Italiano e libri di lettura
nei programmi per la scuola elementare (1860-1905)
di Benedetto Russo
Libro di lettura e Unità nazionale
Il libro di lettura per la scuola elementare contribuì decisamente alla diffusione della lingua nazionale presso le giovanissime generazioni del Regno d’Italia (nato nel 1861). Si trattava di un fondamentale strumento di formazione culturale, etica, civica e linguistica, dal prezzo accessibile dovuto alle piccole dimensioni e alla fattura tipografica sobria. Dopo l’unificazione politica e l’istituzione di un sistema scolastico nazionale, il manuale di lettura concretizzò un obiettivo comune a istituzioni politiche, editori, scrittori per l’infanzia e maestri interessati alla scolarizzazione dei ceti popolari: dotare bambini e famiglie di strumenti didattici che trasmettessero una basilare conoscenza della lingua unitaria, ancora poco familiare alla stragrande maggioranza, dialettofona, della popolazione. L’auspicio era che i testi per la scuola potessero concorrere all’italianizzazione e all’unificazione culturale del Paese.
Caratteristiche del libro di lettura
Rispetto al taglio descrittivo-normativo delle grammatiche, il libro di lettura offriva più direttamente modelli d’italiano attraverso brani-lezione dedicati a una notevole varietà di temi, con conseguente variabilità dei registri e della terminologia. Esso, infatti, comprendeva racconti moraleggianti, brani di storia patria, geografia, scienze e tecnica, economia domestica, educazione civica, passi antologici in prosa e in versi. Sul modello del Giannetto (1837) di L. A. Parravicini e del Giannettino (1877) di C. Collodi, era frequente l’inserimento di nozioni e insegnamenti in cornici dialogico-narrative coincidenti con singoli racconti interni al volume o estese all’intero libro e volte a rendere più vivace l’esposizione per mezzo della simulazione di dialoghi educativi tra insegnanti (o figure pedagogiche alternative: genitori o colti amici di famiglia) e piccoli apprendenti.
Anna Vertua Gentile, Un’allegra nidiata. Libro di lettura per la 5a classe elementare maschile,
Lanciano, Carabba, 1902
I programmi per la scuola elementare tra il 1860 e il 1905
L’obiettivo di un’educazione linguistica unificante e inclusa in un globale progetto educativo di tipo morale e civile è evidente anche nei programmi la scuola elementare emanati dal Ministero della Pubblica Istruzione dal 1860 al 1905, periodo decisivo per l’organizzazione del sistema scolastico italiano e per i processi di alfabetizzazione e popolarizzazione della lingua nazionale. Ecco una sintesi di questi programmi e delle annesse istruzioni per gli insegnanti (le citazioni sono tratte da Civra 2002), con una speciale attenzione alle prescrizioni concernenti la didattica dell’italiano e soprattutto i testi di lettura.
I programmi del 1861
Nel 1861 i programmi per le scuole primarie furono estesi dal Regno di Sardegna a tutto il Paese. Vi sono proposti per il primo biennio elementare la lettura e la spiegazione del libro di testo, l’insegnamento di grammatica e scrittura, l’educazione morale ispirata a exempla tratti dalla storia sacra. I maestri avrebbero dovuto curare l’esposizione orale e scritta degli allievi, evitando il dialetto. Ai libri di lettura si fa riferimento nelle istruzioni per la seconda classe, in relazione all’etica del dovere e dei buoni sentimenti da inculcare traendo spunto da brani moraleggianti e ricorrendo poi, nella terza classe, alla «lettura e spiegazione del libro approvato». Già in questi programmi è esplicitamente prevista per il libro di lettura la strutturazione tematico-testuale variegata sopra menzionata, giustificata con l’intento di trasmettere agli alunni un insieme essenziale di conoscenze semplici, adeguate alle loro capacità di comprensione. Alla formazione del sentimento nazionale e al rispetto per l’autorità regia potrà contribuire il far conoscere, attraverso il «libro approvato» e la mediazione del maestro, la storia di casa Savoia e brevi «biografie di scrittori ed artisti che onorano il nome italiano».
