L'influenza della pedagogia linguistica di Girard sulla didattica dell'italiano - Benedetto G. Russo

 

L'influenza della pedagogia linguistica di Girard sulla didattica dell'italiano 

di Benedetto Giuseppe Russo

 


Padre Girard, 1840 ca.

 

1.   La proposta educativa di padre Girard in Italia

 Questo percorso presenta le idee linguistico-pedagogiche di Jean-Baptiste Girard (1765-1850), francescano, pedagogista e insegnante svizzero, la sua fortuna nell’Italia postunitaria e la sua influenza in due grammatiche di fine Ottocento per la scuola elementare: Nozioni di grammatica italiana esposte secondo il metodo intuitivo ad uso delle scuole elementari (Firenze, Bemporad, 1890), della celebre scrittrice per la scuola e per l’infanzia Ida Baccini, e Nozioni ed esercizi di grammatica per le scuole elementari inferiori (quarta edizione, Mantova, Mondovì, 1893/1894), del maestro Cesare Baistrocchi.

Mentre nel primo sessantennio postunitario venivano pubblicate centinaia di grammatiche per le scuole, si sviluppava un vivace dibattito pedagogico sui metodi con cui insegnare più efficacemente l’idioma nazionale a bambini prevalentemente e sostanzialmente dialettofoni. Nel Congresso Pedagogico di Bologna (1874), tra critiche all’analisi logica e all’ossessione per le norme teoriche, emerse il suggerimento innovativo di un approccio didattico teorico-pratico e tendenzialmente induttivo che associasse strettamente lo studio della norma alla pratica della lingua. Fu proprio questo uno dei metodi individuati dal provveditore agli studi di Firenze Ulisse Poggi, già autore di una grammatichetta narrativo-dialogica (La grammatica del mio Felicino, 1865), nella sua Relazione (confidenziale) dell’esame delle grammatiche più o meno adoperate nelle pubbliche scuole elementari (1875), stilata per conto del Consiglio Superiore del Ministero della Pubblica Istruzione. Poggi divideva gli autori dei testi esaminati in quattro gruppi: i tradizionalisti, attenti alla schematizzazione dei contenuti, alle tecniche di memorizzazione, alla lingua dei buoni scrittori, proposti negli esempi; i metodisti, detti così anche dalle scuole di metodo istituite per la formazione dei maestri, e difensori dell’analisi logica, della classificazione minuziosa dei concetti sintattici, dell’apprendimento mnemonico supportato dallo schema “domanda e risposta”; i razionalisti radicali, orientati a una classificazione più logico-scientifica e funzionale delle parole nonché alla pratica della composizione, ritenuta ben più utile dell’analisi logica; i teorico-pratici, anch’essi fautori di esercizi di produzione testuale. Questi traevano spunto dalle riflessioni di Girard, autore del saggio De l’enseignement régulier de la langue maternelle dans les écoles et les familles (1844), tradotto in italiano per Paravia nel 1846, destinato, soprattutto in Piemonte e in Toscana, a un grande apprezzamento e ripubblicato ancora nel 1916. Vi si proponeva un approccio didattico basato sulle intuizioni cognitive, le basi morali e le conoscenze pratiche e linguistiche già possedute dal bambino: un percorso che muovesse quindi dal noto all’ignoto e assecondasse l’esperienza diretta dell’apprendente, evitando un eccesso di precetti, definizioni e sottili classificazioni da memorizzare. Il religioso criticava un insegnamento grammaticale finalizzato all’astrazione teorica, all’apprendimento mnemonico, alla mera cura verbale, nel quale si sottovalutavano i significati profondi degli stessi testi d’autore proposti agli alunni e soprattutto gli indispensabili contenuti educativi. Girard denunciava altresì il distacco tra l’approccio formalistico dei maestri alla grammatica, ostico per gli allievi, e l’azione educativa globale svolta con spontaneità e proficuo equilibrio tra piano linguistico e piano cognitivo ed etico dalle madri di famiglia, ritenute le prime maestre di lingua, capaci di trasmettere l’idioma appunto materno in modo pratico e intuitivo. L’insegnante avrebbe dovuto portare avanti in modo naturale e perfezionare l’educazione linguistica iniziata dalla madre dell’alunno, anziché virare verso una didattica aridamente nozionistica, che trascurava di coltivare l’immaginazione e i sentimenti.

