L’autonomia della sintassi nelle grammatiche italiane: una lenta conquista - Andrea Cortesi

L’autonomia della sintassi nelle grammatiche italiane: una lenta conquista

di Andrea Cortesi

 

Oggi, quando apriamo un qualsiasi libro di grammatica, ci aspettiamo di trovare una sezione dedicata alla sintassi, magari divisa tra sintassi della frase e sintassi del periodo. In passato, però, le cose stavano diversamente. Per secoli la sintassi, soprattutto quella del periodo, ha faticato a trovare uno spazio autonomo all’interno delle grammatiche, che si occupavano, almeno fino al pieno Ottocento, principalmente di individuare e definire le parti del discorso (l’aspetto della lingua che allora si chiamava etimologia e che oggi denominiamo morfologia) e i principali aspetti ortografici e fonetici, spesso sovrapponendo queste dimensioni. Soltanto in alcuni casi si potevano trovare anche osservazioni sintattiche, perlopiù accidentali, disseminate all’interno delle altre sezioni: si trattava, a tutti gli effetti, di una «sintassi inconsapevole» (Poggiogalli 1999: 8).

 

1.    La sintassi nelle prime grammatiche dell’italiano

 

Nelle opere grammaticali quattro-cinquecentesche, la sintassi non costituiva oggetto d’indagine diretta. Non vi si accenna esplicitamente né nella prima grammatica dell’italiano (o meglio, del fiorentino) in assoluto (la Grammatichetta di Leon Battista Alberti, rimasta manoscritta), né nelle prime a stampa, quelle di Fortunio (1516) e di Bembo (1525). Manca inoltre una definizione vera e propria del concetto di frase e, di conseguenza, la distinzione tra frase semplice e complessa (anche dal punto di vista terminologico: erano spesso utilizzate indistintamente le voci orazione, parlamento e parlare, mentre per indicare la frase semplice si avvicendavano anche clausola, frase, periodo, sentenza e più tardi proposizione).

Tuttavia, come hanno dimostrato diversi studi (Poggiogalli 1999, Fornara 2004), questo non esclude che già nel Cinquecento si possano trovare osservazioni, per così dire indirette, su alcuni aspetti di microsintassi (fino al Settecento inoltrato, infatti, con sintassi si intende proprio la microsintassi, in particolare del verbo), dal momento che nel passare in rassegna le varie parti del discorso e indagandone le caratteristiche era pressoché inevitabile scontrarsi con fenomeni come la concordanza e le reggenze. È quanto accade, ad esempio, nei due capitoletti dedicati alla concordanza tra diverse parti del discorso nelle grammatiche di Rinaldo Corso (Fondamenti del parlar Thoscano, 1549, in cui accenna alla concordia tra nome e verbo, tra nome e aggettivo, tra articolo e pronome relativo e nome a cui si riferiscono) e Lodovico Dolce (Osservationi nella volgar lingua, 1550), che arriva a fare notazioni sulla reggenza verbale, come quando riconosce che in presenza di verbi come temo, voglio e simili è necessario usare il soggiuntivo, ossia il congiuntivo. Dolce, inoltre, introduce la sezione con una interessante similitudine: così come il bravo pittore non può accontentarsi di saper rappresentare separatamente le singole parti anatomiche del corpo umano ma deve imparare a metterle insieme «con giusta proportione, e con misura convenevole», così anche lo studioso della lingua non può dire di conoscere davvero le varie parti del discorso se «non ha cognitione di congiungerne ciascuna insieme ragionevolmente» (p. 48). Nel secolo successivo, altre interessanti notazioni sul piano microsintattico si trovano nelle Osservazioni della lingua italiana di Marcantonio Mambelli (detto Cinonio), in particolare nel volume del 1644 dedicato alle particelle (articolo, pronome, avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione), in cui l’autore offre considerazioni sparse riguardo alla loro costruzione, alla reggenze e al rapporto con le altre parti del discorso, fornendo esempi tratti principalmente da testi trecenteschi.

