La fortuna del Fortunio: vita, letture e revisioni della prima grammatica a stampa dell’italiano - Massimo Prada

La fortuna del Fortunio: vita, letture e revisioni della prima grammatica a stampa dell’italiano

di Massimo Prada

 

Oltre Pietro Bembo

Quando si riflette sui primi passi della grammaticografia dell’italiano, il pensiero tende ad andare immediatamente a Pietro Bembo: l’intellettuale veneziano che, con le sue Prose della volgar lingua, stampate per la prima volta a Venezia nel 1525 per i tipi di Tacuino, divenne il grande legislatore di quella che sarebbe stata la lingua degli angeli (Stammerjohann, 2013) e il fondatore del classicismo linguistico imitazione insieme alle Tre corone (Patota, 2017).

Tuttavia, il dialogo del Bembo, i cui contenuti descrittivi e normativi sono affidati come è noto soprattutto al terzo libro, fu preceduto, a stampa, da un’altra grammatica, forse oggi non altrettanto famosa, ma certamente allora assai apprezzata: le Regole della volgar lingua di Francesco Fortunio, un letterato-giurisperito di natali discussi (Pordenone o Zara) che fu anche poeta per passione e studioso dei classici latini.

Le Regole della volgar lingua

Le Regole furono dunque la prima grammatica a stampa della lingua italiana: le impresse ad Ancona Bernardino Guerralda Vercellese nel settembre del 1516, come indica il colophon del libro.

La stampa, per quanto avvenuta in una sede editorialmente periferica (si trattò di una scelta obbligata per il Fortunio, allora costretto a risiedere ad Ancona, città di cui era podestà), fu un evento di importanza capitale: si offriva per la prima volta al pubblico dei letterati e degli intellettuali un volume che descriveva la lingua di scritture letterarie volgari scelte come canoniche nelle sue forme e nelle sue caratteristiche grafofonetiche. L’autore, in sostanza, proponeva agli studiosi della regolata volgar lingua perché lo imitassero il modello dei grandi autori fiorentini del Trecento, espressamente citati nella lettera prefatoria; e lo faceva perché la lingua tosca, meno assai di qualunque altro Idioma italico si era corrota [sic] ed era per questo l’unica che il regolato ordine di parlare potesse porgere. [aiiir]

Il mercato, in effetti, a quell’altezza cronologica era pronto e la grammatica del letterato-giurista ebbe un notevole successo: per tutta la prima metà del secolo se la disputò vittoriosamente con l’archetipo grammaticografico bembiano e con altre trattazioni, anche se poi non poté che apparire superata, avviandosi a un malinconico declino.

La storia editoriale: l’editio princeps

La tradizione del testo, in effetti, è ricca e si offre a riflessioni stimolanti (Richardson, 2001, 2016; Fornara, 2017) e già la princeps presenta, da questo punto di vista, elementi di interesse: Bernardino da Guerralda la stampò in quarto (un formato allora diffusissimo, non proprio tascabile, ma comunque di uso agevole) e dai torchi uscì un libro di corpo tutto sommato modesto: una quarantina di carte nelle quali si affrontavano soprattutto essenziali questioni morfologiche e grafofonetiche.
Per la stampa si impiegò il corsivo usato dai Soncino (una tre le più note famiglie di stampatori del Cinquecento): un carattere, vale a dire, simile a quello impiegato per le edizioni aldine del Petrarca e di Dante (1501 e 1502), testi che il Fortunio aveva ben presenti e che, anzi, nelle Regole, critica spesso per le scelte editoriali. Si trattava di una scelta di stile e anche di un’operazione commerciale, che individuava un bacino di pubblico simile a quello su cui insistevano le aldine. Probabilmente non a caso, del resto, il Guerralda, dopo questa prima corsiva, avrebbe stampato con il medesimo carattere Le cose volgari del Petrarca secondo l’aldina petrarchesca del 1514 (Richardson, 1994).