La proposta girardiana presupponeva l’identità o una distanza minima tra langue maternelle e lingua nazionale appresa a scuola, e proprio perché faceva leva sulla continuità tra questi due codici quale criterio-guida di una didattica intuitiva, progressiva e non appesantita da regole, riscosse un precoce consenso soprattutto in Toscana, data la quasi identità tra il toscano, idioma regionale-materno, e l’italiano, lingua della scuola. In Piemonte, invece, l’ammirazione degli educatori per Girard non portò a una fedele applicazione dei suoi principi nelle grammatiche lì pubblicate: si ebbe al massimo uno svecchiamento delle definizioni ma non il superamento delle consolidate classificazioni. Il ripiegamento su metodi mnemonici di apprendimento di una lingua morta o straniera e su cerebrali esercizi di analisi logica aveva la sua principale motivazione nell’assenza del fondamentale presupposto delle teorie girardiane, ossia nella mancata coincidenza tra dialetti materni e idioma nazionale insegnato a scuola. Il metodo teorico-pratico si fondava, invece, sul principio “poche regole”, da desumere dall’esperienza, “e molti esercizi”, e intendeva stimolare nello scolaro osservazione empirica e riflessione, partecipazione attiva alle spiegazioni, creazione di espressioni linguistiche via via più complesse, ricerca guidata dei nomi di oggetti reali, riconoscimento pratico delle classi di parole nelle frasi. Erano importanti nella pedagogia girardiana anche la dimensione interdisciplinare, morale e spirituale-cristiana dell’insegnamento linguistico e il ricorso a esercizi creativi: una grammatica “d’idee” e della lingua viva ancorata alla realtà avrebbe dovuto sostituire pedanti grammatiche “di parole”. L’apprezzamento entusiastico di Girard in Toscana è testimoniato dalla «Guida dell’educatore», rivista fondata da Raffaello Lambruschini, la cui ammirazione per il francescano è dimostrata anche dalla sua grammatica dialogico-induttiva (Principj di grammatica cavati dall’esame della lingua nativa, ad uso delle scuole popolane e delle famiglie, 1861). Essa offre modelli di lezioni basate su un dialogo socratico-maieutico tra maestro e alunni, teso a stimolare l’osservazione riflessa della realtà e della lingua quotidiana, evitando eccessi definitori e classificatori. Proprio Lambruschini avrebbe fatto conoscere la pedagogia girardiana in Italia, ispiratrice di altri manualetti teorico-pratici, alcuni dei quali a impostazione dialogico-narrativa.

La pedagogia linguistica di Girard esercitò una certa influenza sulle grammatiche di paragone postunitarie, basate cioè sul confronto tra un singolo dialetto e l’italiano, come quella di Giulio Nazari relativa al dialetto bellunese (Parallelo fra il dialetto bellunese rustico e la lingua italiana, 1873). La valorizzazione girardiana della lingua nativa presenta punti di contatto anche con le osservazioni di Ascoli sull’efficacia glottodidattica dell’interazione tra dialetto e lingua nazionale, con l’impegno dei più illuminati seguaci di Manzoni e, nei primi decenni del Novecento, con le proposte di didattica comparativa “dialetto-italiano” (Ernesto Monaci, Giovanni Crocioni, Ciro Trabalza) e la manualistica “dal dialetto alla lingua”. Rivive inoltre nelle posizioni di Giuseppe Lombardo Radice (Lezioni di didattica, 1913), che promuove il rispetto dell’ambiente di provenienza dello scolaro, comprensivo del suo dialetto, e un apprendimento pratico-comparativo della lingua fatto di intuizioni e passi graduali, con deduzione ragionata delle regole dall’uso e trasversalità disciplinare dell’educazione linguistica. Proprio il paragone di Girard tra l’acquisizione della lingua e l’imparare a camminare non per via di leggi teoriche ma di prove ripetute è richiamato da quello con la necessità di un apprendimento pratico del nuoto proposto da Lombardo Radice. A sua volta l’insegnante fiumana Gemma Harasim (Lingua materna e intuizione, 1914), collaboratrice e moglie di costui, ritiene la grammatica normativa fase di approdo e non di partenza dell’insegnamento, e rivaluta, come Ascoli, la grammatica del dialetto in chiave comparativa.