Oltre che nella trattazione delle parti del discorso, osservazioni sintattiche anche di ampia gittata si possono trovare nelle sezioni delle grammatiche dedicate all’interpunzione: un tema trattato, in modo più o meno approfondito, da diversi grammatici già nel Cinquecento (Del Rosso, Corso, Dolce, Lombardelli, Giambullari, Salviati e via dicendo). Questo avveniva perché l’analisi delle funzioni dei segni interpuntivi (ad esempio quella di dividere tra loro le diverse proposizioni) costringeva ad alzare lo sguardo dalle singole parole non solo alla frase, ma anche alla delimitazione tra una frase e l’altra. È ciò che fa Lodovico Dolce nel paragrafo dedicato alla «Divisione del periodo, e i punti che usare dobbiamo», ad esempio nella descrizione del punto fermo, chiamato anche finale «perché dove si ferma la sentenza, et ha fine il periodo, lo poniamo» (p. 79v).

Al di là di queste note sparse e asistematiche, il primo grammatico a concedere uno spazio significativo e autonomo alla sintassi fu Pierfrancesco Giambullari, che nel trattato De la lingua che si parla et scrive in Firenze (1552) dedica quattro libri alla cosiddetta costruzzione (termine preferito per secoli al grecismo sintassi, che alla lunga ha avuto però la meglio). La trattazione sintattica di Giambullari, rifacendosi a un modello latino, è però ben lontana dalle categorie moderne: si basa ancora sui casi ed è ordinata per parti del discorso, delle quali si indagano in particolare fenomeni di concordanza. Sembra però affacciarsi nella sua opera una distinzione terminologica per i diversi tipi di frase, altro aspetto di secolare incertezza: Giambullari utilizza clausola nel senso di ‘periodo’, sentenzia per indicare la ‘frase’, membro per un ‘segmento di periodo o frase’ e ancora membretto e meno che membretto per le unità più piccole (Fornara 2004: 50).

 

                                                

Fig. 1 Il frontespizio del trattata De la lingua che si parla et scrive in Firenze di Pierfrancesco Giambullari (Firenze, 1552) e l’inizio del libro terzo dedicato alla costruzzione.

 

2.    Tra retorica e grammatica: l’ordine delle parole

 

Lo scarso spazio dedicato all’ordine delle parole nella frase e, ancor più, delle frasi nel periodo, si giustifica con il fatto che, nei secoli scorsi, tali temi erano ritenuti appannaggio non tanto della grammatica quanto della retorica. Lo sostiene, ad esempio, il già citato Dolce quando scrive che «l’ordine e la testura delle parole» è «parte, che appartiene al rhetore, e non a scrittore di Grammatica» (p. 367). La disposizione delle parole doveva apparire come un aspetto variabile in base a personali scelte stilistiche: un problema di stile, più che di lingua.

Partendo da questo presupposto, una distinzione che emerge ben presto – e che caratterizzerà le trattazioni sintattiche almeno fino alla seconda metà dell’Ottocento – è quella tra costruzione regolare (o naturale) e irregolare (o artificiale), già evidente, a ben vedere, agli occhi di Giambullari, che distingueva tra una disposizione delle parole intera (ossia regolare) e una figurata, la quale «manca o sovrabbonda di qualche cosa».

Nel tardo Seicento, alla sintassi figurata viene dedicata persino un’opera monografica, il trattato Della costruzione irregolare della lingua toscana (1679) del fiorentino Benedetto Menzini. L’autore si concentra proprio sul parlar figurato e sulle varie figure retoriche (figura è detto «un error fatto con ragione»), a partire dall’ellissi di vari elementi della frase (nomi senza l’apposizione di altri nomi, aggettivi usati in modo assoluto senza il nome o con valore avverbiale, ellissi del verbo, delle preposizioni e così via). Si tratta poi delle figure di mancato accordo tra le parti del discorso (come lo zeugma o la sillessi) e ancora della trasposizione e dell’iperbato, ossia figure in cui viene perturbato l’ordine naturale delle parole. Ancora per secoli, saranno questi i termini in cui le grammatiche affronteranno il tema dell’ordine delle parole nella frase: è quanto emerge, ad esempio, sfogliando le grammatiche ottocentesche di Ambrosoli (1829) e di Moise (1867), nelle quali si parla ancora di sintassi figurata e irregolare.

 

                              

Fig. 2 Frontespizio e indice del trattato Della costruzione irregolare della lingua toscana di Benedetto Menzini, Firenze, 1679.