I programmi del 1867
Nel 1867 i nuovi programmi emanati dal ministro M. Coppino semplificano i precedenti, a causa della necessità di adeguarsi alle difficili condizioni delle classi del tempo. Particolare enfasi è data all’insegnamento linguistico; in particolare, il maestro avrebbe dovuto assumere un atteggiamento prontamente correttorio verso gli elementi dialettali nel parlato degli allievi. Tuttavia, sebbene manchi un’effettiva sensibilità pedagogica verso il background linguistico-culturale di questi ultimi, queste disposizioni rivelano, specialmente nei suggerimenti sugli esercizi di composizione, una cauta apertura comparativo-contrastiva verso il dialetto, «accettato strumentalmente per favorire una migliore acquisizione della lingua nazionale» (Catarsi 1990: 20). Alcuni aspetti innovativi paiono anticipare le indicazioni dei programmi del 1888, come l’invito a «eccitare i ragazzi a scrivere con naturale spontaneità quello che pensano e vogliono dire, sopra soggetti loro noti, o spiegati; a scrivere come parlerebbero». Erano ipotesi didattiche per l’epoca progressiste, difficili però da tradurre in pratica sia per la radicata prassi scolastica della scrittura per imitazione, sia perché in territorio extratoscano l’italiano non era lingua d’uso e non era certo agevole ravvivare le pratiche di scrittura con i tratti della naturalezza e della spontaneità auspicati dai programmi. Il libro di lettura è riproposto come raccolta di cognizioni eterogenee, dal mondo fisico al culto della virtù. Non si specificano dettagliatamente i suoi contenuti, ma se ne suggeriscono alcuni requisiti: essenzialità delle nozioni, loro gradualità in relazione a intelligenza ed età degli alunni, semplicità e praticità espositive per educare intelletto e cuore e rimuovere erronee credenze popolari. Per la diffusione di un lessico italiano unitario si raccomanda lo studio della nomenclatura di oggetti domestici, arti e mestieri, che comporterà l’ingresso a scuola di libri e pannelli illustrati su lavori maschili e femminili, casa, vita rurale, animali.
I programmi del 1888
I programmi del 1888, redatti dal pedagogista A. Gabelli, risentono fortemente della cultura positivista. Lo dimostra il marcato riconoscimento del valore dell’osservazione diretta e dell’esperienza oggettuale della realtà quali fondamenti di un metodo didattico intuitivo-induttivo, cioè che va dal noto all’ignoto, dal particolare al generale, dall’esempio alla regola, al fine di stimolare le curiosità dei bambini. Obiettivo della glottodidattica è «condurre gli alunni a parlare e scrivere correttamente»: a tal proposito Gabelli disapprova modelli d’italiano improntati ad affettazione, giri di parole e impieghi traslati non trasparenti, proponendo piuttosto il perseguimento della chiarezza concettuale e della proprietà espressiva, requisiti di buona lingua teorizzati anche da E. De Amicis nel saggio L’idioma gentile (1905). Si raccomanda ancora ai docenti di correggere gli errori degli allievi dovuti al dialetto, ma suonano innovativi la rimozione dell’analisi logica, ritenuta improduttiva, e il ridimensionamento della grammatica quale insegnamento a sé stante, in sintonia con la concezione esperienziale dell’apprendimento: gioverà di più all’allievo l’esposizione all’uso auspicabilmente corretto della lingua da parte del maestro. È noto, tuttavia, che spesso i docenti erano impreparati a recepire aspettative didattiche avanzate, oltre che dialettofobiche, essendo incerto anche il loro possesso dell’italiano. Coerentemente, si afferma che il libro di