche italiane scritte per le donne

di Danilo Poggiogalli

 

1. Dalle grammatiche per una donna alle grammatiche per le donne

 

Sin dal Cinquecento gli autori di grammatiche si rivolgono alle donne come destinatarie delle opere. Possiamo riconoscere quattro diverse modalità in cui questo avviene, in un arco temporale che trova compimento nel Settecento e prosegue nel secolo successivo:

1) una donna è ispiratrice o destinataria ideale dell’opera ma senza che vi sia esplicitamente menzionata;

2) una donna è la dedicataria della grammatica;

3) le donne sono, insieme ad altre categorie, fra i destinatari dichiarati della grammatica;

4) le donne sono le destinatarie privilegiate della grammatica.

Per illustrare le prime due modalità basti citare i celebri esempi di Maria Savorgnan e di Lucrezia Lombardi. In una lettera a Maria Savorgnan del 2 settembre 1500 Pietro Bembo annuncia di «aver dato principio ad alcune notazioni della lingua», esaudendo un desiderio della sua nobile corrispondente: «come io vi dissi di voler fare quando mi diceste che io nelle vostre lettere il facessi» (Savorgnan e Bembo 1950: 101). Ma, rispetto alla richiesta di affrontare nelle vostre lettere (laddove il possessivo significa tanto che la donna è la destinataria delle lettere, quanto che ne detiene la proprietà sentimentale) una trattazione sulla lingua, Bembo farà di più: scriverà le Prose. Se le cominciate notazioni coincidono con i primi fascicoli delle Prose, una donna potrebbe essere stata l’ispiratrice dell’opera fondativa della nostra tradizione linguistico-letteraria. E poco conta che sulla circostanza si proiettino diversi coni d’ombra, come per esempio che la lettera possa essere stata ritoccata in un secondo momento da Bembo proprio in questo punto ai fini della disputa con Fortunio per la primazia grammaticale oppure che nella dedica delle Prose di Maria Savorgnan non si faccia menzione: resta significativo che – a prescindere dall’intento, dal momento in cui sia stata formulata e persino dalla sua sincerità – una tale dichiarazione esista.

Più interno all’opera è il coinvolgimento di Lucrezia Lombardi, alias Iparca, alla quale sono espressamente dedicati I Fondamenti del Parlar Thoscano di Rinaldo Corso del 1549 (e 1550). Come è stato notato – a differenza per esempio della grammatica di Tizzone Gaetano da Pofi (1539) in cui una figura femminile (Dorotea di Gonzaga) è presente solo nella dedica –, in questo caso «non si tratta di una semplice dedica ad una donna illustre del tempo, bensì di un’opera concepita e elaborata specificamente per la donna amata» (Sanson 2007: 202-3). Il riferimento a Iparca è costante lungo tutta la grammatica: oltre alle due occorrenze della dedica, il nome della donna viene menzionato per altre dodici volte nella forma Hiparcha e una volta nella forma Hiparca (mi avvalgo per questo conteggio dell’edizione digitale GeoStoGrammIt curata da Caterina Adamo e Demis Galli da cui traggo anche le altre citazioni).

Il nome della donna può figurare banalmente in esemplificazioni quali Rinaldo ama Hiparcha (7r), Rinaldo ama Hiparcha smisuratamente o L’amor di Rinaldo verso Hiparcha è smisurato (92v). Ma a lei l’autore si rivolge continuamente nel processo di elaborazione del discorso grammaticale, nelle formule di passaggio da un argomento all’altro oppure per giustificare certe scelte espositive o teoriche:

«Et qui sia fine dilettißima Hiparcha à quanto nel principio di voler ragionare intorno alle lettere, & alle sillabe mi proposi» (18v); «Io cara Hiparcha hò fatto differentia trà il secondo numero d’IL, & il secondo di LO. Perche [...]» (27v); «Convenevole cosa, & necessaria veggio esser carißima Hiparcha, che io mi stenda con alquante più parole intorno à i perfetti» (53v-54r).