Lo specchio di stampa era ragionevolmente ristretto (Figura 1) e ciò indicava che non si trattava di un’edizione economica, anche se presentava numerose breviature, del resto allora del tutto normali (i tipografi le mutuavano dai manoscritti); i margini relativamente ampi consentivano al lettore di scrivervi annotazioni, come è peraltro documentato dalle copie del testo che sopravvivono: il libro voleva quindi essere, tra le altre cose, un manuale, per lo studio, l’apprendimento e la riflessione.

Figura 1.

 

Alcuni artifici tipografici, in effetti, cercano di rendere facile l’accesso ai contenuti (in corrispondenza di punti tematicamente focali, ad esempio, si stampa con un rientro sporgente; le citazioni sono spesso identificate da punti collocati al loro inizio e alla loro fine; le forme proposte nei paradigmi sono separate da barre oblique, e  così via).

La storia editoriale: la fortuna dell’opera

La grammatica ebbe un buon numero di ristampe nel primo Cinquecento, come si è scritto: trascriviamo qui sotto la lista delle 17 impressioni monografiche attinta a Richardson, 2001. Più tardi se ne sarebbero registrate altre tre in miscellanea: due negli anni ‘60 dello stesso secolo XVI, una nel successivo. Si sa anche dell’esistenza di un manoscritto (Estense 1.5.43), che però è copia di stampa e quindi di nessun valore testimoniale (anche se interessante sotto il profilo del mercato: evidentemente chi lo ha commissionato voleva acquisire l’opera, ma non è riuscito a farlo).

1. 1517a: Milano, Alessandro Minuziano (17 ottobre);
2. 1517b: Milano, Giovanni Angelo Scinzenzeler (22 dicembre);
3. 1518: Venezia, per Cesare Arrivabene;
4. 1524: Venezia, per Benedetto e Agostino Bindoni;
5. 1527: Venezia, per Francesco Garone;
6. 1529: Venezia, per Melchiore Sessa;
7. 1533a: Venezia, per Pietro Nicolini da Stabio ad instanza di Melchiore Sessa;
8. 1533b: Venezia, per Francesco Bindoni et Maffeo Pasini compagni;
9. 1538: Venezia, per Domenico Zio (Giglio) e fratelli ad instanza di Melchior Sessa;
10. 1539: Venezia, per Francesco Bindoni e Maffeo Pasini compagni;
11. 1541: Venezia, Figliuoli di Aldo Manuzio;
12. 1545: Venezia, Figliuoli di Aldo Manuzio;
13. 1550: Venezia, per Francesco Bindoni e Maffeo Pasini compagni;
14. 1541-1550: Venezia, per Melchior Sessa;
15. 1551: Venezia, per Giovanni Padovano;
16. 1552a: Venezia, per Gerolamo Calupino (Calepino);
17. 1552b: Venezia, Figliuoli di Aldo Manuzio

Nella seconda metà del secolo, invece, le Regole furono rimpiazzate sui torchi dalle Osservazioni nella volgar lingua del Dolce, un manuale più completo, più aggiornato, più ricco di addenda che ne facilitavano l’uso, secondo una tendenza alla manualizzazione che diventava via via più forte, assecondando un bisogno sempre crescente di norma e di funzionalità.