Negli anni Ottanta dell’Ottocento, l’orientamento teorico-pratico fu rilanciato dai pedagogisti positivisti, sostenitori non più di un orientamento spiritualistico ma di una visione laica, sociale e funzionale della lingua e soprattutto del valore dell’osservazione diretta e dell’esperienza oggettuale della realtà. Sono ispirati dal Positivismo i programmi ministeriali per le elementari del 1888, promotori di un metodo scolastico oggettivo che proceda girardianamente dal noto all’ignoto, dall’oggetto al concetto: qui l’influsso girardiano si scorge nel ridimensionamento della grammatica quale insegnamento a sé stante, in sintonia con la concezione esperienziale dell’apprendimento, da realizzarsi attraverso l’esposizione all’italiano auspicabilmente corretto usato dal docente.

Anche i programmi per le elementari del 1894, pur rivalutando una didattica linguistica più tradizionale, contengono precisazioni positivistiche laddove si sostiene la necessità di esercizi ragionevoli, di un’osservazione diretta dei testi e di regole chiare e funzionali ricavate dalla pratica. Queste raccomandazioni lasciano trapelare il sostegno ministeriale al metodo teorico-pratico, che ispirerà fortemente la fortunata Grammatichetta illustrata della lingua italiana (1898) di Giulio Orsat Ponard.

Come accennato, l’influsso del filone girardiano si rintraccia nelle eventuali prefazioni e nell’impostazione di diverse grammatiche per le elementari: tra queste le due presentate di seguito.   

 

2.   Le grammatiche di I. Baccini e C. Baistrocchi 

Intuitivo-induttivo sin dal titolo risulta il metodo adottato dalla Baccini nelle sue Nozioni di grammatica italiana, adattate ai programmi positivisti. Nella prefazione l’autrice prende le distanze tanto dai grammatici tradizionalisti quanto da chi si affida alla sola pratica, asserendo che lo studio grammaticale è utile allo sviluppo delle capacità analitiche e sintetiche del bambino. Obiettivo dichiarato dell’opera è immettere in una materia giudicata pesante e noiosa buon senso, amore e sorriso, con corredo di poesie d’autore e raccontini alla fine di quasi ogni lezione, quasi sempre sfruttati per proporre esercizi di riconoscimento delle parti del discorso via via presentate. Nelle 22 conversazioni che costituiscono il manuale sono abbozzati quadretti di vita scolastica in cui la maestra spiega e interpella collettivamente o individualmente gli alunni, i quali, pur limitatamente, partecipano alla lezione con le loro risposte. Lo stile è dialogico, vivace e colloquiale, punteggiato di modi di dire, domande didattiche, inviti all’attenzione, plurali inclusivi («Occupiamoci ora del futuro» [37]), richieste di conferma della comprensione, formule di presupposizione di accordo («non vi pare?» [40]), qualche feedback positivo su interventi dei discenti, formule connettive che scandiscono la progressione lineare delle informazioni. Il tono è spesso affettuoso, comprensivo, complice («Vi par possibile che questa stessa amica vostra possa prender gusto a gonfiarvi il cervello con paroloni indigesti?» [5]), capace di far leva su conoscenze e giudizi condivisi.

La spiegazione segue prevalentemente l’iter ‘esempio→spiegazione→definizione/regola→(più volte) ulteriori esempi’, ha in più casi un attacco empirico-osservativo, è di tipo maieutico e progressivo, e lega le nuove nozioni a enunciati su oggetti presenti in classe o situazioni verosimili: lo scopo è collegare i concetti grammaticali a conoscenze pregresse ed esperienze di vita dei bambini. L’inquadramento di regole e definizioni tra esempi introduttivi e altri che le seguono per verificarne l’applicazione sembra concretizzare, oltre al metodo teorico-pratico, un suggerimento didattico offerto da Niccolò Tommaseo nei suoi Pensieri morali (1845). Le definizioni sintetizzano pragmaticamente le funzioni delle parti del discorso, messe in luce proprio dagli esempi commentati (come si vede nel differenziare articoli determinativi e indeterminativi e nel presentare le congiunzioni). Il linguaggio della disciplina è proposto a partire da spiegazioni che, anche a fini di memorizzazione, mostrano la ragionevolezza dei termini grammaticali evidenziando i legami etimologici tra le parole («Il modo condizionale lo intenderete facilmente. Quante volte la mamma o il babbo vi avranno promesso un balocco a condizione che siate buoni o studiosi! – Se tu fossi obbediente – vi avrà detto mille volte la mamma, – ti darei un bacio!» [42]). I complementi sono spiegati con un approccio basato su quella che, nella grammatica valenziale, definiamo oggi struttura argomentale del verbo («dicendo solo: il cacciatore uccide, vien subito spontanea la domanda: chi uccide? E le parole gli uccelli, completano il pensiero, che è nel verbo attributivo uccide» [74]).