lettura può essere impiegato per osservazioni grammaticali compiute su testi che vanno oltre la dimensione della singola frase, ma esse non vanno affannosamente sovrapposte alla lettura e alla spiegazione dei brani: i fini per i quali questi possono essere adoperati vanno perseguiti passo dopo passo. I manuali di lettura sono presentati ancora una volta come raccolte di semplici nozioni varie, senza pretese di sistematicità; essi dovrebbero supportare lezioni che traggano spunto dall’osservazione ed evitino classificazioni e terminologie eccessivamente tecniche. È altresì introdotta la locuzione lezioni di cose, che indica proprio il far conoscere agli allievi fatti ed entità osservabili attraverso un’analisi sensoriale, per innescare l’abitudine all’osservazione e alla formulazione razionale di concetti. I libri di lettura pubblicati tra il secondo Ottocento e i primi anni del Novecento contengono in effetti brani su materiali, piante e frutti, animali, fenomeni atmosferici e climatici, oggetti e parti della casa, mansioni domestiche, invenzioni e scoperte, i quali sembrano ispirarsi a questa modalità esperienziale e intuitiva d’insegnamento, non solo a livello tematico ma anche per la forma testuale dialogico-narrativa, che consente, come si è accennato, la riproduzione, pur stilizzata, del contesto scolastico. Gli argomenti disciplinari sono spesso inquadrati nella verosimile cornice di classi scolastiche in cui il maestro dialoga con gli alunni e ne sollecita la curiosità con domande alle cui risposte seguono apprezzamenti, correzioni, spiegazioni. Un esempio:
[La maestra:] Attente: nel cannello di vetro posto su questo regolo di legno, tutto segnato da piccole lineette che si dicono gradi, v’è del mercurio: lo vedete?»
«Sissignora.»
«Ebbene, guardate: ora il mercurio segna…. vieni qui, Rita, e conta da questa linea segnata zero, a quante lineette si inalza il mercurio.»
«A nove,» rispose Rita, dopo aver contato.
«Dunque la temperatura della nostra classe è di nove gradi. Ora io metto la mano sulla piccola sfera che finisce il tubetto di cristallo….»
«Oh bello, bello,» gridò Rita, «il mercurio va in su; è già a dieci gradi, ora va ad undici.»
«Ebbene, che vuol dire questo?»
«Che lei è piú calda della camera,» rispose Lucia.
«Cioè che la temperatura della mia mano è piú alta di quella dell’aria di questa stanza. E perché sotto il calore della mia mano il mercurio si inalza nel piccolo tubo?»
Le fanciulle si guardarono e non seppero dir sillaba.
«Perché il calòrico ha la proprietá di dilatare i corpi […]. Avete capito?»
«Sissignora.» (Felicita Morandi, Edvige Salvi, La fanciulla educata ed istruita (seguito alla Bambina). Libro di lettura per la seconda e terza classe elementare secondo i recenti programmi governativi, Milano, Agnelli, 1891, pp. 91-92).
Infine Gabelli assegna al libro di lettura una valenza etica (è opportuno scegliere un testo con racconti morali da commentare e far ripetere agli alunni) e un’utilità per allenare la memoria attraverso lo studio di testi in versi e in prosa (come massime proverbiali) brevi e semplici. Questi programmi furono criticati da ambienti conservatori, intimoriti dalla loro ispirazione progressista e dall’approccio osservativo e critico verso la realtà, ritenuto un possibile fattore di risveglio della reattività sociale. Inoltre le riviste magistrali, cioè destinate ai docenti ed espressione dei loro punti di vista sulla scuola, espressero le diffuse perplessità degli insegnanti, spesso poco preparati, come si è detto, per aderire a metodologie così innovative.