Il livello di coinvolgimento di Iparca nella grammatica è così profondo che Corso inscena una sorta di ipotetica interazione didattica che si intreccia al dialogo amoroso:

«L, N, & R trè lettere sono, le quali amano rimanere à compimento delle voci abbreviate più di tutte l’altre, come se

io diceßi. Qual paßion potete stimar, che sia Hiparcha dolcißima amar senza spera[n]za di goder giamai il desiato frutto? Et voi mi rispo[n]deste. Niun per certo tal, ne maggior dolor si truova.» (10v).

Insomma, ben lungi dall’essere un passivo ricettacolo di nozioni, Iparca viene fatta partecipare attivamente al processo teorico-grammaticale, mettendo in discussione e condizionando le scelte dell’autore, che non si sforza soltanto di semplificare il suo discorso a beneficio dell’interlocutrice ma anche, per esempio, di prevenire le sue obiezioni:

«Mà qui potreste voi gratiosißima Hiparca dubitare intorno à due cose. [...] À cio vi rispondo [...]» (22v); «Poi dubitereste forse [...] che [...]. Et p[er] fondamento della mia ragione altro non voglio darvi à considerare, se non che [...]» (22v-23r).

Ma perché Iparca era tanto interessata alla grammatica italiana? Probabilmente per la stessa ragione per cui lo era Maria Savorgnan e le altre donne che desideravano ritagliarsi un ruolo negli ambienti letterari del tempo. Alla fine dei Fondamenti Corso afferma infatti di aver fornito a Hiparcha gli strumenti per sviluppare una competenza scritta della lingua, che però non deve essere disgiunta da quella che oggi scolasticamente chiameremmo comprensione del testo:

«parendomi tempo homai di dar fine à cosi fatti ragionamenti dopo l’havervi carißima Hiparcha mostrato la via, con la quale voi à scrivere havete, intendo mostrarvi anchora un breve modo, col quale voi poßiate penetrare al vero sentimento dell’altrui scritture» (103r).

Il caso di Iparca costituisce una testimonianza eccezionale in un contesto come quello linguistico-grammaticale che non trascura le donne ma che certo non assegna loro un ruolo di primo piano. Di solito infatti prevale le tendenza a rivolgersi non a una donna potenzialmente in grado di prendere la parola sulle questioni di lingua ma alle donne come categoria indistinta. Se si leggono le introduzioni alle grammatiche prodotte a partire dal Cinquecento, fra i destinatari possiamo trovare le donne in generale ma insieme ad altre due categorie: i giovani e gli stranieri. Già il Liburnio indirizza le sue Tre Fontane «alli nostri costumati e ingegnosi giovani, all’honeste e virtuose donne d’Italia» (Liburnio 1526: 2r), laddove non passa inosservata l’attribuzione dell’ingegno ai giovani (maschi) e dell’onestà e della virtù alle donne. A queste categorie il Ruscelli ne aggiunge un’altra più indistinta: «questo terzo libro per la sua brevità e per la sua chiarezza si è fatto perché serva alle donne, a i fanciulli, o gioveni, alle nazioni straniere e a tutti quelli che non sanno lettere latine» (Ruscelli 1581: 377). Si tratta di una precisazione che resterà una costante anche per i secoli successivi: le donne, così come i fanciulli e gli stranieri, non conoscono il latino. Sono categorie eterogenee – due stabili come il genere e l’origine e l’altra dinamica come l’età – accomunate solo dall’ignoranza del latino. Ma se i fanciulli – o almeno i più privilegiati fra loro – non conoscono ancora il latino, le donne sono destinate a non conoscerlo mai, allo stesso modo di quegli stranieri che non sono stati educati, e mai lo saranno, alle humanae litterae.