Non dialogica come le Nozioni ma costruita su un’esposizione similmente induttivo-maieutica, la grammatica di Baistrocchi è conformata anch’essa ai programmi del 1888. Anche in quest’opera si punta sulla ragionevolezza delle regole grammaticali, come s’intuisce dalla scelta della citazione, in copertina e nel frontespizio, del filologo Frédéric Baudry: «La grammatica cesserà d’essere un peso indigesto della memoria per divenire, nei limiti del possibile, un esercizio della ragione». Nelle sue Memorie di un educatore (1877) il maestro Baistrocchi racconta la sua conversione da uno stancante e improficuo metodo d’insegnamento di tipo mnemonico e formalistico a uno avverso al nozionismo e orientato, piuttosto, alla riflessione razionale sulla realtà e sulla lingua. Avrebbero ispirato tale svolta le «lezioni pratiche» di Girard e Lambruschini, la lettura delle quali «fu lo splendore del sole» (in Catricalà 1995: 192-193).

Interpellando i lettori con la seconda persona plurale, di lezione in lezione il manuale di Baistrocchi riproduce lo schema ‘avvio discorsivo con esempi commentati→conseguente definizione/regola→esercizio’. Il commento agli esempi è lineare e organico, reso chiaro da parafrasi, parallelismi e ripetizioni, volto a sottolineare la ragionevolezza delle norme e ad agevolarne l’apprendimento razionale e mnemonico al contempo. A volte la lezione è aperta da quesiti introduttivi con i quali si aggancia il nuovo argomento alle conoscenze degli allievi («Quali esseri fabbricanoleganobattono[…] volano camminano rampicano? Es. Fabbricano i muratori, i falegnami, i fabbri, ecc. Qualsiasi parola, che indica azione, chiamasi verbo» [38]). In altri casi le domande, inserite nel commento agli esempi, accompagnano l’alunno in un’analisi personale dei fatti grammaticali, ricordando la spiegazione dialogica a viva voce di un maestro («Luigino è buono e diligente […] - Che ufficio compie nella proposizione la parola Luigi? […] - Che ufficio compiono nella proposizione le parole buono e diligente?... - Da quale parola sono congiunti questi due attributi?... - La paroletta e, adunque, serve a congiungere i due attributi della proposizione. […] La parola che serve a congiungere fra loro le proposizioni di un periodo e le parti simili di una proposizione, dicesi congiunzione» [65-66]). Questi pattern interattivi, però, sono da ritenere rivolti ai maestri più che agli scolari, quali suggerimenti metodologici concreti per le spiegazioni in classe (come fa intuire il fatto che all’interno di una sequenza formata da queste domande di accompagnamento solitamente la risposta non data è però contenuta nella domanda successiva, dove gli ipotetici lettori possono recuperarla facilmente): si propone implicitamente che gli alunni siano coinvolti con la richiesta di fornire semplici risposte alle domande del docente, il quale ripartirà da tali risposte per formulare ulteriori domande, finché si approderà a definizioni e regole. Queste, a loro volta, consistono in un’efficace sintesi generale dei fatti linguistici esemplificati nella parte introduttiva della lezione («La parola, che serve a indicare qualità o di quali o di quanti oggetti si parla, si chiama aggettivo» [23]). Altre volte le domande didattiche sono seguite da risposta e paiono altrettanto finalizzate a coinvolgere più espressamente l’allievo o invitano il maestro a vivacizzare la lezione; la loro eventuale sfumatura retorica rende l’esposizione più persuasiva («non […] trovate nulla che risuoni male al vostro orecchio?» [31]). Anche Baistrocchi presenta i complementi secondo un criterio vagamente argomentale.

Gli esercizi, frammisti alla teoria per permettere verifiche puntuali sulle nozioni appena esposte, presentano una difficoltà graduale. In entrambi i volumetti essi sono numerosi, sapientemente diversificati per tipologia e complessità (completamento, trasformazione, riconoscimento di tratti grammaticali, sostituzione, ricerca di vocaboli, produzione di frasi, individuazione di parti del discorso in proposizioni, ricapitolazione) e volti a mettere alla prova la versatilità mentale del discente, come quando tra un esercizio e il successivo si ha un rapporto d’inversione (es.: dato il futuro di un verbo, trovarne il passato e poi viceversa). I due libri sono simili, infine, per il costante tono morale-educativo che li attraversa (in Baistrocchi: «Un vero scolaro deve mostrarsi diligente, rispettoso, obbediente, studioso, attento ecc.» [24]).