I programmi del 1894
Nel 1894 il ministro G. Baccelli emanò nuovi programmi che, pur includendo le illuminate istruzioni generali delle precedenti disposizioni, appaiono come un adattamento e una parziale semplificazione di esse, finalizzati a restituire alla scuola un assetto più tradizionale e socialmente più rassicurante. Si sostiene che la missione principale della scuola è educare dal punto di vista etico e civile: nella relazione di Baccelli rivolta al re e preposta ai programmi si legge che bisogna «istruire il popolo quanto basta, educarlo più che si può», trasmettendo dunque all’allievo i rudimenti del sapere, ma soprattutto cercando di farne «un galantuomo operoso» che, grazie alle nozioni di storia patria ed educazione civica, impari ad amare il suo Paese. La relazione al re sottolinea anche la centralità dell’insegnamento linguistico, teso allo sviluppo delle capacità creative, riflessive ed espressive del bambino e all’apprendimento di un modo di comunicare «semplice, schietto, efficace» nella lingua nazionale. Nonostante la riproposta di una didattica grammaticale tradizionale e della lotta ai dialetti attraverso interventi dei maestri sui «difetti di pronunzia» degli apprendenti, non mancano puntualizzazioni positiviste laddove si sostiene la necessità di «razionali esercizi» e di «un’osservazione diretta, sopra i caratteri e le movenze del discorso», nonché di «regole ben definite e sicure, desunte dalla pratica». Come prescrivevano i programmi Gabelli, l’esercizio della lettura ha un fine morale ma serve anche da modello per gli usi orali e scritti. Tuttavia si suggerisce agli insegnanti di presentare agli allievi testi esemplari – racconti, descrizioni o lettere – di argomenti affini a quelli assegnati per le composizioni solo dopo lo svolgimento dell’esercizio di scrittura: così lo scolaro, tramite confronti, potrà rendersi conto delle improprietà del proprio elaborato e coltivare il desiderio di migliorare. Si ribadisce che è più consono distinguere in momenti successivi i diversi livelli di analisi di un testo, anziché inframmezzare e appesantire la lettura con glosse esplicative, grammaticali e morali. Una critica severa è rivolta ai programmi passati, ritenuti ispiratori di libri di testo inorganici. L’abilità del maestro nell’insegnamento rimane comunque indispensabile, perché, si ammette, è insufficiente affidarsi a manuali spesso densamente nozionistici e tediosi come enciclopedie.
I programmi del 1905
I lunghi programmi del 1905, elaborati dal filosofo F. Orestano, nascono dall’esigenza di adeguare l’assetto delle elementari all’ordinamento stabilito dalla legge Orlando (1904), che portava il ciclo primario da cinque a sei anni e istituiva due percorsi formativi: colto e popolare. Il primo riguardava gli alunni che avrebbero proseguito gli studi, durava quattro anni e si concludeva con un esame che consentiva l’accesso alle scuole secondarie. Per gli altri scolari era previsto un ulteriore biennio, la quinta e la sesta elementare, che costituiva il corso popolare, aveva un orario ridotto per fanciulli lavoratori e permetteva di ottenere la licenza elementare. Si raccomandava di sottoporre gli alunni che avrebbero frequentato le scuole post-elementari a uno studio della grammatica rafforzato rispetto ai coetanei. Nel biennio popolare si esortava, invece, ad adeguare la didattica alle possibilità professionali legate al territorio di appartenenza dell’istituzione scolastica, con la proposta di cognizioni immediatamente utilizzabili da parte del futuro lavoratore. Coerentemente, riguardo all’insegnamento dell’italiano, in particolare per il dettato, si propone ai maestri delle classi popolari di sottoporre ai discenti, accanto a testi di autori maggiori, soprattutto brani di prosa e poesia affini «al gusto semplice e concreto del popolo» (Papa 2012: 85), e d’indicare sommariamente le differenze tra i principali generi letterari. Si riaffermano il valore dell’osservazione e dell’esperienza dirette, e con enfasi il principio della progressività dell’offerta didattica in relazione ai vari livelli di apprendimento, già affiorato nei programmi Coppino e ora applicato nel distinguere i programmi per classe anziché per materia.