In una delle più fortunate grammatiche d’italiano per stranieri dei secoli successivi, il Maitre italien di Giovanni Veneroni (al secolo Jean Vigneron), pubblicato per la prima volta nel 1678, leggiamo un’Introduction a la langue italienne, pour ceux qui ne savent pas le Latin, in cui a esemplificare l’ignoranza del latino restano solo le donne: bisogna appunto «expliquer les termes qui embarassent les personnes qui ne savent pas le Latin, et particuliérement les Dames» (Veneroni 1696).

Dalla menzione delle donne nelle introduzioni alle grammatiche rivolte esclusivamente alle donne il passaggio non è scontato e risponde a motivazioni storico-culturali complesse. Quel processo di disciplinamento sociale avviato nel Cinquecento con i trattati di comportamento, che si rivolgevano a tutti senza distinzione di genere ma che delimitavano rigorosamente il ruolo femminile (a partire dalla donna di palazzo del Cortegiano), nel Settecento si evolve nell’intenzione di insegnare alle donne la lingua materna o una lingua straniera: operazione che da una parte contribuisce al superamento di quell’interdizione dalla parola tradizionalmente comminata alle donne dalla cultura androcentrica (su cui Sanson 2007: 73 e ss.), ma di cui dall’altra non si deve esagerare la portata innovatrice, visto che alle donne viene pur sempre assegnato un ruolo subalterno, che consiste nel saper affiancare-intrattenere l’uomo in società con onestà e bon goût. Come che sia, in questo periodo fiorisce in Europa un sottogenere noto come grammatica pour les Dames (o semplicemente des Dames), for the Ladies, für das Frauenzimmer. Questi termini farebbero pensare che si tratti ancora di gentildonne, appartenenti cioè al ceto aristocratico, ma nel corso del secolo si assiste a una graduale apertura verso la borghesia (Iamartino 1994: 418; Pizzoli 2004: 61-62; Palermo-Poggiogalli 2010: 23).

 


 

Donne studiano la grammatica usando tavole giganti: l’immagine si trova in David Étienne Choffin, Grammaire françoise, réduite en tables, à l’usage des dames, et des autres personnes qui ne savent pas le latin (1755-1756).

 

Concentrandoci solo sulle grammatiche italiane, uno stadio intermedio può essere costituito da una grammatica come quella di L. Casotti per anglofoni in cui alle ladies è dato rilievo sin dal titolo, seppure in coabitazione con i gentlemen: New method of teaching the Italian tongue to ladies and gentlemen (1709). Il pubblico a cui ci si rivolge nel titolo potrebbe essere inteso come un generico tutti (anzi tutte e tutti, per citare una recente grammatica), se non fosse che alle donne vi si riserva un’attenzione speciale, sia pure non sempre lusinghiera: la comprensione degli elementi di base, ad esempio, aiuta «especially the ladies, who do not understand grammar» (Casotti 1709: 1). Rispetto allo stereotipo, comunque fondato su una condizione educativa reale, secondo cui le donne non conoscevano il latino, si esprime qui un pregiudizio di genere secondo cui le donne non sarebbero in grado di capire la grammatica.

Escludendo una grammaire des dames annunciata nel 1688, e forse mai realizzata, da Louis de Pelenis (cfr. Beck-Busse 2012: 8), la prima grammatica a essere composta espressamente per le donne è forse la Grammaire italienne à l’usage des dames dell’abate Annibale Antonini (1728), opera che nella Préface l’autore dichiara di aver composto «pour ceux qui ne sçavent pas le Latin, et qui n’ont pas la moindre connoissance de la Langue Italienne». Ancora una volta, dunque, il latino a segnare lo spartiacque fra letterati e illetterati, alla cui categoria ovviamente appartengono le donne, ma in questo caso Antonini ribalta il pregiudizio misogino espresso dal Casotti in un pregiudizio positivo, un po’ adulatorio verse le lettrici-allieve, che possono essere «plus capables d’application que la plûpart des hommes», anche perché possiedono «beaucoup de pénétration pour apprendre les Langues».