In sintesi, esercizi variegati e approccio discorsivo, maieutico-razionale e pragmatico, in sostanza teorico-pratico, testimoniano la comune derivazione girardiana dei nostri due testi. Essi non sono esenti da lacune e contraddizioni, ma va ricordato che furono pensati per le classi inferiori, oltre che per offrire spunti ai maestri: non quindi come manuali esaurienti ma come raccoltine di nozioni introduttive e parziali, da integrare con spiegazioni in classe fondate sul percorso ‘esempio→regola→esercitazione’.

Ida Baccini                                 Frontespizio del volume di Baistrocchi


 

3.   Conclusioni

 Come mostrano i due testi analizzati, l’influenza di Girard si coglie a volte in grammatiche dialogico-narrative, altre in trattazioni espositive ma d’impostazione induttiva e funzionale. La carica innovativa di un’esposizione basata su induzione, aggancio all’esperienza e progressività si apprezza meglio osservando, per contrasto, una qualunque grammatica postunitaria che presenti un impianto tradizionale e classificatorio, dove la definizione o la regola solitamente precedano gli esempi e manchi l’approccio dialogico.

In definitiva, alla luce degli ideali e dei testi che ispirò, la pedagogia linguistica girardiano-lambruschiniana può essere ritenuta illuminata e avveniristica, ispiratrice dei più intelligenti tentativi di rinnovamento metodologico del Novecento: pensiamo alle riflessioni sull’educazione linguistica avviate negli anni Sessanta-Settanta, in particolare a quelle del GISCEL ‘Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica’ (Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica, 1975, disponibili in rete: https://giscel.it/dieci-tesi-per-leducazione-linguistica-democratica/). Tuttavia la fortuna di tale filone a scuola fu occasionale e complessivamente non molto brillante, da quanto possiamo ipotizzare dagli elenchi dei libri di testo approvati dal Ministero dell’Istruzione e dalle scelte di adozione prevalenti per decenni. Tanti maestri preferirono affidarsi a manuali rigorosamente prescrittivi e dalla struttura nozionistica e classificatoria, vista quale risposta più praticabile al bisogno di unificazione linguistica. Norme ben schematizzate potevano sembrare rassicuranti, ma proprio per questo si ripiegò a lungo, anche se non sempre, su metodi e materiali scarsamente innovativi, per i bambini poco interessanti e di efficacia incerta.

novembre 2023

 

Per saperne di più

 

Maria Catricalà, L’italiano tra grammaticalità e testualizzazione. Il dibattito linguistico-pedagogico del primo sessantennio postunitario, Firenze, Accademia della Crusca, 1995.

Roberta Cella, Grammatica per la scuola, in Giuseppe Antonelli, Matteo Motolese, Lorenzo Tomasin (a cura di), Storia dell’italiano scritto, 6 voll., vol. IV (Grammatiche), Roma, Carocci, 2018, pp. 97-140.

Roberta Cella, Grammatiche narrative della seconda metà dell’Ottocento, in «Studi di grammatica italiana», XXXV, 2016 (ma 2018), pp. 155-195.

Silvia Demartini, Grammatica e grammatiche in Italia nella prima metà del Novecento. Il dibattito linguistico e la produzione testuale, Firenze, Cesati, 2014.

Benedetto G. russo, Insegnare grammatica a fine Ottocento: il metodo pre-fumettistico nella Grammatichetta illustrata della lingua italiana (1898) di G. Orsat Ponard, in «Lingua nostra», LXXIX, 3-4, 2018, pp. 97-105 (prima parte); LXXX, 1-2, 2019, pp. 46-60 (seconda parte).

Benedetto G. Russo, Influssi girardiani in testi di educazione linguistica: dalla maestra Dorelli a Parlar materno (1946) di Nencioni e Socciarelli, in «Italiano LinguaDue», XV, 2, 2024, in corso di stampa.

Helena Sanson, Women, Language and Grammar in Italy. 1500-1900, Oxford, Oxford University Press, 2011.

 

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