L’insegnamento linguistico è ritenuto il più rilevante nell’ambito dell’istruzione formale: il carattere modernamente interdisciplinare riconosciuto all’insegnamento dell’italiano coesiste, però, con il rinnovato invito a combattere le interferenze dialettali. Il maestro è sì invitato a prestare attenzione al background del bambino e a guidare quest’ultimo gradualmente dal noto all’ignoto, ma manca una sensibilità simile verso il retroterra linguistico dello studente. Va apprezzato, tuttavia, che per insegnare grammatica si propone un percorso induttivo, che dagli esempi e dalla correzione degli errori porti alla formulazione e a esercizi di applicazione della regola. Il primo riferimento ai libri di lettura compare nella critica alla libertà d’impostazione dei contenuti disciplinari che i precedenti programmi avrebbero irresponsabilmente concesso ai maestri, e alla mancanza di criteri precisi nella disposizione graduale degli argomenti per classe. Molti manuali sono giudicati superficiali, prolissi, lacunosi, confusi, inappropriati alle classi di destinazione (lo dimostravano, ad es., pesanti pagine sulle leggi statali in volumetti per la terza classe). Si richiedeva, pertanto, agli autori scolastici di adeguare i testi agli apprendenti e alle loro capacità di comprensione. Per l’educazione morale sono consigliati descrizioni e racconti insieme impressivi ed edificanti (tra i quali apologhi evangelici, impiegati a scopo etico e non religioso, miti e leggende) riguardo ai quali si raccomandano chiarezza e precisione narrative, semplicità di locuzioni, brevità, rifiuto di divagazioni e dettagli superflui, forma piana e non ricercata. Tra le finalità attribuite ai manuali di lettura – incuriosire l’alunno con cognizioni utili, commuoverlo, accenderne l’amore per la patria – emergono aspetti fino ad allora largamente sottovalutati in sede pedagogica quali la formazione del buon gusto e la stimolazione della fantasia. Le letture scolastiche, si legge, dovrebbero incentivare l'amore per la lettura e i libri al di là del contesto strettamente scolastico: può aiutare allo scopo una struttura narrativa delle letture, invece di cumuli di informazioni aridamente giustapposte.
I programmi e il libro di lettura
Nel complesso, nei programmi esaminati si rilevano osservazioni illuminate sull’importanza del libro di lettura e sull’insegnamento dell’italiano. Queste riguardano ad esempio il principio della progressività delle nozioni, il suggerimento di modelli linguistici basati su chiarezza, linearità, essenzialità, proprietà lessicale, proponibili anche tramite racconti didascalici atti a vivacizzare strategicamente la presentazione degli argomenti; l’utilità della nomenclatura, da trasmettere evitando eccessi di tecnicismo; una robusta ispirazione etico-civile e patriottica; l’efficacia pedagogica di un approccio empirico-induttivo; i lungimiranti inviti a produrre una letteratura per la scuola tesa a formare buoni cittadini, capaci di esprimersi con uno strumento linguistico unitario, agevole, polifunzionale.
Sul piano istituzionale, i programmi costituivano il codice di riferimento principale in base a cui il Ministero dell’Istruzione concedeva o negava l’approvazione ufficiale alle proposte di libri di testo che rendeva questi ultimi legittimamente adottabili nelle scuole elementari. Le opere autorizzate venivano quindi inserite in elenchi pubblicati tramite apposite circolari ministeriali e riportavano formule di ottenuta conformità sulla copertina e sul frontespizio (ad es. secondo i nuovi/recenti programmi governativi [del: data di emanazione] e le ultime istruzioni ministeriali). Alcuni libri erano ammessi senza rilievi all’adozione; altri, ritenuti non del tutto aderenti alle linee guida vigenti, quindi non autorizzati all’impiego scolastico propriamente detto, erano indicati come utilizzabili per la lettura domestica, per arricchire le biblioteche scolastiche o come libri di premio per alunni meritevoli.