Due aspetti della tradizione sono significativi dal punto di vista ecdotico, oltre che da quelli del mercato, dell’evoluzione della norma e del mutare dei gusti linguistici: in primo luogo, non tutte le copie della princeps sono perfette (quella della Library of Congress presenta, ad esempio, alcune pagine rimaste bianche: Marazzini, Fornara, 1999, p. 7), né trasmettono sempre forme identiche (e questo è un fenomeno diffuso nel caso dei documenti prototipografici). Le differenze tra i testimoni sono in realtà poco rilevanti dal punto di vista del testo, ma la loro presenza è interessante, perché getta luce sul processo di stampa, nel corso del quale era facile che si introducessero sviste (e anche errori più significativi: i grammaticografi del secolo se ne sarebbero lungamente lamentati) per la fretta con cui si lavorava, per la molteplicità degli interventi e delle professionalità coinvolte, per la diversa cultura e la diversa lingua di compositori e revisori.
In secondo luogo, le edizioni successive non sono sempre rispettose del testo originale; anzi: non si fanno scrupolo di ammodernare o modificare la facies grafofonetica del testo, adeguandosi alla prassi corrente, anche dove l’adattamento confliggeva con la norma esposta. Ad esempio, in 1517b, la stampa Scinzenzeler, si scrive excellentissimo invece di eccellentissimo, contraddicendo al convincimento dell’autore per cui il volgare deve staccarsi dalla grafia del latino; il mutamento è introdotto addirittura nel passo in cui Fortunio chiarisce ed esemplifica la regola: se il testo originale, infatti, recita: «Alcuna uolta in /c/ geminato si tramuta, come eccellente eccetto eccettione; perche cosi é la uolgare pronontiatione», in 1517b si legge: «Alcuna uolta in c geminato si tramuta: come excellente excepto exceptione: perche cosi è la uolgare pronontiatione». Ciò è significativo anche della schisi istituzionale che a quei tempi esisteva, almeno in alcuni ambienti, tra facies grafica e resa fonetica; schisi che si sarebbe superata solo quando avrebbe prevalso l’attuale orientamento fonetico e non etimologico della grafia.
Né gli interventi degli editori riguardano solo grafia e fonetica: a volte incidono anche sulla morfologia. Ad esempio, nell’edizione del 1518 (Venezia, Arrivabene) le forme del futuro e del congiuntivo ameremo e ameressi sono registrate come amaremo e amaressi, ciò che introduce tipi settentrionali in sostituzione di quelli della tradizione toscoletteraria;  è vero però che forme simili sono documentate altrove anche nella princeps. E nella stampa del 1527 (Venezia, Garone), voi haveste diviene voi havesti, con introduzione di una forma non aurea esplicitamente rifiutata dal F. (che nella grammatica scrive: «tutte le seconde persone di qualunque uerbo et modo et tempo (in fuori che la predetta seconda persone del soggiontivo) il numero, primo in /i/ il secondo in /e/ hanno finiente, come tu amasti uoi amaste, tu leggi uoi leggete, et cosi in tutti gli altri tempi; perche incontrario non si trova se non corrottamente scritto» [diir]); il tipo, in questo caso, è assente nella princeps. Nell’impressione veneziana di Bindoni e Pasini compagni, poi, colui fosse sostituisce colui fossi e fossi diviene fussi, introducendo così forme non ammesse, specie l’ultima, dal Fortunio, almeno a livello di norma esplicita; altro conto, per il vero, anche in questo caso, è il dettato, in cui la princeps fa registrare entrambi i tipi argentei.

Nelle edizioni aldine del 1545 e del 1552 si interviene addirittura sulla norma. Come chiarisce Fornara, infatti:

nella princeps la seconda regola dei verbi prevede che la seconda persona singolare «del preterito imperfetto tempo del modo soggiontivo, sì della prima come della seconda congiugatione […], ha il finimento in si, come ameressi, leggeressi» (Fortunio 2001: 80); nelle Aldine 1545 e 1552b la terminazione della seconda persona singolare del tempo verbale in questione viene corretta in -sti, e, di conseguenza, la parte finale della regola si legge: «ha il finimento in sti, come ameresti, leggeresti». 

Nel secolo della norma e del bisogno della norma, non stupisce che le Regole appaiano in raccolte manualistiche (si è fatto riferimento a tre di esse nei capoversi precedenti), oggetti editoriali in cui ogni componente completava gli altri o ne compensava le lacune. La prima, la sansoviniana del 1562, stampata a Venezia con il titolo Le osservationi della lingua volgare di diversi huomini illustri, ad esempio, oltre alle Regole di Fortunio, comprendeva gli scritti grammaticali del Bembo, del Gabriele, del Corso e dell’Acarisio, autori tutti nella linea classicista, dunque. Simili compilazioni strettamente funzionali autorizzavano, agli occhi di chi le assemblava, anche interventi editorialmente non specchiati, almeno secondo gli standard odierni: nella stampa Sansovino, per esempio, l’opera del Fortunio appare trascritta senza il proemio e senza la suddivisione in due libri, ma con una ripartizione del contenuto in paragrafi.
Un’altra miscellanea, invece, fu stampata nel 1643 sempre a Venezia («nella Salicata», cioè nella stamperia degli eredi di Altobello Salicato, un tipografo attivo a Venezia nella seconda metà del Cinquecento), ed è la celebre miscellanea di Giuseppe Degli Aromatari, Degli autori del ben parlare: si tratta di una compilazione molto ricca, divisa in sei tomi, il secondo dei quali è aperto proprio dalle Regole. Anche in questo caso le cautele filologiche sono blande: il testo mescola parti tratte dall’edizione del 1524 (il proemio) e altre attinte all’edizione del 1562 (la trattazione grammaticale). Oltre all’opera di Fortunio, il tomo contiene anche le Prose di Bembo e le grammatiche di Acarisio, di Gabriele, di Corso e di Delminio.
Vi fu anche almeno una riscrittura: quella, studiata ed edita da Paolo Bongrani, di Marcantonio Flaminio, in cui il giovane autore, inteso a facilitare l’accesso alla buona lingua a un compagno di studio, interviene moderatamente sul dettato normativo, ma sfoltisce l’esemplificazione, che gli pare sovrabbondante, elimina le sezioni in cui il Fortunio indugia su questioni testuali e filologiche, riordina i materiali e li suddivide in modo che gli pare più funzionale dell’originale.