 

 

3.    Le novità settecentesche: da Corticelli a Soave

 

Alla sintassi dedica ampio spazio anche la più importante grammatica del Settecento, le Regole ed osservazioni della lingua toscana ridotte a metodo di Salvadore Corticelli (1745). Consapevole della lacuna dei grammatici precedenti in questo campo, Corticelli dedica il secondo libro alla costruzione toscana, ossia alla «conveniente disposizione, la quale debbono avere fra se le parti dell’orazione» (p. 173). Permane anche qui la distinzione tra costruzione regolare o semplice (secondo l’ordine soggetto-verbo-oggetto) e irregolare o figurata già individuata nei secoli precedenti; Corticelli tuttavia, nel trattare dell’ordine, della dipendenza e della concordanza tra le parti del discorso, introduce alcune notazioni innovative, tra cui quelle sulla posizione del pronome atono (anteposto o posposto in base alla costruzione del verbo). L’aspetto più interessante è però l’attenzione particolare dedicata ai verbi, classificati «secondo criteri simili alle moderne tipologie valenziali» (Telve 2002: 21) in sei classi (attivi, assoluti, neutri, passivi, impersonali, locali) a loro volta suddivise in ordini in base alle diverse reggenze. Seguono osservazioni sulla costruzione delle altre parti del discorso e chiude la sezione un capitolo dedicato alla costruzione figurata, in cui passa in rassegna le ben note figure retoriche (ellissi, sillessi, iperbato ecc.). Ancora una volta, quindi, grammatica e retorica si sovrappongono, è ancora assente una vera analisi del periodo ed è ancora molto forte il peso del modello latino, tanto da sembrare quasi una «reinterpretazione latina dell’italiano» (Poggi Salani 1988: 780).

Sempre nel Settecento circolano in Italia le teorie grammaticali provenienti dalla Francia, derivate in particolare dalla grammatica di Port-Royal e dalle voci linguistiche dell’Encyclopédie. La diffusione di queste teorie, che uniscono la riflessione grammaticale alla logica, ha come conseguenza anche un diverso approccio alla sintassi, che viene finalmente svincolata dalla retorica. Se ne ritrova un’eco nella Gramatica ragionata della lingua italiana di Francesco Soave (1771), ad esempio quando afferma che l’ordine naturale delle parole (soggetto-verbo-oggetto) è tale perché riflette l’ordine di acquisizione delle idee da parte della mente umana (p. 193). La parte dedicata alla sintassi è sicuramente la più innovativa dell’opera. Tra le maggiori novità rientra lo spazio dedicato alla sintassi del periodo, in cui si notano aspetti moderni sia dal punto di vista concettuale, sia terminologico (cfr. Telve 2002: 23-24): Soave (pp. 177-178) analizza i diversi legami logici che legano le frasi e distingue, ad esempio, tra proposizioni assolute («che stanno da sé nel discorso») e proposizioni relative («che ad un’altra proposizione si riferiscono»), a loro volta distinte tra dipendenti (che «dipendono da una assoluta») e subordinate (che «dipendono scambievolmente l’una dall’altra»).

L’influsso della grammatica di Port-Royal si nota anche dal punto di vista terminologico, in particolare per quanto riguarda la designazione della frase semplice: se fino a quel momento avevano convissuto termini polisemici come orazione, sentenza, clausola e altri, si deve proprio alle teorie francesi l’affermazione nella grammaticografia tardo settecentesca del termine proposizione, largamente impiegato da Soave, che verrà affiancato – come accade ancora oggi – da frase nel corso dell’Ottocento (De Roberto 2018: 359-393).

 

4.    Verso un approccio moderno alla sintassi: Raffaello Fornaciari

 

Nel corso dell’Ottocento si affina l’analisi della frase e del periodo, e la sintassi si fa largo sempre più all’interno delle grammatiche. Momento decisivo di questo percorso, che ci avvicina ai giorni nostri, è rappresentato dalla Sintassi italiana dell’uso moderno (1881) di Raffaello Fornaciari, che costituisce la più completa e avanzata trattazione sintattica nella storia della grammaticografia italiana anteriore al Novecento.

Il volume si apre con la dichiarazione della difficoltà del tema scelto: «la Sintassi della lingua italiana offre, per essere ben trattata, difficoltà di gran lunga maggiori, che non l’etimologia» (p. VII) e questo a causa «dell’immensa materia che essa comprende» e del fatto che «i suoi costrutti hanno una instabilità e varietà più grande, che non abbiano le forme delle parole», aggiungendo, inoltre, l’impossibilità di rifarsi ai grammatici precedenti, che avevano ignorato il tema o non erano riusciti a delimitarlo adeguatamente.