Quella dell’Antonini dà il via a una nutrita schiera di grammatiche italiane dedicate alle dame di lingua francese e pubblicate tra la Francia e la Svizzera: segnaliamo le Leçons hebdomadaires de la langue italienne à l’usage des Dames (1772) e le Étrennes italiennes, présentées aux Dames, entrembe dell’abate Bencirechi (1783); la Grammaire italienne, à l’usage des Dames di Nicolas Adam (1783); la Nouvelle Grammaire italienne pour les dames di Albert-Joseph-Ulpien Hennet (1790); e – finalmente ad opera di una donna – la Méthode pour commencer l’étude de la langue italienne, à l’usage des Dames di Peppina Curioni (1792).

Per discenti anglofone, e ancora francofone, è concepita The Ladies New Italian Grammar for the use of English and French scholars di Gasparo Grimani (1788), mentre esclusivamente alle anglofone  si rivolgeva, qualche anno prima, Easy Phraseology for the use of young ladies, who intend to learn the colloquial part of the italian language di Giuseppe Baretti (1775).

A discenti di lingua tedesca sono dedicate, ad esempio, la Grammatica toscana italiana per le Dame di Francesco S. Giuliani (1768), la Italienische Grammatik für Frauenzimmer di J. Bt. Schaub (1824) e la Italienische Grammatik nebst Lesebuch und Wörterverzeichniß für Anfänger und Geübtere und vorzüglich auch für Damen di Karl Ludwig Kannegießer (1836 e 1845).

 

2. Caratteristiche delle grammatiche per le donne

 

Ma in che cosa si distinguono in concreto le grammatiche (italiane e non solo) per le donne dalle altre grammatiche?

La prima caratteristica consiste nella volontà, spesso più dichiarata che effettivamente realizzata, di semplificare il bagaglio terminologico tradizionale. Ma i tecnicismi si può anche scegliere di spiegarli: dato che, derivando dalle lingue classiche, possono scoraggiare le donne e rendere la grammatica una «monstrous production», Grimani (1788) decide di far precedere il suo manuale da un glossario di termini tecnici, grazie al quale le allieve non potranno solo comprendere i loro maestri ma anche evitare di essere abbagliate dall’«ostentatious language of pedants».

 

 

La voce Ablative / Ablatif nel glossario di termini grammaticali presente in Grimani (1788).

 

Un altro aspetto su cui in vario modo si cerca di andare incontro al pubblico femminile riguarda la chiarezza e la leggibilità del testo. È una qualità riscontrabile già nella grammatica del Corso e che si persegue attraverso il ricorso a schematizzazioni, specchietti, tavole, colonnini, elenchi lessicali o sintattici da mandare a memoria e in qualche caso anche immagini.

Queste grammatiche si sforzano di evitare qualunque appesantimento concettuale per privilegiare gli aspetti pratici della comunicazione. Coerentemente le donne vanno tenute al riparo dalle disquisizioni e dalle dispute teoriche («ce tissu de réflexions grammaticales, dont les personne de votre sexe ne sont pas ordinairement susceptibles, et qui les éloignent du travail»: Bencirechi 1772: IV-V), per le quali si presuppone non abbiano né l’interesse né l’attitudine.

Infine si registra la tendenza – con qualche eccezione, come Kannegiesser – a eliminare o a ridurre gli esempi d’autore in favore di esempi originali o legati ai contesti femminili (la casa, l’abbigliamento, il trucco, il teatro, ecc.).

Tutte queste componenti sembrano insufficienti per attribuire alle grammatiche per le donne un’autonomia di genere. In fondo sono requisiti propri di qualsiasi grammatica di base, non solo del passato ma anche di oggi. Un segno di riconoscimento è legato alla scelta tematica frivola o mondana quale emerge dagli esempi, dai dialoghi e dagli esercizi di traduzione, ma non basta per configurare uno «specifico femminile» dal punto di vista della rappresentazione linguistica (Minerva 2000: 74).