A oltre cinquecento anni dalla sua prima stampa (nel 2016 studi e convegni hanno ricordato quel momento culturalmente epocale), il Fortunio ha ancora molto da dirci: abbiamo un’edizione critica (quella procurata da Brian Richardson nel 2001 di cui si è già scritto), e altre stampe interessanti e utili per ragioni di tipo documentario e anche per gli studi e le note che li accompagnano, come quella di Giovanni Pozzi, basata sulla copia della princeps conservata alla Trivulziana (Pozzi, 1972-73), e quella di Claudio Marazzini e Simone Fornara, Pordenone, Accademia San Marco (con riproduzione fototipica), basata su una copia conservata nella biblioteca del Seminario arcivescovile di Udine. Nel 1979 Forni ha pubblicato anche un’anastatica dell’edizione aldina del 1552.

Per saperne di più

 

Paolo Bongrani, “Breviata con mirabile artificio”. Il “Compendio di la volgare grammatica” di Marcantonio Flaminio. Edizione e introduzione, in Simone Albonico et al. (a cura di), Per Cesare Bozzetti. Studi di letteratura e filologia italiana, Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 1996, pp. 219-267.

Giorgio Dilemmi (a cura di), Pietro Bembo. Gli asolani. Edizione critica, Firenze, Accademia della Crusca, 1991.

Simone Fornara, La tradizione editoriale delle Regole grammaticali della volgar lingua di Fortunio dalla princeps del 1516 ai giorni nostri, «Cuadernos de Filología Italiana», 24, (2017), pp. 75-92: https://core.ac.uk/download/pdf/153337563.pdf.

Claudio Marazzini, Simone Fornara (a cura di), Giovan Francesco Fortunio, Regole grammaticali della volgar lingua, Pordenone, Accademia San Marco-Associazione, 1999.

Giovan Francesco Fortunio, Regole grammaticali della volgar lingua. Ristampa anastatica dell’aldina del 1552, Sala Bolognese, Forni, 1979.

Giuseppe Patota, La Quarta Corona. Pietro Bembo e la codificazione dell’italiano scritto, Bologna, Il Mulino, 2017.

Mario Pozzi (a cura di), Giovan Francesco Fortunio, Regole grammaticali della volgar lingua, Torino, Tirrenia Stampatori, 1972-1973.

Brian Richardson, Print Culture in Renaissance Italy: The Editor and the Vernacular Text, 1470–1600, Cambridge, CUP, 1994.

Brian Richardson (a cura di), Giovan Francesco Fortunio, Regole grammaticali della volgar lingua, Roma-Padova, Antenore, 2001.

Brian Richardson, The Creation and Reception of Fortunio’s Regole grammaticali (1516), «The Italianist», 36/3 (2016), pp. 359-374.

Harro Stammerjohann, La lingua degli angeli. Italianismo, italianismi e giudizi sulla lingua italiana, Firenze, Accademia della Crusca, 2013.

Promotori del progetto

Unistrasi Unimi Unipi Unitus

Partner

Unistrasi Unimi