 

                   

Fig. 3 Frontespizio e indice della Sintassi italiana dell’uso moderno di Raffaello Fornaciari, Firenze, 1881.

 

Nella prima delle tre parti, la più analitica, Fornaciari ripropone la sintassi delle diverse parti del discorso, analizzandole però «in quanto a certe leggi concernenti il legame di esse con le altre parole, non in quanto a tutti i loro significati» (Nencioni 1974: XXV); la seconda parte («Uso della proposizione»), più sintetica, propone una vera sintassi della frase a partire dai suoi elementi costitutivi: soggetto, predicato e oggetto, per poi passare ai complementi, divisi in due macrocategorie (attributivi e avverbiali). Affrontando finalmente in modo autonomo la sintassi del periodo (a cui dedica ben sei capitoli), Fornaciari introduce concetti e termini ormai moderni: parla infatti di proposizioni principali e subordinate, di proposizioni attributive, soggettive e oggettive, delle subordinate avverbiali, dei modi e dei tempi usati nelle subordinate e infine dei modi di coordinare le proposizioni. Anche nel trattare l’ordine delle parole (tema della parte terza), inserisce elementi di novità, come quando spiega la differenza tra sintassi diretta e inversa senza sconfinare nella retorica, ma avvicinandosi ai concetti moderni di focalizzazione e tematizzazione: la sintassi inversa è infatti «guidata dalla necessità di esprimere con più forza un sentimento, anteponendo o posponendo, per meglio metterla in rilievo, la parola e la frase più importante» (p. 431).

 

In sintesi

 

Dopo secoli di incertezze e di scarsa attenzione (che era rivolta quasi esclusivamente agli aspetti fono-morfologici), la sintassi è riuscita a trovare uno spazio autonomo all’interno delle grammatiche moderne, dove si distingue ormai abitualmente tra sintassi della frase semplice e sintassi del periodo (o della frase complessa). Nel corso del Novecento, inoltre, questo campo dell’analisi linguistica si è aperto a diversi nuovi approcci come quello valenziale elaborato da Lucien Tesnière negli anni Cinquanta e diffuso in Italia da Francesco Sabatini, che sta trovando sempre più spazio anche nella prassi didattica a scuola, grazie al fatto che, tra gli altri vantaggi, permette di semplificare quella che Fornaciari stesso chiamava la «selva infinita di complementi».

 

 marzo 2024

Per saperne di più

Elisa De Roberto, La frase semplice, in Storia dell’italiano scritto, a cura di G. Antonelli, M. Motolese, L. Tomasin, vol. IV, Grammatiche, Roma, Carocci, 2018, pp. 357-400.

Simone Fornara, La sintassi nel Cinquecento italiano tra grammatica e retorica, in Fortuna e vicissitudini di concetti grammaticali, a cura di G. Graffi, Padova, Unipress, pp. 45-60.

Giovanni Nencioni, Presentazione, in R. Fornaciari, Sintassi italiana dell’uso moderno, Firenze, Sansoni, 1974, pp. V-XXVII.

Teresa Poggi Salani, Grammatikographie/Storia delle grammatiche, in G. Holtus, M. Metzeltin, C. Schmitt (hrsg.), Lexicon der Romanistischen Linguisti, vol. IV, Italienisch, Korsisch, Sardisch, Tubingen, Max Niemeyer Verlag, 1988, pp. 774-786.

Danilo Poggiogalli, La sintassi nelle grammatiche del Cinquecento, Firenze, presso l’Accademia della Crusca, 1999.

Danilo Poggiogalli, Sintassi del periodo, in Storia dell’italiano scritto, a cura di G. Antonelli, M. Motolese, L. Tomasin, vol. IV, Grammatiche, Roma, Carocci, 2018, pp. 401-436.

Stefano Telve, Prescrizione e descrizione nelle grammatiche del Settecento, in “Studi Linguistici Italiani”, vol. XXVIII, fasc. I e II, pp. 3-32 e 197-260; vol. XXIX, fasc. I, 2003, pp. 15-48.

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