Brano da tradurre in italiano: Origine du Fard en France. Parole utili a teatro: Ce que l’on voit dans une Salle de Spectacle (Bencirechi 1783: 75-77).

 

Rispetto alle altre grammatiche per le donne, quelle italiane mostrano almeno due tratti distintivi, legati entrambi al luogo comune della dolcezza e della musicalità dell’italiano: l’enfasi posta sul fatto che la nostra lingua vada appresa dalle donne perché suona «so agreeable, and so smooth (especially in the mouth of the Ladies ...)» (Casotti 1709), al punto che sembra «faite pour elles» (Antonini 1728),  essendo da considerare «la langage de l’amour, de la tendresse, la Langue du Beaux-Sèxe» (Bencirechi 1783: IX); la sottolineatura del primato dell’italiano come lingua dell’Opera, di cui le donne sono assidue frequentatrici, sebbene non tutti accettino di buon grado l’idea che l’italiano sia «the only language for singing» (Thorne 1958: 144), come testimonia Louis Barthélemy, che nella sua Cantatrice grammairienne (1788) fonda sul metodo dell’imparare cantando lo studio della lingua francese.

agosto 2024

Per saperne di più

Wendy Ayres-Bennett (a cura di), La grammaire des Dames, numero monografico di «Histoire Épistémologie Langage», XVI (2), 1994.

Gabriele Beck-Busse, À propos d’une histoire des «Grammaires des Dames». Réflexions théoriques et approches empiriques, «Documents pour l’Histoire du Français Langue Étrangère ou Seconde», 47-48 2012, pp. 1-22.

Gabriele Beck-Busse, Grammaire des Dames Grammatica per le Dame: Grammatik im Spannungsfeld von Sprache, Kultur und Gesellschaft, Berlino, Peter Lang GmbH, Internationaler Verlag der Wissenschaften, 2014. 

Carlo Dionisotti (a cura di), Carteggio d’amore, 1500-1501: Maria Savorgnan - Pietro Bembo, Firenze, Le Monnier, 1950.

Giovanni Iamartino, Baretti maestro d’italiano in Inghilterra e l’“Easy phraseology”, in Il «Passeggiere italiano». Saggi sulle letterature di lingua inglese in onore di Sergio Rossi, a cura di Renzo S. Crivelli e Luigi Sampietro, Roma, Bulzoni, 1994, pp. 383-419.

Nadia Minerva, Le donne e la grammatica. Su alcune “Grammaires des Dames” tra Sette e Ottocento, in Ead. (a cura di), Dames, demoiselles, honnêtes femmes: studi di lingua e letteratura offerti a Carla Pellandra, Bologna, Clueb, 2000.

Massimo Palermo-Danilo Poggiogalli, Grammatiche di italiano per stranieri dal ’500 a oggi. Profilo storico e antologia, Pisa, Pacini, 2010.

Lucilla Pizzoli, Le grammatiche di italiano per inglesi (1550-1776). Un’analisi linguistica, Firenze, Accademia della Crusca, 2004.

Helena Sanson, Women and vernacular grammars in sixteenth-century Italy: the case of Iparca and Rinaldo Corso’s “Fondamenti del parlar toscano” (1549), in «Letteratura italiana antica», VI, 2005, pp. 391-431.

Helena Sanson, Donne, precettistica e lingua nell’Italia del Cinquecento. Un contributo alla storia del pensiero linguistico, Firenze, Accademia della Crusca, 2007.

Helena Sanson, Woman, Language and Grammar in Italy, 1500-1900, Oxford, Oup / British Academy, 2011.

Elisabeth H. Thorne, Italian teachers and teaching in Eighteenth-Century England, in «English Miscellany», IX 1958, pp. 143-62.

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