Il compito di esaminare i libri per le scuole e selezionarne i migliori fu affidato dalla legge Casati (1859/1860-61) al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI) e dagli anni Sessanta anche ai Consigli scolastici provinciali. A partire dagli ultimi decenni del XIX secolo fu più volte istituita dal Ministero un’apposita Commissione centrale per la revisione dei libri per le elementari, con le funzioni di stabilire e comunicare ai Consigli provinciali i parametri di selezione dei testi e di produrre un elenco di quelli approvati. Nonostante i limiti di questo sistema di revisione, complessivamente i documenti elaborati hanno il pregio di ribadire con chiarezza i caratteri ideali del libro di lettura enucleati nei programmi, ovvero aspettative spesso disattese dall’effettiva produzione libraria: catturante dimensione narrativa, gradualità, educazione ai buoni sentimenti, scopi civici e patriottici, esposizione induttiva, essenzialità e precisione dei concetti, scorrevolezza, varietà stilistica ma, al contempo, ricerca di una complessiva armonia tra i registri e rifiuto di stridori tra stili liricheggianti o simil-saggistici e altri fin troppo imitativi del parlato o del dialetto toscano.
Conclusioni
Le disposizioni governative influirono dunque decisamente sull’impostazione dei manualetti pluridisciplinari, limitando a volte l’espressione delle preferenze soggettive degli autori. Assumendo il punto di vista degli estensori dei programmi, si comprende comunque che la volontà regolatrice del Ministero, testimoniata anche dalle parecchie circolari emanate per chiarire alcuni parametri cui si sarebbero dovuti attenere gli autori per la scuola, era sollecitata proprio da una proliferazione di raccolte di letture dei cui scarti rispetto a condivisibili raccomandazioni linguistico-stilistiche e delle cui frequenti inadeguatezze alcuni programmi stessi, come si è visto, danno testimonianza. Più in generale, nei decenni postunitari le istituzioni preposte all’istruzione dovettero occuparsi di un sistema scolastico e di un Paese attraversati da divisioni socioculturali e linguistiche molto forti. Si sperava, tuttavia, anche incoraggiando la lettura scolastica e parascolastica, di dotare i piccoli italiani di una buona cultura complessiva e di una dignitosa capacità d’uso dell’italiano quale strumento di espressione dell’identità nazionale e di un più agevole ed efficace inserimento nella società.
settembre 2023
Per saperne di più
Gianfranco Bandini, Nuovi programmi, nuovi manuali. Bemporad davanti alle trasformazioni della scuola elementare, in Carla Ida Salviati (a cura di), Paggi e Bemporad editori per la scuola. Libri per leggere, scrivere e far di conto, Firenze, Giunti, 2007, pp. 149-191.
Alberto Barausse (a cura di), Il libro per la scuola dall’Unità al Fascismo. La normativa sui libri di testo dalla legge Casati alla riforma Gentile (1861-1922), 2 voll., Macerata, Alfabetica, 2008.
Enzo Catarsi, Storia dei programmi della scuola elementare (1860-1985), Scandicci, La Nuova Italia, 1990.
Giorgio Chiosso, Alfabeti d’Italia. La lotta contro l’ignoranza nell’Italia unita, Torino, SEI, 2011.
Marco Civra, I programmi della scuola elementare dall’Unità d’Italia al 2000, Torino, Marco Valerio, 2002.
Stefano Gensini, Breve storia dell’educazione linguistica dall’Unità a oggi. Con un’appendice di documenti d’epoca, Roma, Carocci, 2005.
Elena Papa, Con naturale spontaneità. Pratiche di scrittura ed educazione linguistica nella scuola elementare dall’Unità d’Italia alla Repubblica, Roma, Società Editrice Romana, 2012.
Lucilla Pizzoli, La politica linguistica in Italia. Dall’unificazione nazionale al dibattito sull’internazionalizzazione, Roma, Carocci, 2018.
Giuseppe Polimeni, Il troppo e il vano. Percorsi di formazione linguistica nel secondo Ottocento, Firenze, Cesati, 2014.
Benedetto Giuseppe Russo, Autrici per la scuola. Modelli d’italiano, pattern didattici e livelli di leggibilità in libri di lettura per la scuola elementare (1882-1913), Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2023.
Luca Serianni, Storia dell’italiano nell’Ottocento, Bologna, il Mulino, 2013.